Un primo nucleo di questa prosa apparve nel 1897 sulle pagine del «Marzocco»,
sotto forma di articoli dal titolo Pensieri d'arte poetica. Ripresi in nove
capitoletti nella raccolta di saggi Miei pensieri di varia umanità, raggiunsero
la forma definitiva (in venti capitoletti) e il loro titolo attuale
nell'edizione del 1907.
Concepita inizialmente come accostamento di riflessioni sparse sull'ispirazione
artistica e su temi di carattere letterario, questa prosa assume alla fine la
forma più organica di un vero e proprio saggio di poetica. Prendendo spunto da
un passo del Fedone platonico l'intera argomentazione appare centrata sulla
figura del «fanciullino», inteso come capacità di percezione originaria,
innocente e incontaminata apertura all'esperienza, che sopravvive, più o meno
riconosciuta, nell'uomo adulto. È notevole come - quasi a sgomberare il campo da
interpretazioni troppo filosofiche - fin dall'inizio questa figura venga
accostata alla poesia omerica, archetipo culturale e modello capace di
riconnettere sul piano psicologico quanto necessariamente rimane diviso sul
piano dell'esperienza storica. Così alla domanda perché vicende tanto lontane da
noi muovano ancora la nostra attenzione («E non sarebbe ragionevole, di cose che
dopo trenta secoli non si credono più verosimili»), l'unica risposta possibile
è: «Ma dopo pur trenta secoli gli uomini non nascono di trent'anni, e anche dopo
i trent'anni restano per qualche parte fanciulli».
La presenza del «fanciullino» sembra però poter diventare anche una
discriminante morale tra gli uomini, tra chi ne è abitato e chi no, o tra chi
crede e sembra non esserne abitato e chi no. Non solo questa presenza introduce
nella grave vita degli uomini elementi di novità e fantasia, ma ne attenua da
una parte la volgare sessualità («Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso
come sorella... accarezza e consola la bambina che sta nella donna»), esaltando
dall'altra una genuina e stupefacente comunione, insofferente di ruoli e
divisioni: «Siano gli operai, i contadini, i banchieri, i professori in una
chiesa a una funzione di festa; si trovino poveri e ricchi, gli esasperati e gli
annoiati, in un teatro a una bella musica: ecco tutti i loro fanciullini alla
finestra dell'anima eccoli i fanciullini che si riconoscono contemplando un
ricordo e un sogno comune». Se la riflessione non è priva di contraddizioni,
quando dal campo estetico sconfina in quello sociale o morale, sempre si rinnova
il tentativo di una sintesi, curiosamente vicina a quella di Vico, che sia in
grado di giustificare natura e ragione, individuo e specie. Il terreno più
fertile per operare la sintesi è quello del linguaggio, potente e ricco negli
inizi, capace di nominare in modo armonico e creativo: «E in ciò è ragione
perché è natura. Tu sei ancora in presenza del mondo novello, e adoperi a
significarlo la novella parola... Tu sei antichissimo, o fanciullo!».
La poetica del «fanciullino» tende a coniugarsi con la poetica delle piccole
cose, in quanto la vera novità non dipende dalla realtà espressa, ma dallo
sguardo che la coglie e dalla parola che la esprime. Il poeta e il fanciullo
colgono la poeticità di ogni cosa, non vanno alla ricerca di esotismi preziosi,
secondo la lezione, mai dimenticata da Pascoli, di Orazio: «Ma esser poeta della
mediocrità, non vuol dire davvero essere Poeta mediocre». Vari altri spunti,
anche fortemente polemici (contro le scuole letterarie, contro i critici, contro
l'impegno politico nell'arte), non attenuano il sapore di confessione
dell'intero saggio, con accenti che, se rivendicano con orgoglio una condizione
di apparente minorità del poeta-fanciullo, neppure tacciono la gravità di amari
sospetti: «Anzi, non avendo io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta
se io abbia vissuto o no».
In uno scritto del 1907 Benedetto Croce contestò alla poetica del «fanciullino»
proprio l'intenzione sincretica, la mancata distinzione dei piani argomentativi:
«il Pascoli ha equivocato, scambiando e confondendo in uno l'ideale
fanciullezza, che è propria della poesia la fanciullezza che è immagine della
contemplazione pura, con la realistica fanciullezza, che si aggira in un piccolo
mondo perché non conosce e non è in grado di dominarne uno più vasto».
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