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Mercoledi'
10 Gennaio 2001
Era
fin troppo prevedibile che la portavoce dei Verdi Grazia Francescato
venisse morbidamente dileggiata per quel suo libello sugli Arcangeli
pubblicato di recente (In viaggio con l'Arcangelo, Idea Libri).
Nel volumetto, la Francescato afferma di trarre l'ispirazione
della sua azione politica da incontri soprannaturali e dialoghi con
i messaggeri spirituali di Nostro Signore, versione bislacca
ma piuttosto interessante dell'origine di una battaglia civile.
A farle fare la figura della leggiadra demente (e quindi noi, per riflesso
condizionato, ci siamo subito chiesti se per caso non avesse ragione
lei) ci hanno pensato Francesco Merlo sul Corriere della Sera
e l'estensore di una puntata di Casa Flores, nota rubrica del
Foglio di Giuliano Ferrara.
Poi, con una certa serena fermezza, sabato 6 Gennaio, in una
lettera al Corsera, la leader dei Verdi ha rivendicato la sacralita’
della natura in nome della quale il suo partitino si batte e con essa
il rispetto di una qualche trascendenza. Ci e’ sembrata, la Francescato,
“una che ci crede”.
Meno prevedibile ci e’ parso invece l’assoluto silenzio che ha
accolto il consueto fondino di Giuliano Ferrara su Panorama
datato 11 gennaio (e uscito venerdi’5) in cui il direttore del Foglio,
spiega, se capiamo bene, che credere nella politica come
luogo di grandi speranze e mete e’ una degenerazione da rimbambiti.
Al chiasso riservato alla fede negli Arcangeli della Francescato
si e’ contrapposta l’indifferenza per il freddo Elefantino.
In particolare, Ferrara se la prende con la sinistra (e te pareva…,
ma il ragionamento vale per tutti), spiegando che essa soffre di una
noiosa sindrome: “La sinistra ha un pesante e disperato bisogno
di credere per vivere. Se non crede, pensa di essere morta”.
E invece, continua Giuliano, sempre brillante e persuasivo anche
quando dice consapevoli sciocchezze, bisogna rassegnarsi
“alla prosaicita’ della politica, alla sua parziale e relativa distanza
da quel che avviene nella societa’”.
Ferrara e’ uno che coglie lo spirito dei tempi e quindi da’ sistemazione
teorica a una condizione politica e sentimentale (si possono accostare
sentimento e politica?) oggi diffusa: l’impossibilita’ (o l’estrema
difficolta’) di credere non diremo in una Danzica per la
quale morire, ma in un progetto politico veramente affascinante al quale
affidare l’idea di un futuro.
Se la miglior passione del dibattito della campagna elettorale deve
dispiegarsi sugli scaglioni delle aliquote Irpef, in fondo meglio
tornarsene a giocare al biliardo. Mica siamo tutti come Giampiero
Mughini che nella dichiarazione dei redditi riesce a trovare
un sempre nuovo slancio intellettuale.
Noi non condividiamo l’opinione di Giuliano
Ferrara. Anzi, pensiamo che sia vero proprio il contrario di cio’ che
egli afferma. Chi non riesce piu’ a credere e’ gia’ morto, e’ solo
che nessuno ancora l’ha avvisato del problema.
E’ vero per contro (e forse e’ questo che ispira i ragionamenti di Giuliano),
che il 2001 elettorale italiano sembra doverci portare in dote un generale
ammainabandiera dal quale non si salveranno ne’ destra ne’ sinistra.
C’e’ qualcuno in giro che e’ in grado di sollevare uno stendardo per
il quale valga davvero la pena di battersi? No, non c’e’, o se c’e’
e’ ben nascosto.
In fondo, se ci pensate, fino a qualche anno fa c’era di che appassionarsi.
Quando sembrava, nel ’94, che la sinistra dovesse conquistare
il Paese, l’opinione pubblica moderata si avvolse nella bandiera di
Forza Italia, fiera di potersi contrapporre alla gioiosa
macchina da guerra di Achille Occhetto. Fu, quella, un’adesione
anche sentimentale da parte di tanti italiani, ad una battaglia
politica conservatrice.
Due anni prima era cominciata la parabola di Mani Pulite e molti
avevano provato un’emozione nuova, assaporando l’idea che fosse
possibile sposare la politica con la trasparenza, l’onesta’, e perfino
la giustizia. Poi e’ arrivato il ’96. La sinistra che per la prima volta
nel dopoguerra vince le elezioni.
Che festa, che sventolio di stendardi in piazza Santi Apostoli
a Roma. Era qualcosa di piu’ di una celebrazione elettorale. Infine
la conquista di un posto in Europa, un’intuizione con cui Romano
Prodi e’ riuscito a mobilitare l’intero paese in nome di un obbiettivo.
Magari non abbiamo ancora capito a cosa e’ servito, ma e’ stato bello
lo stesso.
Insomma, il decennio che si e’ appena chiuso, qualche emozione ce l’ha
pur regalata. E ora? Ora, come spiega la bella canzone di Adriano
Celentano “usciamo poco e parliamo ancor meno”. Ce ne stiamo chiusi
in casa a leggere i giornali, cercando un’idea, una proposta,
un sogno a cui regalare quel po’ di passione civile che ci e’
rimasta nel cuore e invece va a finire che ci imbattiamo nei fondi di
Ferrara.
Ma si’, meglio uscire a far due passi. Magari incontro un Arcangelo.
Figaro
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