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7
Febbraio 2001
- Lui/Esso. Una vecchia gag di Cochi e Renato |
Manifesto,
amore mio.
Andando
a trovare Giulio Anselmi, la scorsa settimana –
una rimpatriata all’insegna di Genova per noi e
di come, per noi, una finestra sul mare sia il mondo –
mi sono ricordato della mia prima e unica volta a L’Espresso.
Era il 1972, un caro e sfortunato amico, Giampaolo
Bultrini, mi aveva dato l’occasione di utilizzare le
mie analisi del manifesto politico elettorale e le molte
foto che avevo raccolto. Ne sarebbe uscito – firmato
credo assieme a Nello Ajello – un numero de
l’inserto colore proprio a ridosso delle
elezioni.
Quegli
strateghi geniali della par condicio .
Tra i meriti indiscussi
della par condicio – il mondo è
lastricato di errori, azioni non-volute – dobbiamo
annoverare due effetti che si sono affermati nel silenzio
pavido degli studiosi di comunicazione politica: il
primo (che già come dirigente politico di provincia
avevo suggerito al mio partito, nei primi anni ’80) è
quello di una estensione della comunicazione elettorale al
tempo della non-campagna, con una possibile
visibilità maggiore del messaggio.
Parentesi: bisogna
avere molte risorse per sfruttare un tempo di
comunicazione assai più lungo. La comunicazione
elettorale occupa dunque – anche in questa condizione obbligata
– tutti i lunghi mesi che precedono quell’unico in
cui è di fatto vietata. Le spese vengono probabilmente
decuplicate. E il giocatore politico è così portato a
sfruttare un contesto di comunicazione che – in questa
prima volta almeno – si potrebbe rivelare molto più
favorevole.
Gli avversari politici tacciono, almeno
appunto quella prima volta che il giocatore più attento
ha fatto la mossa originale – nel nostro caso Berlusconi
vs. la coalizione rutelliana, le cui difficoltà politiche
si sono trasferite visibilmente anche sulla comunicazione
elettorale: inevitabile ritardo nell’avvio, mediazione
sui contenuti dei messaggi, tempi di realizzazione e, a
giudicare dalle polemiche anche strumentali, drenaggio
risorse e spese.
Il
prossimo passo degli strateghi può essere soltanto quello
– arrossiamo di vergogna per loro - di estendere il
tempo del divieto
Il
secondo effetto della par condicio è determinato
poi dalla ricerca di media alternativi a quello
televisivo.
Manifesto
politico & par condicio: una nuova alleanza.
Ecco che s’avanza dunque una strana alleanza. La par condicio ha
generato la rinascita del manifesto politico (know how e
relazioni con il mondo della grande affissione sono pane
quotidiano per chi entri in politica dalle porte del
marketing).
Il
grande manifesto-cartellone da strada è dunque il dominus
della comunicazione. E Silvio Berlusconi ha messo in
fila nel tempo – e prima di tutti – gli issues della
sua comunicazione-programma elettorale.
“Lui”/”esso”.
Ha ragione Rutelli.
Come
padre della comunicazione commerciale, di una macchina di
nuovo linguaggio delle immagini e delle parole (piaccia o
non piaccia), influente e creativa, Silvio Berlusconi non
dovrebbe fare il purista della lingua.
Se il manifesto di
Rutelli recita: “Da sempre difendiamo
l’ambiente/ da lui dipende il nostro futuro”
quel lui non fa altro che raccogliere un uso
linguistico sempre più affermato nella lingua parlata
quotidiana, che conosce sempre meno l’uso di esso.
Cochi e Renato facevano siparietti divertenti, già
alla fine degli anni ’60, in cui usavano anche a
sproposito esso: ma era per fare il verso anche
all’uso corretto di esso che appariva sempre più
archeologico. Potremmo poi aggiungere che la personificazione
dell’ambiente-natura non è poi così sconosciuta al
nostro imprinting culturale, e trovo che il
riprenderla sia in linea anche con un certo fondamentalismo
ambientalista, che non mi piace, ma che penso sia giusto Rutelli
voglia evocare.
E due cose ancora (posso scrivere cose?)
infine: quel lui può anche stare per Rutelli
stesso, suggerirlo; e poi il campo di valori politici di
Berlusconi se è genericamente per il popolo ed il suo
immaginario ne deve recepire la lingua quotidiana. E
battersi perché si annulli la storica frattura italiana
tra la lingua scritta dei chierici e la lingua
parlata del popolo. Esercizio: quante parole si sono
affermate attraverso una non corretta pronuncia?
Berlusconi
operaio.
Ecco
– sempre nei cartelloni di strada – “ Un
presidente operaio/ per cambiare l’Italia
“. Farà forse ribollire il sangue, a sinistra,
questa indebita appropriazione linguistica. Ma – come
dire? – una parola abbandonata ha trovato un nuovo parlante
che, a suo modo, le restituisce un valore. Il valore
di uno che lavora come un pazzo. Non c’era, una volta -
specie nei cieli in cui Rodano e Napoleoni
preparavano il compromesso storico – lo slogan di
un’alleanza tra produttori (imprenditori &
operai)?
Tonino
Bettanini
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