I GRANDI  DELLA LETTERATURA
UMBERTO SABA


 

Luigi De Bellis

 


 

 

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IL TORRENTE

Il torrente che al fanciullo appariva «avventuroso», colmo di fascino e di incognite, ora si rivela all'uomo maturo, al poeta, ben povera cosa: un esile filo d'acqua che appena appena arrossa i piedi nudi ad una lavandaia. Ma è sempre possibile il recupero dell'infanzia e dei suoi stupori attraverso il filo della memoria, e il torrente può apparire al poeta ancora come una volta: l'erba che cresceva sulle sue sponde «cresce nel ricordo sempre» e sono viva realtà le passeggiate serali con la madre che gli faceva confronti che il bambino sentiva strani - tra quell'acqua fuggitiva e la nostra vita.

Lo stesso Saba giudicò questa lirica una delle sue più belle (e delle meno conosciute, aggiunse), e tale giudizio è largamente condiviso dalla critica. I motivi dell'infanzia perduta, dell'inarrestabile fluire del tempo e dell'inevitabile correre della nostra vita verso la morte, che animano la sua poesia, trovano in questi versi, e specie nell'ultima strofe, una dimensione di serena elegia. La «totale accettazione della vita», che costituisce la costante (e la lezione) di Saba, gli permette di percorrere positivamente la strada del recupero memoriale, del malinconico conforto del ricordo; per un altro poeta contemporaneo, Montale, questa strada invece non ha altro approdo che un'ulteriore constatazione dell'angoscia di vivere («Non recidere, forbice...»).

Non sfuggano la solidità e la chiarezza della costruzione, della struttura della lirica, che è scandita in tre momenti (o parti) sottolineati dallo spazio bianco fra l'uno e l'altro. La prima parte (vv. 1-4) contiene la constatazione del misero stato attuale del torrente (e pone però, nella contrapposizione tra avventuroso e povero, il tema di fondo della lirica).
La seconda parte (vv. 5-16) è tutta dedicata al recupero memoriale; l'immaginazione e il pensiero del poeta sono risospinti "alle origini", alla dimensione "avventurosa" del torrente.
La terza parte (vv. 17-27) dilata, di questo recupero memoriale, un frammento, un momento, e gli conferisce un carattere di esemplarità: il dialogo del bimbo con la «madre austera», perennemente (si noti la triplice occorrenza di sempre) vivo nella memoria.

Queste osservazioni di Franco Fortini possono favorire una più approfondita lettura della lirica:

Poesia esemplare del Saba di Trieste e una donna: pochi endecasillabi, appena pausati da due settenari e da due quinari. Il torrente lungo il quale il ragazzo era accompagnato dalla madre (che confrontando sentenziosamente la vita umana alla sorte dell'acqua corrente infondeva nel bimbo austerità e tristezza) è qui un simbolo (ma anche un'allegoria) rivissuto nel ricordo. Fin dal v. 1 si parla infatti del mito che aveva trasformato in avventuroso il torrentello che, nella realtà, è povero; e la similitudine col corso del pensiero è apertamente dichiarata. La densità patetica è data dall'antitesi di due presenze femminili, quella che si concentra nel nesso di aggettivi nudi-pericolosa-gaia, e cioè la lavandaia, una immagine (quale che fosse l'intenzione cosciente del poeta) di libertà e di piacere, di forte e bello; e quella, antitetica alla prima, del sacrificio e della disillusione (e repressione) rappresentata dalla madre, e dalla sera del sabato (che il verso di Leopardi ha connotato di oscure premonizioni ma che forse qui si presenta non come inizio ma come fine di un giorno festivo, il sabato ebraico). Il centro emotivo della poesia è spostato verso la negatività, fin dai vv. 4 (cose immonde) e 5 (ansia), e si rivela nelle ripetizioni lente dei vv. 18-20 (cresceva, e cresce (...) sempre, sempre, sempre e, ancora al v. 23, sempre). I luoghi lessicali e ritmici di una tradizione (il margine fiorato, il cor d'ansia mi stringi, l'avverso mare) ridotta a convenzione da libretto di opera lirica hanno il compito di distanziare la violenza patetica. Si veda come i periodi sono costruiti nel rispetto dei nessi razionali, con il gioco delle relative e delle subordinate, fino agli «enjambements» degli ultimi cinque versi che debbono solo alle rime e agli arcaismi (ancor bella, fanciulletto) il tremito patetico della forma dimessa, in cui la prosasticità è spinta sino all'ironia (uno strano /confronto)
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2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it