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Le premesse filosofico-scientifiche
Se l'idealismo criticava e teneva in subordine le scienze, il positivismo, nato in Francia e poi diffusosi in tutta Europa nel secondo Ottocento, seguì esattamente la via contraria. Per molti aspetti infatti esso è infatti una diretta prosecuzione del pensiero illuministico, come è evidente in Saint-Simon (1760 - 1825) e nel suo allievo Auguste Comte (1798 - 11857).
Il positivismo vuole servirsi del continuo progresso delle conoscenze scientifiche per giungere ad una comprensione rigorosa dell'uomo e della sua vita storico-sociale. La razionalità scientifica viene perciò assunta come unica paradigma, criterio e modello del sapere. Ciò perché il sapere scientifico - dicono i positivisti - si basa sui fatti (in questo senso è 'positivo') e non su intuizioni irrazionali e arbitrarie o su vaghe e confuse idee metafisiche. L'avvento della mentalità scientifica porta ad un'umanità compiutamente storica, capace di affrontare e risolvere razionalmente i suoi problemi. Questa soluzione diviene possibile in quanto la scienza abbandona la chimerica ricerca del perché dell'esistenza delle cose, e si chiede invece, più concretamente e positivamente, come esse sono e quali ne siano le leggi di comportamento.
Il positivismo punta a ridurre a leggi i comportamenti umani, ed è per questo motivo che Comte è considerato il fondatore della sociologia, cioè la scienza della società. In realtà Comte non riuscì a sganciarsi da una visione romantica e misticheggiante: alla sociologia affida il compito di realizzare la felicità sulla terra, poiché unica scienza capace di eliminare per sempre i conflitti sociali e le guerre tra i popoli.
Il positivismo francese, depurato delle componenti misticheggianti, conservò la sua carica utopica nell'ambito filosofico inglese, dove prese la forma dell'utilitarismo con John Stuart Mill (1806 - 1873), dell'evoluzionismo filosofico di Herbert Spencer ( 1820 - 1903) e, infine, dell'evoluzionismo scientifico di Charles Darwin (1809 - 1882).
Quest'ultimo espose la teoria dell'evoluzionismo nell'Origine della specie (1859), opera che scatenò polemiche violentissime e censure religiose e statali in tutto il mondo. Darwin teorizzò che, analogamente alla selezione artificiale operata dall'uomo, anche in natura dovesse agire un meccanismo simile per effetto di un fattore selettivo che doveva essere individuato nella lotta incessante per la sopravvivenza all'interno di un dato ambiente. Osservando piante e animali, Darwin rilevò che due individui di una popolazione sono perfettamente identici: gli organismi differiscono per dimensioni, colori e molti altri caratteri. Lo scienziato iniziò ad intuire che sono in realtà le variazioni, piuttosto che i caratteri acquisiti, a essere trasmesse alla discendenza. Erano le basi della sua teoria della "selezione naturale": un meccanismo, responsabile dei cambiamenti riscontrabili nelle popolazioni, che interviene quando gli individui con le variazioni più favorevoli per un determinato ambiente sopravvivono e trasmettono questi caratteri alla progenie. Darwin concluse che gli organismi che non hanno successo nella competizione per le risorse hanno minori probabilità di sopravvivere in quell'ambiente. Solo gli organismi che sopravvivono possono trasmettere i propri caratteri alla generazione successiva, e dunque in ogni nuova generazione i figli degli individui più adatti saranno più numerosi.
Darwin rivoluzionò la concezione tradizionale dell'origine delle specie viventi e diede un aspetto organico e definitivo alla concezione deterministica. Egli sosteneva che il numero degli organismi viventi che nasce è superiore a quello che può sopravvivere con le risorse disponibili. Quindi esiste tra i vari individui una lotta continua per sopravvivere. In questa lotta prevalgono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano e trasmettono i loro caratteri ai discendenti. Questa sopravvivenza del più adatto è la «selezione naturale»: come l'uomo seleziona artificialmente le specie animali e vegetali più utili ai suoi bisogni, modificandone le caratteristiche, così opera la natura, scegliendo per la riproduzione degli individui che nella lotta per l'esistenza hanno dei vantaggi sopra i concorrenti.
La dottrina darwiniana ebbe un'influenza enorme su tutto lo sviluppo scientifico e filosofico del secondo Ottocento, ed ebbe peso notevole anche nelle scienze sociali, dando origine a quel filone del pensiero sociologico che si definisce appunto "darwinismo sociale". Tale dottrina tende a vedere la società umana regolata dalle stesse leggi del mondo animale e naturale, quindi dominata anch'essa dalla lotta per la vita, che assicura la sopravvivenza e il dominio al più forte. In effetti la società umana nella sua storia millenaria è sempre stata caratterizzata da conflitti tra le varie classi sociali. Tuttavia il darwinismo sociale non analizza la lotta per la vita come un dato legato a forme specifiche, storicamente definite di società, ma la pone come legge assoluta di ogni forma di società possibile. Le tendenze di pensiero più reazionarie ne ricavano la conclusione che l'assetto sociale vigente fondato sul dominio di una classe sulle altre, corrisponde alle leggi stesse di natura e non potrà mai essere modificato, o addirittura affermano la legittimità e la necessità del predominio del più forte sui più deboli, respingendo le nozioni di uguaglianza e di democrazia maturate nel corso moderno della storia borghese, dall'Illuminismo alla Rivoluzione francese in poi. Queste teorie sono la manifestazione della profonda crisi attraversata dalla coscienza borghese nella seconda metà dell'Ottocento: viene meno la sicurezza di poter dominare concettualmente e praticamente tutta la realtà, la serena certezza in futuro di pace, di equilibrio, di giustizia e di benessere illimitato, che erano i punti fondamentali della concezione della borghesia nel periodo eroico della sua ascesa.
Lo scientismo
Il cammino della scienza dell'Ottocento fu spesso accompagnato da una diffusa ideologia scientista, che divisa la pubblica opinione tra credenti e laici. Tale ideologia, generalmente associata a idee politiche progressiste o talora rivoluzionarie, oltre a ridurre la religione a puro fenomeno sociale, a espressione di mentalità superstiziose e primitive, propugnò talora un materialismo rozzo e sommario, ricavandolo molto arbitrariamente dai risultati delle scienze, per loro natura sempre provvisori.
Grande diffusione ebbe questo atteggiamento in Germania, ma anche in Italia a causa del più moderato Roberto Ardigò (1828 - 1920).
Lo scientismo è un atteggiamento mentale che non si esaurisce nel secondo Ottocento, ma conosce precedenti e conseguenze molto ampie (v. approfondimento).
Influenza del positivismo sull'arte
Il positivismo incide notevolmente sulla produzione letteraria e figurativa contemporanea orientandola verso una rappresentazione che metta a fuoco il 'vero', la realtà non mistificata, la precisione 'scientifica' di ogni dato e situazione.
Le modalità con le quali vengono rappresentate la dinamica delle classi sociali, la famiglia, gli aspetti della vita associata nella narrativa (da Capuana a Verga, da Zola a De Roberto), nel teatro e nella pittura (da Courbet ai macchiaioli) traggono origine dall'ideologia positivistica.
Forti le influenze anche nel campo della critica letteraria: la genesi e la fisionomia dell'opera d'arte vennero messe in relazione con la razza, l'ambiente, il contesto storico in un modo un po' troppo meccanico e deterministico, come poi - in non pochi casi - farà lo storicismo novecentesco.
Sviluppo e crisi del Romanticismo
Gli anni attorno alla metà del secolo sono anni di crisi: Manzoni esaurisce la stagione creativa tra il 1827 e il 1840 e la 'scuola' che lascia è di media levatura; Leopardi muore nel 1836, senza lasciare seguaci del proprio calibro. De Sanctis definì questa fase letteraria «Arcadia romantica».
(si ringrazia Ilenia Franchina per questa sezione)
non è un movimento organizzato con una poetica codificata da manifesti, ma un gruppo di scrittori sorto a Milano e in Piemonte fra gli anni sessanta e settanta. Sono accomunati da una insofferenza per le convenzioni della letteratura contemporanea (manzonismo, in particolare) e per i costumi borghesi.
Fu però “un’avanguardia mancata” per mancanza di profondità di pensiero e per l’angustia di orizzonti propria del clima culturale italiano. Lo stesso linguaggio cui approdano è un “vorrei ma non posso”, cioè ottengono effetti cromatici e musicali dalle parole, ma non riescono a caricarle di echi e suggestioni come faranno i simbolisti francesi.
il termine fu proposto da Cletto Arrighi nel suo romanzo così intitolato, del 1862, con un chiaro riferimento al francese bohème. È l’esempio di conflitto tra artista e società, come nel Romanticismo europeo, motivato anche con reazione alla modernità che anche in Italia si faceva notare.
di fronte al progresso l’atteggiamento è ambivalente: da una parte la repulsione e la rivendicazione della Bellezza, della Natura, dell’autenticità; dall’altra la rassegnazione a rappresentare il “vero”, cioè gli aspetti più prosaici della quotidianità. Attraverso il linguaggio scientifico Arrigo Boito parla di “dualismo” fra Ideale e Vero, cioè bene e male, virtù e vizio, che mai si concilieranno, lasciando l’artista nella disperazione esistenziale.
essendo forte l’influenza proveniente dal Romanticismo europeo, entrano in Italia quelle tematiche che il primo Ottocento non aveva “importato”: l’esplosione estrema dell’irrazionale, il sogno, il culto mistico della bellezza, l’esotismo. Infatti i modelli letterari sono ora i romantici tedeschi, come Hoffmann, Jean Paul e Heine, ma soprattutto Baudelaire e Poe.
con la Scapigliatura si introduce in Italia il Naturalismo che era noto in Francia tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70; pur anticipando tematiche decadenti, come l’esplorazione delle zone buie della psiche e la fusione dei diversi linguaggi artistici.
i maggiori rappresentanti del movimento furono Emilio Praga (1839-1875) ed Arrigo Boito (1842-1918).
Il Naturalismo francese
gli aspetti salienti della filosofia positivistica sono la reazione agli esiti irrazionalistici del romanticismo e la riconnessione con alcune istanze della riflessione illuministica, come la fiducia nella ragione e nella scienza, una concezione deterministica dell'agire umano (il che implica il seguente ragionamento: date certe premesse, devono necessariamente scaturire certe conseguenze), un'estensione del metodo sperimentale a campi in passato di pertinenza della morale o della metafisica; la fondazione di nuove discipline, come la sociologia o il rinnovamento metodologico di varie discipline aventi per oggetto l'uomo, quali medicina, fisiologia, biologia e psicologia. Si forma così un'ideologia scientista largamente diffusa e si divulgano nozioni quali l'evoluzione, la lotta per la sopravvivenza, l'ereditarietà o di presupposti culturali quali il determinismo, il metodo sperimentale e la dipendenza dei comportamenti umani dalle condizioni ambientali.
il naturalismo, più che un movimento, è una corrente di opinione, nata in Francia durante la grande rivoluzione industriale, per l'influenza del pensiero scientifico e filosofico positivistico e delle nuove ideologie politiche e sociali. Ha come precursori Balzac e Flaubert, ma il vero caposcuola e teorico è Emile Zola; esponenti di punta sono i fratelli Goncourt. In Germania il naturalismo giunse più tardi, nel 1885, con la rivista Die Gesellschaft (La società) fondata a Monaco da Michael Georg Conrad, ma già da qualche anno i fratelli Heinrich e J. Hart, a Berlino, si erano schierati a favore del naturalismo. La formulazione teorica del naturalismo tedesco venne data più tardi da Arno Holz, che insieme al poeta J. Schlaf, scrisse la raccolta di novelle Papa Hamlet (1889). In Italia il naturalismo giunse alla fine degli anni settanta e si diffuse rapidamente con il nome di verismo. In definitiva il naturalismo fu in tutti i Paesi d'Europa, come fenomeno diffuso oppure con dei casi isolati, come Gissing e Bennett in Inghilterra, Palacio-Valdes e la Pardo-Bazan in Spagna, Eça de Queiros in Portogallo. Negli Stati Uniti il naturalismo fu introdotto da E. Watson Howe e accompagnò lo svilupparsi della giovane letteratura americana.
il naturalismo applica alla letteratura il metodo sperimentale che è alla base del movimento filosofico del positivismo. L'opera narrativa diventa così un laboratorio per l'osservazione fredda e distaccata della realtà, di cui lo scrittore, al pari di uno scienziato, deve registrare impassibilmente i fenomeni: il narratore non interviene né si manifesta nel racconto (scompare il suo punto di vista). Si deve limitare ad osservare e a riportare il punto di vista dei suoi personaggi. Questo movimento letterario respinge ogni eccesso della fantasia e del sentimento; l'obiettivo finale è quello di avere un'opera d'arte oggettiva, in cui l'autore si limita ad una narrazione impassibile delle varie vicende della vita quotidiana. Il fattore dominante è quindi rappresentato dal canone dell'impersonalità dell'opera d'arte. Vi è inoltre una riduzione dell'opera d'arte a documento scientifico: il naturalismo va verso l'identificazione dell'arte con la scienza (la psicologia umana è trattata in letteratura con la stessa imparzialità e lo stesso rigore con cui le scienze si applicano alla classificazione dei fenomeni). Applicando all'arte i metodi e i risultati della scienza, si può riprodurre la realtà con una perfetta obiettività.
l'opera dello scrittore deve sottolineare la dipendenza dell'uomo dalle condizioni ambientali, quindi la sua essenziale mancanza di libertà. L'attenzione è puntata non tanto sulla natura quanto sulla società, intesa come meccanismo di sopraffazione e di abbrutimento dei singoli. Fondamentale è la tesi che il male e la malattia siano causa del deterioramento delle strutture sociali. Il romanziere naturalista deve «affondare il suo bisturi» nella società umana indagandone le passioni e i comportamenti e risalendo alla cause che li determinano (la descrizione di una condizione è quindi condotta con il rigore dell'analisi clinica). I fenomeni psicologici e sociali sono considerati prodotti dall'attività biologica fisiologica e psicologica dell'individuo e dei rapporti tra gli individui. Scriveva Hippolyte Taine che l'individuo è la risultante del concorso di tre fattori determinanti: l'ambiente (mileu), il momento storico (moment historique) e la razza d'appartenenza (race). Per gli scrittore naturalistici una visione fortemente negativa della realtà sociale attuale (nuova società industrializzata) è associata ad un ottimismo fondato sul progresso della scienza.
il naturalismo privilegia il romanzo in quanto solo nel romanzo possono essere distesamente affrontate le condizioni umane. Il romanzo sperimentale mette in luce le manifestazioni passionali e intellettuali dell'individuo e rappresenta l'uomo nell'ambiente sociale che lui stesso ha creato trasformandolo incessantemente e lasciandosi a sua volta trasformare.
il naturalismo è volto principalmente allo studio e alla rappresentazione della realtà umana colta nei suoi aspetti più concreti (tutti fenomeni correlati all'industrializzazione: le metropoli industriali, le plebi cittadine, la condizione miserabile di alcune classi sociali, ecc.). I protagonisti dei romanzi appartengono in prevalenza alle classi subalterne, alla piccola borghesia e al proletariato, per convenzione sempre trascurati dal dominio della letteratura. Descrivere l'ambiente è per gli scrittori naturalisti una necesità, perché i comportamenti dei personaggi sono "determinati" dall'ambiente stesso, dall'ereditarietà e dalla razza: milieu, moment e race, secondo la teorizzazione di H. Taine. Le vicende della vita sociale e collettiva, che costituiscono il tema dominante della narrativa naturalistsa, sono osservate e narrate secondo i più rigidi canoni dell'oggettività: lo scrittore rimane ditaccato e impassibile dinanzi alla storia che racconta.
il naturalismo ebbe i suoi interpreti più autentici e dotati in Balzac, Maupassant, Flaubert, nei fratelli Goncourt, in Daudet e in Huysmans; il suo rappresentante più coerente è certamente Zola. A tali narratori va poi accostata l'interessante figura del teorico letterario francese Taine.
Il Verismo italiano
è un movimento letterario e artistico italiano che ispirandosi al Naturalismo francese e al Positivismo teorizza una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva (al «vero») delle situazioni, dei fatti, degli ambienti, dei personaggi e una corrispondenza con il sentire e il parlare dei soggetti che vengono rappresentati.
richiamandosi al naturalismo francese delle opere di Emile Zola, ma anche ad Alessandro Manzoni e alla scapigliatura, il movimento tende a descrivere la vita della gente umile, dei reietti dalla società che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalità del destino. Si sviluppa negli anni successivi all'Unità e prosegue fino al primo decennio del Novecento, raggiungendo la piena maturità nell'ultimo trentennio dell'Ottocento.
fu elaborato nell'ambito del vivace ambiente milanese dove erano assai forti gli influssi della cultura europea ma si allargò a tutta l'Italia diffondendosi in alcune regioni più che in altre:
Sicilia
(de Roberto; Capuana; Verga)
Campania (Serao; Di Giacomo);
Sardegna (Deledda)
Calabria (Misasi)
Toscana (Fucini; Pratesi; Lorenzini)
Piemonte (Cagna; Giacosa; De Marchi; De Amicis)
Friuli e Veneto (Dall'Ongaro, Caterina Percoto)
La diversa diffusione del verismo dipende dalla posizione delle regioni in Italia, in quanto la scoperta della realtà dei veristi riguarda le due situazioni socio-geografiche estreme presenti sul piano nazionale: da un lato Firenze, capitale provvisoria fino al 1871 e centro politico italiano, dall'altro la Sicilia arretrata, semifeudale e a un livello ancora rurale. Successivamente a Firenze, dove sono nate le prime pagine dei tanti romanzi veristi, si affianca Milano, che è la città più importante dell'economia imprenditoriale nazionale.
è assai caratteristico che i maggiori veristi siano siciliani (Giovanni Verga e Luigi Capuana) e, nel contempo, la loro formazione avvenga in ambiente settentrionale, soprattutto a Milano: nel centro culturale più attivo della penisola vengono a contatto con le proposte del naturalismo francese e prendono coscienza della loro autentica vocazione di scrittori.
si accetta la concezione deterministica dell'agire umano, respingendo in pari tempo quella metafisica e moralistica tradizionale: la vita interiore dell'uomo è spiegabile in termini psico-fisiologici, può essere oggetto di studio scientifico. Quindi lo scrittore cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana, muovendo dalle forme sociali più basse verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
attenzione alla realtà nella dimensione del quotidiano: lo scrittore predilige una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione; piuttosto che raccontare emozioni, lo scrittore presenta la situazione quotidiana come una indagine scientifica, ricercando le cause del suo evolversi, che sono sempre naturali e determinate (determinismo o darwinismo sociale); anche la vita interiore dell'uomo, spiegabile in termini psico–fisiologici, può essere oggetto di uno studio scientifico o sociale:
... l'oggetto sono i "documenti umani", cioè fatti veri, storici; e l'analisi di tali documenti dev'essere condotta con "scrupolo scientifico" ... (G. Verga)
L'artista deve ispirarsi unicamente al vero cioè desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente ovvero rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali. E' la teoria verghiana dell'impersonalità: il narratore entra pienamente nei suoi personaggi per raccontare documenti umani. L'autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole. In tal modo la sua mano «rimarrà assolutamente invisibile» nell'opera. Il lettore avrà così l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Il narratore è colui che raccoglie il fremito delle passioni, delle sofferenze e lo rivela, impassibile, senza biasimi o esaltazioni, mettendosi in parte per lasciar parlare l'evidenza dei fatti, la logica delle cose.
Secondo Verga, la rappresentazione artistica deve possedere "l'efficacia dell'esser stato", deve conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo deve riportare "documenti umani". Neppure basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la "lente dello scrittore". Per questo lo scrittore deve "eclissarsi", cioè non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive e con le sue riflessioni.
necessità di una riproduzione obbiettiva ed integrale della realtà, secondo quel canone dell'impersonalità che è l'applicazione in letteratura del principio scientifico della non interferenza dell'osservatore sugli oggetti osservati (deriva dal Positivismo);
il narratore, nel far parlare i suoi personaggi, usa il loro linguaggio: uno stile stringato, una sintassi semplice e disadorna, una lingua paesana e viva, continuamente intercalata da espressioni popolaresche e proverbiali che mettono in luce l'oggettività della narrazione (senza intrusioni autobiografiche). A causa delle diversità regionali rappresentate dagli scrittori anche il modo di scrivere cambia nel verismo dando spazio ai dialetti, eliminando tutte le forme di raffinatezza retorica e accademica e introducendo la mimesi linguistica. Al riguardo si parla di mimesi linguistica dell'autore (mimetizzazione = nascondersi nell'ambiente circostante in modo da risultare non–visibile).
Capuana respinge la subordinazione della letteratura a scopi estrinsechi quale la dimostrazione "sperimentale" di tesi scientifiche e l'impegno politico e sociale. La "scientificità" non deve consistere nel trasformare la narrazione in esperimento per dimostrare le tesi scientifiche, ma nella tecnica con cui lo scrittore rappresenta, che è simile al metodo dell'osservazione scientifica. La scientificità insomma si manifesta solo nella forma artistica, nella maniera con cui l'artista crea le sue figure e organizza i suoi materiali espressivi.
il verismo italiano ebbe una forte caratterizzazione regionale e, poiché le realtà regionali italiane erano profondamente diversicate, diversi furono pure i temi e gli ambienti rappresentati dai veristi.
Al nord, la maggiore articolazione della compagine sociale, con l'affermarsi, accanto ai ceti elitari, di una media e piccola borghesia costituita da professionisti e da ceti impiegatizi legati all'apparato industriale, porta all'ampliamento della "base sociale" della letteratura, cioè al numero degli autori e dei lettori, parallelamente a nuove a varietà letterarie, dal romanzo di consumo al romanzo di appendice. La nuova cultura positivista, i nuovi usi e modelli di comportamento legati alla rivoluzione tecnologica, spostano l'attenzione su nuovi tipi umani e su nuovi problemi: protagonista dei romanzi e del teatro, accanto al contadino e al pescatore, è l'impiegato (De Marchi). Nuovi eroi, come è stato osservato, sono l'industriale, lo scienziato, il medico e il maestro (De Amicis). I nuovi temi sono quelli della famiglia, fondamentale cellula della società e quelli dell'adulterio e della prostituzione.
Al sud, il verismo, non essendovi un proletariato urbano o i bassifondi di una capitale tentacolare da "studiare", si interessò all'umile vita dei contadini e dei pastori con le loro passioni elementari. Ad un mondo «pressochè vergine e ignoto, il mondo del meridione e delle isole, delle plebi contadine e artigiane, chiuse nella loro opaca renitenza alle forme e agli statuti della civiltà moderna, affioranti per così dire dal buio di una civiltà arcaica, stranamente sopravvissuta dietro le barriere di una secolare solitudine». Questa fu infine la vocazione del verismo italiano, e nel ritrarre la vita dei contadini e delle plebi il verismo ottenne i suoi migliori risultati. Non a caso gli scrittori più rappresentativi della corrente, da Verga a Capuana, da De Roberto alla Deledda, furono meridionali o isolani.
Carducci e il classicismo ottocentesco
Pur non essendosi mai interrotto, neppure negli anni del pieno romanticismo, il rapporto della letteratura italiana con i modelli classici riprende un certo vigore negli anni immediatamente successivi all'unificazione, soprattutto per impulso di Giosue Carducci, a detta di molti ciritici, il maggior poeta di questa stagione.
La sua formazione intellettuale, in un primo momento, si basa sullo studio dei classici greci e latini, di cui si serve per criticare i tardo-romantici (Prati, Aleardi, ecc.), considerati troppo vuoti e sentimentali. I versi di Juvenilia (1850-60) sono improntati a un intransigente classicismo.
Quando si dedica allo studio della moderna letteratura italiana, esalta Alfieri e Foscolo, lasciandosi altresì influenzare dal francese Victor Hugo e dal tedesco Enrico Heine, scrittori che univano letteratura e politica progressista. Ora il Carducci può criticare il Romanticismo abbandonando l'imitazione dei modelli classici. I versi di Levia Gravia (1861-71) attestano una maggiore consapevolezza artistica.
La sua raccolta di poesie più importanti, culminata con la violenta reazione del poeta alle delusioni politiche degli anni 1867-72, è Giambi ed epòdi (1867-79). Essa (il cui nome deriva dall'antica forma metrica dell'invettiva greca, poi ripresa dalla satira latina) esprime uno stato d'animo risentito, sarcastico, satirico, con l'intento esplicito di voler persuadere il lettore che il nuovo Stato ha tradito le aspettative di coloro che l'avevano realizzato: quello Stato che, per reggersi in piedi, era dovuto scendere a compromessi con la Prussia e l'Austria. Particolarmente violenta è la polemica contro il papato. Carducci in sostanza vagheggiava una società di liberi ed uguali, disposta a concedere pochi poteri allo Stato, basata sull'ideologia populistica della piccola-borghesia radicale. Non a caso ammirava profondamente l'età Comunale.
Secondo il Carducci di questo periodo, il poeta deve essere un uomo impegnato politicamente, moralmente responsabile delle sue azioni ("poeta-vate"). Egli manifesta chiaramente il suo forte patriottismo, che, anche se a volte cade nella retorica, è pur sempre sincero e leale.
Relativamente alla sua concezione della natura (in parte mutuata dal Positivismo) va detto:
ragione e scienza devono servire per comprendere la natura che è dominata da leggi fisiche;
il sentimento della natura è la forza primordiale alla quale l'uomo tende ad abbandonarsi con gioia e sicurezza: il sentimento della perennità della vita cosmica e della trasformazione delle cose lo conforta. Il rapporto con la natura generalmente viene posto all'inizio di ogni sua poesia.
Oltre a ciò va sottolineato il suo forte amore per la poesia, specie per quella civile, che è senz'altro la più difficile da trattare sul piano stilistico, tanto è vero che i Giambi ed epòdi sono in gran parte estranei alla poesia. Sempre netta comunque è stata la sua avversione per il romanzo, ritenuto incapace di esprimere elevati valori artistici.
Negli anni più maturi, spenta la polemica giacobina, il Carducci perfeziona il suo stile (Rime nuove e Odi barbare) ma si involve sul piano ideologico-politico, assumendo atteggiamenti conservatori. Ora non ha più dubbi nell'appoggiare la monarchia costituzionale e il moderatismo borghese. Sul piano poetico affiorano i temi dell'evocazione del paesaggio maremmano, la virile malinconia, l'accorata nostalgia della passata grandezza.
Nella prima delle due raccolte sono svolti alcuni dei temi fondamentali della sua lirica, come il canto delle memorie autobiografiche (vedi p.es. le grandi poesie dedicate al figlio morto e ai ricordi maremmani) e il vagheggiamento delle grandi memorie storiche (in questa direzione è notevole soprattutto il ciclo dedicato all'esaltazione della civiltà italiana nell'età dei Comuni).
Nell'altra raccolta, le Odi barbare, nuovi temi si accostano a quelli ricordati, come il mito della romanità, il senso religioso di una misteriosa presenza superiore (Canto di marzo, La madre) e infine i versi in cui a una realtà precisa e solare si affianca il mistero e l'imponderabile che a questa realtà è sempre congiunto (Mors, Nevicata, Alla stazione in una mattina d'autunno). In queste raccolte, un po' decadenti, l'esigenza di perfezione formale e l'esotica nostalgia dell'Ellade sono state paragonate a identici atteggiamenti dei poeti parnassiani francesi. Già comunque nelle ultime Odi barbare e poi in Rime e ritmi (1898) si era esaurita la migliore ispirazione carducciana e prevalevano l'evocazione erudita, il paesaggio oleografico, l'eloquenza deteriore.
Nel mentre egli si ripropone di ricostituire, nella lingua italiana, i ritmi poetici della lingua latina, i temi diventano quelli della nostalgia dell'infanzia, degli affetti familiari, dell'idea secondo cui i figli pagano le colpe (politiche) dei padri, dell'amore come sensualità anche se dominato dalla ragione, della morte accettata con tristezza virile, della esaltazione della natura e della storia (quest'ultima rivissuta trasferendo gli ideali del presente nel passato, cioè in quelle epoche in cui forte era stato l'eroismo umano, il coraggio di cambiare le cose, la creatività: Roma, il Comune, la Rivoluzione francese e il Risorgimento).
Educato alla scuola di Sainte-Beuve, Carducci ha lasciato scritti critici e contributi eruditi importanti (specie di filologia) su Petrarca, Poliziano, Parini, Leopardi, ma anche su scrittori minori. Egli era profondamente ostile a De Sanctis e allo storicismo napoletano. Si deve infine ricordare che, accanto alla sua attività di poeta e di studioso, egli fu insegnante di valore, tanto che alla sua scuola si sono formati uomini come G. Pascoli, S. Ferrari e, più tardi, A. Panzini e M. Valgimigli.