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TRATTO
DA IL SISTEMA LETTERARIO |
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Autori: |
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Guglielmino-Grosser |
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IL MALE
OSCURO
La cognizione del dolore è il romanzo
latamente autobiografico cui Gadda ha
atteso per tutta la vita, dal 1936
quando vi mise mano al 1970 quando uscì
la stesura definitiva, attraverso una
serie di stesure e pubblicazioni
parziali. Ed è anche il romanzo in cui
egli si spinge più a fondo nell'analisi
dell'oscuro fondo di turbamenti e
contraddizioni dell'animo suo proprio e,
per legittima estensione, dell'uomo
contemporaneo. Protagonista è Gonzalo
Pirobutirro d'Eltino, un Gadda
trapiantato in una Brianza sudamericana,
in aspro conflitto con sé medesimo e
legato da un complesso rapporto di
amore/ odio con la vecchia madre.
Male oscuro/male di vivere. Tutto questo
episodio drammatico, come gran parte
della Cognizione del dolore, che pure ha
felicissime contaminazioni comiche e
grottesche secondo l'abituale procedere
della scrittura gaddiana, è incentrato
sul tema del «male oscuro», altrove il
«male invisibile» che cova nel fondo
dell'animo del protagonista e che è, al
di là della forte componente
autobiografica, imparentato con quello
del male di vivere dell'uomo
contemporaneo trattato da infiniti
scrittori novecenteschi, tra cui
Montale, citato in proposito dallo
stesso Gadda. Il «male oscuro» coincide
poi in larga parte con la «cognizione
del dolore» che dà titolo all'opera.
Sull'esemplarità novecentesca di questo
motivo non ci pare il caso di insistere.
Piuttosto è da rilevare che
l'originalità gaddiana sta proprio nel
progetto a lungo perseguito di legare
questo motivo culturale e letterario
alla propria vicenda personale, facendo
-sia pur in modo lato e mediante una
trasfigurazione fantastica - di questo
romanzo il romanzo della propria vita.
Dall'introduzione di Gian Carlo Roscioni
alla Cognizione del dolore riportiamo
alcune considerazioni che illuminano le
componenti autobiografiche del romanzo
gaddiano.
Romanzo o autobiografia? La disposizione
a registrare in una cronaca minuta gli
incidenti della vita quotidiana, con lo
spirito - si direbbe - di chi accumuli
elementi di prova da esibire in un
futuro, inevitabile processo, e d'altro
canto il gusto dell'autoritratto, lo
studio dei modi in cui si manifesta la
propria presenza fisica nel mondo hanno
da sempre accompagnato in Gadda
l'esercizio della scrittura. Ma con il
passare degli anni la tendenza
all'autoanalisi e all'autorappresentazione
sembra far luogo alla ricerca
dell'autobiografia vera e propria:
«questa generazione - scrive nel 1930 -
[...] non ha ancora dato alle stampe la
sua splendida pagina autobiografica». E
nel 1937, rievocando l'atmosfera con cui
era stato festeggiato un premio
letterario, si chiede: «Ma si presenti
il caso d'una tragica autobiografia, di
un dialogo gnoseologico, di un invito
all'ascesi? Come laureare il martire fra
libazioni e salamini?».
In verità la sua autobiografia, allora
in gestazione, avrebbe potuto, sebbene
tragica, essere salutata anche con
libazioni e salamini; sarebbe stata
infatti calata nelle forme di un romanzo
dai molteplici connotati comici, così
come il ritratto del «martire» elaborato
in un tono e in uno stile «misti», che
implicano un frequente ricorso al
grottesco: «E se poi dovessi dipinger me
stesso? - si legge in un testo del 1924
- Oh allora non basterebbe nemmeno la
mia propria tavolozza: ho il violetto e
l'indaco, il bleu e il verde, ma mi
mancano il cioccolato e l'arancione». «
La mia biografia - ha scritto Gadda in
Una tigre nel parco (1936) - è
ricchissima di deliziose preconferme
delle "analisi" degli specializzati e
alle loro complesse sistemazioni
dottrinali. Tanto che mi era venuta ad
idea una possibile "collana" delle manie
del signor X.Y.Z. (che sarei poi io)
descritte per modo da farle regredire
ognuna alla rispettiva crisi infantile».
Se la «collana» non fu realizzata,
l'analisi delle manie e dei peccati
veniali o capitali («tutti e sette») del
signor X.Y.Z., divenuto per l'occasione
Gonzalo Pirobutirro è diffusamente
svolta nella Cognizione; quanto alle
crisi infantili, esse vengono tutte
ricondotte alla «prova difettiva di
natura» che la madre del protagonista
crede di riconoscere nel corpo del suo
primo nato.
Chi sono i genitori del figlio
«difettivo»? Il padre di Emilio - si
legge nella Madonna dei Filosofi (1928)
- «commerciante rovinato, o industriale
che fosse», era caduto in miseria per
certi «esperimenti di coltivazione del
baco da seta, più elegantemente
filugello, tentati in una regione dove
nessuno ne vuol sapere, né della seta,
né del baco, né del bòzzolo, né della
crisalide, né di altri fastidiosi
lepidotteri»; ma più ancora « si era
rovinato con una sua casa di campagna,
che aveva edificato nella boscaglia, in
un terreno attiguo ai possessi del
Castelletto, e che era stata per anni la
miseria della famiglia: non contento di
aver propositato per costruirla, a ogni
primavera ci aggiungeva un muro, o un
fosso, o un cancello, o un rustico, o un
portico, o un tabernacolo, pur di
vedersi i muratori d'attorno. È
superfluo aggiungere che in quella casa
non era possibile [...] starci
d'inverno. E anche d'estate,
imperversando certi strattempi
indiscutibilmente paesani che, più
propri del Varesotto, della Brianza e
del Bergamasco, arrivano tuttavia a
raggiunger qualche volta "la bassa", non
era difficile di trovar la casa buia e
allagata, sotto lo schianto
dell'uragano». Questa casa non è solo il
teatro della Cognizione, mala causa e il
pretesto della principale «mania», del
delirio più ossedente del protagonista.
«La sua biografia - diceva Gadda di se
stesso in un'intervista apparsa nell'
"Ambrosiano" del 10 luglio 1934 - si
completa con un accenno alla casa di
campagna (Villa in Brianza) che è la
bestia nera della sua psicosi».
La madre, nemmeno a dirlo, è quella del
Giornale di Guerra e di prigionia: una
donna che «ha fatto infiniti, troppi
sacrifici» per i suoi figli, ma che «in
certe cose, non ha sufficiente
oculatezza amministrativa»; anzi «è
famosa per spendere male i denari: per
lasciarsi vincere nei contratti». Quel
ch'è peggio, essa prodiga, a discapito
dei figli, la sua generosità agli
estranei e ai profittatori: «Tanti
sacrifici fa: e tanti si assume
volontariamente per esser troppo buona
coi porci fottuti». L'animo del figlio
si accende di rancore per l'attaccamento
che essa manifesta, con la «caparbietà
dei maniaci», verso la villa in Brianza
(«irritazione contro la Mamma che non
vuol saperne di vendere la casa di
Longone e di liquidare l'appartamento
qui, mentre noi versiamo in tali
strettezze»), anche se la comprensione e
la compassione subentrano al pensiero
dell'atroce lutto che l'ha colpita: la
guerra le ha infatti portato via il
figlio minore e non difettivo, «il più
caro, il più bello». Questo dolore
suggerirà anche una più pietosa
interpretazione del rifiuto di vendere
la villa («La madre non volea lasciare
la casa, poiché vi aveva nutrito e
allevato "tutti" i suoi figli», dice
«una favola» di Gadda); ma spesso il
risentimento tornerà a prevalere
sull'«innato amore» che tante delusioni
hanno avvelenato. «Con la Mamma fui
cattivo e prevedo che sarò sempre,
perché troppe divergenze abbiamo su
tutto». Chi abbia presenti queste
notazioni, riconoscerà subito la
proiezione delle vicende da esse
registrate in numerose pagine del Gadda
narratore.
Ma l'eco piú lunga delle esperienze
documentate dal Giornale di Guerra si
farà sentire in un'altra direzione: la
delusione provocata, anzi simboleggiata
dall'atteggiamento della madre verso la
casa (essa «vuol piú bene ai muri di
Longone, alle seggiole di Milano, che a
me»... ), si insedia per sempre nella
memoria del cronista e del narratore,
gli ricorda la propria infanzia di
creatura difettiva «cui non risere
parentes», oggetto di un'educazione
patologicamente sofferta («la
disperazione mi chiamava, chiamava, dal
fondo de' suoi deserti senza carità»),
si fa causa e fomite di deliranti
immaginazioni.
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