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La messa domenicale Proponiamo alla vostra lettura la sintesi di un documento molto interessante sulla Messa Domenicale, già pubblicata a puntate sulle colonne del giornale parrochiale Castellosette nel marzo 2001.
I preti del Vicariato di Rifredi (Firenze) hanno elaborato un
documento di cui proponiamo una nostra sintesi per argomenti. Riflettere sulla Messa è
sempre più necessario visto che molti la considerano ancora una semplice preghiera
sostituibile con qualsiasi pratica di pietà. Di fatto la Messa è invece il "culmine
e la fonte" della vita cristiana (Concilio Vaticano II) Parlare della celebrazione della Messa, è
importante oggi forse ancor più di ieri. Non solo perché l'Eucarestia è "culmine e
fonte" dell'azione della Chiesa, ma perché è dalla celebrazione dell'Eucarestia che
si struttura organicamente la Chiesa stessa. "Cosa significa celebrare? che cosa
fanno i Cristiani quando vanno in Chiesa? e perché ci vanno?". Al di là dei soliti
modi di dire o di pre-comprendere, seguendo i soliti pregiudizi che sono duri a morire,
sono questi gli interrogativi che con coraggio dobbiamo porci.
2. Mistero Pasquale e Alleanza L'Alleanza è il legame che unisce il
Popolo al suo Dio e Iddio al suo popolo sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. La
distinzione tra Vecchio e Nuovo è infatti un'indicazione temporale prima che una
opposizione, come spesso erroneamente si pensa. Inizia così l'esperienza del popolo
ebraico che potremmo definire "esperienza sacerdotale" perché il sacerdozio è
la capacità di mediare tra Iddio e l'umanità, è la capacità di fare da ponte (nella
Roma antica si parlava di "Pontefice") tra il divino e l'umano. L'elezione è
quindi un compito ricevuto da Dio per essere segno e strumento di comunicazione tra Dio e
gli uomini e tra gli uomini e Dio. Secondo l'Antico Testamento infatti Mosè
termina la sua missione sul monte Nebo nel territorio di Moab (Deut. 34) e subito dopo
Giosuè traversa il Giordano alla testa di tutto il popolo. Non è certo un caso che
Giosuè sia la versione ebraica del nome Gesù e che secondo gli evangelisti Gesù inizi
la sua vicenda dal Giordano, come Giosuè (Gios. 4,15ss). A Giosuè, dopo la traversata
del Giordano, si aprirono le porte della terra promessa ed egli poté rinnovare
l'Alleanza. Gesù salito dal Giordano (Mt. 3,13-17) vede aprirsi i cieli e dà inizio alla
Nuova Alleanza. Il cammino di Mosè si apre così al cammino di Gesù. Il Sacerdozio di
Mosè passa a Gesù: come Mosè stipulò l'Alleanza nel sangue delle vittime (cfr. Es.
24,6) così Gesù stabilirà l'Alleanza nel suo sangue (cfr. Gv. 19; Eb. 9).
3. La croce è il luogo del Sacerdozio per Cristo e per tutti i Cristiani. Il Sacerdozio, che da Cristo viene trasmesso alla Chiesa, è quello che ripropone e celebra il mistero della morte e resurrezione, traducendolo sempre in novità di fatti e di parole, e quindi novità di relazioni, novità di presenza nel corso dei secoli. Questo è il Sacerdozio che viene affidato ai Cristiani. Nel vangelo di Matteo si parla di
"chiavi del regno" affidate alla Chiesa (Mt. 16,18-19). Il "legare e
sciogliere", è il dono di elezione e il compito sacerdotale del nuovo popolo di Dio.
Esso non può essere costituito solo dal perdono dei peccati, ma comporta il reggere la
sovrintendenza della casa. E' essere quelli che amministrano l'eredità ed i beni del
regno di Dio. E' essere partecipi della missione di presenza e di rivelazione che Iddio ha
iniziato con Abramo, portato avanti con Mosè e fatto giungere a pienezza in Cristo.
Pienezza che continua nella Chiesa: «a te darò le chiavi del Regno dei Cieli».
4. Il "Mistero Pasquale" e il "Corpo di Cristo" Gesù Cristo è il Sacerdote della Nuova Alleanza e assomma in sé tutto il sacerdozio cristiano. Lo è non solo per ciò che ha fatto ma per ciò che è. Egli è infatti la presenza di Dio nel mondo; è il "luogo" dell'incarnazione, è la vittima e il sacrificio offerto a Dio per la salvezza degli uomini. Secondo la Scrittura Gesù è morto per i peccati. La morte di Cristo non è un debito pagato al Padre, ma è la sconfitta dell'umanità della quale Iddio stesso per l'incarnazione del Figlio in qualche modo fa parte. Per questo Gesù sperimenta l'abbandono del Padre: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt. 27,46). Cristo nel momento della sua morte è entrato in pienezza nell'umanità, si è fatto lui steso peccato. «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato per la nostra salvezza» (2 Cor. 5,21). Secondo questa lettura la morte di Cristo è - prima ancora che la Resurrezione - il momento in cui Cristo ha vissuto in pieno il suo essere Sacerdote. E' davvero come dice il Vangelo di Giovanni «l'ora di Gesù» (cfr. Gv. 7,30) ed è l'ora in cui si apre un passaggio da questo mondo al Padre: «Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amo sino alla fine» (Gv. 13,1). «Li amò sino alla fine» non vuol dire soltanto che poi prese il catino e lavò loro i piedi. Il lavare i piedi è solo un segno di quello che davvero ha fatto; è l'esplicitazione su un piano simbolico di quello che realmente si compie: l'accesso al Padre per lui e per i suoi («se non ti lavo non avrai parte con me»; Gv. 13,8) finche «Tutto è compiuto!» (Gv. 19,30). In quello che viene chiamato "il grande discorso sacerdotale" l'evangelista Giovanni chiarisce il senso della morte di Gesù (capp. 13-19). Il Maestro annuncia la comunione piena tra Lui e i suoi, tra i suoi e Lui; e tra i suoi, Lui e il Padre : «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv. 15,5), «Vado a prepararvi un posto» (Gv. 14,2). Non si tratta della prenotazione-Paradiso, quasi ci fosse un biglietto di ingresso. E' invece l'annuncio di una dimensione nuova. E' il nuovo esodo di cui Gesù è il nuovo Mosè, che paga insieme al popolo il tributo al peccato, e cioè la morte. «La ricompensa del peccato è la morte» (Rom. 6,23). Gesù Cristo paga e paga per noi; non paga a Dio, ma paga al nemico che è la morte. Egli è l'Agnello di Dio che si carica dei peccati del mondo (Liturgia). Il Vangelo di Giovanni e la lettera agli Ebrei insistono sull'accostamento agnello sacrificale-Cristo. Su di lui vengono caricati i peccati di tutto il popolo. Con Cristo -dice il Vangelo di Giovanni- si inaugura una nuova presenza di Dio: «E' venuto il tempo, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno Dio in Spirito e Verità», dice Gesù alla Samaritana (Gv. 4,23). E' il tempo in cui il nuovo Tempio sarà davvero il Tempio che nessuno potrà distruggere perché «fatto di pietre vive» (1 Piet. 2,5), fatto di persone nelle quali abita lo Spirito: «Se io vado, verrà a voi il Consolatore» (Gv. 16,7); «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv. 10,30); «Voi sarete in me e io in voi» (Gv. 14,20); «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt. 18,20). Questa comunione non è fatta di sentimento, ma è incarnazione; è l'inabitazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in ciascuno dei battezzati. San Paolo illustrerà la stessa realtà con il famoso esempio del corpo nel cap. 12 della prima lettera ai Corinzi dicendo: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (12,27). Quando si parla di "Corpo di Cristo" si parla di Comunione e di unità "spirituale", cioè secondo lo Spirito di Dio (si faccia attenzione a non confondere spirituale con invisibile e immateriale). Lo Spirito porta alla comunione, quindi porta alla vita. Tutto ciò che proviene dallo Spirito di Dio è vita. Così la vita spirituale è l'esperienza che si può fare tra Dio e gli uomini, come Cristo l'ha fatta: l'uomo spirituale è il Cristo Risorto. La morte e la Resurrezione di Gesù immettono così l'uomo in una dimensione nuova, che permette di guardare anche oltre la morte donandogli la "vita eterna" (che non consiste, come qualcuno pensa, nella sopravvivenza dell'anima, ma è il destino di ogni uomo, in corpo e anima, se vogliamo adoperare questa distinzione che oggi ha fatto il suo tempo). Questa è la "verità" del Corpo di Cristo. Gli antichi dicevano che questo è il "corpo vero" di Cristo. Se vogliamo capire che cosa è la Messa e qual è il Sacerdozio, che i Cristiani esercitano nella sua celebrazione, dobbiamo ripartire da questa definizione. Se il Cristiano è parte del "Corpo vero" di Cristo, quando celebra l'Eucarestia, non fa altro che essere coinvolto nella morte e resurrezione di Cristo, non fa altro che dichiarare la sua adesione vitale a Lui, identificandosi nella sua missione: «Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi» (Gv. 20,21; vedi anche 6,57 che è proprio nel contesto eucaristico). Il cristiano è invitato a lottare contro il "divisore", contro la carne e il sangue, contro la realtà avversa che tende a spezzare la comunione e che domina nel mondo (il principe di questo mondo, come lo chiama l'evangelista Giovanni) e che si manifesta in ogni forma di potere. La Chiesa fa allora quello che aveva fatto Gesù Cristo: afferma la presenza dello Spirito, che è vita, che è unità, che è comunione, che è gioia, e combatte tutto ciò che è divisione e morte come ha fatto Cristo. Il Corpo di Cristo vive dunque il Mistero Pasquale attraverso questa comunione di esperienza che contempla sì la vittoria sulla morte, ma passando prima attraverso la sconfitta. Come Cristo ha perso di fronte al potere, così il suo Corpo non può non perdere: «Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!» (Mt. 10,25); «Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone» (Mt. 10,24). Il destino del Corpo di Cristo non può essere altro che quello di morire sulla croce. Questa esperienza, che nasce dal Cristo che si incarna e dalla proposta che Cristo fa a coloro che diventano il suo Corpo (questa coralità di vita e di morte, di morte e di resurrezione), inizia con il Battesimo stesso, che, prima di essere un segno di vita, è un segno di morte. Il vocabolo baptizein vuol dire "andare a fondo" e chi va a fondo muore. E' sì vero che dall'acqua rinasce la vita, ma questa si genera dalla morte. Nel rito battesimale si dice : «Tu sei unito con Cristo nella morte» e nel rito dei funerali, si prega perché il defunto, che è stato «unito alla morte di Cristo nel Battesimo, sia unito ora alla sua Resurrezione». Battesimo e morte si richiamano l'un l'altra: è in questa esperienza che si colloca il Mistero Pasquale.
5. Fare memoria attraverso la celebrazione Il verbo "ricordare" è uno dei
più gettonati della Bibbia. "Ricordati" o "Ricordatevi",
"Signore, ricorda"... è un motivo ricorrente, che diventa quasi un ritornello.
Si potrebbe dire che la Bibbia è fatta di ricordo: ricordo dell'uomo da parte di Dio,
ricordo dell'uomo nei confronti di Dio. Dice la Haggadah di Pasqua, che è il racconto con cui gli Ebrei celebrano la cena pasquale: «In ogni generazione ciascuno ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall'Egitto, come è detto: "In quel giorno racconterai a tuo figlio dicendogli: per quello che mi fece il Signore, quando uscii dall'Egitto". Perché il Santo, benedetto egli sia, non liberò soltanto i nostri padri, ma noi pure liberò insieme con loro, come è detto: "Noi, Egli fece uscire di là per condurci e dare a noi la terra che aveva giurato ai nostri padri"». Il ricordo è la molla che muove l'agire di
Dio e l'agire degli uomini. Attraverso il ricordo nasce la nostra storia. Ogni storia è
un insieme di ricordi che permettono di interpretare i fatti dando loro un significato per
il futuro. Più il fatto è importante e significativo, più ha bisogno di ricordo. Il
gesto d'amore si nutre del ricordo di una storia passata e vive il presente. Se così non
fosse tutto ricomincerebbe sempre daccapo senza alcuna continuità. D'altronde il futuro
ci sarà se c'è un passato. Ogni volta che scatta il ricordo, si viene a contatto con una
storia precedente, la si reinterpreta e ci si lancia verso il futuro. Quando noi ricordiamo, non ricordiamo soltanto delle parole, non ricordiamo soltanto dei fatti, ricordiamo tutto un complesso di cose che poi, evidentemente, pensiamo e narriamo, non solo con la bocca, ma anche con i gesti, dai gesti della faccia fino a quelli più impegnativi e più "corposi" - diciamo così - che sono i gesti dell'amore, che sono semplicemente dei riti con i quali noi muoviamo la memoria. Darsi la mano quando ci si ritrova è un rito: è il rito del toccare; certo, ci si può dare la mano, abbracciare etc.; e il tutto è misurato dall'intensità con cui noi vogliamo sottolineare il rapporto e quindi la storia che c'è stata e che vogliamo che continui. Il tutto all'interno di una serie di riti, che sono necessari per comunicare un comune ricordo. Se vogliamo comprendere i Sacramenti, ed in
particolare la Messa, dobbiamo entrare in questo ordine di idee, perché la Messa non è
altro che il ricordo di tutto quello che Iddio ha fatto per noi, il ricordo di tutto
quello che noi abbiamo fatto e abbiamo intenzione di fare nei confronti di Dio. Attraverso il bacio possiamo esprimere
l'amore, ma questo gesto lo si può fare anche per finta o per egoismo; è il comune
ricordo che gli dà il significato. Nello stesso tempo, attraverso il rito ripetuto non
solo ci si identifica, ma si alimenta il ricordo in modo tale che il ricordo di ieri è
più piccolo del ricordo di oggi, e quello di oggi sarà più piccolo di quello di domani
a meno che non intervenga qualcosa ad interrompere la catena del ricordo. La ripetizione
di questi riti farà in modo che anche un fatto contrario possa essere superato più
facilmente e anche neutralizzato qualora succedesse. Se ho un rapporto vero con una
persona, sarò in grado di superare le incomprensioni. Se il rapporto è debole, alla
prima incomprensione ci sarà la rottura e non incomincerà neppure la catena dei ricordi. La Messa diventa allora la ricapitolazione
di tutta la storia: noi siamo usciti dall'Egitto, noi siamo stati salvati, noi siamo
entrati con Cristo nel Giordano, noi... perché tutto si ricapitola in questo gesto. Più
pieno riesce ad essere il nostro ricordo, maggiore sarà la nostra partecipazione, non al
rito ma alla realtà che il rito significa. Il pane e il vino che noi presentiamo, sono il segno dell'Alleanza che Dio ha stabilito con noi in Cristo Gesù, nostro Signore; un segno che ha l'efficacia della memoria e che provoca davvero quello che significa: la fede, che è il movimento che unisce noi a Dio. Fede che non è un sentimento, fede che è dono di Dio e legame, vincolo che ci unisce a lui. Nella Messa entriamo in questa dimensione: il problema è che non ci si pensa e che l'inflazione delle messe non permette di rifletterci sopra. Sarebbe la stessa che uno pretendesse di far diventare il suo matrimonio come i primi tre giorni di luna di miele! Le esperienze "forti" sono tali
perché contrapposte a esperienze "deboli". Ci deve essere il momento
dell'esperienza forte e ci deve anche essere il momento della caduta di tensione.
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