Il
torrente che al fanciullo appariva «avventuroso»,
colmo di fascino e di incognite, ora si rivela
all'uomo maturo, al poeta, ben povera cosa: un
esile filo d'acqua che appena appena arrossa i
piedi nudi ad una lavandaia. Ma è sempre possibile
il recupero dell'infanzia e dei suoi stupori
attraverso il filo della memoria, e il torrente
può apparire al poeta ancora come una volta:
l'erba che cresceva sulle sue sponde «cresce nel
ricordo sempre» e sono viva realtà le passeggiate
serali con la madre che gli faceva confronti che
il bambino sentiva strani - tra quell'acqua
fuggitiva e la nostra vita.
Lo stesso Saba giudicò questa lirica una delle
sue più belle (e delle meno conosciute, aggiunse),
e tale giudizio è largamente condiviso dalla
critica. I motivi dell'infanzia perduta,
dell'inarrestabile fluire del tempo e
dell'inevitabile correre della nostra vita verso
la morte, che animano la sua poesia, trovano in
questi versi, e specie nell'ultima strofe, una
dimensione di serena elegia. La «totale
accettazione della vita», che costituisce la
costante (e la lezione) di Saba, gli permette di
percorrere positivamente la strada del recupero
memoriale, del malinconico conforto del ricordo;
per un altro poeta contemporaneo, Montale, questa
strada invece non ha altro approdo che
un'ulteriore constatazione dell'angoscia di vivere
(«Non recidere, forbice...»).
Non sfuggano la solidità e la chiarezza della
costruzione, della struttura della lirica, che è
scandita in tre momenti (o parti) sottolineati
dallo spazio bianco fra l'uno e l'altro. La prima
parte (vv. 1-4) contiene la constatazione del
misero stato attuale del torrente (e pone però,
nella contrapposizione tra avventuroso e povero,
il tema di fondo della lirica).
La seconda parte (vv. 5-16) è tutta dedicata al
recupero memoriale; l'immaginazione e il pensiero
del poeta sono risospinti "alle origini", alla
dimensione "avventurosa" del torrente.
La terza parte (vv. 17-27) dilata, di questo
recupero memoriale, un frammento, un momento, e
gli conferisce un carattere di esemplarità: il
dialogo del bimbo con la «madre austera»,
perennemente (si noti la triplice occorrenza di
sempre) vivo nella memoria.
Queste osservazioni di Franco Fortini possono
favorire una più approfondita lettura della
lirica:
Poesia esemplare del Saba di Trieste e una
donna: pochi endecasillabi, appena pausati da due
settenari e da due quinari. Il torrente lungo il
quale il ragazzo era accompagnato dalla madre (che
confrontando sentenziosamente la vita umana alla
sorte dell'acqua corrente infondeva nel bimbo
austerità e tristezza) è qui un simbolo (ma anche
un'allegoria) rivissuto nel ricordo. Fin dal v. 1
si parla infatti del mito che aveva trasformato in
avventuroso il torrentello che, nella realtà, è
povero; e la similitudine col corso del pensiero è
apertamente dichiarata. La densità patetica è data
dall'antitesi di due presenze femminili, quella
che si concentra nel nesso di aggettivi
nudi-pericolosa-gaia, e cioè la lavandaia, una
immagine (quale che fosse l'intenzione cosciente
del poeta) di libertà e di piacere, di forte e
bello; e quella, antitetica alla prima, del
sacrificio e della disillusione (e repressione)
rappresentata dalla madre, e dalla sera del sabato
(che il verso di Leopardi ha connotato di oscure
premonizioni ma che forse qui si presenta non come
inizio ma come fine di un giorno festivo, il
sabato ebraico). Il centro emotivo della poesia è
spostato verso la negatività, fin dai vv. 4 (cose
immonde) e 5 (ansia), e si rivela nelle
ripetizioni lente dei vv. 18-20 (cresceva, e
cresce (...) sempre, sempre, sempre e, ancora al
v. 23, sempre). I luoghi lessicali e ritmici di
una tradizione (il margine fiorato, il cor d'ansia
mi stringi, l'avverso mare) ridotta a convenzione
da libretto di opera lirica hanno il compito di
distanziare la violenza patetica. Si veda come i
periodi sono costruiti nel rispetto dei nessi
razionali, con il gioco delle relative e delle
subordinate, fino agli «enjambements» degli ultimi
cinque versi che debbono solo alle rime e agli
arcaismi (ancor bella, fanciulletto) il tremito
patetico della forma dimessa, in cui la
prosasticità è spinta sino all'ironia (uno strano
/confronto). |