Dopo il thriller di Antonio Bettanini (speriamo vi sia piaciuto) il Barbiere della Sera e' fiero di presentare al vostro fine palato un volumetto che noi abbiamo trovato splendido.

E' il Manuale del buon giornalista, del Chiar.mo Professor C. Magrìt. Finalmente, dopo tutte quelle pappardelle servite ai poveri alunni delle scuole di giornalismo, ecco un vero vademecum che vi portera', a mietere un successo dopo l'altro.

L'autore del Manuale e' una penna affilata e sapiente, collega di lungo corso ed esperienza, nonché docente delle massime università mitteleuropee.

Inutile sottolineare la nostra gratitudine nei confronti del professor C. Magrìt per aver concesso al Barbiere della Sera l'esclusiva di prima pubblicazione del manuale. Doverosi ringraziamenti anche a Mini (Gruppo Bmw) che ha reso possibile la pubblicazione del volume. Buon divertimento..


 

Il Manuale del buon giornalista 

del Chiar.mo Prof. C. Magrìt



 

Introduzione

Dal libro dell’Esodo, 19.
 
“Il Signore disse a Indro Montanelli ‘Va, scendi, poi salirai tu e Curzi con te. Ma i giornalisti e i pubblicisti non si precipitino per salire verso il Signore, altrimenti Egli si avventerà contro di loro’. 

Montanelli scese verso i giornalisti e parlò”. In qualità di decano del giornalismo italiano ebbe direttamente da Javè le dieci tavole professionali e tentò disperatamente di illustrarne il contenuto a un popolo munito di carta, penna e microfoni pronto a idolatrare un vitello perché commestibile, meglio ancora se d’oro. Tuonò invano Indro:

Primo: rispetterai la personalità umana’. 
‘Passa al secondo…’ urlò sghignazzando dal loggione un cronista di nera. 

Secondo:- proseguì impassibile Montanelli- rispetterai la verità dei fatti’. 
Più che un boato, fu un coro a cappella di risate. 

Terzo- disse, imperturbabile, l’anziano giornalista- manterrai un comportamento leale nel riferire le notizie’. 
Le prime file- editori, direttori e vicedirettori con signora regolamentare al fianco- cominciarono a protestare. Prima in modo sommesso, poi- quando il padre del giornalismo nazionale affermò:

 ‘Quarto: sii in buona fede’- il brusio di fastidio si fece plateale sinfonia di fischi. 

Quinto- e qui anche Indro cominciò a dare segni di nervosismo- avrai il dovere di rettificare e riparare gli errori’. Gli avvocati presenti incaricarono il presidente del loro Ordine di tenere un breve, ma struggente discorso di ringraziamento a una categoria che, tra querele e diffamazioni, consentiva a tanti bravi laureati in giurisprudenza di mantenere famiglia e amanti. 

Sesto: tieni segrete le fonti’.
Si fece silenzio, nessuno riusciva a capire di che cosa stesse parlando. 
‘E’ vecchio’ abbozzò una firma rampante. ‘Ma dai che l’ha sponsorizzato la Fiuggi… non vedi che dimostra vent’anni di meno…’.
Dopo una breve riunione dei rappresentanti dei Cdr di tutte le testate, si decise che per ‘fonti segrete’ andava inteso il divieto di segnalare sulle carte geografiche tutte le sorgenti a monte delle aziende produttrici di acque oligominerali. 
Intervenne subito l'ex Ministro dell’Ambiente Bordon che tolse il vincolo di segretezza alla San Pellegrino e alla San Benedetto, imponendo nel contempo restrizioni a tutte le fonti vaticane o non rigorosamente laiche, perché potenzialmente inquinanti. 

La successiva discussione tra il presidente del Consiglio Amato e il Ministro della Sanità Veronesi venne bloccata dalla voce, imperiosa e alterata, di Indro Montanelli: 

Settimo: collaborerai con gli editori’. L’ovazione delle prime file coprì le timide proteste di qualche sperduto fiduciario Fnsi. 

Ottavo: promuoverai la fiducia nella stampa’.

‘Cavoli vostri’ sibilò un giornalista Rai a un collega di un quotidiano di provincia. La rissa, che stava estendendosi anche ai giornalisti televisivi di Mediaset, venne immediatamente sedata da un intervento del senatore Agnelli, che riteneva assolutamente corretto appoggiare La Stampa. Il malumore di editori e direttori di altre testate venne subito bloccato dal presidente di Confindustria e Montanelli potè proseguire: 

Nono: difendi il decoro dei giornalisti’. Serventi Longhi, segretario del sindacato, venne allontanato dalla sala da un gruppo di iscritti in aperto contrasto con l’ultimo contratto.

‘Decimo’. Montanelli fece una pausa solenne, densa di significato. ‘Rispetta la tua dignità e quella dell’Ordine a cui appartieni’. 

Si sentirono solo gli ultimi rantoli di un gruppo di free lance, rimasti schiacciati contro la rete di recinzione da colleghi che avevano fretta di raggiungere l’uscita prima dello scadere delle fatidiche 7 ore e 15 minuti. 

Nelle tasche di uno di loro venne ritrovato un tesserino da pubblicista e la ricevuta di un bonifico da 7.500 lire lorde, spese a carico del destinatario. Pietoso, Montanelli chiese all’Inpgi di assumersi almeno l’onere delle spese funebri, ma il poveretto non aveva versato la sua parte di contributi all’Inpgi 2 e il corpo venne affidato ai servizi dell’Ente protezione animali.

All’esterno editori, direttori, vicedirettori, signore regolamentari e giornalisti attesero per un po’ il profeta Montanelli. Poi decisero che era vecchio e in odore di comunismo e andarono a mangiare il vitello senza di lui. 

Javè indisse un referendum per l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, ma, al solito, fu boicottato dall’informazione.


 

Capitolo Primo


La regola delle 5 W

Come tutti sanno un giornalista, nel passare la notizia, si attiene senza eccezioni alla regola britannica delle 5 W, ‘who, what, where, when, why’. E’ fondamentale però applicarla con onestà professionale, senza mai dimenticare di coniugare i principi essenziali di rispetto della privacy con le necessità di un’informazione libera ed esaustiva.

Who? Chi? Il protagonista. Prendiamo un caso inverosimile, ma sempre possibile (nel mondo del giornalismo tutto è possibile). 

La moglie di un celebre editore viene rapita dal domestico extracomunitario. Trattandosi di un celebre editore è inutile fornire le generalità sue e della consorte, dal momento che lo conoscono tutti.

E’ meglio concentrarsi sul domestico. In tal senso oltre al nome e cognome, al luogo, data e ora di nascita, al numero di scarpe, alla descrizione dettagliata dell’arcata dentaria è essenziale fornire un albero genealogico fino alla terza generazione, individuando se possibile anche i cugini di secondo grado multati per divieto di sosta.

What? Che cosa? Il fatto è evidente. Un criminale extracomunitario ingrato, entrato in Italia di nascosto il 12 luglio 1990 alle ore 22 e 47, con uno zio materno  ubriacone e una nipote della cugina ragazza madre, ha rapito la moglie di un noto editore.

Where? Dove? Siccome le indagini potrebbero essere in corso o magari anche no, a scanso d’equivoci è meglio chiedere direttamente all’editore dove preferisce immaginare sia stata rapita la sua signora.

When? Quando? Anche in questo caso un giornalista coscienzioso si rivolge direttamente alla fonte (l’editore), garantendo comunque la massima discrezionalità.

Why? Perché? La domanda è solo apparentemente oziosa. Pur restando indiscutibile la realtà, ossia che si tratta di un pericoloso extracomunitario incapace di azioni oneste, un bravo giornalista ha sempre l’obbligo di sondare gli imperscrutabili abissi degli istinti, fossero anche quelli di una scimmia. 

Potrebbe scoprire ad esempio che, secondo una tradizione religioso antropofaga del paese di provenienza, l’essere in questione è costretto a rapire una donna nella prima notte di plenilunio nel mese successivo al compimento del trentatreesimo anno d’età. In tal senso la conoscenza profonda della storia, della geografia, delle tradizioni e delle religioni altrui è, per un vero giornalista, un bagaglio impagabile. Essenziale è, comunque e sempre, utilizzare le proprie vaste conoscenze senza alcun pregiudizio.

Applicazioni pratiche

L’esempio appena esposto va ovviamente adattato alle necessità delle testate e dei mezzi d’informazione.

Informazione televisiva. Si accompagna il testo d’agenzia con le immagini della sorella del rapitore extracomunitario mentre cerca di sottrarsi all’inseguimento delle telecamere nascondendosi dietro (o meglio ancora dentro) un cassonetto di spazzatura. 

O della biscugina di tre anni all’asilo mentre beve la minestra direttamente dal piatto. Importante soffermarsi a lungo sul volto della bambina in modo che tutti possano riconoscerla per strada e raccogliere al microfono i gemiti della sorella.

Quotidiani di centro- sinistra. Si ventila l’ipotesi che sia tutta una montatura del centro- destra per gettare discredito sugli extracomunitari. Segue intervista con la ministra Livia Turco che dice cose di sinistra sulla nuova legge- resa necessaria dal caso in questione- sull’introduzione di guinzaglio e catena per i domestici extracomunitari (regolari e non). Nonché intervista con l’ex sindaco di Roma, Rutelli, sull’utilizzo dei cassonetti come dormitorio da parte degli extracomunitari.

Quotidiani di centro- destra. Si ventila l’ipotesi che sia tutta una montatura del centro- sinistra per gettare discredito sulla proposta del centro- destra di mettere la museruola ai domestici extracomunitari (regolari e non). 

Intervista al Presidente della Regione Lazio, Storace, su eventuali misure preventive storicamente testate e spesso mistificate nei testi scolastici. Intervento di un  cardinale a sostegno dell’uguaglianza di tutti gli uomini, con particolare attenzione per quelli che sono uguali alle bestie. Convegno di Forza Italia e proclama di Berlusconi ‘Sarò un presidente extracomunitario’.

Quotidiani comunisti. Dopo aver denunciato con forza l’esistenza di rapporti di parentela tra il noto editore e un noto politico del centro- destra, si accusa il governo di aver adottato misure restrittive nei confronti degli extracomunitari. A tal fine viene indetta una manifestazione di massa per la difesa dei diritti e il ritorno di Ocalan.

Settimanali. Foto in copertina di Naomi Campbell nuda (davanti quelli di centro- sinistra, dietro quelli di centro- destra) e titoli. ‘Sono nera, ma aspetto di essere rapita’ per il centro- sinistra. ‘L’extracomunitaria che rapisce’, centro- destra. All’interno pubblicità.

Settimanali ‘rosa’. Servizio sulla cognata dell’extracomunitario sposata con un extracomunitario che ha la fortuna di lavorare dodici ore al giorno sette giorni alla settimana per una ditta dell’indotto del settore metallurgico e non ha grilli per la testa.

Conclusioni

Dopo un mese, indipendentemente dagli sviluppi della vicenda, un’ennesima clamorosa notizia costringerà il bravo giornalista a nuovi e faticosi approfondimenti. Se ha fatto onestamente il suo lavoro, comunque, sarà grato al noto editore per aver scelto nella vita di non fare l’extracomunitario.



Capitolo Secondo


La notizia e le fonti: la nascita di una notizia

Cos’è mai la notizia…! Tutto è ovviamente notizia e tutto non lo è.

Prendiamo, ad esempio, un terremoto in pieno inverno nel Sinkiang Uighur settentrionale con 600.000 morti e 1.500.000 di senza tetto.

Un giornalista attento capisce subito che nessun italiano dotato di buon senso può trovarsi nel Sinkiang Uighur settentrionale a gennaio, unico motivo valido per occuparsi del fatto. E del resto, fino a che il collega dell’Ansa che segue (da solo, dal momento che ogni tentativo di dimezzare la redazione per ridurre i costi è miseramente fallito) tutti gli eventi in Cina non imparerà a farsi i fatti suoi, è ovvio che le cronache saranno sommerse di informazioni inutili, da usare –al limite- per riempire il colonnino delle brevi.

Ma facciamo un altro esempio. Silvio Berlusconi dichiara ‘Vinceremo le elezioni’. Gli fa eco Francesco Rutelli con ‘Le elezioni le vinceremo noi’. Apparentemente le due frasi si somigliano e, essendo in campagna elettorale, nessuno dubita che entrambi (a meno non siano ancora più sciagurati di quello che sembrano) siano interessati a vincere. Eppure è su questo campo che si gioca la differenza tra lettore e giornalista, tra utente e produttore.

Se facessimo un’indagine di mercato, su 100 persone intervistate, 100 risponderebbero ‘Chi se ne frega’ (98 se tra gli intervistati ci sono Berlusconi e Rutelli). 

Dopo una settimana di informazione capillare ben mirata il numero degli scettici si riduce alla metà, dopo un anno (come nel caso in questione) tutti e 100 gli intervistati partecipano alla tenzone e si dichiarano disponibili a far vincere entrambi purché sia finita. Che cosa ha trasformato due frasi apparentemente banali in una notizia? Il bravo giornalista. Grazie al bravo editore, a sua volta supportato dal bravo direttore.

Per permettere ai giornalisti l’onestà intellettuale che distingue la categoria, l’editore si fa carico di conoscere un sacco di gente.

L’editore di solito è un uomo diventato poverissimo per vocazione, come è noto a tutti, soprattutto in tempi di rinnovo contrattuale. Per mantenere i giornalisti è costretto a frequentare i centri di potere.

Capita così che intrecci amicizie interessanti con cui scambiare confidenze. Essendo generoso,  non le tiene per sé e le racconta al suo migliore amico, il direttore, che in tempi remoti era anche un giornalista. E siccome il primo dovere di chi si occupa d’informazione è non nascondere nulla, ecco la notizia. 

Mettiamo che Berlusconi conosca un editore. Anzi, facciamo finta che Berlusconi, il politico, sia anche un editore. La moglie Veronica dorme, e lui non sa con chi parlare. Chiuso nella sua stanza si dice: ‘Vinceremo le elezioni’. Il giorno successivo Berlusconi, l’editore, sente il bisogno di confidare le speranze di Berlusconi, il politico, a qualcuno e si sfoga coi direttori (facciamo finta che Berlusconi, l’editore, ne abbia più di uno). Può, secondo voi, un giornalista non dare voce a un urlo nel silenzio?

Ma proseguiamo. Francesco Rutelli, prima d’addormentarsi, confida alla signora Barbara che ‘Le elezioni le vinceremo noi’. Lei magari ha sonno, ma prima di essere moglie è giornalista. E mantiene buoni rapporti coi suoi editori, passati e presenti. Può una moglie giornalista non confidare subito a un editore i sogni e le speranze del marito? Giammai.

Il mattino successivo gli editori, anche l’editore Berlusconi, sono a conoscenza dei sogni dei politici Berlusconi e Rutelli e avvisano i direttori di mettere i giornalisti sulla notizia. E quando un giornalista è sulla notizia il gioco si fa duro.

Nelle redazioni di tutti i quotidiani e delle testate televisive uomini e donne si preparano a una giornata di massacrante lavoro. Attendono coi muscoli tesi lo start, il via: la notizia Ansa che, per prima, autorizzerà la partenza. 

Alle 12 e 11’ e 32’’ l’agenzia batte due takes, uno sui sogni di Berlusconi, uno su quelli di Rutelli. Arriva la riconferma dalle altre (può anche succedere che le altre battano sul tempo l’Ansa, ma ciò significa che un valoroso collega Ansa è morto sul campo di battaglia, medaglia d’oro al valore della riduzione dei costi).

Un vero giornalista si riconosce dallo scatto. Afferra il registratore, il blocco degli appunti, la penna e si catapulta nei luoghi dove Berlusconi, il politico, e Rutelli si apprestano a parlare (non prima che siano arrivate le telecamere). 

Può succedere che i due scambino le frasi e che Berlusconi affermi ‘Le elezioni le vinceremo noi’, mentre Rutelli dica ‘Vinceremo le elezioni’, persino senza punto di domanda. Perdere l’attimo fuggente può costare la carriera.

Decine di microfoni e registratori si dispiegano in bocca ai due leader (i maligni sostengono che Berlusconi, l’editore, abbia addirittura una microspia nell’impianto dentario collegata al microchip dell’ipotalamo dei direttori) ben sapendo che i protagonisti della scena politica, per diventare tali, non hanno mai sofferto di claustrofobia. 

Segue conferenza stampa in cui Berlusconi promette un milione di posti di lavoro e Rutelli promette a un milione di persone un posto di lavoro.

Raccolto il materiale sul campo, il bravo giornalista ritorna in redazione, guarda le agenzie e col ‘copia e incolla’ (una volta bisognava ribattere il tutto, ma c’erano ancora i poligrafici) getta le basi per trasformare la notizia in articolo.

E’ la parte più delicata del lavoro. Varia a seconda della sensibilità del direttore di testata.

a) testata anglosassone: ‘Berlusconi e Rutelli promettono un milione di posti di lavoro. Gli industriali: ci stiamo, ma abbattete tasse e costo del lavoro’ (vedi Sole 24 ore)

b) testata di centro- sinistra: ‘Rutelli sfida Berlusconi sui posti di lavoro. Stretto nel suo loden blu, Clarks in tinta, ...’ (vedi Repubblica)

c) testata di centro- destra: ‘Berlusconi sfida Rutelli, creerò un milione di posti di lavoro. Stanco per le venticinque ore di lavoro giornaliere che la sua indefessa attività politica richiede, ma pur sempre sorridente e in ottima forma fisica, ...’ (vedi Giornale)

d) testata di centro (sinistra e destra): ‘Sfida tra leader. Un milione di posti di lavoro, comunque. Queste le promesse dei leader…’ (vedi Corriere, segue editoriale di Claudio Magris, ‘In media stat virtus’)

e) testata comunista: ‘Trecentomila disoccupati in piazza a Gioia Tauro. E Berlusconi e Rutelli promettono ancora…’

La notizia dunque è nata, ma è come una pianta che ha bisogno di venir coltivata con cura e amore. Ogni direttore ha una sua ricetta, un suo editorialista, un fine esperto in fonemi, un fotografo o un cineoperatore capace di cogliere gli aspetti salienti della situazione, una ditta di sondaggi, un tuttologo per trasformare due sogni in realtà o meglio per aiutare gli amici dell’amico editore, catturando l’attenzione del resto d’Italia.

Venuta alla luce, la notizia, coi suoi primi vagiti, coinvolge anche le testate locali che si cimentano in prove inumane, come dimostrare che il milione di posti di lavoro promesso da Berlusconi spetta a Udine o che Rutelli, parlando di un milione di disoccupati, si è riferito a quelli campani. 

In tarda nottata le rassegne stampa dei telegiornali ufficializzeranno la nascita di un evento destinato a tenere col fiato sospeso sessanta milioni d’italiani (meno due)- peraltro già abbondantemente annunciato in giornata, sempre uguale e per più volte, su almeno tre Tg Rai e Rai regionali, tre reti Mediaset, Telemontecarlo, Telenorba, ecc. nonché da Televideo e da tutti i Gr delle radio più o meno libere.

Inizia un lungo periodo di ‘riprese’. Perché, se sognano i due leader, anche il Terzo Polo fantastica e Rifondazione non scherza. E’ il momento dei big, quei giornalisti prestati all’intrattenimento che, in virtù di un fascino particolare, riescono a trasformare la piccola ‘notizia- pianta’ in una vera e propria selva di notizie.

Succederà così che Berlusconi da Vespa, in tema di ‘vinceremo le elezioni’, disquisisca sulle sue smentite con D’Antoni e racconti sorridendo la sua giornata sul marciapiedi di fronte al numero 10 di Downing Street in attesa di Blair. 

O che Rutelli canti con Raffella Carrà ‘Come è bello far l’amore da Trieste in giù…’ descrivendo la partenza del treno dell’Ulivo da Costanzo, argomento ‘un milione di posti di lavoro’. 

E che Berlusconi neghi d’aver smentito D’Antoni che ha smentito Berlusconi, perché caso mai è stato smentito da D’Antoni che sostiene d’aver smentito Berlusconi. 

E che Rutelli neghi di essere partito da Trieste (non c’era nessuno a salutarlo), ma che confermi di aver fatto l’amore in giù… Con il vento in poppa- un’apparizione di Mastella a Fatima- la notizia regge almeno dieci giorni. A meno che l’editore non abbia intenzione di arrivare alle due settimane. Ma in tal caso, il bravo giornalista può sempre ricorrere alle corte perse o alle ferie arretrate. Al limite, mettersi in malattia.


 

Tipologia delle notizie

Una volta trovata la Notizia il giornale o il telegiornale è fatto. Si tratta solo di riempire le restanti pagine di tante piccole notizie e, soprattutto, verificare che cosa hanno gli altri giornali o telegiornali.

Quest’ultima è attività delicatissima, tanto che corre voce che le principali testate abbiano assunto pensionati del Sismi, della Cia e del Mossad a cui è stato affidato il delicato compito di arginare il pericoloso fenomeno del ‘buco’. 

Sofisticate apparecchiature elettroniche permettono al Corriere di controllare Repubblica e la Stampa, un sistema satellitare collegato alla redazione di Repubblica fornisce in tempo reale indicazioni sui movimenti alla Stampa e al Corriere, mentre la Stampa ha preferito sacrificare due ‘colletti bianchi’ di Mirafiori e farli assumere come centralinisti a Repubblica e il Corriere.

Nelle testate minori si ricorre all’infallibile tecnica del ‘…chiamalo che sei sua amica’- riferendosi a un collega del giornale concorrente che la redattrice in questione non vede dai tempi delle scuole medie- o al rassegnato ‘pazienza, magari ci torniamo domani…’. Tutto è fondamentale per arrivare a produrre giornali fotocopia (e permettere ad altri colleghi di aprire un dibattito sul tema), ma soprattutto per non ‘bucare’.

La notizia bucata, principale nemica del giornalista, di solito giace da tempo immemore sulla scrivania di un inconsapevole redattore.

Ingiallita, con visibili tracce di cenere, viene usata come sottobottiglia. Ha le forme più strane: comunicato stampa, appunti presi nel corso di una telefonata, lettera anonima, articolo di un collaboratore, lettera di un lettore, ritaglio di stampa estera conservato perché sul retro c’è la pubblicità di un hotel che può sempre tornar utile per le vacanze.

Sordida e viscida com’è, la ‘buca’ è capace di giacere per mesi su un tavolo senza manifestare in nessun modo la sua vera e pericolosa natura. Per i motivi più assurdi (non ci sono notizie, è giunta all’orecchio dell’editore, il suo primo estensore nel frattempo ha fatto carriera…) viene riesumata. 

Il primo che la scopre frega di norma tutti gli altri. E’ una questione di tempo. Il bravo giornalista batte tutti per una manciata di decimi di secondo. Attenti però alle false partenze: se la notizia viene data prima bisogna ricominciare.

Un esempio classico è l’uranio impoverito. Un sacco di inviati di buona volontà durante la guerra in Kosovo sostenevano che la Nato non gettava bombe al pino silvestre, né usava proiettili balsamici.

Frastornati dal rumore dei bombardamenti i poverini avevano dimenticato la regola base della notizia: i morti devono essere minimo uno, ma italiano. 

Le loro segnalazioni sull’uranio impoverito dunque sono rimaste sulla scrivania per più di un anno, nella pila di carte che ogni bravo giornalista coltiva per far venire i nervi, ogni sera, alle donne delle pulizie. 

E’ bastata la prima morte nazionale per far impazzire le redazioni di tutt’Italia. A nulla son valsi i consueti ‘E’ vecchia’, ‘L’ho già letta’, ‘Ma che c…’. 

I primi che hanno scovato l’ormai sbiadito reportage dell’inviato, il comunicato stampa (dieci comode cartelle) di un’associazione pacifista, gli appunti di una telefonata di una madre di militare in lacrime, l’hanno data buca a tutti gli altri. Un bravo giornalista infatti parte con la notizia, non prima, non dopo.


La cronaca nera


Cronaca nera:
le notizie di cronaca nera hanno senso solo per le testate locali o se vengono date ‘a grappolo’.

E’ ovvio che a Macerata, ad esempio, saranno in molti a voler conoscere tutti i particolari sulla morte della moglie dell’idraulico, sgozzata dall’amante che voleva sostituire con un amico del figlio diciottenne. 

Tra conoscenti della vittima, dell’idraulico, dell’amante e del candidato futuro (nonché dei parenti dei protagonisti) il quotidiano locale subirà sicuramente un’impennata nelle vendite, tanto più se la morta è stata ritrovata legata al letto con solo un perizoma rosso mangiucchiato.

A livello nazionale, però, il fatto interessa quanto il passaggio di Mastella con D’Antoni. Solo nella fortunata ipotesi che nell’arco di due giorni qualcuno provveda, anche a Barletta e Cuneo, a sgozzare altre due incaute mogli di idraulici cornuti, la notizia troverà degna risonanza nell’informazione nazionale.

Tre idraulici vedovi e becchi in due giorni giustificano infatti il ricorso agli esperti –psicologi, sociologi, criminologi, pari opportunità, Assartigianato, Confcasalinghe, ecc.- per spiegare il dilagare del fenomeno in tutto il paese. 

Emergerà che la difficoltà di trovare un idraulico, soprattutto per lavori di normale manutenzione, se è causa di nevrosi per il 52% delle casalinghe italiane, colpisce il 76% delle mogli dei medesimi, costrette a ricorrere all’esterno per le immediate necessità.

Tra notizie a grappolo sulle organizzazioni malavitose da gestire ciclicamente per equità (quindici giorni tocca alla camorra, poi alla mafia, poi alla sacra corona, poi all’anonima, per non fare un torto a nessuno) e quelle sulla delinquenza settoriale (extracomunitaria, minorile, gay, tossicodipendente, ecc.) da tempo i giornalisti attendono un delitto che sconvolga le regole della cronaca nera. Potrebbe essere, ad esempio, un semplice ‘Squarta i genitori e ne ricompone i pezzi: volevo vedere se invece di un puzzle riuscivo finalmente a fare un tangram’.

Sarebbe l’occasione giusta per inchiodare i giochi intelligenti alle loro responsabilità, liberare i bambini degli asili di tutta Italia e riabilitare i videogiochi. E permettere ai giornalisti di affrontare un capitolo assolutamente nuovo per la storia dell’informazione italiana: i danni provocati dall’intelligenza.



Cronaca rosa: con l’intervento massiccio delle televisioni è diventata la Cenerentola del giornalismo.

Un tempo la casalinga di Voghera sognava d’abbandonare marito e figli per scappare con Alberto Lupo o farsi sussurrare all’orecchio frasi d’amore da Nando Gazzolo. 

Oggi, nemmeno alla più frustrata delle casalinghe di Voghera passerebbe per la testa di trascorrere una serata a giocare a Monopoli con Frizzi, la cui esistenza rende persino simpatica la povera Rita Dalla Chiesa. E- lo confermano le statistiche- nessuna, neanche con problemi d’udito, tollererebbe un sussurro all’orecchio di Bonolis.

Un tempo le adolescenti di tutta Italia si confrontavano con Caroline di Monaco e Caroline Kennedy, confidando le loro frustrazioni alla Mucca Carolina, ricordo di un’infanzia trascorsa a ‘Invernizzina’. Quelle di oggi guardano disgustate Charlotte Casiraghi perché non ha neanche un piercing e si trucca come un’albanese della circonvallazione.

Un tempo gli uomini sognavano una notte hard con le gemelle Kessler, oggi sghignazzano al pensiero di Natalia Estrada a letto con Paolo Berlusconi.

Un tempo i settimanali patinati andavano a ruba grazie alle scollature della Loren o della Lollo, oggi per vendere stanno dando fondo agli archivi vaticani su Padre Pio, perché della storia d’amore tra l’acneica Cristina e il nerboruto Taricone non frega niente a nessuno.

Comprensibile. Un tempo i miti duravano una vita, oggi una stagione- e, ricordate, non ci sono più le mezze stagioni. Il confronto tra Milena Miconi e Roberta Lanfranchi, a parte il colore di capelli, è possibile forse per Marzullo, che sicuramente le avrà intervistate entrambe.

La tecnologia ha distrutto la cronaca rosa. Un parto plurigemellare fa notizia solo se la partoriente ne ha scodellati in casa dodici, tutti sopravvissuti (e messi nella gabbietta dei conigli). Un distacco di siamesi fa notizia se sopravvivono in due, una con tre braccia e l’altra con tre gambe. O se il professor Marcelletti ha deciso di intervenire a qualunque costo per il bene della scienza e quindi dell’umanità e quindi suo.

Divorzi, separazioni, figli more uxorio, topless e nudi integrali, tossicodipendenze, ‘fuitine’ non fanno più notizia. L’ultima, veramente seria, fu l’esibizione del ‘merolone’ di Ducruet, ex marito di Stefania di Monaco. Ma per trovare un fesso di quella portata bisognerà aspettare ancora molti anni. 

E, purtroppo, le principesse di Monaco- leader del settore- ormai cedono il passo all’età.

Si suggerisce, peraltro, a chi volesse ostinarsi a seguire le cronache rosa di non perdere di vista il primo ‘testa coda’ del principino inglese William.


 

Cronache esteri: trattasi di notizie che trovano abbondantemente spazio o nelle pagine sportive o in quelle di moda. Da tempo l’Italia ha delegato alla Ferrari e all’italian style il compito di rappresentarla nel mondo. Inutile dunque pensare di parlare di politica estera prescindendo dai nostri augusti connazionali Schumacher e Campbell (Naomi).

Quanto a ciò che accade nel mondo, è difficile ravvedere gli estremi della notizia. In onore alla storia, Roma è e resta caput mundi. Può succedere che nei Balcani scoppi un conflitto, ma è cosa comune tra i barbari. 

Può accadere che tra israeliani e palestinesi i rapporti s’irrigidiscano, ma anche Pilato, a suo tempo, era stato messo in difficoltà da un pericoloso terrorista. Nulla di nuovo sotto il sole.

In onore della democrazia che contraddistingue, comunque, il mondo del giornalismo, c’è sempre spazio su qualunque testata per le così dette ‘notizie dagli esteri’. Anzi, per renderle veritiere e incisive, ogni giornale –previo accordo con la Holiday Inn co.- manda un osservatore nei ‘posti caldi’. E’ l’inviato, punta di diamante dell’informazione nazionale.

Fatta eccezione per alcuni drammatici episodi (che finiscono per essere imputati alla curiosità del giornalista stesso, vedi morti in Bosnia e, soprattutto, Somalia) e per imbarazzanti situazioni di misunderstanding (vedi Remondino, intervistato da una collega da Roma, reticente a parlar male di Milosevic in pieno regime e in piena Belgrado), la vita dell’inviato sembra un letto di rose, ma è piena d’insidie.

E’ vero che dorme nei migliori alberghi e mangia nei migliori ristoranti della città. Ma deve anche saper fare i conti. Più che un esperto in politica estera, un inviato è un genio della matematica. A Belgrado, ad esempio, basta dire ‘taliansko novinar’ (giornalista italiano) e il tassista ti riempie di ricevute da compilare a piacere. 

Al ristorante non ci si alza da tavola finché l’inviato non ha ottenuto una ricevuta attendibile (ossia compatibile con la cifra media di un pasto in Italia, non necessariamente coincidente col costo di un pasto in un paese in guerra o in via di sviluppo).

A tutto ciò s’aggiunge la fatica di far quadrare i conti d’interprete e collaboratori/trici locali. Di solito, soprattutto nei Balcani e più in generale nell’est europeo, le notizie sono in vendita nelle hall dei grandi hotel, che verso l’ora di pranzo si riempiono di dolcissime signore trasudanti informazioni. 

Con un po’ di fortuna si possono comprare anche foto con didascalia in italiano di massacri e stragi senza nemmeno togliersi il pigiama e a tariffa ‘tutto compreso’.

Ciò premesso la vita dell’inviato non è facile. Molti, riusciti fortunosamente ad avvicinarsi alla zona delle operazioni, strappando confidenze a generali, spie e criminali vari, ignorano che la notizia, dettata in modo rocambolesco col telefono satellitare sottratto a un moribondo, è stata cestinata per mancanza di spazio. 

Molti, reduci da un’incursione sulla prima linea, dopo una giornata trascorsa a respirare uranio impoverito e a intervistare kosovare stuprate, si sentono sbattere il telefono in faccia dalla dimafonista perché ‘stiamo lavorando’.

E’ fondamentale dunque, per chiunque si occupi di notizie dal mondo, aver coscienza che a nessuno importa nulla di quanto accade fuori dai patri confini (a meno che non muoia un italiano, regola base della notizia, come già più volte ricordato). 

Il servizio ideale –che rimarrà nella storia del giornalismo italiano- è quello fornito da Liguori e Capuozzo da Sarajevo. Con giubbotto antiproiettile ed elmetto raccontavano da un ponte le vicende della città assediata. Dietro loro sfilavano mamme con bambini, branchi di adolescenti e pensionati incuriositi. Tutti normalmente abbigliati. Era una drammatica giornata di tregua. Di due inviati.



Cronache italiane: l’Italia, come si sa è divisa in tre: Roma, Milano e il resto. Un incidente col motorino in via Po a Roma o una vecchia arrotata dal tram in Corso Sempione a Milano dovrebbero essere stimolo per nuoresi, cosentini e cuneesi per rivedere le norme che regolamentano la circolazione nelle loro città. 

Le due capitali, si sa, sono all’avanguardia, anche nel settore notizie. Al contrario, la provincia difficilmente riesce a produrre informazioni di portata nazionale e si limita a riempire le pagine dei quotidiani locali con l’unica rubrica di reale interesse: i necrologi.

Le cronache italiane sono pertanto un settore ancora inesplorato nel variegato mondo della stampa e delle televisioni. Perché un avellinese faccia notizia c’è bisogno di un terremoto dell’undicesimo grado della scala Mercalli. Un veneto assurge agli onori delle cronache se stringe, come d’abitudine consolidata negli ultimi dieci anni, la mano a Haider. Un ligure o un bresciano finiscono sui giornali per una Vacca fuori di testa.

Se la fortuna assiste, il cronista del quotidiano locale –che è anche collaboratore della testata nazionale- si sta occupando proprio del caso e fornisce, previ aggiustamenti, un quadro esaustivo della situazione comprensibile a tutta Italia.

Se peraltro la notizia suscita vasta eco, è necessario affiancare il lavoro del corrispondente –attività che negli ambienti è definita ‘marchetta’, autoironico epiteto che accomuna il meretricio su strada a quello su computer- a quello dell’inviato. 

A differenza del collega spedito in giro per il mondo, il giornalista nomade per l’Italia, a causa delle ricevute fiscali, può concedersi il lusso di non saper fare i conti, ma deve possedere una capiente valigia dove stipare gli scontrini.

Si suggerisce di evitare pranzi in provincia con più di due inviati: data la lentezza dei camerieri delle piccole città, la stesura dei conti ‘alla romana’ (e in particolare la suddivisione delle bevande) può portare via anche un paio d’ore.

L’inviato comunque nella provincia si consola, godendo di particolare seguito, soprattutto femminile. Conoscere una firma di un grande quotidiano nazionale, vedere dal vivo un big della televisione risveglia i mai sopiti aneliti di vita di gente che non si rassegna a fare la comparsa del pianeta Italia. Il povero inviato –neanche il tempo di sbarcare- verrà sommerso da un numero di informazioni incontenibili persino dalla Treccani.

Aggiornato a tempo record su tutti i legami politico- sentimental- massonico- clericali di un migliaio di residenti notabili o ‘degni di nota’ negli ultimi cinquant’anni e accompagnato dai rappresentanti delle istituzioni in tutti i ‘luoghi comuni’ del posto (la torre a Pisa, l’Arena a Verona, ecc.), sarà costretto a ricorrere al così detto ‘interlocutore fisso’, buono per tutti i temi, tutte le circostanze, tutte le stagioni.

Ogni città e regione d’Italia ne ha uno (l’Ordine dei giornalisti dovrebbe provvedere all’iscrizione d’ufficio negli elenchi speciali): Bassolino in Campania, Cacciari in Veneto, Magris a nord est, Vattimo a nord ovest…

Dal momento che gli inviati si muovono in massa può succedere che gli articoli sulle cronache di provincia delle varie testate nazionali siano identici nella sostanza. Compito del bravo inviato sarà dunque quello di arricchirli di particolari di colore seguendo gli spunti e i suggerimenti degli autoctoni. Solitamente la parte di luoghi comuni sfuggiti ai rappresentanti delle istituzioni.


 

Cronache politiche: abbiamo già anticipato quanto le cronache politiche siano la struttura portante dell’informazione nazionale, dipendendo in gran parte dal buon cuore dell’editore. Esiste comunque una cronaca politica spicciola, umiliata e bistrattata, ma seguita da persone professionalmente preparate.



Per ambire al posto di cronista politico, il giornalista deve seguire innanzi tutto un corso di botanica, in virtù del quale riuscirà a destreggiarsi perfettamente tra ulivi, girasoli, margherite, cogliendo appieno il senso di ogni organismo vegetale. 

Indi verrà sottoposto a dei test –curati dalla Panini- sul ‘who is who’. Gli verranno sottoposte delle figurine che dovrà incollare nello spazio segnalato da nome e cognome del politico o (in caso di partito con unico elettore, segretario, ministro, deputato e senatore) sul simbolo della formazione in cui si è autoeletto.

Chi confonde Parisi con Castagnetti ha chiuso la sua carriera e finisce a correggere bozze. Ciò non significa che qualcuno debba sapere chi è Parisi o Castagnetti. Basta fissare la fisionomia al cognome ed, eventualmente, al simbolo (la risposta DC, viene data per buona).

Il cronista dovrà poi imparare a districarsi nella politica, senza perdere tempo su leggi e leggine. E’ la parte più difficile del training e, a tale scopo, ogni redazione mette a disposizione una tavola –simile a quella del Risiko- da aggiornare quotidianamente. 

Spetta infatti al cronista politico spostare a destra o a sinistra formazioni o singoli soggetti del centro o della Lega (o eventuali destri passati a sinistra o sinistri a destra), seguendo gli eventi.

Se, ad esempio, una legge passa con cento assenti, cinquanta astenuti e trenta deputati con impellente bisogno di far pipì, il bravo cronista politico sposterà centottanta soldatini sulla scacchiera, cercando d’intuire le cause di assenza, astensione e scarsa ritenzione idrica. Quando la metà azzurra della tavola ospita più di metà dei soldatini o quella rossa la metà più un altro quarto, parte la notizia.

Da questo momento in poi si richiede al cronista solo di riportare le dichiarazioni dei politici. In teoria è facile. I politici sono esseri semplici e- se non sbagli il nome e cognome e la foto sul giornale- qualunque cosa virgoletti a nome loro potrebbe andar bene. 

Inoltre hanno memoria cortissima e non ricordano oggi quanto affermato la sera precedente. Ma nella pratica è difficilissimo. Tra ministri, senatori, deputati, consiglieri e assessori (regionali, provinciali, comunali), sindaci, governatori, presidenti e segretari di partito sono tantissimi e in guerra tra di loro, anche quando militano nello stesso esercito, pardon, partito.


Un aggettivo riportato male può determinare un conflitto ad alta intensità, con conseguente spostamento di soldatini da una parte all’altra della tavola del Risiko. Una frase registrata in presenza di numerosi testimoni può anche sfuggire all’attenzione di chi l’ha pronunciata e scatenare la reazione atomica delle smentite e controsmentite.

A favore della notizia politica gioca comunque un fattore fondamentale: non la legge nessuno.


Cronache bianche e giudiziarie: Le cronache bianche, con quelle giudiziarie, sono la Caienna di qualsiasi testata. I cronisti ‘bianchi’ racchiudono in una sola figura le qualità del collega che si occupa di Italia e di politica, senza alcun riconoscimento pubblico. Il loro compito, infatti, è quello di raccattare le briciole lasciate dai più autorevoli colleghi e dedicarsi a politici o incriminati di basso profilo.

Gli unici ad aver cura della fragile psicologia del cronista ‘bianco’ sono gli addetti stampa delle istituzioni, che provvedono ad aggiornarlo costantemente con le meravigliose proposte partorite in seno a consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali. 

Se non si tratta dell’istituzione di un passo carraio all’angolo di via Mario de’ Fiori con via Frattina, ma delle modifiche che la Regione Lazio intende apportare ai libri di testo ‘comunisti’, la notizia passa subito al collega ‘politico’ e il povero ‘bianco’, che l’ha segnalata, viene dirottato sulla riunione in notturna della Circoscrizione Roma Prati sulla tenuta dei tombini nelle giornate di pioggia.

Al contrario il ‘giudiziario’, solitamente maschio, è costretto ad irretire tutte le segretarie dei magistrati, dai Pm alla Cassazione, al fine di sbirciare –con la scusa del decolletè- le carte processuali e raccattare notizie. 

A differenza del cronista di ‘bianca’, che non va a dormire prima delle due del mattino (anche se ha imparato a prendere sonno ad occhi aperti in pieno consiglio comunale), il cronista di giudiziaria si sveglia alle sei. Alle sette entra in tribunale –bloccato solo da uscieri neoassunti che pretendono timbri il cartellino- e comincia la perlustrazione delle aule alla ricerca del ‘processo perduto’.

Conosce tutti gli avvocati del foro e, come loro, puzza di sigaro e alcool misto a caffè già dalle sette e mezza del mattino. Parla (e scrive) in una strana lingua, una miscellanea di latino e napoletano, sa a memoria tutti i codici e potrebbe riconoscere qualsiasi pregiudicato col solo olfatto. Non a caso i cronisti di giudiziaria sono noti col simpatico nomignolo di ‘mastino’. Quando afferrano una causa non mollano l’osso e lo spolpano con animale ferocia.


La pagina scritta però non fa giustizia del loro lavoro. Costretti a frequentare residuati sociali e a reprimere forme espressive diventate parte integrante del loro idioletto (bestemmie e quant’altro) si aggrappano solitamente alla retorica. 

Nascono così curiosi lead come ‘Sembrava una famiglia normale, ma nella quiete delle quattro mura domestiche, allietate dalla nascita di due bambini, la legava imbavagliata al termosifone, incaprettandola con cinghie di cuoio per poi stuprarla davanti alla suocera con i ferri arroventati del camino. Tre anni e sette mesi…’ o ‘Tu es pulvis, ma si trattava di cocaina. B.V. pregiudicato di 78 anni, è stato condannato a…’

Per quel che riguarda il cronista di ‘bianca’ è notoriamente un uomo, più spesso una donna, mite. Esperto in leggi sulle amministrazioni pubbliche, è aggiornato su tutte le formule possibili di finanziamento a privati e associazioni. Ha un sogno: poter raccontare gli intrecci amorosi che determinano sodalizi trasversali. Di solito semplicemente ‘in seno’. Quando, forse malamente, ci prova, viene brutalmente represso e messo a fare titoli.


 

Economia: Le notizie d’economia sono appannaggio dei migliori giornalisti. E diventare giornalista economico non è per tutti. Per trattare una notizia economica bisogna avere doti caratteriali che consentano fini mediazioni tra denaro, finanza, industria, politica: bisogna in pratica essere nati ruffiani.

La notizia economica nasce il giorno stesso che un’azienda sigla un contratto di pubblicità con l’editore. Da quel momento l’impresa in questione entra a pieno titolo nelle quotazioni della testata e il valore azionario sarà tanto maggiore quanto più ampio è lo spazio pubblicitario acquistato. 

Può anche succedere che l’azienda sia contemporaneamente editore e in tal caso si tratta di azienda che farà quotidianamente notizia, dal momento che sarà cura dell’editore fornire tutte le informazioni giuste al momento adatto.

La notizia economica fa parte di quelle notizie che arrivano da sole sul tavolo della redazione. Se per caso qualcuno incappa in una notizia economica a spasso per conto proprio, stia pur certo che non riuscirà a pubblicarla.

Una notizia economica in libertà o porta a una condanna per turbativa d’asta o, nella migliore delle ipotesi, alla recessione del contratto pubblicitario. E siccome le notizie economiche vere sono vincolate al segreto più dei pastorelli di Fatima, il rischio che, se gira liberamente, si tratti di una ‘sola’ è molto elevato.

Queste premesse renderebbero il lavoro della redazione economica particolarmente noioso, non fosse per alcuni minuscoli benefit che lo rendono accettabile. Il training di chi s’occupa di economia in un giornale è del tutto simile a quello previsto per i bancari e i procacciatori d’affari. 

In breve tempo il giornalista impara a collocare al posto giusto parole difficili come Opa o cash flow. Attraverso uno ‘skill del cliente e lo screening delle posizioni’ un bancario decide se dare soldi a chi ce li ha già e rifilargli un ‘index linked’, obbligazione assicurativa collegata al mercato azionario (con succulento fisso garantito del 2%, spese variabili).

Un giornalista economico è in pochi mesi in grado di riprodurre fedelmente i suoni su supporto cartaceo, lanciare Opa e riportare al padrone i comunicati stampa. Il lettore potrà: a) seguire il suggerimento del bancario e investire tutti i suoi averi sull’index linked, liberandosi finalmente della schiavitù del denaro b) seguire il suggerimento del giornalista e investire tutti i suoi averi nelle azioni della società, liberandosi finalmente della schiavitù del denaro c) tradurre il bancario e il giornalista, capire che, sia in un caso che nell’altro, qualcuno ti vuole fregare i soldi, metterli sotto il materasso e fare, finalmente, sogni d’oro.

A differenza del bancario, il giornalista economico trae dalla sua attività riconoscimenti concreti. Ciò accade intorno a Natale, quando i clienti del bancario, dopo un attento studio dell’estratto conto, si trattengono dal tirare in testa al malcapitato ‘operatore finanziario’ l’agenda e il calendario regalo.

Mentre i colleghi della nera sbavano come Forlani (tutt’al più ricevono dal questore il calendario della Polizia), il giornalista economico ogni sera porta a casa le testimonianze di gratitudine provenienti da coloro che si sono generosamente prestati a fare da notizia. Da una cassa di vino in su, a Natale, chiuso il bilancio, la notizia economica non bada a spese…

Rileggendo queste righe mi rendo conto di aver equiparato i giornalisti professionisti delle pagine di economia agli estensori di redazionali, prezzolati al soldo della pubblicità. Ciò è profondamente ingiusto, dal momento che le notizie economiche non possono limitarsi a magnificare un prodotto, ma devono anche sapersi destreggiare nel complicato mondo della politica economico-finanziaria.

Un giornalista economico conosce a memoria tutti i numeri di cellulare dei ‘magnanti’ dell’alta finanza –quella ‘sporca dozzina’ di persone che hanno sacrificato l’esistenza per privatizzare per conto dello stato i beni dello stato senza privarne lo stato, né privarsi dei soldi dello stato-, ricorda tutte le trame che hanno portato un privatizzatore metalmeccanico alle telecomunicazioni, un sindacalista ad occuparsi di problemi del mercato del lavoro, un dirigente Rai alla Rai e un Agnelli alla Fiat.

L’esperto di economia sa leggere un bilancio, fingendo d’ignorare che si tratta del bilancio scritto ad hoc per l’esperto di economia. In giornate di grazia, riesce anche a coniugare il Nasdaq col Mib alzando significativamente l’indice al cielo. Quando vuole strafare si getta a capofitto in previsioni che nemmeno il più spericolato dei meteorologi oserebbe: l’andamento dei telefonici a sei mesi.

Creativa e brillante (soprattutto dopo un’intera pagina sul ritorno degli investimenti in diamanti dopo il crollo dell’Euro –ndr: Euro Felluga, il barista cinquantenne in crisi per essersi accorto di aver bisogno del Viagra), la notizia economica spopola sulle prime pagine quando il Parlamento è chiuso per ferie o nessun marocchino arrota sulle strisce una carrozzina.


Cultura: La connotazione principale di una notizia culturale è il suo spirito latino- americano, più precisamente colombiano. A diffonderla, infatti, sono delle organizzazioni di stampo mafioso che coordinano pericolosi spacciatori di ‘ego’. Questi ultimi assumono varie sembianze (scrittori, attori, musicisti, pittori, ecc.) per far cadere nel tranello gli acquirenti. L’ ‘ego’, tra le varie droghe, costa relativamente poco e, talvolta, è anche in grado di produrre effetti piacevoli. Più spesso, purtroppo, è causa di abissali smarronamenti, di soporifero disgusto, quando non di profonda incazzatura. Ma questo non si può scrivere perché la cupola è molto potente (nel caso dei libri fa capo agli stessi editori).

Lo spaccio dell’ ‘ego’ trova nell’informazione un canale privilegiato. Solitamente uno ‘sfatto’ di ‘ego’ è persona capace di eiaculare in pubblico solo a sentir pronunciare il proprio nome e in overdose riesce a parlare di sé per quarantott’ore di fila senza fermarsi. Ogni organizzazione criminale scegli i propri pusher e li propone, anzi li impone, ai giornalisti che provvedono a diffondere la droga sul mercato. Nasce così la notizia culturale.

L’ego si può spacciare sotto forma di testo, di figura plastica o di spettacolo. All’interno di queste tipologie l’ego viene tagliato con derivati e sottoderivati reperibili sul mercato, dando vita a tipi di stupefacenti simili tra loro, ma in grado di produrre reazioni differenti: pianto, riso, indignazione, plauso. Nel 99% dei casi comunque la scienza medica ha dimostrato che l’ego provoca in chi ne fa uso una noia mortale. 

Nascono così gli abbonamenti aziendali a teatro e i club del libro, organizzazioni parallele all’informazione culturale e finalizzate alla sopravvivenza delle cupole mafiose.

La notizia culturale arriva direttamente al giornalista sotto forma di libro, biglietto gratuito (per tutta la famiglia fino ai consanguinei della terza generazione) agli spettacoli, invito ai festival o recensione pagata su catalogo della mostra. E’ scientificamente dimostrato che non è necessario far uso di ‘ego’ per riportare su carta o video la notizia culturale. 

Per un libro ad esempio basta copiare la quarta di copertina e frasi a caso, avendo l’accortezza di non rileggersi: se l’articolo è ben fatto c’è anche il rischio di autoconvincersi e leggere il libro.

Una delle tecniche più in voga per affrontare la notizia culturale è quella di scriverla in linguaggio culturale. Si tratta di un codice speciale, diversificato per le varie espressioni artistiche, altamente innovativo. Nel linguaggio culturale infatti il rapporto tra significante e significato è modificato a favore di una grammaticalità che non può essere confusa con la significanza.

Il primo articolo di critica contemporanea è stato scritto da Noam Chomsky, ‘Pallide idee verdi dormono furiosamente’, in occasione di una mostra di pittura. Da allora il bravo critico è riuscito a perfezionare la ricerca linguistica arrivando a espressioni sublimi come ‘processo stocastico entropico a carattere markoviano’ in occasione della proiezione di un film bulgaro sottotitolato in rumeno.


Per scrivere un buon articolo culturale è dunque necessario saper giocare con parole e sintagmi, avere un buon dizionario e tutte le Garzantine a portata di mano. La citazione è essenziale e a tal fine è possibile trovare in libreria agili manualetti a tema che ne forniscono una per ogni circostanza. Inevitabile poi disporre dei numeri di telefono di noti uomini di cultura. Ottimo quello di Hans Magnus Enzensberger, anche se Dario Fo e Massimo Cacciari possono supplire benissimo a qualsiasi bisogna.

In questo quadro, comune al 99% delle testate culturali italiane, esistono due varianti singolari e di gran successo. La prima è la cifra stilistica di Vincenzo Mollica, improntata a una visione solare e positiva dell’arte. Una sua intervista a Eminem –con tanto di ‘lei che è bravissimo e buonissimo’- avrebbe riportato il caso di San Remo nei normali canali dello spettacolo e il rapper a nuove prospettive di vita. 

Il secondo è Vittorio Sgarbi. Il suo linguaggio diretto permette di cogliere appieno lo spirito dell’opera d’arte, sia quando insinua che ‘questo quadro è una merda’, sia quando, all’opposto, sottolinea che l’artista in questione, un genio universale, è un suo carissimo amico di cui, per pura bontà d’animo, rivende le opere.


 



Lo sport

Cronache sportive: La notizia sportiva, com’è noto, non è una notizia, ma la notizia, così come il giornalista sportivo non è un giornalista, ma il giornalista. Nella notizia sportiva è condensata tutta la scienza dell’informazione, dalle cronache rosa alle pagine economiche, senza trascurare la politica e la ‘nera’.

Grazie alla notizia sportiva i lettori assimilano informazioni destinate a restare imperiture nella loro memoria: la condriosi, ad esempio, comune ma fastidiosa e seminvalidante affezione del ginocchio, potrebbe finalmente ottenere finanziamenti ministeriali atti a sviluppare la ricerca e la prevenzione, se solo Totti ne risultasse afflitto. Per molte settimane la condriosi al ginocchio sinistro del celebre calciatore occuperebbe i migliori ortopedici d’Italia e finalmente anche chi ne è affetto potrebbe trovare suggerimenti medici validi in grado di permettere di fare le scale.

Grazie al contributo delle cronache sportive, del resto, il menisco, nemico di ‘scapoli’ e ‘ammogliati’, nonché di sciatori del week end e tennisti dei circoli di tutta Italia, oggi non è più un problema.

La notizia sportiva dunque ha un’alta valenza sociale. Dal martedì alla domenica le cronache trasudano preziose informazioni sullo stato di salute dei calciatori di tutte le squadre di qualsiasi serie. Si tratta di dati importanti, che permettono di leggere con attenzione le pagine del lunedì e di interpretare e giustificare eventuali errori in campo.

L’influenza di Maldini può essere un ottimo pretesto per convincere anche i pensionati italiani più riottosi a vaccinarsi, soprattutto se, a causa del male di stagione, il Milan dovesse venir eliminato dalla Coppa delle Coppe del Nonno (quella che va in onda su Tele+1 il lunedì pomeriggio).

Rispetto al passato infatti- quando la notizia sportiva si librava in tutta la sua possanza solo alla domenica, in occasione dei campionati del mondo e, talvolta, al mercoledì- per venire incontro alle necessità dell’informazione è diventata quotidiana. In base ai bollettini medici e proporzionalmente al valore dello sportivo, gli allenatori schierano giornalmente, tra amichevoli e coppe, i più incredibili ‘undici’. Un attaccante pagato cento miliardi verrà impiegato a domeniche alterne, compatibilmente alle condizioni meteorologiche e ai risultati delle Tac forniti da prestigiose cliniche statunitensi.

Nel resto della settimana c’è posto in squadra anche per la cugina dell’allenatore, soprattutto se androgina. Quotidianamente le squadre affiancano ai tornei televisivi (Coppa mista Milan- Inter scapoli ammogliati, su Telesport Lombardia al giovedì notte, Coppa ambidestra Lazio- Roma su Televaticano International al venerdì in prima serata, scontri censurati) un duro allenamento che consiste nel rendere visibile il nome dello sponsor nel corso di un’azione di rilievo.

Una pratica banale in caso di gol, più difficile quando si tratta di rovesciate o di dribbling. Le nuove tecniche in vigore permettono comunque a un calciatore di tirare un angolo o un rigore con la maglia sul viso e la scritta del succo di frutta tatuata sul petto.

Questo lungo preambolo
per dire che nessun particolare, neanche il più insignificante, può sfuggire al giornalista sportivo, un uomo sempre sulla notizia. Un lavoro duro per i duri. Mettiamo caso che la Nazionale italiana giochi contro quella del Burkina Faso, in un incontro amichevole valevole ai fini della Coppa Crema- Cioccolato (sponsorizzata da una nota ditta di gelati, tutti i sabato pomeriggio a reti unificate).

Una volta appurato che il Burkina schiererà undici calciatori di colore- da valutare con attenzione in campo per un eventuale acquisto- e dato per scontato che è impensabile mettere in campo contro il Burkina l’equivalente del tesoro della Banca d’Italia, si pone il problema di reperire undici calciatori italiani.

Vengono contattati per primi i giornalisti sportivi. Qualcuno suggerisce di averne visto uno, padano DOC, nella Mestrina. Dopo un’attenta analisi degli ammoniti della settimana, si recuperano altri due italiani di prima serie che, scartati al primo fallo, possono poi tranquillamente tornare in panchina.

Un giornalista infila il figlio sedicenne, che milita nella Polisportiva. Altri sei calciatori vengono estratti a sorte nel parco riserve under 21 delle squadre di serie A. Trapattoni chiede ad Agnelli, se, solo per questa volta, gli presta il portiere. Agnelli tentenna, ma poi prevale la solidarietà nazionale. La notizia è pronta.

Nella settimana che anticipa l’incontro, i giornalisti analizzeranno con la massima cura la filosofia alla base delle scelte dell’allenatore. Per sette giorni s’inviteranno gli ultras di tutta Italia a dare dimostrazione di civiltà, evitando almeno di tirare coi bazooka sui negroni del Burkina, dando modo così ai bravi tifosi italiani di ricordarsi che già da parecchie settimane i lanciafiamme languono senza carburante nelle sedi delle società.

Dopo il rito –inno nazionale italiano sillabato dal figlio del giornalista e dal portiere di casa Agnelli, fischi e bombe a mano sui calciatori del Burkina, palleggio a centro campo fino al fallo in area del mestrino ai danni di un burkino, rigore, 0 a 1 in casa per l’Italia, lancio di napalm e gran finale con l’ingresso in stadio dei Carabinieri a cavallo e corsa di autoambulanze al San Camillo- per alcune settimane la notizia sportiva sarà incentrata sugli errori di Trapattoni, sulle sue potenziali dimissioni e sulla disponibilità di Lippi a sostituirlo per soli cinquanta miliardi in più all’anno. L’acquisto di sei calciatori del Burkina (senza passaporto) al prezzo di uno metterà a tacere le polemiche.

A vogare contro chi ritiene che il giornalismo sportivo sia per incolti, c’è comunque la domenica di Campionato, quando la notizia necessita di poliglotti in grado di pronunciare senza difficoltà alcuna nomi che, come Shevchenko, rappresentano il meglio del calcio italiano. Alcune emittenti particolarmente attente hanno richiamato i corrispondenti dai Balcani e dal Sudamerica, gli unici in grado di seguire con precisione una partita come, ad esempio, Milan- Lazio.

Tra loro qualcuno, in preda all’entusiasmo e ai ricordi, talvolta esagera. ‘La palla è a Milosevic…stoppa Boban e passa a Tudjman… cross di Mladic che appoggia a Karadzic, fallo…punizione ai limiti dell’area di Izetbegovic…palla al bomber Arkan che spara…gooool!!!!!!! Sarajevo a zero- ex Jugoslavia uno. Arbitro Dini’.

La notizia sportiva è calcio, ma non solo. Sarebbe banale ricordare in questa sede episodi gaglioffi come il match Bellillo- Mussolini o l’inquietante polemica sull’immigrazione clandestina di calciatori miliardari. Le notizie sportive non hanno bisogno di colpi bassi o di pregiudizi per diventare tali. Volano sulle ali dello spirito olimpico che rende tutti fratelli e sorelle, là dove ognuno sa che l’importante è partecipare e non vincere.
Per cui ben venga uno scontro dove le borsette sostituiscono i guantoni o sottolineano come sia possibile l’ingresso di stranieri senza passaporto su voli di prima classe, invece che su pescherecci da rottamare (un favore comunque alle politiche dei trasporti e dell’ambiente che intendono agevolare l’ingresso dell’Italia in Europa scoraggiando i traffici su gomma).

La notizia sportiva è soprattutto ‘mens sana in corpore sano’, evita tutto ciò che induce nella gioventù, ma anche tarda età, italica comportamenti che non collimino coi valori nazionali che, si chiamino Euro o Lira, sono e rimangono sacri.

Dal verde dei campi di calcio passa dunque al rosso del Cavallino rampante. Sport difficile, che costringe milioni di italiani sulle poltrone di casa ogni domenica con la speranza di assistere in diretta alla più eccitante delle performance sessuali dei giorni nostri: due automobili che s’inculano in curva con una bella ammucchiata di lamiere che spalanca la strada della vittoria al nostro concittadino Schumacher.

Il trionfo della Rossa di Maranello, la supremazia delle quattro ruote sui piedi, è per chiunque si occupi d’informazione e crescita del nostro Paese motivo d’orgoglio sportivo. E se la Valleverde pagasse i testimonial quanto la Ferrari Schumacher anche le industrie calzaturiere venderebbero di più (suggerimento per le cronache economiche, tenuto presente comunque che cadere da un tacco è meno spettacolare che sfracellarsi in auto)…

Verde e rosso. Manca il bianco. Le nevi. Lo sci. Il Circo bianco è terzo nella graduatoria delle grandi notizie sportive. L’Italia ha dato al mondo grandi campioni austriaci, incurante del ritardo con cui ha approvato la legge sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Dopo l’inevitabile declino dell’Albertone nazionale, l’unico sciatore del centro Italia in grado di esprimersi in italiano come un altoatesino, lo sport più caro degli italiani (minimo tre milioni a stagione per l’attrezzatura) è in fase calante. E con lui la notizia. Ma non bisogna disperare. Perché la vera essenza della notizia sportiva è ‘memento audere semper’. Ci sarà una fottuta azienda di sci che importerà da Zakopane un lavavetri polacco in grado di vincere uno slalom?

Purtroppo la notizia sportiva non può limitarsi a questi brevi appunti, che non fanno onore a tanti colleghi che si sacrificano e si sono sacrificati in tutto il mondo per un tozzo di panem nei circenses. Il loro lavoro, spesso d’equipe, sulla notizia ritornerà, perché sulla notizia un bravo giornalista ci ritorna sempre. Perché l’Italia è un Paese di ‘santi, poeti e navigatori’, ma soprattutto di sportivi.


Le rubriche: Vere e proprie istituzioni, molte rubriche sono il motore delle vendite, se non in alcuni casi l’unico motivo per acquistare il giornale. Per comodità d’esposizione le suddividiamo in sezioni.

a) pagine monotematiche: viaggi, salute, automobili. Contengono ‘redazionali’ (scritti pubblicitari caratterizzati da un riquadro e dalla scritta ‘spazio a pagamento’) e articoli del collega che cura la pagina (redazionali firmati). Si tratta di una produzione di grande impatto col pubblico, soprattutto quello delle aziende commerciali a cui vendere pubblicità.

b) lettere al direttore: chi si occupa di questa pagina, fondamentale per qualsiasi giornale, è quotidianamente a contatto con uno dei principali problemi di una società sempre più autistica, sempre più chiusa in se stessa: la grafomania. La grafomania è malattia poco nota, pericolosa e sottovalutata. Ha vari modi per manifestarsi (tra cui questo manuale): la comunicazione di massa consente oggi al malato di esprimersi non solo con romanzi o raccolte di poesie per l’editoria a pagamento, ma anche in forma epistolare.

E’ sorta dunque in questi anni una nuova figura professionale, che andrebbe inquadrata in modo da consentirne l’iscrizione a Inpgi e Casagit: è lo scrittore/la scrittrice di lettere al Direttore. Dopo studi approfonditi s’è appurato che ogni testata ha i suoi fedelissimi, capaci di discettare su qualsiasi argomento d’interesse pubblico e privato.

Il grafomane da giornale scopre solitamente il suo talento dopo una rissa col vigile urbano per una multa in plateale divieto di sosta. Non potendo pestare il vigile, abbandonato dagli amici al ventesimo resoconto (‘E io allora gli ho detto…e lui mi ha detto…ecc..’), scatena la sua rabbia in una breve letterina al quotidiano locale. Il testo vanta le uniche due qualità apprezzate in una lettera al direttore (non inizia con ‘il Vostro giornale di merda’ ed è, soprattutto, breve) e viene pubblicata.

Da quel momento il grafomane da giornale vive l’irripetibile esperienza della celebrità. A partire dall’edicolante, l’intero quartiere si congratula per prosa, contenuti e fermezza di carattere. Arriva inevitabile la frase che sigla la nascita ufficiale di questo insolito collaboratore (con minori pretese, se possibile, dei collaboratori ufficiali): ‘Sapessi scrivere come te, sai quante gliene canterei...’

E' la fine. Alla prima lettera segue la seconda, la terza, fino a raggiungere, in un paio di settimane, il ritmo di due scritti al giorno. Si spazia su tutto, dalle biotecnologie ai bottini della spazzatura, dalla presa di Porta Pia alla beatificazione di Padre Pio.

Data la mole di posta ricevuta, chi cura la rubrica archivia per argomento gli interventi dei grafomani al fine di utilizzarli ‘sulla notizia’. Ragazza stermina la famiglia? Nessun problema. Nell’archivio giacciono non pubblicate almeno un centinaio di lettere sulle questioni giovanili. Il Papa tuona contro l’aborto? Tra Papa e aborto si può disporre di almeno trecento interventi.

c) necrologi: sono la spina dorsale di un giornale e della città. Senza arrivare alla geniale pensata di una certa Viola Graves- che su un quotidiano pubblica ogni giorno foto e vita di illustri signori nessuno (lavoro massacrante che consiste nello spulciare l’anagrafe comunale e telefonare ai parenti per un’intervista sul caro estinto)- il semplice necrologio è la vera testimonianza di vita o, per meglio dire, dal necrologio si può desumere che ‘quello sì che sa vivere’.

Ogni giornale ha il suo stile. Trafiletto piccolo e sobrio, ma denso di titoli, onorificenze e cognomi altisonanti, come il Corriere (tanto più importante quanti più sono i richiami al de cuius). Arioso ma composto, come Repubblica. Con foto del morto da giovane in cappello d’alpino e faccia d’avvinazzato, come sul Gazzettino. Bilingue (Mandi Rosine –Tarcento/Tarcìnt), con foto strappata dal tesserino della pensione della scomparsa come sul Messaggero Veneto. Multireligioso e multietnico come a Trieste, crogiuolo di razze e di culture, ponte ideale tra est ed ovest, dove stelle di Davide, croci cattoliche, greco-ortodosse, serbo- ortodosse e cognomi impronunciabili creano un’atmosfera da Herald Tribune.

I necrologi sono le pagine imperdibili di qualsiasi quotidiano. Scappa un morto e si rischia, non solo la classica gaffe (‘Come va?’ ‘Non lo sai, è morto papà…’ e, a saperlo, si poteva tranquillamente cambiar strada ed evitare l’elenco delle atrocità a cui il defunto è stato sottoposto nelle ultime ore di vita), ma la perdita di fondamentali gossip cittadini. Dietro un semplice ‘tua Amalia’ c’è la conferma che il morto si scopava l’Amalia all’insaputa del marito della porcona.

Per non parlare delle ‘famiglie allargate’ che, con simpatico anticonformismo, rendono partecipe il mondo di tutti gli avvenimenti dell’entourage. ‘Emilio non c’è più. Ne dà il triste annuncio la madre con Ennio’ (e vai! La vecchia vedova s’è risistemata).

Segue: ‘Ciao papà Emilio. Andrea e Giorgio, con la mamma e Didi’ (quel troione allora sta proprio col Didi, per inciso carico di soldi). Indi: ‘A Emilio per sempre, le tue Vera e Pupi’ (e Vera si ritrova sola come un cane con una bambina di tre anni, senza la pensione, perché Emilio non l’ha sposata). Seguono analoghi gli intrecci di fratelli, nonni materni dei figli di primo e secondo letto e cognati più o meno acquisiti.

Anche i testi, forse proprio perché non scritti da giornalisti professionisti, sono gustosi, leggibili e talvolta sconfinano nel letterario. I più semplici si rifanno a Bibbia e Vangelo. I più frettolosi a stilemi classici come ‘dopo lunghe sofferenze si è spento’ o ‘si è ricongiunta al suo caro Alfredo’. Chi è cosciente di quanto costi un necrologio si limita allo stringato ‘E’ morto’, segue nome, cognome (forse), partecipano al lutto e data dei funerali.

I migliori coniano frasi tipo: ‘Padre e marito esemplare, grande lavoratore, ha raggiunto la Luce un uomo buono. Giuseppe (Pepi Lampadina, elettricista) non c’è più. Lo piangono sconsolati…’ seguono un’ottantina di nomi con tutte le qualifiche familiari e l’immancabile ringraziamento ‘a suor Maria che col suo conforto religioso ha rallegrato le sue ultime ore’ (15 parole a 5.000 lire l’una fanno 75.000 lire in più).

Per non sfigurare i parenti accendono anche un mutuo per acquistare un po’ di spazio bianco. Personalmente, da giornalista, opterei per un ‘Nulla gli fu risparmiato, né risparmiò mai nulla’, ma sono 8 parole, 40.000 lire, cifra eccessiva per i miei eredi.


Le fonti. Agenzie.

Un bravo giornalista, prima di passare la notizia, ha sempre l’accortezza e l’obbligo morale di verificarne la fonte. Quello di accedere a fonti certe e affidabili è infatti alla base di un lavoro accurato e coscienzioso. In tal senso, la prima fonte di un bravo giornalista sono le Agenzie.

Il lavoro delle Agenzie è un lavoro spesso sottovalutato dagli stessi fortunati redattori che ne fanno parte, ma è essenziale per la vita dell’informazione nazionale. Un bravo giornalista d’Agenzia è un mago della sbobinatura, un re del virgolettato, un puntiglioso cultore degli incisi (come ha detto, come ha sostenuto, come ricordato da…).

Non conosce l’uso del condizionale, ha dimenticato la propria identità e vanta capacità di sintesi simili a quelle dei matematici quando quantificano con una formula la massa dell’universo. Quanto più saprà essere preciso, tanto più la sua sigla (Slo/hr, Usa/GB, Ps/SS, ecc.) sarà apprezzata dai vertici dell’Agenzia, che ne tuteleranno l’occupazione nonostante gli inevitabili tagli dettati dall’unica vera esigenza dell’Agenzia, la sintesi. Dei costi.

I giornalisti delle Agenzie sono ovunque. Muniti di blocco d’appunti e registratore raccolgono i gemiti di politici, personalità della cultura, dello spettacolo, delle Chiese d’Oriente e Occidente, di forze dell’ordine e magistrati. Due secondi dopo sono in grado di comunicarli (i migliori grazie alla telepatia) alla redazione che in meno di un secondo li mette in rete, al fine di evitare che i giornalisti dell’Agenzia concorrente li battano sul tempo.

Il capo Agenzia ha il compito di essere su tutti i campi e stare su tutte le notizie, leggere quelle inviate dai redattori, eventualmente correggerle, apporre le sigle esatte, smistare i comunicati stampa e il lavoro, organizzare la settimana ed eventuali ferie, approvare le buste paga evitando gli oneri degli straordinari, scegliere le foto, rispondere al telefono, aprire la porta, chiudere le luci a sera e svuotare i cestini.

I redattori d’Agenzia devono seguire le conferenze stampa e fare domande, essere presenti allo sterminio di un’intera famiglia e contemporaneamente intervistare il giudice delle indagini preliminari, scrivere le notizie, aggiornarsi sulle notizie in rete, riassumere i comunicati stampa, telefonare a polizia, carabinieri e pompieri per eventuali incidenti, controllare la veridicità delle informazioni, condensare il tutto in massimo venti righe e fornire disponibilità ventiquattr’ore su ventiquattro, cercando se possibile di anticipare gli eventi. Ad aiutarli c’è solitamente un poligrafico, due nelle sedi principali, e i collaboratori.

Per fare il collaboratore d’Agenzia bisogna o essere miliardari di nascita o talmente orgogliosamente poveri da rifiutarsi di mendicare. Una notizia d’Agenzia viene infatti pagata dalle 5 alle 20 mila lire lorde. A fine mese un collaboratore molto, ma molto attivo riesce a guadagnare anche trecentomila lire, che finiscono per pesare sul bilancio dell’Agenzia, costretta a sua volta a tagli di personale, ferie, corte e poligrafici.

Se l’Agenzia infatti versa in uno stato di miseria cronica è talora dovuto al fatto che non è proprietà di un editore, ma di tutti gli editori, che nella struttura mettono in comune la loro endemica povertà.

Esistono comunque dubbi anche sulle capacità dei giornalisti di Agenzia di attingere direttamente alle fonti. Dal momento che il rapporto di uno a dieci a parità di notizie rispetto ai colleghi delle testate giornalistiche è incomprensibile, si sospetta che esista una Superagenzia che fornisca notizie direttamente dal cosmo. L’astronoma Margherita Hack ha recentemente individuato una Superansa al largo della costellazione di Orione che ritrasmette su onde medie a modulazione di frequenza quanto accade nell’Universo.

Una volta che la notizia d’Agenzia è arrivata sul tavolo della redazione è compito del giornalista farne l’uso migliore. Si può infatti inserirla col ‘copia incolla’ direttamente all’inizio del testo e affiancarle, sempre col ‘copia incolla’, qualche particolare desunto da un’altra Agenzia. L’operazione, detta ‘pastone’, garantisce l’immunità da querele, anche se si corre il rischio di leggere un articolo del tutto identico sul quotidiano concorrente.

A tal fine è molto importante invertire, col ‘taglia e incolla’, le frasi, partendo magari dalle conclusioni per arrivare al fatto. O aprire con una considerazione personale (dell’editore o del direttore). Gli scrupoli sono comunque eccessivi, dal momento che l’unica cosa che l’eventuale lettore avrà, forse, l’accortezza di leggere sarà il titolo.

Se non c’è la notizia d’Agenzia –concetto fondamentale- la notizia non esiste. Può succedere che un corrispondente sia a conoscenza dell’abbattimento di mille capi bovini affetti da afta epizootica. Afferma di essere sicuro del fatto dal momento che è sì giornalista per passione- stufo del mestiere impostogli dal padre, allevatore -,ma pure titolare della stalla sequestrata. Se non c’è sul posto l’Agenzia non credetegli. Dove c’è la notizia, c’è l’Agenzia. Se non c’è l’Agenzia, non c’è la notizia. Il corrispondente, nella migliore delle ipotesi, vuole recuperare trentamila lire lorde per arginare un danno di svariate centinaia di milioni.

E inoltre. Mettiamo esista anche la notizia d’Agenzia, ma non viene rilanciata dai Telegiornali. Che ve ne fate di una notizia di Agenzia, magari anche ricicciata dal corrispondente con succulenti particolari, se il giorno prima nessun telegiornale l’ha preannunciata?


Comunicati stampa

La seconda fonte della notizia sono i comunicati stampa. Si dividono per categorie:

a) Invito. Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti all’evento. Scivola di scrivania in scrivania per planare sul tavolo dell’ultimo arrivato che dovrà seguirlo per poi, se va bene, ridurlo a una brevina.

b) Invito con allegato. Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti all’evento cui segue pranzo/cena/ spettacolo, preferibilmente per due persone. Il primo che lo trova è suo. Se buffet o spettacolo risultano graditi ci scappa, al limite, una pagina.

c) Comunicato stampa istituzionale. Il comunicato stampa istituzionale inizia col virgolettato di quanto affermato dall’istituzione di turno e termina, qualche volta, con la notizia. Il bravo giornalista aspetta il rilancio d’agenzia e in tal caso opera di conseguenza, con un’intervista all’istituzione asserente e a quella concorrente.

d) Comunicato stampa alternativo. Il comunicato stampa alternativo è caratterizzato dalla sua corposità. Si tratta infatti di un fax di dieci agili cartelle in cui l’estensore mette a fuoco, con incredibile capacità di sintesi, tutto ciò che pensa sull’universo. Dopo un breve preambolo –in cui vengono riassunti i presupposti filosofici da Platone a Bertinotti- e un lieve excursus sul tema (il mercato globale delle multinazionali nella società europea postcapitalista e in particolare in quella della provincia di Parma) si arriva alle iniziative sviluppate dalla circoscrizione di viale Garibaldi per ostacolare lo sfruttamento degli extracomunitari nel prosciuttificio di via Guastalla.

Solitamente si tratta di un segnale forte- che anticipa una manifestazione di massa a cui sono intenzionate ad aderire le organizzazioni di volontariato e della società civile- per le trentacinque ore e, già che ci siamo, la solita liberazione di Ocalan. 

Segue elenco delle adesioni e, soprattutto, venti telefonate degli organizzatori per verificare se il messaggio è arrivato e se il giornalista è intenzionato a presenziare. Si consiglia di rispondere in modo affermativo a qualsiasi domanda e archiviare. Tanto qualsiasi cosa si scriva sarà, nella migliore delle ipotesi, riduttiva, quando non un boicottaggio, rispetto alle attese degli organizzatori.

e) Comunicato stampa economico. Trattasi di sintesi dei miracoli mensili dell’azienda in questione che ha registrato un +22% del fatturato rispetto allo stesso mese dell’anno precedente con un incremento del 125,36% delle vendite, pari a un 7,5% di redditività complessiva nel bimestre in corso. Da tenere da parte per il mese successivo, quando toccherà annunciare il fallimento dell’impresa in questione.

f) Comunicato stampa via mail: di solito è un articolo già scritto da un addetto stampa, che in realtà è un giornalista professionista disoccupato e sa cosa serve a un giornalista per fare una notizia: che il testo sia compatibile col programma di videoscrittura della testata, onde evitare di ribattere le accentate e le virgolette.

g) Mattinale. I mattinali, tra tutti i comunicati stampa, sono la vera croce dei giornalisti. Spesso contengono la notizia, ma sempre non riescono a fornire una base utile per svilupparla.

‘Oggi, alle ore 15 e 27 la pattuglia di PS in perlustrazione della zona tra viale Zara e Via Pola ha individuato un individuo che a bordo di un’Alfa truccata blu tagliava la strada a una Polo targata Ancona metallizzata virgola a bordo della quale c’erano i pregiudicati Vito Bucicco, di anni 37 di Palmi, e Antonio ‘Nino’ Capuavetere, anni 46 di Capuavetere ma residente nel capolugo, che scendevano e consegnavano all’individuo, individuato come tale Vojslav Musurowskij, detto Il Pope, anni 26 di Varsavia ma residente in via del Lago 4, una borsa contenente 50 chilogrammi di eroina pura Punto il Musurowskij bloccato dopo breve inseguimento e portato alla caserma di PS veniva identificato come amico di Magda Dal Monon, attualmente in carcere per spaccio internazionale di stupefacenti dall’Italia alla Colombia e prostituzione Punto l’inchiesta è stata affidata alla magistratura Punto a capo alle 16 e 25 M.D., anni 17, ha scippato la borsetta della signora Maria Venzi, anni 68, contenente la carta d’identità e 30.000 lire, in banconote due da diecimila una da cinquemila tre da mille e il resto in monete virgola lo zingarello è stato prontamente fermato e arrestato dalla volante’.

Solitamente il bravo giornalista schizza alla parola ‘zingarello’ e approfondisce, fornendo dati utili a ricordare che la percentuale di zingarelli in carcere in Italia è superiore al numero di parole contenute nello Zingarelli. Il riserbo della magistratura invece impedirà per mesi di fare chiarezza sul sibillino Mattinale e capire che la Dal Monon era in realtà la finanziatrice occulta, in tutti i sensi e in tutti i settori, del vicesindaco.


Giornali, radio e televisione

La terza fonte della notizia sono i giornali e i telegiornali. Succede infatti che, per strane circostanze astrali, un quotidiano o un Tg abbiano notizie in esclusiva. Di solito accade quando una personalità di spicco nella politica o nella cultura è strettamente imparentata con un giornalista che necessita di un riconoscimento professionale. 

Siccome la famiglia è la base della società, il personaggio in questione si sacrifica per il consanguineo e si tiene fuori circolazione per uno o due giorni, in modo da permettere al parente di fare il così detto scoop.

E’ sicuramente un’operazione rischiosa. Può succedere, infatti, che le testate concorrenti decidano che l’onta subita è troppo grave per non venir lavata col sangue e snobbino la notizia. Quest’ultima finirà per essere un apostrofo rosa tra un’agenzia e l’altra, dimenticata nello spazio di un mattino, ma ben presente nelle coscienze dei capo redattori delle testate concorrenti. Personaggio e parente giornalista godranno per mesi di pessima fama negli ambienti dell’informazione, saranno nel mirino dei media e solo condotte assolutamente irreprensibili li salveranno dal linciaggio morale.

Accade inoltre che una testata inizi autonomamente una polemica. L’editorialista di turno ad esempio, al termine di una rissa con un vigile urbano, decide che è arrivato il momento di disarmare il corpo togliendogli il libretto delle multe. La questione privata finisce sulla prima pagina di un quotidiano nazionale e scatena un putiferio, dividendo la categoria. Da un lato appaiono editorialisti che collaborano con testate collocate in zone prive di parcheggi (anche abusivi), dall’altro firme di risonanza nazionale che abitano nell’appartamento sopra la redazione o hanno infilato nel contratto personalizzato il ‘rimborso taxi’.

A peggiorare la situazione c’è l’inevitabile schieramento politico che porta ad ulteriori suddivisioni tra coloro che vorrebbero i vigili senza libretto delle multe, ma con la pistola, quelli che li vorrebbero solo col libretto o solo con la pistola. Il caso finisce inevitabilmente in talk show e diventa notizia. Si suppone che gli storici del XXX secolo faranno fatica a ricostruire pedissequamente il fatto e difficilmente riusciranno, se non con sofisticate tecniche di psicoingegneria molecolare, a risalire alle motivazioni dell’Ur-editorialista.

Un ultimo caso di giornale- fonte riguarda le interrogazioni e interpellanze parlamentari. Perseguitato a casa, sul lavoro, sul cellulare da un conoscente, il giornalista si rassegna a proporre alla redazione, quasi in lacrime, un servizio- denuncia di malversazioni sugli anziani nella casa di riposo in cui il suo persecutore lavora.

Spiega ai colleghi che da quando l’amico ha deciso di raccontare tutto, a casa sua non si vive più. La moglie se ne vuole andare, i figli lo evitano e persino il cane, svegliato nel cuore della notte dalle telefonate pressanti dell’informatore, è sull’orlo di una crisi di nervi. Il capo redattore (in tempi molto remoti era stato giornalista anche lui), mosso a compassione, gli consente una trentina di righe, che il giornalista consegna a tempo record, non senza aver tranquillizzato l’amico con un ‘esce domani’.

Non sa, l’incauto, che la persona in questione è in diretto contatto con un politico (altrettanto perseguitato), che viene immediatamente aggiornato del fatto. Per salvarsi a sua volta, il politico in questione dà ordine di copiare l’articolo e presentare interrogazione al Ministro della Sanità e il giorno successivo tutti i giornali (in mancanza di meglio e, soprattutto, se quel giorno più di un vecchio s’è suicidato) denunciano lo sfruttamento degli anziani nelle case di riposo.

Non va dimenticato, inoltre, che l’informazione è fonte primaria di notizie per quelle testate che operano al motto di ‘ci torniamo domani’. ‘Ci torniamo domani (metti intanto nelle brevi)’ è frase che segna un grande passo avanti nella cultura giornalistica.

Significa disprezzo per lo scoopismo e volontà di approfondimento. Purtroppo accade con una certa frequenza che giornalisti malfidi il giorno successivo, invece che ampliare il campo della ricerca, s’approprino del lavoro altrui scopiazzando. La cosa non è bella e l’Ordine dei giornalisti, quando lo viene a sapere, piange molto.


Internet

Con l’avvento della rete il mondo dell’informazione ha subito un importante cambiamento. La comparsa di dattilografi/e con contratto da metalmeccanico ha segnato la nascita di nuove figure professionali –note come ‘fantasmi del video’- capaci di comporre, per dodici ore sigillati in una stanza con la sola compagnia di una tastiera, vere e proprie opere d’ingegno collettivo a costo quasi zero. Le e-fanzine, gli e-magazine, le e-agenzie sono una vera pacchia per chi opera in qualsiasi testata giornalistica, fonte inesauribile di informazioni e di spunti creativi.

Come tutti sanno, infatti, esistono stagioni dell’anno in cui né in Italia, né nel mondo accade nulla. Si tratta di Natale- Capodanno, Pasqua e Ferragosto (in senso ampio). In questi drammatici periodi le notizie scompaiono e gran parte delle redazioni sono costrette a mettersi in ferie. Chi resta, sacrificando il pranzo in famiglia del 25 dicembre per quattro denari (conquistati con mesi di dure lotte balcaniche tra colleghi), una volta esauriti i riti popolari, le messe e i morti sulle strade è costretto a ricorrere ai collaboratori e pubblicare articoli fermi in redazione da almeno sei mesi. Eppure anche ciò non basta a riempire un giornale o un telegiornale.

Da un paio d’anni Internet ha risolto tutti i problemi posti dalle festività. Mentre a Pasquetta i colleghi oziano con la famiglia nei prati di periferia, il bravo giornalista, navigando, scopre l’esistenza di un sito interamente dedicato alle uova sode (
www.uovosodo.it), con ampio spazio per la lettura divinatoria dei gusci rotti, per maschere di bellezza a base di tuorli e un test a sfondo erotico (‘Di chi sono questi due begli ovetti?’ e foto di maggiorate). Copia, incolla e sbatte il sito in prima pagina, avendo cura di stigmatizzare il ‘fondo a cui siamo arrivati’.

Ma il bello della rete non finisce qui. Una società come quella attuale, sempre più timorosa del rapporto diretto e soprattutto afflitta da collezionismo monomaniacale, può disporre di un buon numero di ‘signori nessuno’ che condividono passioni attraverso Internet. Facciamo finta, ad esempio, che esista un esperto in lingue slave costretto, per lavoro, a tradurre quotidianamente la stampa dei Balcani.

E facciamo finta che questo signore da anni rigiri le proprie traduzione in un sito Internet che, casualmente, chiameremo
www.est.org/balcani (il nome sembra più vero di uovosodo). Facciamo finta che per caso, naviga che ti naviga, uno o due giornalisti incappino in quel sito e scoprano, ad esempio, tutte le traduzioni di cinque anni di articoli serbi dedicati al caso (ovviamente fittizio) della Telekom Serbija acquistata dagli italiani.

La casualità porta sempre consiglio e così, magari, prende spunto, con cinque anni di ritardo, anche dall’Italia, una simpatica inchiesta sui beneficiari dei soldi italiani investiti nelle telecomunicazioni serbe. Tra siti pedofili, siti negazionisti e, modestamente, Il barbiere della sera Internet è comunque una fonte inesauribile di notizie.

Lo sport

Cronache sportive: La notizia sportiva, com’è noto, non è una notizia, ma la notizia, così come il giornalista sportivo non è un giornalista, ma il giornalista. Nella notizia sportiva è condensata tutta la scienza dell’informazione, dalle cronache rosa alle pagine economiche, senza trascurare la politica e la ‘nera’.

Grazie alla notizia sportiva i lettori assimilano informazioni destinate a restare imperiture nella loro memoria: la condriosi, ad esempio, comune ma fastidiosa e seminvalidante affezione del ginocchio, potrebbe finalmente ottenere finanziamenti ministeriali atti a sviluppare la ricerca e la prevenzione, se solo Totti ne risultasse afflitto. Per molte settimane la condriosi al ginocchio sinistro del celebre calciatore occuperebbe i migliori ortopedici d’Italia e finalmente anche chi ne è affetto potrebbe trovare suggerimenti medici validi in grado di permettere di fare le scale.

Grazie al contributo delle cronache sportive, del resto, il menisco, nemico di ‘scapoli’ e ‘ammogliati’, nonché di sciatori del week end e tennisti dei circoli di tutta Italia, oggi non è più un problema.

La notizia sportiva dunque ha un’alta valenza sociale. Dal martedì alla domenica le cronache trasudano preziose informazioni sullo stato di salute dei calciatori di tutte le squadre di qualsiasi serie. Si tratta di dati importanti, che permettono di leggere con attenzione le pagine del lunedì e di interpretare e giustificare eventuali errori in campo.

L’influenza di Maldini può essere un ottimo pretesto per convincere anche i pensionati italiani più riottosi a vaccinarsi, soprattutto se, a causa del male di stagione, il Milan dovesse venir eliminato dalla Coppa delle Coppe del Nonno (quella che va in onda su Tele+1 il lunedì pomeriggio).

Rispetto al passato infatti- quando la notizia sportiva si librava in tutta la sua possanza solo alla domenica, in occasione dei campionati del mondo e, talvolta, al mercoledì- per venire incontro alle necessità dell’informazione è diventata quotidiana. In base ai bollettini medici e proporzionalmente al valore dello sportivo, gli allenatori schierano giornalmente, tra amichevoli e coppe, i più incredibili ‘undici’. Un attaccante pagato cento miliardi verrà impiegato a domeniche alterne, compatibilmente alle condizioni meteorologiche e ai risultati delle Tac forniti da prestigiose cliniche statunitensi.

Nel resto della settimana c’è posto in squadra anche per la cugina dell’allenatore, soprattutto se androgina. Quotidianamente le squadre affiancano ai tornei televisivi (Coppa mista Milan- Inter scapoli ammogliati, su Telesport Lombardia al giovedì notte, Coppa ambidestra Lazio- Roma su Televaticano International al venerdì in prima serata, scontri censurati) un duro allenamento che consiste nel rendere visibile il nome dello sponsor nel corso di un’azione di rilievo.

Una pratica banale in caso di gol, più difficile quando si tratta di rovesciate o di dribbling. Le nuove tecniche in vigore permettono comunque a un calciatore di tirare un angolo o un rigore con la maglia sul viso e la scritta del succo di frutta tatuata sul petto.

Questo lungo preambolo
per dire che nessun particolare, neanche il più insignificante, può sfuggire al giornalista sportivo, un uomo sempre sulla notizia. Un lavoro duro per i duri. Mettiamo caso che la Nazionale italiana giochi contro quella del Burkina Faso, in un incontro amichevole valevole ai fini della Coppa Crema- Cioccolato (sponsorizzata da una nota ditta di gelati, tutti i sabato pomeriggio a reti unificate).

Una volta appurato che il Burkina schiererà undici calciatori di colore- da valutare con attenzione in campo per un eventuale acquisto- e dato per scontato che è impensabile mettere in campo contro il Burkina l’equivalente del tesoro della Banca d’Italia, si pone il problema di reperire undici calciatori italiani.

Vengono contattati per primi i giornalisti sportivi. Qualcuno suggerisce di averne visto uno, padano DOC, nella Mestrina. Dopo un’attenta analisi degli ammoniti della settimana, si recuperano altri due italiani di prima serie che, scartati al primo fallo, possono poi tranquillamente tornare in panchina.

Un giornalista infila il figlio sedicenne, che milita nella Polisportiva. Altri sei calciatori vengono estratti a sorte nel parco riserve under 21 delle squadre di serie A. Trapattoni chiede ad Agnelli, se, solo per questa volta, gli presta il portiere. Agnelli tentenna, ma poi prevale la solidarietà nazionale. La notizia è pronta.

Nella settimana che anticipa l’incontro, i giornalisti analizzeranno con la massima cura la filosofia alla base delle scelte dell’allenatore. Per sette giorni s’inviteranno gli ultras di tutta Italia a dare dimostrazione di civiltà, evitando almeno di tirare coi bazooka sui negroni del Burkina, dando modo così ai bravi tifosi italiani di ricordarsi che già da parecchie settimane i lanciafiamme languono senza carburante nelle sedi delle società.

Dopo il rito –inno nazionale italiano sillabato dal figlio del giornalista e dal portiere di casa Agnelli, fischi e bombe a mano sui calciatori del Burkina, palleggio a centro campo fino al fallo in area del mestrino ai danni di un burkino, rigore, 0 a 1 in casa per l’Italia, lancio di napalm e gran finale con l’ingresso in stadio dei Carabinieri a cavallo e corsa di autoambulanze al San Camillo- per alcune settimane la notizia sportiva sarà incentrata sugli errori di Trapattoni, sulle sue potenziali dimissioni e sulla disponibilità di Lippi a sostituirlo per soli cinquanta miliardi in più all’anno. L’acquisto di sei calciatori del Burkina (senza passaporto) al prezzo di uno metterà a tacere le polemiche.

A vogare contro chi ritiene che il giornalismo sportivo sia per incolti, c’è comunque la domenica di Campionato, quando la notizia necessita di poliglotti in grado di pronunciare senza difficoltà alcuna nomi che, come Shevchenko, rappresentano il meglio del calcio italiano. Alcune emittenti particolarmente attente hanno richiamato i corrispondenti dai Balcani e dal Sudamerica, gli unici in grado di seguire con precisione una partita come, ad esempio, Milan- Lazio.

Tra loro qualcuno, in preda all’entusiasmo e ai ricordi, talvolta esagera. ‘La palla è a Milosevic…stoppa Boban e passa a Tudjman… cross di Mladic che appoggia a Karadzic, fallo…punizione ai limiti dell’area di Izetbegovic…palla al bomber Arkan che spara…gooool!!!!!!! Sarajevo a zero- ex Jugoslavia uno. Arbitro Dini’.

La notizia sportiva è calcio, ma non solo. Sarebbe banale ricordare in questa sede episodi gaglioffi come il match Bellillo- Mussolini o l’inquietante polemica sull’immigrazione clandestina di calciatori miliardari. Le notizie sportive non hanno bisogno di colpi bassi o di pregiudizi per diventare tali. Volano sulle ali dello spirito olimpico che rende tutti fratelli e sorelle, là dove ognuno sa che l’importante è partecipare e non vincere.
Per cui ben venga uno scontro dove le borsette sostituiscono i guantoni o sottolineano come sia possibile l’ingresso di stranieri senza passaporto su voli di prima classe, invece che su pescherecci da rottamare (un favore comunque alle politiche dei trasporti e dell’ambiente che intendono agevolare l’ingresso dell’Italia in Europa scoraggiando i traffici su gomma).

La notizia sportiva è soprattutto ‘mens sana in corpore sano’, evita tutto ciò che induce nella gioventù, ma anche tarda età, italica comportamenti che non collimino coi valori nazionali che, si chiamino Euro o Lira, sono e rimangono sacri.

Dal verde dei campi di calcio passa dunque al rosso del Cavallino rampante. Sport difficile, che costringe milioni di italiani sulle poltrone di casa ogni domenica con la speranza di assistere in diretta alla più eccitante delle performance sessuali dei giorni nostri: due automobili che s’inculano in curva con una bella ammucchiata di lamiere che spalanca la strada della vittoria al nostro concittadino Schumacher.

Il trionfo della Rossa di Maranello, la supremazia delle quattro ruote sui piedi, è per chiunque si occupi d’informazione e crescita del nostro Paese motivo d’orgoglio sportivo. E se la Valleverde pagasse i testimonial quanto la Ferrari Schumacher anche le industrie calzaturiere venderebbero di più (suggerimento per le cronache economiche, tenuto presente comunque che cadere da un tacco è meno spettacolare che sfracellarsi in auto)…

Verde e rosso. Manca il bianco. Le nevi. Lo sci. Il Circo bianco è terzo nella graduatoria delle grandi notizie sportive. L’Italia ha dato al mondo grandi campioni austriaci, incurante del ritardo con cui ha approvato la legge sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Dopo l’inevitabile declino dell’Albertone nazionale, l’unico sciatore del centro Italia in grado di esprimersi in italiano come un altoatesino, lo sport più caro degli italiani (minimo tre milioni a stagione per l’attrezzatura) è in fase calante. E con lui la notizia. Ma non bisogna disperare. Perché la vera essenza della notizia sportiva è ‘memento audere semper’. Ci sarà una fottuta azienda di sci che importerà da Zakopane un lavavetri polacco in grado di vincere uno slalom?

Purtroppo la notizia sportiva non può limitarsi a questi brevi appunti, che non fanno onore a tanti colleghi che si sacrificano e si sono sacrificati in tutto il mondo per un tozzo di panem nei circenses. Il loro lavoro, spesso d’equipe, sulla notizia ritornerà, perché sulla notizia un bravo giornalista ci ritorna sempre. Perché l’Italia è un Paese di ‘santi, poeti e navigatori’, ma soprattutto di sportivi.


Le rubriche: Vere e proprie istituzioni, molte rubriche sono il motore delle vendite, se non in alcuni casi l’unico motivo per acquistare il giornale. Per comodità d’esposizione le suddividiamo in sezioni.

a) pagine monotematiche: viaggi, salute, automobili. Contengono ‘redazionali’ (scritti pubblicitari caratterizzati da un riquadro e dalla scritta ‘spazio a pagamento’) e articoli del collega che cura la pagina (redazionali firmati). Si tratta di una produzione di grande impatto col pubblico, soprattutto quello delle aziende commerciali a cui vendere pubblicità.

b) lettere al direttore: chi si occupa di questa pagina, fondamentale per qualsiasi giornale, è quotidianamente a contatto con uno dei principali problemi di una società sempre più autistica, sempre più chiusa in se stessa: la grafomania. La grafomania è malattia poco nota, pericolosa e sottovalutata. Ha vari modi per manifestarsi (tra cui questo manuale): la comunicazione di massa consente oggi al malato di esprimersi non solo con romanzi o raccolte di poesie per l’editoria a pagamento, ma anche in forma epistolare.

E’ sorta dunque in questi anni una nuova figura professionale, che andrebbe inquadrata in modo da consentirne l’iscrizione a Inpgi e Casagit: è lo scrittore/la scrittrice di lettere al Direttore. Dopo studi approfonditi s’è appurato che ogni testata ha i suoi fedelissimi, capaci di discettare su qualsiasi argomento d’interesse pubblico e privato.

Il grafomane da giornale scopre solitamente il suo talento dopo una rissa col vigile urbano per una multa in plateale divieto di sosta. Non potendo pestare il vigile, abbandonato dagli amici al ventesimo resoconto (‘E io allora gli ho detto…e lui mi ha detto…ecc..’), scatena la sua rabbia in una breve letterina al quotidiano locale. Il testo vanta le uniche due qualità apprezzate in una lettera al direttore (non inizia con ‘il Vostro giornale di merda’ ed è, soprattutto, breve) e viene pubblicata.

Da quel momento il grafomane da giornale vive l’irripetibile esperienza della celebrità. A partire dall’edicolante, l’intero quartiere si congratula per prosa, contenuti e fermezza di carattere. Arriva inevitabile la frase che sigla la nascita ufficiale di questo insolito collaboratore (con minori pretese, se possibile, dei collaboratori ufficiali): ‘Sapessi scrivere come te, sai quante gliene canterei...’

E' la fine. Alla prima lettera segue la seconda, la terza, fino a raggiungere, in un paio di settimane, il ritmo di due scritti al giorno. Si spazia su tutto, dalle biotecnologie ai bottini della spazzatura, dalla presa di Porta Pia alla beatificazione di Padre Pio.

Data la mole di posta ricevuta, chi cura la rubrica archivia per argomento gli interventi dei grafomani al fine di utilizzarli ‘sulla notizia’. Ragazza stermina la famiglia? Nessun problema. Nell’archivio giacciono non pubblicate almeno un centinaio di lettere sulle questioni giovanili. Il Papa tuona contro l’aborto? Tra Papa e aborto si può disporre di almeno trecento interventi.

c) necrologi: sono la spina dorsale di un giornale e della città. Senza arrivare alla geniale pensata di una certa Viola Graves- che su un quotidiano pubblica ogni giorno foto e vita di illustri signori nessuno (lavoro massacrante che consiste nello spulciare l’anagrafe comunale e telefonare ai parenti per un’intervista sul caro estinto)- il semplice necrologio è la vera testimonianza di vita o, per meglio dire, dal necrologio si può desumere che ‘quello sì che sa vivere’.

Ogni giornale ha il suo stile. Trafiletto piccolo e sobrio, ma denso di titoli, onorificenze e cognomi altisonanti, come il Corriere (tanto più importante quanti più sono i richiami al de cuius). Arioso ma composto, come Repubblica. Con foto del morto da giovane in cappello d’alpino e faccia d’avvinazzato, come sul Gazzettino. Bilingue (Mandi Rosine –Tarcento/Tarcìnt), con foto strappata dal tesserino della pensione della scomparsa come sul Messaggero Veneto. Multireligioso e multietnico come a Trieste, crogiuolo di razze e di culture, ponte ideale tra est ed ovest, dove stelle di Davide, croci cattoliche, greco-ortodosse, serbo- ortodosse e cognomi impronunciabili creano un’atmosfera da Herald Tribune.

I necrologi sono le pagine imperdibili di qualsiasi quotidiano. Scappa un morto e si rischia, non solo la classica gaffe (‘Come va?’ ‘Non lo sai, è morto papà…’ e, a saperlo, si poteva tranquillamente cambiar strada ed evitare l’elenco delle atrocità a cui il defunto è stato sottoposto nelle ultime ore di vita), ma la perdita di fondamentali gossip cittadini. Dietro un semplice ‘tua Amalia’ c’è la conferma che il morto si scopava l’Amalia all’insaputa del marito della porcona.

Per non parlare delle ‘famiglie allargate’ che, con simpatico anticonformismo, rendono partecipe il mondo di tutti gli avvenimenti dell’entourage. ‘Emilio non c’è più. Ne dà il triste annuncio la madre con Ennio’ (e vai! La vecchia vedova s’è risistemata).

Segue: ‘Ciao papà Emilio. Andrea e Giorgio, con la mamma e Didi’ (quel troione allora sta proprio col Didi, per inciso carico di soldi). Indi: ‘A Emilio per sempre, le tue Vera e Pupi’ (e Vera si ritrova sola come un cane con una bambina di tre anni, senza la pensione, perché Emilio non l’ha sposata). Seguono analoghi gli intrecci di fratelli, nonni materni dei figli di primo e secondo letto e cognati più o meno acquisiti.

Anche i testi, forse proprio perché non scritti da giornalisti professionisti, sono gustosi, leggibili e talvolta sconfinano nel letterario. I più semplici si rifanno a Bibbia e Vangelo. I più frettolosi a stilemi classici come ‘dopo lunghe sofferenze si è spento’ o ‘si è ricongiunta al suo caro Alfredo’. Chi è cosciente di quanto costi un necrologio si limita allo stringato ‘E’ morto’, segue nome, cognome (forse), partecipano al lutto e data dei funerali.

I migliori coniano frasi tipo: ‘Padre e marito esemplare, grande lavoratore, ha raggiunto la Luce un uomo buono. Giuseppe (Pepi Lampadina, elettricista) non c’è più. Lo piangono sconsolati…’ seguono un’ottantina di nomi con tutte le qualifiche familiari e l’immancabile ringraziamento ‘a suor Maria che col suo conforto religioso ha rallegrato le sue ultime ore’ (15 parole a 5.000 lire l’una fanno 75.000 lire in più).

Per non sfigurare i parenti accendono anche un mutuo per acquistare un po’ di spazio bianco. Personalmente, da giornalista, opterei per un ‘Nulla gli fu risparmiato, né risparmiò mai nulla’, ma sono 8 parole, 40.000 lire, cifra eccessiva per i miei eredi.


Le fonti. Agenzie.

Un bravo giornalista, prima di passare la notizia, ha sempre l’accortezza e l’obbligo morale di verificarne la fonte. Quello di accedere a fonti certe e affidabili è infatti alla base di un lavoro accurato e coscienzioso. In tal senso, la prima fonte di un bravo giornalista sono le Agenzie.

Il lavoro delle Agenzie è un lavoro spesso sottovalutato dagli stessi fortunati redattori che ne fanno parte, ma è essenziale per la vita dell’informazione nazionale. Un bravo giornalista d’Agenzia è un mago della sbobinatura, un re del virgolettato, un puntiglioso cultore degli incisi (come ha detto, come ha sostenuto, come ricordato da…).

Non conosce l’uso del condizionale, ha dimenticato la propria identità e vanta capacità di sintesi simili a quelle dei matematici quando quantificano con una formula la massa dell’universo. Quanto più saprà essere preciso, tanto più la sua sigla (Slo/hr, Usa/GB, Ps/SS, ecc.) sarà apprezzata dai vertici dell’Agenzia, che ne tuteleranno l’occupazione nonostante gli inevitabili tagli dettati dall’unica vera esigenza dell’Agenzia, la sintesi. Dei costi.

I giornalisti delle Agenzie sono ovunque. Muniti di blocco d’appunti e registratore raccolgono i gemiti di politici, personalità della cultura, dello spettacolo, delle Chiese d’Oriente e Occidente, di forze dell’ordine e magistrati. Due secondi dopo sono in grado di comunicarli (i migliori grazie alla telepatia) alla redazione che in meno di un secondo li mette in rete, al fine di evitare che i giornalisti dell’Agenzia concorrente li battano sul tempo.

Il capo Agenzia ha il compito di essere su tutti i campi e stare su tutte le notizie, leggere quelle inviate dai redattori, eventualmente correggerle, apporre le sigle esatte, smistare i comunicati stampa e il lavoro, organizzare la settimana ed eventuali ferie, approvare le buste paga evitando gli oneri degli straordinari, scegliere le foto, rispondere al telefono, aprire la porta, chiudere le luci a sera e svuotare i cestini.

I redattori d’Agenzia devono seguire le conferenze stampa e fare domande, essere presenti allo sterminio di un’intera famiglia e contemporaneamente intervistare il giudice delle indagini preliminari, scrivere le notizie, aggiornarsi sulle notizie in rete, riassumere i comunicati stampa, telefonare a polizia, carabinieri e pompieri per eventuali incidenti, controllare la veridicità delle informazioni, condensare il tutto in massimo venti righe e fornire disponibilità ventiquattr’ore su ventiquattro, cercando se possibile di anticipare gli eventi. Ad aiutarli c’è solitamente un poligrafico, due nelle sedi principali, e i collaboratori.

Per fare il collaboratore d’Agenzia bisogna o essere miliardari di nascita o talmente orgogliosamente poveri da rifiutarsi di mendicare. Una notizia d’Agenzia viene infatti pagata dalle 5 alle 20 mila lire lorde. A fine mese un collaboratore molto, ma molto attivo riesce a guadagnare anche trecentomila lire, che finiscono per pesare sul bilancio dell’Agenzia, costretta a sua volta a tagli di personale, ferie, corte e poligrafici.

Se l’Agenzia infatti versa in uno stato di miseria cronica è talora dovuto al fatto che non è proprietà di un editore, ma di tutti gli editori, che nella struttura mettono in comune la loro endemica povertà.

Esistono comunque dubbi anche sulle capacità dei giornalisti di Agenzia di attingere direttamente alle fonti. Dal momento che il rapporto di uno a dieci a parità di notizie rispetto ai colleghi delle testate giornalistiche è incomprensibile, si sospetta che esista una Superagenzia che fornisca notizie direttamente dal cosmo. L’astronoma Margherita Hack ha recentemente individuato una Superansa al largo della costellazione di Orione che ritrasmette su onde medie a modulazione di frequenza quanto accade nell’Universo.

Una volta che la notizia d’Agenzia è arrivata sul tavolo della redazione è compito del giornalista farne l’uso migliore. Si può infatti inserirla col ‘copia incolla’ direttamente all’inizio del testo e affiancarle, sempre col ‘copia incolla’, qualche particolare desunto da un’altra Agenzia. L’operazione, detta ‘pastone’, garantisce l’immunità da querele, anche se si corre il rischio di leggere un articolo del tutto identico sul quotidiano concorrente.

A tal fine è molto importante invertire, col ‘taglia e incolla’, le frasi, partendo magari dalle conclusioni per arrivare al fatto. O aprire con una considerazione personale (dell’editore o del direttore). Gli scrupoli sono comunque eccessivi, dal momento che l’unica cosa che l’eventuale lettore avrà, forse, l’accortezza di leggere sarà il titolo.

Se non c’è la notizia d’Agenzia –concetto fondamentale- la notizia non esiste. Può succedere che un corrispondente sia a conoscenza dell’abbattimento di mille capi bovini affetti da afta epizootica. Afferma di essere sicuro del fatto dal momento che è sì giornalista per passione- stufo del mestiere impostogli dal padre, allevatore -,ma pure titolare della stalla sequestrata. Se non c’è sul posto l’Agenzia non credetegli. Dove c’è la notizia, c’è l’Agenzia. Se non c’è l’Agenzia, non c’è la notizia. Il corrispondente, nella migliore delle ipotesi, vuole recuperare trentamila lire lorde per arginare un danno di svariate centinaia di milioni.

E inoltre. Mettiamo esista anche la notizia d’Agenzia, ma non viene rilanciata dai Telegiornali. Che ve ne fate di una notizia di Agenzia, magari anche ricicciata dal corrispondente con succulenti particolari, se il giorno prima nessun telegiornale l’ha preannunciata?


Comunicati stampa

La seconda fonte della notizia sono i comunicati stampa. Si dividono per categorie:

a) Invito. Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti all’evento. Scivola di scrivania in scrivania per planare sul tavolo dell’ultimo arrivato che dovrà seguirlo per poi, se va bene, ridurlo a una brevina.

b) Invito con allegato. Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti all’evento cui segue pranzo/cena/ spettacolo, preferibilmente per due persone. Il primo che lo trova è suo. Se buffet o spettacolo risultano graditi ci scappa, al limite, una pagina.

c) Comunicato stampa istituzionale. Il comunicato stampa istituzionale inizia col virgolettato di quanto affermato dall’istituzione di turno e termina, qualche volta, con la notizia. Il bravo giornalista aspetta il rilancio d’agenzia e in tal caso opera di conseguenza, con un’intervista all’istituzione asserente e a quella concorrente.

d) Comunicato stampa alternativo. Il comunicato stampa alternativo è caratterizzato dalla sua corposità. Si tratta infatti di un fax di dieci agili cartelle in cui l’estensore mette a fuoco, con incredibile capacità di sintesi, tutto ciò che pensa sull’universo. Dopo un breve preambolo –in cui vengono riassunti i presupposti filosofici da Platone a Bertinotti- e un lieve excursus sul tema (il mercato globale delle multinazionali nella società europea postcapitalista e in particolare in quella della provincia di Parma) si arriva alle iniziative sviluppate dalla circoscrizione di viale Garibaldi per ostacolare lo sfruttamento degli extracomunitari nel prosciuttificio di via Guastalla.

Solitamente si tratta di un segnale forte- che anticipa una manifestazione di massa a cui sono intenzionate ad aderire le organizzazioni di volontariato e della società civile- per le trentacinque ore e, già che ci siamo, la solita liberazione di Ocalan. 

Segue elenco delle adesioni e, soprattutto, venti telefonate degli organizzatori per verificare se il messaggio è arrivato e se il giornalista è intenzionato a presenziare. Si consiglia di rispondere in modo affermativo a qualsiasi domanda e archiviare. Tanto qualsiasi cosa si scriva sarà, nella migliore delle ipotesi, riduttiva, quando non un boicottaggio, rispetto alle attese degli organizzatori.

e) Comunicato stampa economico. Trattasi di sintesi dei miracoli mensili dell’azienda in questione che ha registrato un +22% del fatturato rispetto allo stesso mese dell’anno precedente con un incremento del 125,36% delle vendite, pari a un 7,5% di redditività complessiva nel bimestre in corso. Da tenere da parte per il mese successivo, quando toccherà annunciare il fallimento dell’impresa in questione.

f) Comunicato stampa via mail: di solito è un articolo già scritto da un addetto stampa, che in realtà è un giornalista professionista disoccupato e sa cosa serve a un giornalista per fare una notizia: che il testo sia compatibile col programma di videoscrittura della testata, onde evitare di ribattere le accentate e le virgolette.

g) Mattinale. I mattinali, tra tutti i comunicati stampa, sono la vera croce dei giornalisti. Spesso contengono la notizia, ma sempre non riescono a fornire una base utile per svilupparla.

‘Oggi, alle ore 15 e 27 la pattuglia di PS in perlustrazione della zona tra viale Zara e Via Pola ha individuato un individuo che a bordo di un’Alfa truccata blu tagliava la strada a una Polo targata Ancona metallizzata virgola a bordo della quale c’erano i pregiudicati Vito Bucicco, di anni 37 di Palmi, e Antonio ‘Nino’ Capuavetere, anni 46 di Capuavetere ma residente nel capolugo, che scendevano e consegnavano all’individuo, individuato come tale Vojslav Musurowskij, detto Il Pope, anni 26 di Varsavia ma residente in via del Lago 4, una borsa contenente 50 chilogrammi di eroina pura Punto il Musurowskij bloccato dopo breve inseguimento e portato alla caserma di PS veniva identificato come amico di Magda Dal Monon, attualmente in carcere per spaccio internazionale di stupefacenti dall’Italia alla Colombia e prostituzione Punto l’inchiesta è stata affidata alla magistratura Punto a capo alle 16 e 25 M.D., anni 17, ha scippato la borsetta della signora Maria Venzi, anni 68, contenente la carta d’identità e 30.000 lire, in banconote due da diecimila una da cinquemila tre da mille e il resto in monete virgola lo zingarello è stato prontamente fermato e arrestato dalla volante’.

Solitamente il bravo giornalista schizza alla parola ‘zingarello’ e approfondisce, fornendo dati utili a ricordare che la percentuale di zingarelli in carcere in Italia è superiore al numero di parole contenute nello Zingarelli. Il riserbo della magistratura invece impedirà per mesi di fare chiarezza sul sibillino Mattinale e capire che la Dal Monon era in realtà la finanziatrice occulta, in tutti i sensi e in tutti i settori, del vicesindaco.


Giornali, radio e televisione

La terza fonte della notizia sono i giornali e i telegiornali. Succede infatti che, per strane circostanze astrali, un quotidiano o un Tg abbiano notizie in esclusiva. Di solito accade quando una personalità di spicco nella politica o nella cultura è strettamente imparentata con un giornalista che necessita di un riconoscimento professionale. 

Siccome la famiglia è la base della società, il personaggio in questione si sacrifica per il consanguineo e si tiene fuori circolazione per uno o due giorni, in modo da permettere al parente di fare il così detto scoop.

E’ sicuramente un’operazione rischiosa. Può succedere, infatti, che le testate concorrenti decidano che l’onta subita è troppo grave per non venir lavata col sangue e snobbino la notizia. Quest’ultima finirà per essere un apostrofo rosa tra un’agenzia e l’altra, dimenticata nello spazio di un mattino, ma ben presente nelle coscienze dei capo redattori delle testate concorrenti. Personaggio e parente giornalista godranno per mesi di pessima fama negli ambienti dell’informazione, saranno nel mirino dei media e solo condotte assolutamente irreprensibili li salveranno dal linciaggio morale.

Accade inoltre che una testata inizi autonomamente una polemica. L’editorialista di turno ad esempio, al termine di una rissa con un vigile urbano, decide che è arrivato il momento di disarmare il corpo togliendogli il libretto delle multe. 

La questione privata finisce sulla prima pagina di un quotidiano nazionale e scatena un putiferio, dividendo la categoria. Da un lato appaiono editorialisti che collaborano con testate collocate in zone prive di parcheggi (anche abusivi), dall’altro firme di risonanza nazionale che abitano nell’appartamento sopra la redazione o hanno infilato nel contratto personalizzato il ‘rimborso taxi’.

A peggiorare la situazione c’è l’inevitabile schieramento politico che porta ad ulteriori suddivisioni tra coloro che vorrebbero i vigili senza libretto delle multe, ma con la pistola, quelli che li vorrebbero solo col libretto o solo con la pistola. Il caso finisce inevitabilmente in talk show e diventa notizia. Si suppone che gli storici del XXX secolo faranno fatica a ricostruire pedissequamente il fatto e difficilmente riusciranno, se non con sofisticate tecniche di psicoingegneria molecolare, a risalire alle motivazioni dell’Ur-editorialista.

Un ultimo caso di giornale- fonte riguarda le interrogazioni e interpellanze parlamentari. Perseguitato a casa, sul lavoro, sul cellulare da un conoscente, il giornalista si rassegna a proporre alla redazione, quasi in lacrime, un servizio- denuncia di malversazioni sugli anziani nella casa di riposo in cui il suo persecutore lavora.

Spiega ai colleghi che da quando l’amico ha deciso di raccontare tutto, a casa sua non si vive più. La moglie se ne vuole andare, i figli lo evitano e persino il cane, svegliato nel cuore della notte dalle telefonate pressanti dell’informatore, è sull’orlo di una crisi di nervi. Il capo redattore (in tempi molto remoti era stato giornalista anche lui), mosso a compassione, gli consente una trentina di righe, che il giornalista consegna a tempo record, non senza aver tranquillizzato l’amico con un ‘esce domani’.

Non sa, l’incauto, che la persona in questione è in diretto contatto con un politico (altrettanto perseguitato), che viene immediatamente aggiornato del fatto. Per salvarsi a sua volta, il politico in questione dà ordine di copiare l’articolo e presentare interrogazione al Ministro della Sanità e il giorno successivo tutti i giornali (in mancanza di meglio e, soprattutto, se quel giorno più di un vecchio s’è suicidato) denunciano lo sfruttamento degli anziani nelle case di riposo.

Non va dimenticato, inoltre, che l’informazione è fonte primaria di notizie per quelle testate che operano al motto di ‘ci torniamo domani’. ‘Ci torniamo domani (metti intanto nelle brevi)’ è frase che segna un grande passo avanti nella cultura giornalistica.

Significa disprezzo per lo scoopismo e volontà di approfondimento. Purtroppo accade con una certa frequenza che giornalisti malfidi il giorno successivo, invece che ampliare il campo della ricerca, s’approprino del lavoro altrui scopiazzando. La cosa non è bella e l’Ordine dei giornalisti, quando lo viene a sapere, piange molto.


Internet

Con l’avvento della rete il mondo dell’informazione ha subito un importante cambiamento. La comparsa di dattilografi/e con contratto da metalmeccanico ha segnato la nascita di nuove figure professionali –note come ‘fantasmi del video’- capaci di comporre, per dodici ore sigillati in una stanza con la sola compagnia di una tastiera, vere e proprie opere d’ingegno collettivo a costo quasi zero. Le e-fanzine, gli e-magazine, le e-agenzie sono una vera pacchia per chi opera in qualsiasi testata giornalistica, fonte inesauribile di informazioni e di spunti creativi.

Come tutti sanno, infatti, esistono stagioni dell’anno in cui né in Italia, né nel mondo accade nulla. Si tratta di Natale- Capodanno, Pasqua e Ferragosto (in senso ampio). In questi drammatici periodi le notizie scompaiono e gran parte delle redazioni sono costrette a mettersi in ferie. Chi resta, sacrificando il pranzo in famiglia del 25 dicembre per quattro denari (conquistati con mesi di dure lotte balcaniche tra colleghi), una volta esauriti i riti popolari, le messe e i morti sulle strade è costretto a ricorrere ai collaboratori e pubblicare articoli fermi in redazione da almeno sei mesi. Eppure anche ciò non basta a riempire un giornale o un telegiornale.

Da un paio d’anni Internet ha risolto tutti i problemi posti dalle festività. Mentre a Pasquetta i colleghi oziano con la famiglia nei prati di periferia, il bravo giornalista, navigando, scopre l’esistenza di un sito interamente dedicato alle uova sode (
www.uovosodo.it), con ampio spazio per la lettura divinatoria dei gusci rotti, per maschere di bellezza a base di tuorli e un test a sfondo erotico (‘Di chi sono questi due begli ovetti?’ e foto di maggiorate). Copia, incolla e sbatte il sito in prima pagina, avendo cura di stigmatizzare il ‘fondo a cui siamo arrivati’.

Ma il bello della rete non finisce qui. Una società come quella attuale, sempre più timorosa del rapporto diretto e soprattutto afflitta da collezionismo monomaniacale, può disporre di un buon numero di ‘signori nessuno’ che condividono passioni attraverso Internet. Facciamo finta, ad esempio, che esista un esperto in lingue slave costretto, per lavoro, a tradurre quotidianamente la stampa dei Balcani.

E facciamo finta che questo signore da anni rigiri le proprie traduzione in un sito Internet che, casualmente, chiameremo
www.est.org/balcani (il nome sembra più vero di uovosodo). Facciamo finta che per caso, naviga che ti naviga, uno o due giornalisti incappino in quel sito e scoprano, ad esempio, tutte le traduzioni di cinque anni di articoli serbi dedicati al caso (ovviamente fittizio) della Telekom Serbija acquistata dagli italiani.

La casualità porta sempre consiglio e così, magari, prende spunto, con cinque anni di ritardo, anche dall’Italia, una simpatica inchiesta sui beneficiari dei soldi italiani investiti nelle telecomunicazioni serbe. Tra siti pedofili, siti negazionisti e, modestamente, Il barbiere della sera Internet è comunque una fonte inesauribile di notizie.


Conferenza stampa

La conferenza stampa è, dopo le cavallette, settima, e il rinnovo del contratto, ottava, la nona piaga dei giornalisti. S’ignora cosa spinga chicchessia a preferire la formula della conferenza a quella più agevole del comunicato. Tanto non c’è differenza, anche se il risultato al termine della conferenza è nettamente inferiore. 

L’unica cosa che spinge un giornalista a presenziare a una conferenza stampa, oltre agli ordini di servizio, è la possibilità di trovare gadget o, al limite, di rimediare un bloc notes e una penna. Se il gadget è un portachiavi (come nel 99% dei casi) comunque il cronista sarà insoddisfatto del proprio lavoro e lo manifesterà apertamente nel proprio pezzo.

Una conferenza stampa si compone di quattro fasi.

1) Atrio della sala stampa in attesa dei relatori.
I colleghi si scambiano informazioni su cosa avrebbero potuto fare di più e di meglio invece di attendere uno, nella migliore delle ipotesi, più, in caso di catastrofe, persone che ‘tanto si sa già cosa hanno da dire’. I cineoperatori bivaccano ai lati appoggiati mollemente ai treppiedi, scambiandosi eloquenti occhiate ogni qualvolta il ‘proprio’ giornalista apre bocca.

Dopo una vita dedicata all’arte visiva i cineoperatori conoscono solo il linguaggio degli occhi. Palpebre chiuse: ‘adesso comincia’. Doppio battito di palpebra: ‘te l’avevo detto… ascoltalo e sappimi dire’. Occhi al cielo: ‘non lo ferma più nessuno’. Occhi al cielo, sospiro e cenno del capo verso il collega dell’emittente concorrente: ‘cazzi tuoi…chi è quel cretino che gli dà spago?’ Occhi al cielo e scassata di testa: ‘te l’avevo detto che il mio è peggio del tuo…’.

A salvare la situazione squilla il primo cellulare. E’ la redazione con nuove indicazioni (o un amico che viene fatto passare per redattore capo, in modo da consentire un briciolo di professionalità). 

I cellulari squillano ininterrottamente. Chi non viene chiamato cerca di darsi un contegno. I maschi decantano le meraviglie dell’ultima macchina comprata a rate, le donne si guardano con odio, studiando domande sempre più difficili e complicate per far fare brutta figura alla collega.

Con un buon margine di ritardo, mentre ormai l’addetto stampa ha esaurito tutte le sue cartucce (‘Hai scritto un pezzo meraviglioso’, ‘Ti dovevo richiamare per dirti una cosa che forse ti interessa…’, ‘Dio mio, ma cosa hai fatto, sembri più giovane di vent’anni?’, ‘Non ti hanno dato, la cartella? Scusami, arrivo subito…’, ecc.), arriva o arrivano i relatori.

2) Blocco totale sulla porta, per assecondare le necessità delle televisioni. I cineoperatori imbracciano le telecamere, i giornalisti televisivi e radiofonici i microfoni, gli altri si uniscono al gruppo con registratore o blocco d’appunti, così ‘magari si va via prima’ (non si sa mai si riesca anche a fare la spesa prima di rientrare in redazione). L’intervistato ripete in viva voce quanto già scritto nel comunicato d’invito alla conferenza e quindi, chi vuole, può entrare in sala.

3) L’intervistato ripete in viva voce quanto già scritto nel comunicato d’invito alla conferenza. Se aggiunge ‘Sarò breve’, i giornalisti seduti vicino alla porta (solitamente quelli con maggiore anzianità di servizio e posto fisso) guadagnano l’uscita con la scusa di una sigaretta. 

Nelle prime file siedono nell’ordine: i parenti, gli amici, eventuali dipendenti, giornalisti neoassumibili, giornaliste. Carrellata dei cineoperatori sulla segretaria del relatore che prende appunti e su due cronisti che si stanno scambiando l’indirizzo del rivenditore di auto. Al termine della conferenza segue imbarazzante pausa, preceduta dalla fatidica frase: ‘Ci sono domande?’

4) Purtroppo sì.
C’è sempre qualcuno, nel variopinto mondo del giornalismo, che non ha ancora capito che se i relatori hanno qualcosa da dire di veramente interessante non lo diranno mai pubblicamente e, soprattutto, non lo diranno a tutti, ma solo a chi fa loro comodo. 

E che, per quanto la domanda possa essere intelligente e articolata, dopo un’ora di sala stampa, privi d’aria e frastornati di parole, i colleghi sognano solo di riconquistare la libertà.

Finite le domande l’addetto stampa autorizza l’uscita, stringe le mani di tutti (con le solite mezze frasi: ‘Mi raccomando…’, ‘Ci conto…’, ecc.) e lancia occhiate allusive a coloro che, sopravvissuti alla noia, hanno a disposizione quella mezz’ora, privata, per porre domande serie al/ai relatori. O saluta chi, con la scusa del ritardo, si beccherà l’intervista in esclusiva.


Interviste

L’intervista, come fonte di notizia, è quanto di più arduo esista nel giornalismo. Prevede infatti l’esistenza di due soggetti, oltre all’intervistato (che si presuppone debba aver qualcosa da dire) l’intervistatore ossia il giornalista. 

E’, in pratica, una forma particolare di seduta psicoanalitica per cui valgono le stesse regole in uso in terapia. Assecondando la propria indole e in particolare quella del direttore, il giornalista potrà adottare tecniche freudiane, junghiane o lacaniane. Esistono poi due varianti metodologiche di stampo esoterico, non codificate dalla medicina ufficiale: il marzullismo e il biagismo.

Tecnica freudiana. Ciò che interessa all’intervistatore freudiano è il ‘surrealismo psicologico’. L’intervistato viene lasciato libero di rivolgere la mente dove vuole, senza obbligatoriamente mettere in ordine nelle sue idee, senza legarle logicamente tra loro. 

All’inizio è naturale che vi siano esitazioni o silenzi, perché il soggetto intervistato lotta tra ciò che gli passa per la testa e l’immagine che vorrebbe dare di sé. Bisogna si renda conto che l’intervistatore è del tutto neutro, che non si meraviglia mai di ciò che ascolta perché tutto è per lui normale.

L’intervistatore freudiano dunque non pone domande. Apre il registratore e prende appunti, interrompendo il monologo dell’intervistato solo in caso di discorsi assolutamente incomprensibili o per incensare l’interlocutore. 

Spesso pensa ai fatti propri, quando non si assopisce. Qualunque cosa gli dica l’intervistato mantiene l’aria di chi ‘lo sa già’. Quando l’intervistato proclama ‘e questo è tutto’, magari aggiungendo ‘per oggi’, chiude taccuino e registratore, ringrazia e se ne va.

A questo punto il suo lavoro si fa veramente duro. In primo luogo perché l’intervistatore nel 90% dei casi non riesce a capire che cavolo ha scritto negli appunti ed è quindi costretto a sbobinarsi la cassetta. Poi perché scopre che l’intervistato non ha detto nulla, ma proprio nulla, di quanto non si sapesse già.

E al quel punto è tardi per porgli domande. Raccatta dunque alla bell’e meglio i passaggi che gli sembrano più significativi, li riordina sulla base di domandine semplici (soggetto, predicato e complemento oggetto) e consegna l’intervista al capo redattore, che si congratula per l’equilibrio del lavoro svolto.

E’ la tecnica in voga nel giornalismo parlamentare o, più in generale, in quello di testate locali, dove s’intervistano solo gli amici dell’editore.

Tecnica junghiana. S’inserisce in quella corrente di pensiero caratterizzata dal ritorno al soggetto e tende a ricollocare nella persona il momento primo della sua alienazione sociale e il suo possibile recupero. 

L’intervistatore junghiano intende fondare nell’uomo le radici affettive di una nuova immagine di sé che superi il limite della particolarità egoica per abbracciare il divenire storico e sociale dell’umanità.

In tal senso l’intervistatore porrà domande della durata di venti minuti, in cui ripercorrere, a partire da Adamo e Eva, l’intera storia dell’umanità in tutte le sue sfaccettature. L’intervistato ha di fronte due sole possibilità: affermare o negare. Ma di solito s’è già addormentato.

La tecnica junghiana, molto in voga tra i giornalisti rampanti, porta a conclusioni sorprendenti. Inseguendo il proprio ragionamento e le proprie conoscenze, sfiancando magari l’avversario, pardon l’intervistato, il giornalista junghiano è capace di far ammettere a Berlusconi o a Andreotti di aver avuto contatti con la mafia.

Quando l’intervista diventa pubblica (ci vogliono un paio di giorni, perché è difficile sintetizzare le domande e trasferire parte del proprio discorso all’interlocutore, che magari ha solo annuito con un cenno del capo) l’intervistato s’incavola di brutto, nega tutto e sporge querela. La causa si trascinerà per anni nei tribunali anche perché i magistrati faticano a sbobinare il tutto senza andare in catalessi.

Tecnica lacaniana: quello che conta è come l’intervistato parla, non cosa dice. Pertanto il tempo dell’intervista può durare pochi secondi o in eterno visto che ciò che interessa all’intervistatore è il ritmo entro il percorso dei significanti. 

E’ la tipica tecnica da talk show televisivo, dove la mimica spesso assume più importanza dei contenuti (inesprimibili dal momento che ci sono almeno una decina di ospiti da intervistare). Si tratta d’interviste che si possono seguire anche senza audio e che servono all’intervistato per dire ‘Hai visto, da Costanzo c’ero anch’io…’.

Tecnica marzulliana: si rifà al nome del suo fondatore, Gigi Marzullo, che, secondo alcune scuole di pensiero, l’ha desunta direttamente dai telegiornali locali e dai quesiti dell’orale agli esami di giornalismo.

Consiste nel porre domande talmente semplici da indurre l’interlocutore a credere che si tratti di alta filosofia. Spiazzato, l’intervistato cercherà di dimostrarsi all’altezza della situazione, fornendo risposte che superano ogni limite del grottesco. Il risultato è lo straniamento totale di fruitori e attori, raggiungibile in altri settori solo dagli esperti di Sufi.

Tecnica biagiana: pochissimi in Italia sono in grado di applicare le tecniche biagiane. Solo Enzo Biagi, Bruno Vespa e Enzo Bettiza. Eppure si tratta di un lavoro elementare: basta trovare una casa editrice disposta a pubblicarti 52 libri all’anno e recuperare 52 personaggi importanti disposti a raccontarsi. 

Dal momento che il biagismo è in voga da decenni, fatto un rapido calcolo, 52 (i libri) x 10 (gli anni, in difetto) x 3 (gli autori) si superano abbondantemente le 1500 persone intervistate. Al momento attuale il mercato è ovviamente saturo.

Per quel che riguarda l’impostazione delle domande vale nel giornalismo la ‘regola delle 3 C’: domande compiacenti, compiaciute e ‘culo’. In quest’ultimo caso intese come dettate dalla fortuna (si chiede e nella risposta c’è quanto nessuno avrebbe mai osato chiedere), più spesso suggerite dall’ultimo tratto dell’intestino.


Gli informatori

Ogni bravo giornalista ha i suoi informatori. I giornalisti delle testate politiche ne hanno talmente tanti (tutti i politici, gli iscritti e i simpatizzanti del partito) che la notte s’addormentano sognandosi paparazzi di Novella Duemila all’inseguimento di Mara Venier in topless.

Gli informatori, nella vita di tutti i giorni, sembrano persone normali. In realtà da ragazzi divoravano spy story e, una volta cresciuti e diventati amici di un giornalista, non lo mollano più. 

Per riconoscere un informatore basta attendere che ti contatti con la tipica espressione gergale ‘Qua te lo dico e te lo nego’. Il giorno seguente ti consegnerà un baule di carte al motto di ‘Io non ne so nulla’.

Si suggerisce di fotocopiare via via che dalla lettura dei dossier emergono particolari interessanti. Fare fotocopie alla fine equivale a perdere materiale prezioso, fotocopiare tutto a perdere tempo. Non fotocopiare proprio è da idioti, perché poi non c’è nulla da consegnare al giudice quando, inevitabile, arriverà l’ora del giudizio.

L’informatore infatti è un pericoloso individuo che gode nel mettere nelle rogne i giornalisti. Come replicante conosce cose che gli umani non potrebbero nemmeno immaginare, ma ben se ne guarda dall’apparire, avendo trovato un gonzo che lo fa di mestiere.

Un bravo informatore è anche un abile comunicatore. Butta con nonchalance frasi tipo ‘So come incastrarlo’ o ‘Io ho visto le carte’ per solleticare l’ormai spenta curiosità del giornalista. Fornisce a pizzichi e mozzichi concetti che lasciano intendere, senza equivoco alcuno, che è a conoscenza dei fatti più e meglio di chi li ha compiuti. 

Stuzzica le più basse fantasie del cronista che, al suono delle sue parole, già si vede vincitore del Pulitzer. Sa motivare come nessun direttore è in grado di fare.

E quando il pollo è cotto lo abbandona per sempre al suo destino, senza nemmeno salutarlo quando l’incontra per strada. Questi informatori non costano nulla solo in apparenza. Le loro notizie, tra avvocati e carte bollate, raggiungono cifre stroboscopiche.

Più onesti gli informatori esteri, soprattutto se appartenenti ai paesi in ‘via di sviluppo’. Essendo già stipendiati dai regimi si accontentano di briciole di valuta straniera e, in alcuni casi, uniscono l’utile al dilettevole, rallegrando piacevolmente le notti trascorse lontani da casa e focolare domestico.

Gli informatori cresciuti secondo i dettami della ‘scuola di Mosca’ sono cortesi, poliglotti e colti. Se non in casi eccezionali (tipo presupponenza e ostinazione nel voler verificare di persona la fonte), non si corrono rischi, né si fatica troppo. In aggiunta lasciano libero il giornalista di fare ciò che vuole della notizia venduta: tanto è comunque, sempre e solo una palla madornale.


Il giornalismo su campo

Capita, per fortuna sempre più di rado, che il giornalista fornisca notizie di prima mano raccolte su campo. Questa pessima abitudine, che in passato esponeva la categoria a rischi anche vitali (il minore era l’alcolismo e il tabagismo cronico, nonché il ripudio di moglie e persino madre), è oggi saggiamente ostacolata dall’impossibilità dell’ubiquità.

Se uno infatti deve trascorrere la sua giornata lavorativa al desk a guardare le agenzie, fare pastoni e passare i pezzi altrui, non può essere contemporaneamente sul luogo del delitto. 

E, mettiamo anche ci sia, non ha più quella forma mentis che un tempo l’avrebbe portato, una volta individuato l’assassino tra la folla, a tampinarlo per un mese senza conoscere né sonno né fame, in piena complicità tra inseguito e inseguitore. Torna tranquillamente in redazione e attende che, prima o poi, la polizia invii il suo mattinale (o che telefoni la segretaria del magistrato per ‘un aperitivo’).

Se poi si tratta di un collaboratore che, non avendo un posto di lavoro, girovaga alla ricerca disperata di notizie, è necessario porre molta attenzione: solitamente sono persone infide, apparentemente disinteressate agli spiccioli che elemosinano, ma capaci di piantarti una causa per assunzione quando meno te l’aspetti. Meglio mantenere prudenza, in fondo di una mancata notizia non è mai morto nessuno e ci si può sempre ritornare in seguito.

Anche per quel che riguarda le inchieste molto è cambiato rispetto al passato. Oggi si può contare sul valido aiuto dell’Istat e soprattutto dei sondaggi. Grazie ai sondaggi è possibile avere il polso della situazione e conoscere in anticipo gli interessi dei lettori.

Ad esempio, se un’azienda di sondaggi fornisce i dati sul consumo di prosciutto o mortadella in Italia è ovvio che gli italiani (e non solo la multinazionale di salumi che l’ha commissionata) non desiderano altro che sapere se fan parte di quella fetta di popolazione, di destra, che si strafà di crudo o di quell’altra, di sinistra, storicamente fedele alla mortadella.

L’intervento di un bravo psicologo- che spiega che il Parma e il San Daniele in parte della popolazione rappresentano la virilità e quindi incentivano stereotipi machisti, mentre i pistacchi e le bolle di grasso nella mortadella richiamano a un ritorno all’utero materno e quindi al partito in senso leninista- farà piazza pulita di tante dicerie sul consumo degli insaccati in epoca moderna. Fatto che consente a tutti di dormire tra due fette di guanciale.

I tempi di Mario Soldati sono lontani e anche la cucina non necessita più di prese dirette. Al limite, se proprio si vuol essere alternativi, basta consultare i sondaggi sull’inarrestabile ascesa della macrobiotica e sul tracollo Mib della fiorentina.

Dicevamo che può comunque succedere che, per congiunzioni astrali particolarmente sfavorevoli, un giornalista si trovi proprio sulla notizia. Se non è fortemente disturbato, se la nonna non lo picchiava da piccolo, se non sta maniacalmente pensando al suicidio seguirà il suo istinto e s’unirà al branco. Dei giornalisti.

Il branco dei giornalisti sulla notizia, come recentemente ricordato in una trasmissione di Piero Angela, ricorda molto il comportamento delle antilopi nella savana. All’apparire dell’avvocato della difesa gli corrono tutti incontro. 

Sbatte una porta, esce dall’altra parte quello dell’accusa, e il branco inverte la rotta. Si sente il ruggito del magistrato e le bestiole, stordite, cercano di sfidare il leone, mentre nel contempo la leonessa, madre dell’accusato, spalanca le fauci a nuove dichiarazioni.

Più in là, protetta dall’oscurità dei corridoi del palazzo di giustizia, siede una giovane donna vestita di nero. Un’antilope stanca la raggiunge per condividere la panca e fumare una sigaretta. 

Lascia il branco e trova lo scoop. E’ una parente della vittima, presente in aula: ricorda parola per parola non solo le requisitorie, ma anche tutte le testimonianze. Elenca le prove. Consegna quanto può. Il giornalista uscito dal branco, con lo scoop in tasca, se ne va rallegrandosi con se stesso per non aver mai smesso di fumare...


I mezzi d’informazione.

Cos’è e come si fa un giornale

Un giornale è un’opera d’ingegno collettivo che ha nel direttore colui che s’assume l’onere di esserne autore e nell’editore l’uomo che si fa carico del rischio di creare e vendere il prodotto. Questa è la risposta giusta da dare all’orale dell’esame di giornalismo. Riduttiva come ogni risposta da manuale. Un giornale può infatti essere molto di più.

In caso di trasloco, ad esempio, con cosa riempireste gli scatoloni del vasellame, se non con carta di giornale? Cosa fornite al pittore che vi chiede qualcosa per proteggere il pavimento? 

E vi siete mai domandati perché i vetri delle case e delle auto americane brillano più di quelli nostrani? Hanno l’Herald Tribune, prodotto con un tipo di carta che non graffia e assorbe perfettamente l’umidità, lasciando le superfici libere da acqua e detersivi.

Avete mai visto la casa di una comunista? La si riconosce dalle tracce di colore sui vetri lasciate da Liberazione o dalla nuova Unità. Volete uova fresche dal contadino? Un bel cartoccio con le copertine di Espresso o Panorama e ogni singolo ovetto avvolto in carta di quotidiano permettono di non fare la frittata anzi tempo.

Si tratta, ovviamente, della fine ultima di un giornale che, come opera d’ingegno collettivo, viene sfruttata come un tempo si faceva col maiale. Prima di raggiungere l’edicola, infatti, un giornale serve a vivacizzare le notti degli insonni nelle rassegne stampa televisive. 

E’ poi una simpatica abitudine mattutina che consente di affrontare la giornata: un caffè e una brioche al bar, se accompagnate dalla distratta lettura del quotidiano, ammazzano la solitudine di fronte ‘a un nuovo giorno’ (Gigi Marzullo).

Messi assieme tanti giornali, il peso della borsa del burocrate si riequilibra, scongiurando il mal di schiena sempre in agguato. Un giornale (solitamente sempre lo stesso) serve sempre, più di un Pin, di un tatuaggio, di un piercing a identificare un adolescente con velleità intellettuali.

E il vecchio pensionato, senza un’opera d’ingegno collettivo, non solo non potrebbe rendersi conto di essere un sopravvissuto (uno sguardo ai necrologi), ma non prenderebbe mai coscienza di essere un peso sociale (l’altro alle cronache). 

Per non parlare di chi a metà giornata cerca di programmare la serata tra cinema e televisione. L’opera d’ingegno collettivo insomma è parte integrante della vita degli italiani.

Avete mai visto una casalinga sbucciare patate su un telegiornale? Caso mai segue un Tg, gettando le bucce sul giornale. Siete ecologisti? Un giornale si ricicla sempre, un Tg solo in tarda serata.

Questa premessa lascerebbe intendere che i giornali non li legge nessuno. Il che non è vero. I giornali si leggono. O, almeno, chi non li fa li legge e chi li fa legge quelli degli altri, ma non il proprio (niente è più teneramente patetico del collega della tua stessa testata che, citandosi, spera di trovare conferma di quanto ha scritto, niente è più oscenamente ruffiano dell’elogio del collega della testata concorrente che ha letto quanto hai scritto).

Prendiamo dunque in mano il prodotto dell’ingegno collettivo. Ha un nome, detto testata, una gerenza (ossia un riquadro da cui desumere chi è il proprietario, chi dirige quel blocco di pagine e dove è situato e, di solito, chi sono i kapò), una sua specificità fisica che lo rende oggetto più o meno gradevole, detta formato, e una sua struttura peculiare, detta impostazione grafica.

Il nome può essere accompagnato da banner pubblicitari che trasformano appena impercettibilmente la testata. Il quotidiano ‘Libero’ ad esempio è noto come ‘Infostrada- Libero- Infostrada’, la nuova Unità come ‘Telecom- L’Unità- Telecom’. E’ una formula innovativa che porterà sicuramente a sviluppi imprevedibili, salvo restando che ‘La Stampa’, per motivi di dignità, non si chiamerà mai ‘Fiat- La Stampa- Fiat’. Sarebbe banale e l’Avvocato è un editore di classe.

Esistono poi settimanali che, al nome della testata uniscono una foto, a garanzia del marchio. Diffidate dunque da periodici che si chiamano ‘Panorama’ o ‘Espresso’ se in copertina non c’è né una tetta, né un culo o da ‘Oggi’, ‘Gente’ e ‘Chi’ se non appare un Savoia o un Grimaldi o un Carrisi. Si tratta di imitazioni.

Poco pubblicizzate, ma molto vendute, sono anche alcune minuscole testate, spesso edite in provincia. Si tratta di prodotti di ingegno collettivo in tutti i sensi, con ampi servizi su ammucchiate o rapporti interpersonali e di gruppo (non editoriale). 

La loro esistenza, se fa piangere la Federcasalinghe, risolleva comunque da sempre le sorti dell’editoria italiana e, talvolta, anche quelle di qualche giornalista che, sotto pseudonimo, recupera quanto sottrattogli dall’ultimo contratto firmato dalla FNSI.

In ogni caso la testata è il marchio che garantisce la qualità del prodotto editoriale. Lo si capisce se il cellophan in cui è incartato il giornale fissa il gadget almeno sotto il titolo d’apertura. 

Se il gadget però è un pacco di croccantini per gatto, bisogna fidarsi e comprare il giornale a scatola chiusa. Cd, Cd- rom e videocassette rimangono gadget ideali perché poco ingombranti. Un’automobile sarebbe il regalo più gradito, ma pare che alla proposta si siano opposte sia le concessionarie, che l’associazione edicolanti (e poi costa troppo incellophanarla). Hanno una discreta tiratura le borse per la spesa firmate e gli articoli da spiaggia gonfiabili.

Il Sole 24 Ore ha poi ideato gli inserti speciali che sono in pratica dei giornali gadget allegati, nel loro bravo cellophan, al giornale principale. Compri un quotidiano e ne porti via anche due o tre, tutti rigorosamente sigillati. Separare la carta dalla plastica richiede tempo, ma trattandosi del principale quotidiano economico nazionale ogni azienda di un certo rilievo ha provveduto ad assumere un extracomunitario addetto alla preparazione alla lettura.

Più agile invece l’acquisto degli altri giornali, anche se gli edicolanti infilano al posto del settimanale allegato al quotidiano nazionale il fascicolo Guida alle meraviglie d’Italia di quello locale o viceversa.

Grazie a queste iniziative, comunque, non c’è famiglia italiana che non abbia almeno un opuscolo sull’Abruzzo, Basilicata e Campania, anche se va ricordato che la Regione Valle d’Aosta è fortemente penalizzata, incominciando per V. In tal senso s’è mossa anche la FNSI, invitando gli editori a produrre guide e manuali partendo dalla zeta.

La FIEG ha assicurato interventi immediati sulla mobilità alfabetica in cambio della disponibilità globale alla mobilità giornalistica. L’argomento verrà discusso in una delle prossime riunioni all’Hotel Ergife -i cui dipendenti hanno annunciato una mobilitazione nel caso si ripresentassero i giornalisti.

Formato tabloid o lenzuolo, pagine tante o poche, un giornale si caratterizza, oltre che per la testata, per l’impostazione grafica, ossia la disposizione dei ‘moduli’, unità di misura della pagina. 

I moduli, per i collaboratori, vengono tradotti in ‘righe’. I collaboratori affermati e professionali non discutono nemmeno più sull’argomento, ma contrattano direttamente le cifre. ‘120 per 60? Ok?’ I più anziani continuano con le cartelle (‘2 o 3 cartelle?’), i giovanissimi stanno sulle battute (‘Van bene 18.000? Sennò 7.200?’).

A un’ora non meglio precisata (se lo fosse, al giornale non ci sarebbe nessuno) si convoca la riunione di redazione. E’ un rito che risale ai tempi della Santa Inquisizione e che a suo tempo portò all’eresia albigese e catara. 

Il direttore convoca i capo redattori e i giornalisti presenti (o almeno quelli che non sono riusciti a sigillarsi negli angusti spazi dell’erogatrice del caffè) e getta le basi per il numero a venire.

Esteri? Risponde il responsabile :‘Arresto di Milosevic. Richiamo in prima, 120 per 60, più boxino, foto e spalla’. ‘Perfetto’. Ma si pone subito un problema: la manchette. Se la spalla è un articolo che, messo in alto a destra, ha una sua valenza, la manchette ne ha di più perché è un annuncio a pagamento.

Quindi o si elimina la spalla o la manchette o la foto o si arriva a 60 per 60 (misure che, per un pastone- ossia il copia incolla di tutte le agenzie soprattutto in un momento definito ‘storico per la democrazia europea’- sono veramente scarse) o si getta il boxino, che però è essenziale, anche perché già preannunciato dalle agenzie. 

La discussione solitamente si fa violenta, ma alla fine vince lo spazio pubblicitario, anche perché se la notizia c’è sempre, lo sponsor va e viene.

Se i giornalisti sono psicofisicamente pronti alla riunione di redazione (ossia si sono già autosedati con Lexotan, il più amato dalla categoria, Valium e sette tipi diversi di prodotti omeopatici o fiori di Bach) la seduta scivola liscia tra righe, cartelle e battute. Può succedere, però, che qualcuno abbia saltato l’incontro col terapeuta e senta il bisogno di sfogarsi.

Oppure che sia presente un neoassumibile, magari ambizioso. La riunione di redazione, in questo caso, assume connotati da thrilling. Lo sfasato o l’ambizioso spostano la conversazione sui contenuti, risvegliando il basso istinto giornalistico sedato da ogni serio professionista.

Spiazzano il direttore (che è diventato tale perché da decenni evita le notizie, conoscendone tutte le insidie), dribblano la segretaria di redazione (che è tale perché da anni si occupa delle notizie), fottono i colleghi (che sono così perché tra ‘sapere evitare’ e ‘sapere e evitare’ c’è di mezzo il mare) e si rifilano il più bell’autogol della storia di ‘Quelli che…’.

Dopo un’ora di stressante dibattito vincono la partita. Si beccano (oltre la maledizione eterna dei colleghi evergreen) il richiamo in prima, 18.000 battute, boxino, foto e fondo e neanche uno spazio pubblicitario, come richiesto. 

Corrono a disegnare la pagina e contattano le più belle firme del paese. Selezionano foto, recuperando capacità estetiche dimenticate dai tempi del liceo, e titolano con arguzia. 

Un attimo prima di passare la pagina apprendono, con stupore, che, per necessità dettate da quel prodotto d’ingegno collettivo che è un giornale, si dovranno far carico di una manchette nuova di zecca, che non può stare da nessun’altra parte.

C’è chi si mette in malattia per sei mesi e chi ritorna al Valium. I neoassumibili capiscono che non c’è speranza, si tingono la faccia col lucido da scarpe e chiedono un posto come extracomunitari all’azienda che ha comprato lo spazio sottratto alle notizie.

Proviamo ora a sfogliare un giornale. La prima cosa che balza agli occhi sono i titoli, per definizione una sintesi che precede ed evidenzia la notizia. Nella parte alta abbiamo l’occhiello, summa delle circostanze del fatto, segue il titolo vero e proprio e quindi un sommario, che sintetizza la notizia.

Questa struttura permette ai lettori, se i titoli sono ben fatti, di non leggere l’articolo senza ledere il diritto ad essere informati. Esistono addirittura giornali dove, una volta fatto il titolo, si chiude la redazione e tutti sono liberi di andare a casa (si tratta di quotidiani, spesso politici, che escono in un’unica copia ad uso e consumo delle rassegne stampa televisive). Un buon titolo è garanzia di rilancio di una notizia, che non necessariamente deve avere, come già detto, qualità particolari.

E’ chiaro dunque che si tratta di mettere in gioco tutta la creatività, la cultura e la fantasia dei giornalisti, evitando banalità, luoghi comuni e frasi fatte. Ma è la capacità di sintesi la principale dote di un buon giornalista alle prese coi titoli. E un bravo giornalista la manifesta sin dall’inizio, quando chiede al collega di raccontargli a grandi linee che cavolo ha scritto, in modo da metterlo nel titolo.

Facciamo finta che Massimo D’Alema, rischiando il tutto per tutto, si candidi solo per il maggioritario, evitando seggi ‘paracadute’ nel proporzionale e sostenendo che è ora di finirla con le spartizioni. E facciamo finta che Veltroni non sia d’accordo.

Un titolo classico potrebbe essere “D’Alema: ‘Basta con le spartizioni’” oppure “Basta con le spartizioni dice D’Alema” o ancora “Le spartizioni? Stop di D’Alema”. Segue sommario classico: “Veltroni: Scelta individuale, non può essere regola” oppure “Scelta individuale, non può essere regola, dice Veltroni” ossia (discorsivo) “Per Veltroni una scelta individuale non può essere una regola”. 

Precede occhiello classico: “Il presidente dei Ds rifiuta il ripescaggio in Parlamento col proporzionale e mette in imbarazzo la Quercia” oppure “ In imbarazzo la Quercia per il rifiuto del presidente dei Ds del ripescaggio in Parlamento col proporzionale” o “Nessun ripescaggio col proporzionale in Parlamento per il Presidente dei Ds. Imbarazzo nella Quercia”.

Capita che qualcuno, per eccesso di zelo creativo, titoli “La Quercia rifiuta le proporzioni del ripescaggio in Parlamento e mette in imbarazzo il presidente dei Ds. Basta con D’Alema dicono le spartizioni. Per una scelta individuale Veltroni non può essere una regola”, ma in tal caso ha tre ore di tempo per rivolgersi alla Fnsi e ottenere il permesso di pagarsi un avvocato.

E’ chiaro che la creatività deve porsi dei limiti, ma, dal momento che il giornalismo è il mondo del possibile, non è strettamente necessario che tutte le testate titolino come i principali quotidiani nazionali. In questo caso esistono spunti spiritosi che permettono varianti interessanti.

Prendete ad esempio la parola ‘seggi paracadute’: “D’Alema in caduta libera” è un ottimo titolo per qualsiasi giornale non desideri altro che vederlo sfracellarsi al suolo ancor prima delle elezioni. Oppure ‘ripescaggio’: a un bravo giornalista verranno subito in mente le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei voti, intesi come pesci.

Da uno spunto così dotto- niente niente- nasce anche un editoriale o un fondo (commento ai fatti più o meno firmato) o un corsivo (solitamente presentato in rassegna stampa come ‘corsivo corrosivo’, micidiale nota polemica in cui un giornalista, solitamente considerato arguto, anzi il più arguto –per la stampa post comunista Il Migliore ossia il lider maximo del partito -, stigmatizza la situazione).

Abbiamo già accennato al fatto che non tutti i giornalisti possono aspirare a diventare editorialisti o corsivisti. Bisogna avere doti particolari che non si apprendono neanche in quarant’anni di onesta professione. 

In linea di massima un direttore è sempre un ottimo editorialista, anche se gli unici pezzi pubblicati sono quelli di saluto e di commiato dai lettori ad ogni cambio di testata.

Scrivono splendidi fondi i professori universitari di ruolo (possibilmente con una casa editrice alle spalle, di cui sono anche consulenti) e tutti i segretari di partito, ma il meglio viene dai corsivisti corrosivi professionisti.

Si sconsiglia, a chiunque intenda intraprendere la professione giornalistica, di affrontare la dura strada del corsivista. Si tratta di un lavoro che solo apparentemente si limita alla stesura di un vibrante fondello sulla degenerazione dei costumi, sulle linee di tendenza del baratro in cui sta precipitando il paese (in discesa verso destra, centro, sinistra, a seconda delle testate) e sulla rinascita di qualche mostro del passato.

La giornata del corsivista inizia all’alba, con un intervento radiofonico di presentazione e commento delle prime pagine dei giornali a cui seguono le registrazioni (mattutine) dei talk show in onda la sera.

Per evitare di perdere tempo negli studios, di solito i corsivisti escono di casa alle sei truccati di tutto punto -tanto che nei quartieri di residenza circolano voci molto discutibili sulle loro abitudini sessuali.

Nel primo pomeriggio raggiungono il camerino nella redazione del giornale dove si fanno raccontare dall’estetista le ultime novità, sfogliano la posta, dettano le risposte, imbastiscono l’editoriale del giorno e ricevono il direttore e l’editore (di solito al momento della manicure). Neanche il tempo di un caffè e sono di nuovo in pista per presentare l’ultimo libro (loro o altrui) e firmare autografi.

Nella breve pausa che precede la soirèe, rientrano in redazione e stilano di gran carriera un vibrante fondello sulla degenerazione dei costumi e sulle linee di tendenza del baratro in cui, ecc., mentre il barbiere e l’estetista provvedono a rivitalizzare il look, ustionandosi col riflesso della lampada al quarzo. 

Fino alle due o alle tre del mattino l’editorialista è presente a cene, spettacoli, serate per pochi, contati e contanti intimi. Come fa? Secondo i maligni si fa. Ma in modo assolutamente legale, sniffandosi ogni ora un’ascella.

Oltre ai titoli e all’editoriale, un giornale di solito contiene anche articoli (scritti frutto dell’ingegno individuale messo a disposizione del prodotto collettivo) e servizi (indagini esaustive di un argomento o, quanto meno, di tutti i dati dell’ultimo sondaggio sull’argomento). 

Può ospitare pure note politiche (una bella velina arrivata fresca fresca al direttore da Montecitorio sul senso della giornata politica), resoconti (la cronologia degli eventi prodotta dalle agenzie) e persino pallini, ossia notizie senza titolo messe lì per caso soprattutto se si è sbagliato a disegnare la pagina (attività che consiste nel tematizzare i moduli, ordinare misure diverse per argomenti simili).

La pagina di cultura, un tempo la ‘terza’, si apre con un elzeviro ossia un testo incomprensibile che spieghi ai lettori che, per quanti sforzi facciano, per quanto tentino di studiare, leggere e documentarsi scienza e arte sono pane per pochi eletti. A ricordare inoltre che la cultura è un genere in via d’estinzione, tutelato dal WWF, subentrano i coccodrilli.

Quotidianamente gli archivi dei giornali, infatti, si liberano di articoli scritti decenni prima, in occasione delle prime avvisaglie del male incurabile che crudelmente finisce col tempo per sottrarre alla comunità bravi pittori di 96 anni, indimenticabili scrittori di 94 anni, insostituibili registi e attori di 89 anni. Senza lasciare al mondo eredi degni di cotanto cognome.

Ogni coccodrillo ha una sua storia, ignorata dai lettori. Verso i cinquant’anni –minimo quarant’anni fa- il grande dell’arte comincia ad accusare vaghi disturbi. Circolano così le prime voci che lo danno per perso. Esce dalla clinica –prima disintossicazione- più giovane, più bello e più creativo che pria e così il primo coccodrillo viene consegnato all’archivista. Fungerà da base per il grande coccodrillo finale.

Al ritmo delle entrate e uscite dalle cliniche verrà aggiornato con nuove opere o interpretazioni, con nuovi matrimoni o figli. Foglio sbiadito nella parte iniziale, battuta con la Lettera 24, cui sono stati aggiunti nuovi fogli stampati a computer, con vistose macchie di muffa, tra le bestemmie delle tastieriste, verrà ribattuto integralmente e firmato dal cronista di turno al momento dell’arrivo della notizia d’agenzia.

L’artista sarà pianto dal mondo intero. I dieci giornalisti che negli anni hanno contribuito a magnificarlo in punto di morte non verranno nemmeno menzionati. Sic transit gloria mundi.


Le fotografie

 In un giornale le fotografie hanno grande spazio. Nei settimanali sono addirittura la componente primaria. Non è un caso, dunque, che anche i fotografi sostengano l’esame professionale con prove analoghe a quelle dei giornalisti, nonostante più di qualcuno incontri difficoltà nella stesura di quello che sarà l’unico articolo di una vita ‘letteraria’ limitata a didascalie e fatture (se dal caso).

Come tutti i giornalisti sanno, le foto si dividono in due categorie, quelle in formato orizzontale e quelle in formato verticale, e solitamente servono a riempire uno spazio se ‘salta’ un articolo. Ci s’accorge dell’uso- tappabuchi della foto soprattutto quando è quadrata e collima perfettamente con le dimensioni della/e colonna/e: significa che mancano alcuni moduli e il tempo per riempirli.

La vita di fotografi e giornalisti ha in comune solo la necessità di finire il lavoro prima possibile. Per il resto le due categorie vivono un’incomunicabilità totale, determinata dal fatto che i primi, fisiologicamente e fisicamente sempre presenti quando c’è un evento, sono solitamente incapaci di metterlo per iscritto e costringono il giornalista a un duro lavoro di ricostruzione.

Se il fotografo, oltre a scattare le foto, si preoccupasse di raccogliere dichiarazioni o informazioni, prendendo anche qualche appunto, il giornalista apprezzerebbe sicuramente di più il lavoro del collega.

Mettiamo ci sia una conferenza stampa, cui il giornalista è impossibilitato a partecipare. Forte del comunicato (vedi capitolo precedente), telefona al fotografo e gli intima di recarsi alle ore 11 in via Roma 26 II piano. Il fotografo esegue. Arrivato all’ora esatta nel luogo concordato, s’infila nella prima porta a destra dove fotografa Mario Rossi mentre l’amico Giovanni Bianchi provvede ad affettarlo con un’accetta.

Il fotoreporter prosegue il giro pianificato e continua a seguire le indicazioni che gli giungono dalla redazione (manifestazione, presentazione di un libro, maltempo, incidente d’auto…) e, nel tardo pomeriggio, consegna al giornalista la foto scattata in via Roma 26 al II piano. Il collega della carta stampata, l’acqua alla gola perché in chiusura, chiede la foto del sindaco durante la conferenza stampa in via Roma 26, II piano, porta a sinistra.

Tra giornalista e fotografo scoppia immancabile una rissa, che si placa solo con l’arrivo di un mattinale della Questura che annuncia l’avvenuto squartamento di Mario Rossi, in via Roma 26 II piano, attorno alle 11 (come da perizia legale) ad opera d’ignoti.

A questo punto si pone un duplice problema, che appiana ogni questione precedente. Il primo riguarda la foto del sindaco e si risolve riesumando e ritoccando quella del giorno precedente. Il secondo l’articolo sul delitto.

Invano il giornalista (e poi l’inquirente) riuscirà a strappare al fotografo una frase che non sia: ‘Quello che so’ è tutto lì nella foto’. Foto che, per inciso, è già stata sequestrata dalla magistratura...

Su queste premesse è ovvio che le due categorie fatichino a capirsi. Nel passato le pellicole 6x6 della Rolleiflex fornivano automaticamente foto quadrate, buone per tutte le occasioni. Oggi bisogna quadrare l’inquadratura col rischio, nelle foto di gruppo, di lasciare- per rispetto della simmetria- due mezze teste ai lati di ogni immagine.

Oppure si finisce per ricorrere a ingrandimenti che, supersgranati, danno dei protagonisti delle vicende un’immagine straniante. Sempre le esigenze di spazio, inoltre, riducono le foto a francobollini incollati quasi casualmente a fianco del titolo, fattore per nulla apprezzato dall’autore, che magari ha perso un’ora ad attendere la luce giusta o a studiare atmosfere e prospettive.

A difesa del giornalista va detto che, sovente, di fotografia capisce poco, se ne interessa ancora meno e, soprattutto, se potesse scegliere da solo il fotoreporter di suo gradimento si rivolgerebbe alla Magnum e non a Toni Cartòn.

Il rapporto tra giornalista e fotografo finisce per essere un monologo in cui il primo, oltre a indicare un luogo e un’ora, specifica il formato geometrico di foto richiesta. Se è una nave è inevitabilmente verticale (e il fotografo s’appiattisce sulla banchina, riprendendo la prua da terra e ottenendo un terrificante effetto Titanic), se è un faro orizzontale (e il fotografo o noleggia una barca e, munito di teleobbiettivi, si fa arrestare per spionaggio in acque extraterritoriali o propina una ‘veduta’ di alberi tra cui spicca il bianco di un ‘tronco’ in cemento).

A difesa del fotografo va detto che non pone mai domande, forse perché intuisce che gli interlocutori non fanno parte dello staff della Magnum.

Ogni foto pubblicata pone comunque problemi di didascalia. Non è colpa del giornalista se, una volta decifrati i geroglifici dei fotografi sul retro dell’immagine, capita che un articolo sulla manipolazione genetica dei suini sia corredato dalla foto di due belle porcone ritratte in una discoteca di Rimini.

Riportare il testo della ‘dida’ proposto dal fotografo significa rischiare otto capi d’imputazione diversi (compreso quello di violenza aggravata alla lingua italiana) e il povero giornalista è costretto a rifarsi alla domanda posta all’operatore al momento di commissionare il lavoro: ‘Modifiche da laboratorio sulle scrofe della Romagna’.

In effetti le due fanciulle sembrano, a partire dalle labbra fino ai glutei, uno spot pubblicitario di Silicon Valley. E, in ogni caso, se il giornalista dovesse anche guardare e valutare le foto che mette in pagina, le sei ore e trentasei minuti previste dal contratto non basterebbero nemmeno per selezionare la foto di copertina...

Oltre al fotografo o ai fotografi, da tempo i giornali hanno scoperto le arti figurative attraverso i vignettisti. Dicasi vignettista un editorialista che usa la penna per disegnare un commento a una notizia invece di scriverlo. 

Per definizione il vignettista è ‘salace’, così come l’editorialista è ‘arguto’. La salacità del vignettista viene spiegata, con la stessa pazienza a suo tempo usata dal Maestro Manzi, dai commentatori delle rassegne stampa televisive. Suona più o meno così (testo fantastenografico):

‘…(risatina). Ed ecco qui in prima la vignetta di…(risatina)…Presidente televisore… Come sempre spiritosissima…c’è lui (indicazione) che dice a lei (indicazione e risatina), mentre sono in salotto e guardano la televisione…(risatina)…questa volta…scusate (risatina)…questa volta è un presidente… sì, un presidente televisore…(risatina)…si riferiscono (risatina) a Berlusconi che si vede disegnato qui (indicazione) e che ricorderete che tempo fa si è definito presidente operaio, mentre in questo caso è presidente televisore, perché è disegnato nella televisione… (risatina)…si ricollega, in modo molto spiritoso, alle attuali polemiche sulla Rai che appaiono sui titoli di tutti i quotidiani nazionali. Molto divertente, passiamo a…’.

L’Italia è un paese dove la satira è molto apprezzata ed è soprattutto libera e liberalizzata. Lo dimostra il numero di quotidiani, settimanali e telegiornali in circolazione. Le vignette sono solo un’aggiunta a quanto di naturalmente spassoso può uscire dai computer dei giornalisti. La loro funzione viene dunque naturalmente ricondotta, quand’è possibile, a quella che nella società civile ha una barzelletta raccontata ridendo, possibilmente dopo aver anticipato il finale.

Lo stesso lettore –in virtù del grande rispetto che il nostro Paese porta per le arti figurative- fatica a trattenere il riso (indipendentemente dallo schieramento politico d’appartenenza) di fronte a una falce e martello sul colbacco di Veltroni disegnata –uno a caso- da Forattini.

Ogni vignettista vanta una cifra stilistica che lo rende facilmente riconoscibile: a Forattini vengono bene le falci e i martelli, ad Altan gli ombrelli, a Elle Kappa gli omini adiposi e a Vauro tutto, basta lo paghino quanto pattuito e presto.

A lustri alterni i vignettisti vengono riuniti in branco per dar vita a quella che in gergo giornalistico si chiama ‘la rinascita della satira’ ossia la pubblicazione di un settimanale di satira. Il settimanale di satira è un periodico, nel senso che dura quel che dura, cioè un periodo, lo spazio di tempo che serve per accumulare querele, perdere le cause e fallire.

In gergo si parla di ‘morte della satira’, curioso fenomeno a cui segue dibattito. Di solito a morire e rinascere è la satira di sinistra, mentre quella di destra vanta una certa stabilità, forse perché protagonisti e lettori prediligono l’umorismo genuino, quello del Bagaglino e delle barzellette. 

Barcamenandosi tra periodi morti e di vita, i vignettisti riescono a condurre un’esistenza dignitosa, pur essendo odiati da tutti (tranne che da Andreotti, l’unico in Italia ad aver capito che, se ne parli bene, se ne parli male, l’importante è che se ne parli).

In passato il lavoro del vignettista era facilitato dai retaggi bellici. Cresciuti senza vitamine, i politici della Prima Repubblica erano inevitabilmente brutti e quindi non era difficile caricare i difetti fisici: alcuni erano gobbi, altri grassi, ma i più bassi e pelati.

Con il boom economico e il benessere diffuso l’Italia ha prodotto solo politici bellocci (si pensi a Casini, a Fini, alla Melandri, a D’Alema, alla Mussolini) o, al limite, bruttini, ma in piena forma fisica (vedi Veltroni o Bossi).

Di bassi spelati non ce ne sono quasi più ed è quindi ovvio che il vignettista, nel caso ne trovasse uno, si scateni. Solo così si spiega l’accanimento terapeutico di alcuni cartoonist nei confronti del presidente di Forza Italia, onorevole Silvio Berlusconi, ingiustamente considerato principale oggetto di satira, come fosse l’unico politico del Paese a dire cose divertenti. Se Francesco Rutelli fosse nano e pelato godrebbe sicuramente di maggiore popolarità, soprattutto quando ruba le battute di Berlusconi.

A conclusione di questo lungo capitolo sulla carta stampata va ricordato il pezzo che è la spina dorsale di un qualunque giornale: lo scoop.


Lo scoop è il sogno di ogni giornalista, quella notizia unica che hai solo tu e che, una volta di dominio pubblico, è destinata a capovolgere le sorti dell’umanità. 

Lo scoop è come una vergine da amare e accarezzare con la consapevolezza che stai plasmando la più bella donna del mondo, tua e solo tua per sempre. Quelli dell’ambiente sanno che un giornalista in possesso di uno scoop è riconoscibile da alcuni indizi, come le mogli quando sospettano che il marito abbia un’altra donna.

Chiedete alle portinerie dei quotidiani. Lo scoopista un giorno si presenta in redazione in ore antelucane –qualcuno persino alle 10 e mezza del mattino. E’ di ottimo umore e persino saluta. Prima di sedersi alla scrivania controlla che non ci sia nessuno e che non esistano cimici, poi chiude la porta.

Apre con fare circospetto il computer e provvede a cambiare la password, trovandone una difficilissima tipo ax67bzh19. La scrive su un bigliettino che nasconde in un luogo impossibile (la pila di carte sul tavolo), quindi scrive su un altro foglietto il posto (mettendo il foglietto nell’ultimo cassetto della scrivania, quello dove di solito giacciono i pacchetti di sigarette vuoti quando il cestino è stracolmo) e su un terzo biglietto, da tenere in tasca, segna l’ultimo punto della mappa.

Finalmente apre un file a cui assegna un nome neutro che non desti l’interesse di nessun collega (evita cioè parole come ‘rimborsi’, nomi femminili e persino riferimenti al lotto, superenalotto, automobili e squadre di calcio). 

Scollegato il computer dalla rete (la segnalazione del ‘guasto’ avverrà a scoop consumato), comincia finalmente a scrivere. Il giorno precedente, nel corso di una cena, il giornalista in questione ha incontrato una persona in vena di confidenze.

Con la classica tecnica dell’entraineuse l’ha ubriacata ed è riuscito a farsi consegnare carte che tutti cercano invano. Ha alle spalle una notte insonne, ha letto tutto e nascosto i documenti nel posto più sicuro di casa, quello dove nemmeno i figli vanno a ficcare il naso (la libreria). Lavora su materiale mandato a memoria fino all’arrivo dei colleghi.

Verso mezzogiorno e mezza-l’una esce da una porta laterale, rientra in redazione (approfittando di un’assenza del portiere) e si scusa per il ritardo. I colleghi, appena arrivati, intuiscono subito che ha uno scoop, ma abbozzano. Da quel momento infatti lo scoopista diventa un giornalista modello, disponibile a farsi carico di tutto il lavoro di redazione e anche di più.

Ogni tanto esce, raggiunge l’altro capo della città e, da un telefono di un bar di periferia, approfondisce la sua inchiesta. Torna in redazione, impasta agenzie, sbobina interviste, impagina, titola…Ogni volta che apre il computer si posiziona in modo che nessuno possa capire cosa sta scrivendo.

E’ una posa curiosa e molto plastica, detta 90 gradi, abbastanza frequente nell’ambiente giornalistico. Il busto fa da scudo al video, l’apertura alare protegge le carte sul tavolo da sguardi indiscreti. Guai a prendere lo scoopista di sorpresa alle spalle. Si volta di scatto a braccia alzate proteggendo il computer col proprio corpo.

Chi ha uno scoop sa che il primo nemico da cui difendersi è il collega del proprio giornale, capace di ogni iniquità pur di farsi bello agli occhi del direttore. Quando squilla il telefono il possessore di scoop assume il tipico atteggiamento del marito infedele.

Bisbiglia, sussurra, alza la voce all’improvviso su argomenti di scarso interesse, ulula particolari di nessuna importanza, per poi accucciarsi sulla cornetta in tipica posizione trentacinque del Kamasutra.

A giornale chiuso lo scoopista rimane al suo posto, per poter scrivere in santa pace. Dopo tre giorni di questa vita non ne può più. Cominciano le confidenze, previo giuramento di segretezza. I portieri vengono presi d’assalto dai colleghi, curiosi di sapere a che ora lo scoopista è entrato e uscito.

Le donne delle pulizie vengono invitate a fare il loro lavoro fino in fondo e nell’arco di poche ore tutto il giornale è a conoscenza dei minimi dettagli di uno scoop che rimane tale solo per le altre testate. La situazione è inevitabilmente precipitata e il giornalista è costretto a condividere coi capi quanto in suo possesso. Si verificano le seguenti possibilità:

a) Lo scoop è arrivato al redattore capo. Quest’ultimo comunicherà al direttore di aver indicato al suo collaboratore una pista e i modi per seguirla. Nonostante si tratti di ‘quello che è’, il giornalista in questione ha fatto un buon lavoro, che andrebbe premiato almeno con un richiamo in prima.

b) Lo scoop è arrivato al vicedirettore. Tenuto presente che il redattore capo è ‘quello che è’, che se si aspetta lui ‘campa cavallo’ e che il giornalista in questione da tempo meriterebbe maggior riconoscimento, il lavoro è buono e andrebbe premiato con l’apertura della prima.

c) Lo scoop è arrivato al direttore. Tenuto presente che a partire dal vicedirettore per arrivare al redattore capo se ‘non ci fossi io qui potremmo chiudere’, il direttore gratifica il giornalista con un ‘bravo, adesso sentiamo cosa dice l’editore’.

In questo caso le possibilità sono due:

a) ‘Non se ne parla nemmeno’ e lo scoop finisce nella migliore delle ipotesi in un colonnino di venti righe tra i necrologi e le ‘offerte di manodopera’. Lo scoopista viene trasferito alla ‘Provincia’, se non si suicida prima o se il suo medico non provvede ai sei mesi canonici per esaurimento nervoso.

b) ‘Eccezionale’ e lo scoop apre la prima pagina, con un editoriale del direttore e richiamo al pezzo del collaboratore. Per due settimane il direttore non passa nemmeno per la redazione, troppo impegnato in dibattiti televisivi: e questo è un bel vantaggio. L’unico vantaggio di uno scoop.


Cos’è e come si fa un telegiornale

Gran parte di quanto scritto per i giornali (compreso lo jus primae noctis del direttore in caso di scoop) vale per i telegiornali, informazioni veicolate dall’etere in ore precise della giornata.

Con una differenza sostanziale: il giornalista televisivo mette in gioco non solo la propria professionalità, ma anche voce e volto. Deve inoltre sapersi destreggiare con le immagini, fattore che lo lega indissolubilmente al cineoperatore e al montatore e, non ultimo, al regista.

Più del giornale, dunque, un telegiornale è opera d’ingegno collettivo, frutto del contributo di tanti misconosciuti operatori dell’informazione il cui lavoro appare defilato, ma non per questo meno importante. A questi militi ignoti dedichiamo minuscole schede affinché almeno i posteri non dimentichino contributi preziosi per la crescita democratica del nostro Paese.

-Il regista: si tratta, almeno in Rai, di un programmista regista se non quotato, sicuramente ‘in quota’. Il suo compito è quello di segnalare all’operatore che non è il caso d’insistere con la telecamera sul giornalista mentre non va in onda il filmato, perché sennò tutto finisce a Blob, Striscia la Notizia o a ‘Mai dire…’.

Per una sostituzione alla regia di telegiornale, un programmista regista è disposto a cedere al collega tre giorni di ferie, l’intera opera di Proust rilegata in pelle umana e persino il manoscritto, con dedica personale al nonno, dell’ultimo intervento di Freud al Convegno di psichiatria di Vienna prima della fuga a Londra.

A differenza del giornalista, infatti, il programmista regista ha come minimo una laurea e alcune specializzazioni, che purtroppo non contemplano mai le tecniche di messa in onda di un tg.

-Il cineoperatore: abbiamo già accennato ai rapporti tra cineoperatori e giornalisti. I primi sono l’alternativa televisiva ai fotografi, con il compito aggiuntivo di riprendere il microfono e la mano del giornalista, mettendo in evidenza la sigla della testata d’appartenenza (lavoro particolarmente arduo in caso di assiepamento).

Ciò rende molto intimi i legami tra le due categorie, al punto che spesso il giornalista è portato a considerare il cineoperatore un suo stretto collaboratore e gli consente di passare a prendere, con l’auto (solitamente i cineoperatori sono anche autisti eccellenti), i figli a scuola.

Il cineoperatore, al pari del fotografo, è caratterizzato dall’assenza di emozioni di fronte a una notizia, trovando molto più eccitante riprendere un disastro ferroviario dall’alto seduto sui ‘pattini’ di un elicottero, possibilmente senza imbragatura, o un cecchino mentre mira dalla finestra della casa di fronte.

In guerra, il cineoperatore finirà inevitabilmente per ostinarsi a cercare un filmato dei soldati dell’Uck in azione, perdendo magari la cassetta con l’intervista al generale italiano nel blindato della Nato.

  Tutto ciò, ovviamente, complica il lavoro dei giornalisti, a scapito del prodotto finale, il telegiornale, che richiederebbe soluzioni più semplici. Di giorno lo sfondo della via principale della città da cui ci si collega con le auto, di notte lo sfondo della stessa via con i fari delle auto.

-Il ‘montatore’: si tratta della categoria più bistrattata di lavoratori, dopo gli extracomunitari. L’operatore in sala di montaggio è considerato una specie di ‘barra degli strumenti- voce copia incolla’ della televisione. In alcune emittenti ha risolto il suo problema (totale assenza di partecipazione al prodotto d’ingegno collettivo) staccando all’ora del pranzo, non un secondo di più, e al termine dell’orario previsto.

Quando viene mandato in onda un servizio monco del finale gli esperti conoscono con precisione l’ora in cui è stato concluso, che coincide con quella d’apertura della mensa. Esistono peraltro ‘montatori’ d’indiscutibile capacità che, di nascosto, imitano la voce del giornalista, modificando i testi, pur di salvare la dignità della testata.

-L’archivista: è il depositario, più sovente la depositaria, dell’archivio immagini. Può trovare tutto e di tutto nello spazio di pochi minuti. Sciopero degli autobus? L’archivista provvede a fornire decine di immagini di repertorio. 

Sta al giornalista capire che è quanto meno singolare mettere in onda a luglio –prima notizia il caldo killer che stermina il paese- le immagini di nugoli di donne in visone, montone o lapin in vana attesa alla fermata dei mezzi pubblici.

-La truccatrice: è la più diretta collaboratrice del giornalista, purtroppo presente solo nelle redazioni principali e a disposizione dei big. La migliore è stata contattata dagli Studios di Hollywood e rischia una nomination per gli effetti speciali al prossimo Oscar.

Si tratta della truccatrice di Bruno Vespa che, con un colpo di genio, ha capito che era necessario spostare i nei del celebre giornalista- anchorman a sinistra o a destra del volto, a seconda dell’interlocutore. Conscia che nulla avrebbe potuto fare per rendere bello Vespa, la signora in questione, Silvia B., ispirata da una trasmissione del noto conduttore, ha cominciato ricreando e coprendo nevi, cisti e polipi come guidata da una bacchetta sulla carta geografica d’Italia.

I primi lusinghieri risultati (al posto del ponte sullo Stretto ha costruito una mini costellazione che accerchia l’orbita destra con un gradevole effetto laser, al posto del traforo del Frejus una serie di polipetti sul naso con effetto piercing) l’hanno spinta a trattamenti sempre più osè, tanto che lo stesso Vespa fatica a riconoscere nel monitor il Vespa che intervista Berlusconi e il Vespa che intervista D’Alema.

Postilla: a livello di televisioni private locali è possibile che queste figure si riassumano in una sola, quella del giornalista. In tal caso ciò non incide sulla retribuzione, solitamente considerata ‘collaborazione saltuaria e non continuativa’.

A differenza dei giornali, uscendo in tempo reale e non il giorno seguente, i telegiornali possono contare su una rete di notizie di pubblico interesse che fungono da scaletta fissa e agevolano il lavoro del conduttore.

La prima è il meteo. Capita infatti che, a furia di rincoglionirsi davanti alla televisione, alla gente sfugga quanto accade fuori casa. Comunicare che sta piovendo da due giorni (emergenza maltempo) o che l’afa sta facendo strage di pensionati (il famoso caldo killer, sponsor l’Inps) ha una valenza di largo respiro sociale. In tal senso il telegiornale, sostituendo anche la finestra di casa, diventa una vera e propria finestra sul mondo.

Esaurita la lettura delle notizie pubblicate dai quotidiani del giorno (scritte il giorno precedente) e quella delle notizie d’agenzia, il giornalista televisivo può spaziare liberamente su temi di pubblica utilità- ossia salute, traffico, religione e, soprattutto, sport- che trovano sempre troppo poco spazio sulla carta stampata e che si prestano a servizi anche visivamente interessanti.

Nessun fotografo, per quanto bravo; nessuna penna, per quanto celestiale, riuscirà a rendere le emozioni di un gol accompagnato da lancio di lacrimogeni o di una rovesciata di sinistro, con sfondo di ultras che caricano la polizia in assetto antisommossa, schiacciando una ventina di minori sulle reti di protezione.

Nessun cronista, per quanto cruento, potrà rendere a computer la drammaticità di un Tir ridotto alle dimensioni di scatoletta Simmenthal (carne inclusa) spiaccicato sulla A117.

Nessun giornalista, religioso e pio collaboratore di fiducia dell’Osservatore Romano, riuscirà a coinvolgere nella sacralità dei riti prenatalizi o pentecostali gli ascoltatori come può fare un giornalista delle redazioni periferiche dei tg di un paese notoriamente laico e repubblicano come l’Italia.

Nessun Medico senza frontiere riuscirà infine ad allarmare gli afghani sulla diffusione del tifo petecchiale nella sua variante cancero- tubercolar- setticemica come un giornalista di telegiornale alle prese con un’epidemia d’influenza fa col suo pubblico. Le immagini dei corridoi d’ospedale, corredate da intervista col primario, convincono da sole i pesi sociali (i pensionati e gli italiani in condizioni fisiche non ottimali) a vaccinazioni di massa.

I telegiornali vantano dunque un’innegabile presa sugli utenti. E il merito va in primis al giornalista, che mette a disposizione della società non solo una professionalità encomiabile, ma anche volti indimenticabili e voci suadenti.

Ma sono tanti, troppi volti e voci per non fare torto a tutti citando qualcuno. Non resta che passare alla figura che meglio caratterizza una testata televisiva e riassume in sé i sogni e le aspirazioni di chi vi lavora, il direttore.

Fino all’avvento di Telekabul il direttore di un telegiornale aveva una parte marginale nella vita della testata, troppo preso a organizzare le nozze dei propri figli con quelli di qualche potente e prolifico esponente della Democrazia Cristiana o del Partito Socialista.

Fu Sandro Curzi, mai troppo compianto direttore del TG3, a inaugurare la felice stagione degli editoriali del direttore. Intere famiglie aspettavano col cucchiaio a mezz’aria la predica della sera. I padri intimavano ai figli e alla moglie di tacere in attesa di un verbo che sarebbe giunto, roboante e impietoso, a stigmatizzare l’evento principale di una giornata solo apparentemente uguale a tutte le altre.

Chi ha vissuto quei giorni gloriosi, chi ancora ricorda la veemenza di discorsi che giungevano direttamente al cuore dell’ascoltatore, sa cosa significa rimpianto per una stagione televisiva che non ha precedenti nella storia. Ci furono e ci sono pietosi tentativi di plagio.

Ci provò Giuliano Ferrara, intuendo ben presto che la sua strada, non foss’altro per una questione di equilibrio nel peso specifico, era quella della carta stampata. Tentò Vittorio Sgarbi, riducendosi a imbonitore da televendita e preferendo, quindi, la carriera politica. Continua a provarci Enrico Mentana, con alterne fortune. Ma l’unico vero erede di Curzi oggi come oggi è Emilio Fede.

Quando cominciai a scrivere questo manuale avevo in mente, lo confesso, un modello. Cercavo d’ispirarmi a una persona vera, districandomi in una professione che inesorabilmente conduce a diventare burattini, spesso ignari persino del nome del capocomico che tira i fili. 

Tra i tanti Pinocchio doveva esistere quello capace di diventare un bambino vero, uno con alle spalle un Geppetto, munito, più che di pialla, di squadra e compasso, in grado di quadrare il cerchio della nostra inutile vita.

Volevo un uomo, ho cercato, ho trovato. Emilio Fede. Non se ne abbiano a male gli altri, ma è il Migliore. Quando passa o commenta una notizia non è necessario chiedersi dove vuole andare, cosa sottende, se ha o non ha secondi fini.

E’ limpido e cristallino: le sue parole sgorgano dal cuore come acqua da una sorgente d’alta montagna. In nomen omen, ha una fede certa e sicura, una strada maestra segnata che percorre impavido, senza titubanze o ripensamenti. Se Josip Vissarionovic Dzugasvjili detto Stalin l’avesse conosciuto, gli avrebbe affidato a cuor leggero il ministero stampa e propaganda e anche quello della difesa.

Se Churchill l’avesse avuto al suo fianco, la Gran Bretagna oggi sarebbe un continente. Se De Gaulle avesse potuto contare su di lui, la storia dell’Impero romano impallidirebbe di fronte alla grandeur francese. Persino la Germania nazista non avrebbe conosciuto l’onta della sconfitta e il bombardamento di Dresda avrebbe sconvolto l’umanità quanto le bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki.

Non a caso in Giappone il ‘defenestrato’ Mori sta cercando di clonare tanti piccoli ‘Emilio Fede’ da infilare nelle principali testate (ossia testine delle stampanti laser) nipponiche e George Bush ne ha comperati dieci per il suo ufficio stampa (uno è stato ritrovato nell’aereo spia atterrato in Cina e ora è allo studio di uno staff di scienziati della comunicazione a Pechino, intenzionati ad arrivare alla fecondazione in vitro delle cellule staminali da iniettare nel cervello di un giornalista cinese, la cui famiglia ha optato per la sperimentazione scientifica pur di non pagare la pallottola per l’esecuzione finale).

Per nostra fortuna Emilio Fede è un italiano e ciò fa onore alla nostra stirpe di ‘santi, poeti e navigatori’, di cui lui è il più degno rappresentante. La sua presenza sulle scene del giornalismo italiano oscura la pur sapiente interpretazione di Russel Crowe ne ‘Il Gladiatore’. Facile criticarlo e irriderlo, impossibile imitarlo. Emilio Fede al momento attuale è unico e, purtroppo (come auspicherebbe lo staff dei suoi detrattori), irripetibile.

E nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar…


L'informazione via Internet

Fino a quando Bill Gates non produrrà Windows 2001 Odissea nello spazio (e ciò accadrà quando e se l’indice Nasdaq fosse intenzionato a riprendersi, invece di passare le giornate a scivolare avanti e indietro) le prospettive del giornalismo via Internet non sono eclatanti.

I principali programmi in commercio non permettono voli pindarici o scritture creative, indi si finisce per dare un servizio classico su supporto diverso. Unico vantaggio per l’utente non abbonato alle agenzie è avere in tempo quasi reale le notizie, magari già ‘rifilate’ da un bravo giornalista- metalmeccanico (ma, visto che si tratta di pastoni, non sarebbe stato meglio rifarsi al contratto edili o a quello del settore alimentare, vedi panettieri?).

In questo contesto va infilata la classica definizione del giornalismo in Internet quale ‘giornalismo del futuro’. Significa che in futuro qualcuno s’inventerà un programma facile da utilizzare che consentirà nuove prospettive d’informazione alternative alla carta stampata, alle radio e alle televisioni. Nell’attesa i giornali in Internet si specializzano nel settore rubriche.

Sondaggi: sono la roccaforte di qualsiasi testata. Il database dà immediato il polso della situazione, senza bisogno di elaborazione manuale dei dati. L’importante, dunque, è porre le domande giuste in modo appropriato.

Prendiamo il caso di Novi Ligure, la ragazzina che sbudella col fidanzatino madre e fratellino: qual è la giusta pena? Per saperlo occorre votare, scegliendo tra pena di morte, ergastolo o manicomio criminale. 

Mancando una qualche altra possibilità, il popolo di Internet, pacifico per definizione, opta all’80% per la pena di morte, che in Italia, almeno finché non sarà reintrodotta, non c’è.

In redazione si pensa subito a un nuovo sondaggio, questa volta sulla pena di morte (favorevole, tre opzioni, molto, abbastanza, poco), scoprendo che il non belligerante popolo di Internet vuole reintegrare la pena capitale. Quale?

Terzo sondaggio tra sedia elettrica, iniezione letale, impiccagione. I favorevoli alla lapidazione per protesta non votano, il ‘buonista’ popolo di Internet sceglie l’iniezione. Finalmente, dati scientifici alla mano (340 votanti, di cui 50 voti ripetuti di dodicenni che non sanno cosa fare nel pomeriggio dal momento che si è rotta la play station), si può aprire un forum.

Il forum su Internet è un luogo dove tutti possono dire quello che pensano, a patto si rispettino le regole di buona educazione dettate dalla rete. L’educatissimo popolo di Internet trasforma subito il dibattito sulla pena di morte in un sito per appassionati di bondage. 

Al centesimo garbato intervento sulla fustigazione (con scambio di tecniche, link e indirizzi) la redazione capisce che l’argomento è esaurito e provvede, con un nuovo sapiente e pacifico sondaggio, a trovarne un altro altrettanto rispettoso della dignità umana e della verità dei fatti, come richiesto ai giornalisti, anche se a contratto metalmeccanico.

I forum più interessanti sono però appannaggio delle testate considerate di sinistra. Dietro variopinti e originali nickname (Cielo Duro, Benito, Dux ecc.) si nascondono penne raffinate capaci di concetti semplici, talora sgrammaticati, ma comprensibili e di alto valore morale. ‘Maledeti rosi, ve lo spacceremo in quatro…’ o ‘x i comunisti come voi, morte’.

I messaggi arrivano a destinazione e non rimangono senza risposta. Altrettanti aspiranti comunicatori, dietro pseudonimi singolari tipo Che Guevara o Il nipote di Palmiro, rispondono in rima. ‘X Cielo duro che ciela moscio: fascisti tremate, per voi non Che domani’ e via dicendo. 

Gli altri interventi si dividono equamente tra chi si congratula per il bel sito e chi protesta per i privilegi dei giornalisti che ne fanno parte, dimenticandosi che un vero compagno si riconosce dal contributo personale alle feste o nella diffusione porta a porta del giornale di partito.

Ma sondaggi e forum sono solo uno dei tanti servizi che le testate giornalistiche mettono a disposizione del pacifico, educato e interattivo popolo di Internet.

Gli Sms gratuiti sono molto apprezzati, così come il meteo (che permette di sapere subito che tempo fa a Dallas e confrontarlo con quello della propria città) e l’oroscopo personalizzato.

Ottime anche le classifiche delle donne più belle, degli uomini più arrapanti, dei cd più scaricati da Napster, dei giochi con download gratuito e lo spazio per cucina, viaggi e bellezza.

Sempre gradito un collegamento con i principali screensaver che permettono all’anticonformista popolo di Internet di personalizzare il proprio computer, solitamente con una bella gnocca smutandata che sorbisce vogliosa un cono di gelato (va bene anche un ricoperto al cioccolato).

A perenne confronto con un’utenza raffinata e selettiva, è chiaro che i giornalisti in Internet debbano offrire servizi sempre più sofisticati e mantenersi continuamente aggiornati sugli argomenti di principale interesse nazionale- donne, motori e calcio, cui di recente s’è aggiunta le telefonia mobile.

In questo contesto si colloca la singolare scelta di una testata di mettere in rete il temibile cruciverba di Stefano Bartezzaghi. Per gli appassionati di enigmistica il Bartezzaghi è sinonimo di alto livello culturale (si dice che più di un ministro fosse intenzionato a inserire il Bartezzaghi nelle prove per il passaggio di ruolo dei docenti universitari, nonostante la fiera opposizione dell’Ordine degli ingegneri).

Da sempre risolvere un cruciverba del Bartezzaghi, a partire dal primo Bartezzaghi, rassicura gli universitari e i maturandi sul buon esito dei loro esami. Chi ha concluso nella vita almeno un Bartezzaghi può vantare quoziente intellettuale superiore alla media, cultura universale e accedere di diritto ai master dei prestigiosi atenei inglesi e statunitensi.

Il pur coltissimo pubblico di Internet pare fatichi a rispondere a domande tipo ‘La città dove si laureò Ostwald’ –sei lettere, D iniziale- o ‘In psicanalisi, meccanismo di difesa cosciente’ –15 lettere, O la terza-: alla quarta domanda clicca su soluzione scoprendo l’esistenza di una città che si chiama Dorpat o del termine ‘scotomizzazione’. E, in generale, scotomizza subito Bartezzaghi.

I meccanismi di controllo connessi alla rete stanno vigilando, in attesa di comunicare al pacifico, educato, interattivo, anticonformista e colto popolo di Internet, se non il nome, almeno il numero di collegamento del primo risolutore di un cruciverba del Bartezzaghi.

Nel frattempo, come già successo alla storica Settimana Enigmistica, un centinaio di riviste Internet tentano il plagio, con domande alla portata del pacifico, educato, interattivo, anticonformista e colto popolo di Internet, tipo ‘Sono due, stanno sopra l’ombelico e se sono della Marini sono anche belle (ma forse rifatte)’ –cinque lettere, T iniziale- o ‘Attaccante della Roma (come all’1 orizzontale, ma con le vocali diverse)’ -cinque lettere, ovviamente T iniziale.

Se il pacifico, educato, interattivo, anticonformista e colto popolo di Internet sa distinguere una vocale da una consonante il cruciverba è risolto.

Però, detto tra noi, non vale.

L'informazione radiofonica

A conclusione di questo capitolo affrontiamo i notiziari radiofonici. Non si tratta ovviamente di quelli delle grandi emittenti pubbliche o private, che funzionano più o meno come i telegiornali, con -unica differenza- la necessità di rendere visibile il più possibile il nome della testata stampigliato sul microfono nel caso fossero presenti telecamere.

Vogliamo riferirci alle piccole radio private, che ospitano centinaia di giornalisti (soprattutto aspiranti tali) mossi solo da una struggente passione per l’informazione e da un entusiasmo giovanile che sfida qualsiasi dato anagrafico.

Con un eufemismo si potrebbe definire queste persone ‘sottopagati’ della notizia, non fosse che nella maggior parte dei casi non sono nemmeno pagati. Hanno vaghe reminiscenze di un tempo felice, quando adolescenti acneici frequentavano coetanei, fantasticando su un futuro tra canzoni e cinema.

Solitamente è questa l’età in cui il sottopagato da informazione radiofonica viene incastrato e stritolato dal sistema. Gli si avvicina in un pub un individuo con l’impermeabile che, lodando le sue competenze musicali, gli offre un posto nella sua radio per una trasmissione. Aggiunge il sordido pedofilo: ‘puoi dire e fare tutto ciò che credi’.

L’adolescente abbocca all’amo. Negli anni rileverà persino quote della radio in cui, senza accorgersene, comincerà a trascorrere sempre più tempo, fino ad installarvisi definitivamente. Il trasloco inizia col trasferimento dell’intero ‘parco’ dischi, cassette e cd: dopo una prima trasmissione di musiche con dedica e parole in libertà, il giovane sentirà il bisogno di aprirsi all’attualità.

E’ finito: il raggio d’azione dell’emittente raggiunge le periferie cittadine e i paesi della provincia. Se ha iniziato a lavorare prima di aver conseguito la patente, raggiungerà in motorino quartieri dimenticati, frazioni sconosciute, paesi diroccati riportando voci e storie ignote al mondo, ma segnalate da qualche radioascoltatore.

Questa seconda esperienza lo spingerà a dar vita a un vero e proprio Gr, dove intrecciare alle notizie classiche, storie di vita e informazioni di prima mano.

E’ l’ultimo passo prima del baratro. Chi lavora in radio entra nel tunnel senza accorgersene, uscirne è impossibile. Le difficoltà economiche della prima emittente lo porteranno a lavorare, sottopagato, gratis o a proprie spese, per un’altra radio. 

Un nuovo padrone con l’impermeabile, viscido e unto come il precedente, lo circonverrà, sfruttando quelle doti di pusher della notizia su campo, innate in un tossico del giornale- radio.

Dopo venticinque anni di questa vita, senza più amici, senza famiglia, il giornalista di radio privata riuscirà ad ottenere d’ufficio il tesserino di pubblicista.

Di lui rimarrà imperitura la gratitudine degli intervistati e, unico vezzo, una raccolta di autografi di big incontrati nel corso di un’onesta carriera giornalistica, professionalmente ineccepibile.

Per contro accade che la radio privata in questione sia una radio alternativa, Radio Viva Chiapas o San Giuseppe Network. In tal caso i Gr sono il veicolo principale della controinformazione e i giornalisti dei missionari investiti del grave compito di convertire l’umanità.

Il giornale radio viene strutturato come una messa, la cui parte centrale è l’omelia, solitamente tenuta dal politico o dal prete che coordina l’emittente. A differenza del commento al Vangelo domenicale, i discorsi radiofonici superano abbondantemente la mezz’ora e nemmeno la musica che segue riesce a svegliare l’incauto radioascoltatore.

I servizi –tutti rigorosamente originali (nessuno si sognerebbe non solo di farli, ma nemmeno di riprenderli)- sono prodotti in completa autarchia, si tratti di polizia che bastona (e il giornalista in questione riesce a tenere il collegamento con la radio anche sotto i colpi di manganello della celere) o dell’operazione di convincimento in diretta di una donna intenzionata ad abortire.

Si tratta di giornalismo trash che evidentemente ha un suo seguito, dal momento che, invece di chiudere, questo tipo di radiofonia si moltiplica. Un fenomeno facilmente comprensibile se si pensa che da anni esiste e resiste in Italia una radio che manda in diretta tutti i dibattiti parlamentari. Più trash di così…


Gli strumenti essenziali per un giornalista

Al pari del muratore con la cazzuola, per poter praticare la professione, un giornalista non può prescindere da una serie di strumenti che rendono possibile il suo duro lavoro.

Il primo è la mazzetta dei giornali. La vera mazzetta di un vero giornalista contempla due attrezzi indispensabili: La Gazzetta dello Sport e Quattroruote.

Il primo è un quotidiano che consente un aggiornamento costante sugli umori del Paese. Il giornalista- inseguendo quell’istinto, oserei dire animale, che lo conduce sulla notizia- non può ignorare quanto sta mandando in fibrillazione i connazionali. Sarebbe come un medico che non tasta il polso e si rifiuta di rilevare la pressione del paziente.

Colleghe maligne sostengono che la lettura della Gazzetta dello Sport è finalizzata a un interesse personale maturato (se così si può dire) sin dalla più tenera infanzia. Si tratta di perfidie femminili di basso profilo. Le stesse giornaliste che insinuano che gli unici interessi del collega siano partite e calcio mercato non si rendono conto che il loro disprezzo è un boomerang micidiale.

Non ci vuole molto per capire perché sono così poche le donne che fanno carriera nei giornali italiani: pagano lo scotto di una professionalità senza solide basi, ignara di tattiche e strategie su campo.

La lettura approfondita della Gazzetta è il primo impegno della giornata lavorativa e, se fatta con coscienza, porta via almeno un’ora, al termine della quale è presso che indispensabile un confronto coi colleghi, soprattutto nelle mattine che seguono le partite di Coppa.

Il dibattito si svolge nell’unico luogo dove tutte le barriere di un giornale cadono, dove giornalisti e poligrafici si ritrovano uniti come cosa sola: la macchina del caffè e il distributore di bibite.

Bicchierino di plastica in mano, mescolando con bastoncino di plastica un brodino nero simile al caffè, i cronisti si dimenticano che stanno parlando con l’ultimo gradino della scala sociale, superiore solo alle donne delle pulizie, e condividono il piacere di rinverdire i fasti del passaggio di sinistro al ventiduesimo del primo, con scarto dell’avversario e gol in rovesciata da fuori area.

Gli occhi del poligrafico brillano di riconoscenza e i rancori per le continue, imperiose e pressanti richieste –senza nemmeno un ringraziamento- per un attimo si sopiscono. La funzione coesiva della Gazzetta (e della macchina del caffè) è dunque fondamentale per il buon andamento di una testata.

Se il direttore è un buon Mister di un team ben allenato e affiatato, non lesinerà Gazzette e sceglierà con cura l’erogatore e la marca di brodo scuro. Giornalisti e poligrafici motivati sono le fondamenta di ogni opera di ingegno collettivo.

Il secondo elemento imprescindibile di una mazzetta ben curata è Quattroruote, mensile economico che permette di stabilire il Pil (prodotto interno lordo), confrontarlo con quello dell’anno o degli anni precedenti, metterli in relazione con quelli degli altri paesi e decidere se è arrivato il momento di cambiare auto.

Ciò che lo rende più gradevole di un qualsiasi quotidiano specializzato in economia è il fatto che, invece che darsi per riferimento astrusi indici di borsa o al limite sigle come Euro, dollaro o yen, Quattroruote ha scelto come valuta le automobili, monete difficili da contrattare col verduraio (‘Mi dia un chilo di patate, tre mele e un pugno di radicchio, pago con due valvole e la lancetta del tachimetro’ è impensabile), ma utili per operazioni economiche di ampio respiro.

(SPAZIO A PAGAMENTO)

 
Metti che un anno prima hai comperato una macchina e che vorresti sostituirla- o caso (e quando si dice caso, caso è e caso resta)- con una Mini Minor, perché più giovane e giovanile, più agile, più scattante, più comoda, in una sola parola più dotata. S

enza troppa fatica, uno studio su Quattroruote consente al giornalista di valutare i prezzi di mercato dell’obsoleto catorcio, di apprezzare quelli -poffarbacco, una macchina nuova di zecca a caso- della Mini Minor, fare le debite sottrazioni e addizioni (neanche una divisione, per rendere più facile l’operazione finaziaria) e correre dal più vicino concessionario di Mini Minor (prendiamo ovviamente un’auto scelta a caso, come da spazio pubblicitario che ci accompagna) per rottamare un relitto di tredici mesi di vita e sostituirlo con una macchina vera.

(FINE DELLO SPAZIO A PAGAMENTO e, probabilmente, della sponsorizzazione di questo sito).

La fortuna di Quattroruote
è determinata dal fatto che un giornalista è anche la sua automobile, anzi le sue automobili. Ogni giornalista che si rispetti ne ha infatti due, quella di servizio e quella di famiglia. La prima è un insieme di lamiere arroccate su una parvenza di motore e munite di volante e quattro ruote.

Sul sedile posteriore giacciono da decenni le carte che, per casi vari, non sono state seminate sulla scrivania. In generale vi si può trovare di tutto, libri, biscotti mummificati, lattine di birra vuote, peli di cane, peli non meglio identificati, pet di acqua minerale cristallizzata.

Questa cosa, che risale ai tempi pre-praticantato, è messa a disposizione degli spostamenti richiesti dalla testata, dal casa-ufficio al ricevimento all’ambasciata degli Stati Uniti in onore della prima visita presidenziale a Roma. 

Ha l’invidiabile caratteristica di poter venir parcheggiata in ogni luogo, anche in prossimità dei cassonetti (coi quali si confonde, a rischio di essere rilevata dal camion delle immondizie), in virtù della sua forma indistinta.

Gli adesivi d’iscrizione all’Ordine e il cartello scritto a mano col nome della testata indicano ai vigili urbani che si tratta di auto da multare, a patto che il Comune accetti l’idea di non incassare una lira. In tempi di rinnovo contrattuale, la cifra di rimborso per ammortamento del mezzo è singolare oggetto di contrattazione.

L’auto personale del giornalista è, al contrario, una macchina da tutti i punti di vista con una storia degna di nota. Due ore dopo aver siglato il contratto da praticante il giornalista si presenta al concessionario per acquistare a rate la sua prima vera automobile, che metterà in garage, contemplandola notte tempo.

Ne parlerà a lungo coi colleghi, descrivendone le meraviglie e magnificando la potenza di un motore che, per non rovinare, testerà fino ai 5.000 chilometri. Poi, dopo settimane di studio approfondito di Quattroruote, deciderà di sostituirla con una più prestigiosa, all’altezza della sua dignità professionale e di quella della testata. Così per anni, fino alla pensione.

Può anche succedere che, in via del tutto eccezionale (magari in previsione di una promozione), il giornalista tiri fuori dal garage la sua vera automobile per accompagnare direttore e editore a uno dei tanti impegni di lavoro, meglio noti come party.

Se è persona timida e riservata, provvederà a ricoprire i sedili con cellophan (ammesso che l’abbia levato al momento della consegna), sostenendo che serve per proteggere gli interni dai peli del cane (un vero giornalista ha quasi sempre un cane, così come una vera giornalista ama circondarsi di gatti).

Se è sfrontato, disporrà coperte sui sedili sotto gli occhi allibiti dei suoi capi, prima di farli salire e invitarli a pulirsi le scarpe. Nell’auto di servizio non è proibito fumare, visto che, in virtù di finestrini che da vent’anni non si aprono, ristagna il fumo di tre generazioni (in alcune giacciono ancora i resti delle vecchie Nazionali senza filtro).

Un trasbordo anche breve su un’auto di servizio è l’alternativa passiva a tre pacchetti di Marlboro in dieci minuti. Sull’auto personale -trasudante deodoranti al pino silvestre- è vietato persino starnutire.

In tema di mezzi di locomozione, non va sottovalutato l’uso della bicicletta. Al compimento del quarantesimo anno d’età ogni giornalista maschio prende coscienza dello stato in cui è ridotto.

I brodi al caffè hanno ipereccitato il sistema nervoso e sforacchiato la prostata, birre, grappe e vino hanno perforato il tenue, depositandosi in rubicondi grappoli di emorroidi, similpranzi e cene fuori orario si sono raccolti attorno all’ombelico con un buffo effetto ‘omino Michelin’, la nicotina depositata tra bronchi e laringe dà al respiro un inquietante effetto rantolo, che al mattino si manifesta con sbocchi catarrali che disgustano persino il cane.

I capelli sono spesso un ricordo, gli occhiali un obbligo, e il Lexotan l’unica spiaggia. E’ arrivato il momento in cui il giornalista decide di fare qualcosa per sé e acquista una bicicletta, dopo check up convenzionato Casagit. 

Da quel momento l’uomo e la bicicletta saranno una cosa sola, previa manomissione del tachimetro dell’auto di servizio o, meglio ancora, di quella personale per il rimborso spese previsto da contratto.

Partendo dalla mazzetta dei giornali abbiamo cominciato a scandagliare particolari intimi e privatissimi di un giornalista. Non è casuale, dal momento che la mazzetta rappresenta l’uomo o la donna, i suoi amori, interessi, passioni.

Nella mazzetta è raccolto il sogno di una persona, una mazzetta è come un distintivo sul bavero di una giacca. Dietro una mazzetta c’è una vita, solo apparentemente un giornalista.

Ed ecco quindi il collega che sin da bambino sognava di fare il manager leggere i titoli del Sole 24 Ore, quello con ambizioni rivoluzionarie che divora un corsivo di Rossanda sul Manifesto, il cronista che ha finito l’analisi che si gratifica con la saggezza e l’equilibrio di Corriere della Sera e Stampa, l’arguto che solletica il proprio humor britannico sfogliando beffardo Il Foglio, il sanguigno che sfoga le proprie frustrazioni con La Padania e Il Giornale.

Ce n’è per tutti, basta non leggere quell’orripilante copia nuova di zecca –intonsa e intangibile- che è l’ultimo numero del giornale per cui si lavora, testimonianza di una vita al condizionale, di un ‘avrei potuto essere…’ o ‘avrei potuto avere…’ che nemmeno Fromm ha osato analizzare.


Un giornalista è anche il suo computer. Non quello coi programmi che mettono gli editori, né men che meno quella macchina scalcagnata fornita dall’azienda capace di formattare un articolo proprio sul finale.

E’ mesi e anni di sapienti download, salvaschermo personalizzato, siti raccolti in ‘preferiti’ e videogiochi per ammazzare il tempo in attesa che il corrispondente si degni di mandare quelle fottute 60 righe ‘che non me ne può fregare di meno’.

Un giornalista è un computer collegato a un telefono o un portatile con telefonino. E’ un registratore e un blocchetto d’appunti recuperato tra i tanti che si prelevano distrattamente e ci si rubacchia dai tavoli della redazione.

E’ una penna che non si trova mai e che comunque non è mai uguale a se stessa. E’ un pass che lo mette all’indice, permettendo a un illustre sconosciuto ‘non schedato’ di avvicinare il personaggio di turno e fotografarlo o intervistarlo, mentre decine di onesti lavoratori dell’informazione ufficiale attendono, calpestandosi, di portare a termine l’ultimo compito della giornata per scribacchiare trenta righe e raggiungere una famiglia dimenticata in una qualche casa dell’Inpgi.

Il giornalista è anche ciò: un essere umano condannato a lavorare. O meglio, legato a un orario di lavoro, per la precisione 6 ore e 36 minuti. Ogni giorno un’eternità da riempire come possibile con ciò che il posto di lavoro offre. Solitario al computer e telefonate sono un ottimo aiuto per ingannare il tempo. Le telefonate più interessanti sono appannaggio delle donne.

In una non meglio precisata età una giornalista era una giovane donna. Brillante, affascinava tutti per la sua grinta, per una scrittura sferzante, per le osservazioni acute, per quel talento naturale che la portava d’istinto ad essere la persona giusta al posto giusto. Molto carina, elegante senza essere banale, trasferiva anche nell’abbigliamento quella cura per il particolare che caratterizzava i suoi scritti.

Il suo ingresso in redazione aveva immediatamente risvegliato il maschio che esiste in ogni giornalista. Ognuno ci provava, a modo suo.

Nel giornalismo esistono infatti varie tecniche seduttive.

1) Collega anziano, già pensionato,
a cui nessuno ha il coraggio di dire che ormai è libero di starsene a casa: la tecnica è semplice e diretta, nota come ‘alla vecchia’. 

Lo sguardo fisso sulle tette, il vecchio giornalista invita al bar il virgulto e elargisce consigli professionali e manate sul culo. La neogiornalista abbozza risatine, ricordando che ha poco tempo, perché deve rientrare subito.

2) Collega in odore di pensione o prepensionamento: ascetico, si esibisce ad uso e consumo della fanciulla in prove sempre più difficili, tipo correggere e ridurre il pezzo del collaboratore in pochi minuti o titolare un articolo azzeccando al primo colpo le misure. La neogiornalista, in piedi al suo fianco, simula ammirazione e si domanda, tra sé e sé, quando mai potrà tornare al lavoro.

3) Collega nel pieno della carriera: nelle prime settimane la ignora. Quando lei meno se l’aspetta, l’attende davanti alla macchinetta del caffè e l’aggredisce, criticando duramente trenta righe di pastone di giudiziaria. 

Finita la sfuriata, intuito che la ragazza è letteralmente distrutta, le promette di prenderla sotto la propria tutela, di spiegarle tecniche, tattiche e strategie del buon giornalismo, di fare di lei una vera firma, visto che il talento c’è.

La ragazza arrossisce e si prepara a sognare nuovi incontri ravvicinati, entrando così nell’inesorabile spirale del ‘caffè da giornale’.

4) Collega sfigato: al momento delle presentazioni racconta una barzelletta sconcia, tende la mano e con l’altra, appoggiata a metà avambraccio, fornisce le misure del suo principale attrezzo di lavoro. Viene immediatamente identificato ed evitato con cura per tutti gli anni a venire.

5) Vertici: di solito non hanno una tecnica precisa, in virtù di uno jus primae noctis che, consumato o no, consente spesso di soddisfare l’istinto animale femminile che porta al ‘posto fisso’.

6) Collega ‘marito’: ebbene sì, comincia così la storia della giornalista e delle sue telefonate. Dopo un drammatico intrigo col collega nel pieno della carriera -fatto di serate trascorse da sola al ristorante in attesa che il fondamentale servizio a cui l’uomo sta attendendo arrivi alla svolta cruciale, di etichette malevole appiccicate da rivali gelosi/e, di pianti e notti d’estasi- la giornalista trova il coraggio di confidare tutta la sua disperazione a un collega scapolo o divorziato.

Quest’ultimo ha finito di pagare le rate dell’auto ed è a buon punto col mutuo per la casa con l’Inpgi. Mancherebbe, in effetti, un contributo economico in grado di consentire al giornalista di lasciare la casa paterna e arredare con tanto di cucina la nuova abitazione.

Manca, soprattutto, chi sappia fare buon uso della cucina o almeno di usare il microonde non solo per scongelare. Su queste basi è inevitabile che i due si comprendano.

Lei ha trasformato la depressione per un insuccesso sentimentale in senso di totale fallimento anche sul piano professionale. Lui sperimenta subito le attitudini della ragazza, invitandola nell’appartamento semi arredato e proponendole una cena a lume di candela a base di ‘c’è quel che c’è’.

Lei, con un fornelletto a gas e due uova, riesce a preparare ‘crepes flambès aux c’è quel che c’è’. Ridono molto. Si amano. Al termine del praticantato di lei, previo studio approfondito dei reciproci piani ferie, si sposano. Delusa dal lavoro, nell’arco di quattro anni lei sforna due o tre figli, per la gioia di tutti i/le giornalisti/e disoccupati/e.

La variante ‘divorziato’ prevede anche una vacanza interlocutoria col o coi figli di primo letto di lui, tutti sanamente rompicoglioni, come tutti i figli di questo mondo. 
Se lei trova adorabile il modo in cui Giuseppe si ficca le dita nel naso prima di mangiare con le mani la pasta e ride felice alla simpatica battuta di Giulia che la chiama ‘lurida troia’ (si tratta solo di errori di percorso determinati dalle scarse conoscenze pedagogiche e dall’insensibilità dell’ex moglie), la prova è superata.

Passano gli anni. Quella che fu una promessa del giornalismo femminile è madre e sposa più o meno felice. Femmina un giorno e poi madre per sempre, come cantava De Andrè.

Passa al desk catastrofi nucleari, nozze di star hollywoodiane e interventi di esimi editorialisti con lo stesso entusiasmo con cui sbuccia le patate, va ai colloqui coi professori a scuola o riempie la lavatrice. L’unica parola che riaccende una fiamma di vita in occhi spersi dietro occhiali da presbite, dà colore a capelli informi e sbiaditi, imporpora un volto senza trucco è ‘ferie’.

Il resto della sua giornata è scandito dalle telefonate dei e ai figli, della e alla baby sitter o della e alla nonna ‘vigilantes’. Le conversazioni sono di pubblico dominio, per una questione audio, soprattutto quando il secondogenito spione comunica che la sorella ha appena assaltato il freezer, divorando gli ultimi resti di surgelati che dovevano servire per la cena, o quando la primogenita, gelida, avverte che dall’appartamento del piano di sopra (solitamente di proprietà di colleghi di una testata concorrente) sta piovendo.

Lui, l’uomo della sua vita e padre dei suoi figli, è ormai diventato un collega nel pieno della carriera e la invita a risolvere ‘almeno’ i problemi domestici, visto che quelli professionali sono tutti sulle sue spalle. Lei si attacca al telefono, ordinando in tempo pizze express o creando casi diplomatici tra giornali rivali.

I suoi ‘bambini’ –creature che avrebbero appassionato solamente il Lombroso- bivaccano in redazione ogni volta che la baby sitter dà forfait. Creativi, saccenti e impositivi, come il padre, piagnucolano per nulla, come la madre, e sarebbero detestati da tutti, non fosse che tutti hanno imposto alle redazioni i propri figli.

In tal senso la FIEG (e non la FNSI, come auspicato da tanti colleghi) sta trattando per predisporre cartelli all’ingresso di ogni testata tipo ‘In questo stabile non sono graditi testimoni di Geova, animali e figli. Pubblicità sì, ma solo a pagamento’.



Il registratore

Un posto di rilievo nella vita del giornalista, soprattutto di quello d’agenzia, è rivestito dal registratore.

Si tratta di una curiosa macchinetta che in teoria dovrebbe registrare e riprodurre le voci degli intervistati, munita di un vistoso adesivo col nome della testata. 

In realtà l’oggetto funziona perfettamente solo nelle prove in redazione, mentre in corso d’opera o s’incastra il nastro o si scaricano le pile o parte autonomamente il tasto ‘pause’ e lo strumento si blocca. Nessuno da tempo si fida del registratore e quindi, contemporaneamente, prende appunti.

E’ notorio che i giornalisti hanno una grafia simile a quella dei medici e spesso si rivolgono al farmacista di fiducia chiedendogli di decifrare quanto scritto. Altro passatempo molto in voga nella categoria è la ricerca di penne e carta, ma soprattutto del portacenere.

Luogo comune vuole che un vero cronista picchietti a macchina o computer con la cicca pendente dal labbro.

Nulla di più falso. In virtù di una sordida campagna stampa volta a disincentivare l’uso della nicotina, a furia di scrivere che il fumo fa male, più di qualche collega si è autoconvinto e ha smesso. 

Ciò ha portato a una frattura insanabile e a spaccature all’interno degli stessi Cdr, al punto che l’Ordine sta pensando ad iscrizioni diversificate tra professionisti tabagisti e virtuosi, dando la precedenza, nelle liste di disoccupazione, ai mangiatori di mentine.

Allo stato attuale in ogni testata, anche quella che occupa due persone, esiste la stanza dei fumatori e quella dei non fumatori. Due mondi che non solo non s’incontrano, ma in perenne conflitto tra loro.

1) Non fumatori: il giornalista virtuoso è, come sempre, un pentito. E come tutti i pentiti persona di cui diffidare. Si tratta in genere di quarantenne reduce da un check up Casagit che ha fortemente minato il suo equilibrio psichico, solo perché il colesterolo è alle stelle e con la pressione –se mette in bocca acqua e un cucchiaino di caffè- può autoprodurre un espresso senza bisogno di andare al bar.

Sotto l’incubo di infarto e ictus la persona in questione, indipendentemente dal sesso, acquista una bicicletta e s’accorge subito che solo il tentativo di salirci produce affanno. Dalla mattina alla sera getta le sigarette e acquista Tir di caramelle.

Senza rendersene conto entra in una spirale di cui non può essere cosciente, altamente dannosa per la sua salute: ingrassa e più ingrassa più pedala. Lo stress fisico si assomma a quello nervoso, trasformando quello che era pur sempre un collega in un salutista hitleriano (persone che amano i fiori, la musica e gli animali, ma sterminano i bambini).

L’incomunicabilità con chi lo riporta al passato si manifesta nella richiesta di venir trasferito di scrivania, magari al fianco della collega incinta che, sebbene primipara attempata, si ostina a voler restare al suo posto fino all’ultimo, con grave danno per la categoria dei disoccupati. La loro stanza, tra riviste sulla maternità, piantine ossigenanti e caramelle sembra la nursery di un asilo nido tedesco.

Provocatoriamente i due lasciano la porta aperta, senza alcuna vergogna per lo stato in cui versano. L’odore di pino mugo misto a vaniglia e la musica soft che spandono nel corridoio è il chiaro segnale di qualcosa di grave che si sta per abbattere sull’intera redazione. E così è.

Alla prima riunione di redazione i due, solidali, impongono l’astinenza agli altri. Prima con gesti di evidente fastidio, poi esplicitamente. Non bisognerebbe cedere, ma anche i giornalisti hanno un cuore.

Le richieste di un ciccione a rischio d’infarto e in cura e di una ingrassata che per almeno un anno non si vedrà più vengono accolte, anche perché, con la scusa della sigaretta, è possibile abbandonare la riunione di redazione prima del tempo.

Nessuno pensa che il sostituto della futura mamma sarà, molto probabilmente, un giovane cresciuto divorando servizi contro il fumo passivo…Espandendosi come piovre -con l’aiuto di scellerati controlli medici previsti dal contratto che portano alla scoperta di patologie devastanti in individui che, se solo non dovessero lavorare, starebbero benone- i non fumatori aumentano di numero e pretese.

Quando un ordine di servizio inviterà i fumatori a tener chiusa la porta della stanza è arrivato il momento di licenziarsi e trovare un lavoro onesto, tipo spacciare droga o gestire un bordello per minorenni.

2) Fumatori: non fosse per le campagne denigratorie di cui sono vittime –e a cui, con particolare sadismo, sono costretti a partecipare, magari con ampi servizi sui centri oncologici cittadini- sarebbero delle persone rilassate e felici.

Il cinismo e la perfidia di una società ipocrita che mette al bando l’ultimo piacere di un giornalista (in alcuni casi anche l’unico) li segrega in stanze bunker, li condanna a respirare non solo il proprio fumo, ma anche quello dei colleghi. Certo, le loro dita gialle di catrame e bruciacchiate possono fare impressione, ma s’armonizzano perfettamente con i buchi da bronze su cravatta, golf, camicia.

Né mancano i vantaggi: il fumatore incallito può esibire baffi e barba biondo cenere naturale anche in là con gli anni. Quanto ai denti, neri e smozzicati, la presa di posizione della Casagit di non rimborsare più di una pulizia del tartaro all’anno è servita a dimostrare solo la meschinità dell’ente. Un vero giornalista tabagista, infatti, non va dal dentista, così come evita i medici.

Convinto che di qualcosa si deve pur morire, affronta il proprio destino con impavida consapevolezza. Accende una sigaretta ad ogni nuovo capoverso, e, nella nebbia profonda della sua cella, descrive sapiente ogni minuscolo particolare dell’efferato delitto. Meglio morire di fumo che affettati da una banda di giovani criminali al termine di uno stupro anale di massa. E’ questione di alta filosofia.

La conclusione di un capitolo sugli strumenti essenziali per la pratica giornalistica spetta ai tre elementi fondamentali che hanno portato un ragazzo pieno di buoni sentimenti, intelligente e brillante a deviare su una strada ardua e piena di insidie: la busta paga, i rimborsi missione e le ferie.

Busta paga e rimborso missione sono semplici fogli di carta riempiti di cifre, espressione delle incredibili capacità di sintesi tra discipline umanistiche e scientifiche di un giornalista. La differenza tra i due è che il primo viene letto, il secondo compilato. Entrambi sono comunque oggetto di studi approfonditi.

La busta paga, al momento della consegna, viene aperta con circospezione. Ognuno cerca di sbirciare almeno il netto dei colleghi e tutti si rendono subito conto che ‘non è possibile andare avanti così’. Comincia il conto delle domeniche e feste lavorate, la voce che più incide sul totale.

Ognuno giura che è arrivato il momento di chiarire una volta per tutte col capo che non è possibile che il vicino di scrivania se le becchi sempre lui. Pensandola tutti allo stesso modo qualcosa che non va ci deve essere, ma non c’è tempo per appurarlo. L’occhio di falco del giornalista cade infatti sulla voce trattenute.

Quella che infastidisce di più è la Fnsi, poche lire, ma è una questione di principio, soprattutto nella stagione di rinnovo del contratto e peggio ancora dopo. Il colpo di grazia lo dà comunque la rata del mutuo per la casa.

La casa è una delle croci storiche del giornalismo italiano. Premesso che ai giornalisti, in teoria, una casa non serve a nulla, dal momento che bivaccano in redazione, per una pura questione di principio ogni giornalista che dio ha messo in terra prima o poi si autoconvince a comprarne una.

La colpa è da imputarsi all’Inpgi, che subdolamente offre tassi interessanti: un po’ come fanno i supermercati con le raccolte bollini, spendi un sacco di soldi in prodotti inutili, ma alla fine ti porti a casa uno scaldavivande. Il giornalista non ha bisogno di un tetto, ma gli dispiace sprecare l’occasione di un mutuo a interessi quasi zero.

Arriva dunque prima o poi il fatidico giorno in cui cadere nel tranello. L’appartamento in questione è dislocato in ‘zona informazione’ e ha l’incommensurabile pregio di essere vicino a quello di un collega con cui poter dividere le spese di trasporto verso l’ufficio. 

‘Prendilo, così la mattina andiamo con una macchina sola’ suggerisce sordido il futuro vicino di casa, che per incastrarlo ben bene comincia a magnificare il quartiere e a prospettare grigliate primaverili nel giardinetto condominiale. E’ la fine per tutti.

Quando un giornalista compra una casa e per giunta la ristruttura, è bene prendere ferie fino al giorno del trasloco. In redazione non si farà altro che parlare di idraulici ladri, piastrellisti criminali e geometri incompetenti. Le cifre si sprecano, pare d’essere alla borsa di New York, tra prezzi di sanitari al rialzo e interruttori al ribasso.

Dopo vari mesi di intoppi, evitato da tutti, arriva finalmente il giorno in cui il malcapitato in questione prende ferie per trasferirsi ufficialmente nella nuova abitazione.

Promette ai colleghi che l’hanno sopportato una cena d’inaugurazione, che tutti accettano di buon grado, coscienti che non si farà mai.

Dissanguato anche dagli autotrasportatori, di quella casa il giornalista rinverdirà i fasti mensilmente con le trattenute in busta paga, bestemmiando all’indirizzo della carogna che l’ha convinto a comprarla e, nel contempo, cercando viscidamente di intortare nell’acquisto di un’abitazione il neoassunto. ‘S’è liberato l’appartamento del quinto piano. Prendilo, così la mattina andiamo con una macchina sola’.

La busta paga che più disgusta il giornalista è quella natalizia, ma il colpo di grazia viene da quella di gennaio. In teoria, prima di Natale, dovrebbe esserci un raddoppio degli emolumenti: in pratica l’occhio cade solo sul raddoppio delle trattenute.

Sperperati i sudati guadagni in autogratificazioni essenziali (un masterizzatore, una cinepresa digitale, un cellulare da polso, un orologio collegato via satellite ai fusi orari degli States, ecc.) per più di un mese non beccherà una lira, ma si cullerà nel sogno di un Natale lavorativo pagato profumatamente o di un Capodanno milionario in redazione. Niente di più falso. Il mese in questione dura quaranta giorni e i conguagli fiscali del nuovo anno annullano qualsiasi beneficio.

In realtà il mondo dell’informazione riserva alcuni interessanti privilegi, dai buoni pasto alla sanità, dall’ingresso ufficiosamente gratuito in qualsiasi teatro fino ai rimborsi per aggiornamento professionale e borse di studio per i figli.

Qualcuno arriva addirittura ad avere l’auto in omaggio. Ma se un giornalista vuole mantenere il proprio decoro è costretto a fare i salti mortali. E l’unica rete di protezione sono i rimborsi missione.

Abbiamo già accennato alla fatica richiesta dalla raccolta scontrini ogniqualvolta un giornalista si trovi fuori sede. Più difficile ancora è stendere una richiesta di rimborso quando il cronista viene mandato con la propria macchina dall’altro capo della città.

Intanto perché bisogna dimostrare che la macchina, per una deviazione imprevista, ha percorso una distanza di due chilometri in linea d’aria in venti chilometri. Poi perché l’ammortamento del mezzo ha un suo valore, anche se si tratta del catorcio di servizio.

Da tempo alcuni editori particolarmente avari preferiscono rimborsare i trasferimenti in taxi, con conseguenti tensioni tra i lavoratori delle due categorie, tassisti e giornalisti.

In questo contesto, per tagliare ogni possibilità di fraintendimenti economici, alcune testate, solitamente gestite in cooperativa, hanno risolto il problema alla radice: pagano stipendi e rimborsi quando è possibile. 

E’ scientificamente provato che un giornalista che riceve a giugno la busta paga di gennaio è contento di poter saldare, almeno parzialmente, i debiti con le banche e, sollevato, finisce persino per essere grato all’azienda che gli ha permesso di risolvere i pressanti problemi contingenti.

Ultima dolente nota sono le ferie. A differenza di quanto accade in un qualunque altro posto di lavoro, in un giornale nessuno si sognerebbe mai di incastrare le proprie ferie tra Natale e Capodanno, tra Pasquetta, il 25 aprile e il 1° maggio o a Ferragosto e al 1° novembre. Se è previsto siano lavorativi. Le famiglie dei giornalisti sanno che l’assenza del congiunto per motivi di lavoro a Natale ha una profonda valenza religiosa o meglio un valore sacro.

A primavera il lavoro nelle testate rallenta per permettere a tutti la stesura del piano ferie. Se per ipotesi un comando kamikaze intendesse far saltare per aria il presidente degli Stati Uniti è pregato di farlo dopo la consegna del piano ferie, altrimenti la notizia finisce nelle ‘brevi dal mondo’. E siccome ai terroristi, anche kamikaze, piace finire sui giornali è meglio che sappiano che la stagione non è quella opportuna.

Il primo a compilare il piano ferie è il redattore capo. Dopo un accurato studio su ‘dove si va quest’anno’ e previa lettura approfondita di riviste sul turismo sceglie l’ultima settimana di luglio e le prime due di agosto, in modo da essere presente a Ferragosto. Presa questa prima e inderogabile decisione, passa ad analizzare la situazione contrattuale.

Gli scioperi solitamente si collocano in ‘campagna elettorale’, ottimo periodo per ritemprarsi senza salassare la busta paga o passare per crumiri. Rimane la settimana bianca che, con un sapiente gioco d’incastro tra ‘corte’ perse e ferie residue può diventare anche due, compatibilmente alla presenza o assenza di neve.

Dopo settimane di lotte all’ultimo sangue e sfide ad armi bianche –perché c’è sempre la collega che a scuole chiuse non sa dove ficcare i figli o il collega che, occupandosi di turismo, ha ricevuto casualmente in omaggio una vacanza di tre settimane in un’isola sperduta del Pacifico- il piano ferie si può dire concluso.

A parte alcuni casi singolari, imputabili al rispetto per le abitudini degli anziani, non verrà rispettato e dal giorno successivo si apriranno le contrattazioni.

Alla Panini, editrice esperta nel settore, è allo studio un sistema di figurine da scambiare. ‘Se ti do la mia corta giovedì e mercoledì prossimo, mi dai uno dei tuoi giorni di ferie, in modo che poi comunque mi faccio la domenica?’ La domenica, notoriamente, vale doppio.

La struttura operativa di un organo d’informazione

Come si compone una redazione

C’è sempre una data precisa che ricorda il giorno in cui un signore, in genere benestante, decide d’investire per creare e vendere un prodotto dell’informazione su supporto cartaceo o audiovisivo.

C’è anche un motivo, sebbene non sempre comprensibile o quanto meno incomprensibile se si pensa al prodotto. C’è anche un preciso istante in cui il signore in questione, meglio noto come editore, decide di affidare il suo investimento a un direttore, che a sua volta nomina un suo sostituto, il vicedirettore, e un coordinatore dell’attività lavorativa, il redattore capo.

Quest’ultimo è più o meno quello che nell’esercito si chiama ‘caporalmaggiore’ e a cui l’ambiente militare ha dedicato la simpatica canzoncina ‘Caporalmaggior, caporalmaggior fammi una…’. 

Dal redattore capo dipendono i vari caposervizio, responsabili dei numerosi settori d’interesse dell’opera di ingegno collettivo. Sono loro che coordinano l’attività dei redattori e dei collaboratori.

A completamento dell’organizzazione di una testata c’è la segreteria di redazione –unico ufficio realmente informato su quanto accade non solo nel mondo, ma anche nel giornale-, un archivio cartaceo e fotografico, gli uffici amministrativi e contabili, l’economato (dove si provvede a ordinare bicchieri di carta, caffè e qualche volta anche penne), i settori vendite, diffusione, pubblicità e marketing. E soprattutto un centralino che spesso funge anche da portineria, fonte inesauribile di notizie sulla vita del giornale.

Per comodità d’esposizione, sezioniamo quello che è un corpus unico, una redazione, nelle figure che la compongono.

1) Direttore. Il direttore di una testata è per definizione un uomo, se non bello, interessante. Nei rarissimi casi di direttrice il concetto è lo stesso. E se non fosse così non si capirebbe perché tutti fanno a gara per accaparrarsi un direttore a cena o invitarlo ai talk show.

Il direttore è spiritoso. Il direttore scrive benissimo, anche se non lo fa spesso per non suscitare invidia nei dipendenti. Il direttore è alla mano, nel senso che si lascia dare del tu. Insomma il direttore è il migliore o almeno il migliore dei direttori possibili finché rimane tale, dal momento che i direttori passano e solo i giornalisti restano.

Il giorno successivo alla sua (buon)uscita dalla testata il direttore diventa uno dei peggiori criminali dell’informazione, un sordido approfittatore di grazie muliebri, avvinazzato e semianalfabeta.

La dipartita del troglodita è anticipata dalle telefonate dei colleghi del quotidiano che si appresta ad accoglierlo e a cui si risponde, con una speciale forma di sadismo anale, elencando una per una tutte le malefatte dell’infame a partire dal primo scoop archiviato per arrivare a piccanti particolari sessuali. Solo nella nuova testata il direttore tornerà ad essere un uomo interessante, amabile, intelligente e, al limite, anche molto bello.

Esistono varie tipologie di direttori. C’è ad esempio il direttore- direttore, molto apprezzato soprattutto dalle agenzie. Vive di, a, da, in, con, su, per, tra, fra la notizia e quindi è presente venticinque ore su ventiquattro in redazione. 

Delega al suo vice solo il compito di decidere la marca di caffè da acquistare e parte del piano ferie e ai collaboratori i comunicati stampa ben scritti.

Per il resto controlla ogni articolo con la lente d’ingrandimento e, in caso di ‘buca’, dopo un primo goffo tentativo di suicidio, propone un massacro di massa con l’aranciata. Quando c’è ‘ciccia’ si sigilla nella sua stanza per dar vita a un pezzo memorabile che entrerà negli annali del giornalismo mondiale. Se lo si asseconda può anche succedere che faccia tutto da solo, titoli compresi: in tal caso è essenziale lodarlo molto, fingendo ammirata partecipazione per un’opera di ingegno singola, che però pare collettiva.

Più articolate sono le categorie di direttori politicamente schierati. A sinistra è facile trovare quello che trascorre il suo tempo nei locali più in vista della città con il presidente di Assindustria, per poi concludere la serata con un Black Jack a casa di una contessa della nobiltà papalina.

A destra s’incappa in pericolosi borgatari capaci di rivitalizzare una bettola periferica suonando con la chitarra e l’armonica a bocca ‘O bella ciao’. Al centro ci sono morigerati padri di famiglia felicemente sposati e apertamente schierati contro l’aborto, assidui frequentatori dei viali di circonvallazione, con la scusa dei ‘motivi di servizio’.

2) Vicedirettore. Facsimile del direttore, ma un tono più sotto.

3) Redattore capo. Facsimile del vicedirettore, ma un tono più sotto. Parafrasando Woody Allen, si potrebbe dire che chi non ha voglia di far nulla nella vita fa il giornalista e chi non ha voglia di fare nemmeno quello fa il redattore capo.

4) Capo servizio. Mentre direttore e vice hanno sempre le valige pronte e il redattore capo è figura sfuggente, il caposervizio è un vero e proprio giornalista, così come l’abbiamo più o meno raccontato finora.

Con una particolarità: il caposervizio si fa carico di coordinare il lavoro del suo settore- sia esteri, cronaca, cultura e quant’altro- anche a parità di trattamento economico. Questa curiosa caratteristica è stata oggetto di studi da parte di celebri psichiatri. Le ricerche si stanno sviluppando lungo due filoni differenti.

Per la psichiatria classica, i neuroni del caposervizio producono una speciale sostanza che inibisce il sistema immunitario, stimolando l’attività onirica. In pratica il paziente nutre ambizioni di carriera, pur sapendo che è impossibile e dannoso per il suo equilibrio psicofisico.

I laboratori di una multinazionale farmaceutica stanno mettendo a punto uno speciale psicofarmaco in grado di invertire il processo e tra un paio d’anni si presuppone che, al pari dei giornalisti, scompariranno anche i caposervizio.

Per gli psichiatri democratici, il caposervizio non è un malato, ma un soggetto da reinserire nel tessuto sociale del giornale, evitando ogni forma di emarginazione e compiti onerosi, come dire a ciascuno dei propri collaboratori cosa dovrebbe fare.

L’ideale sarebbe la costituzione all’interno di ogni testata di servizi- famiglia (esteri- famiglia, cronache- famiglia, ecc.) dove tutti a turno settimanale gestiscono l’organizzazione del settore o, in alternativa, il trattamento sanitario obbligatorio.

Prevalga una teoria o l’altra, sta di fatto che il rapporto ambizioni- realtà manda in crisi non solo i caposervizio, ma anche i redattori semplici. Ci vogliono infatti molti anni di cure per convincere un giornalista che fare carriera non è questione di bravura o di raccomandazioni, ma il frutto di una particolare congiunzione astrale nel tema natale.

Accade così che la depressione sia sempre in agguato e che il 50% dei pazienti distesi sul lettino di ogni analista sia iscritto all’Ordine dei giornalisti. Chi non ha il coraggio di affrontare un lungo viaggio nei meandri della propria psiche, si affida ai più classici psicofarmaci.

In alcune redazioni si è provveduto a mettere, a fianco della macchina del caffè e delle bibite, un dispenser con le principali pillole e gocce in commercio, dall’En, al Valium, al Lexotan, per evitare che a qualcuno possa sopraggiungere una crisi da astinenza proprio in chiusura di giornale.

5) Manovalanza. Del lavoro delle manovalanze abbiamo già dettagliatamente parlato. Come in ogni cantiere che si rispetti, a fianco degli operai specializzati e contrattualizzati –nel nostro caso i redattori- ci sono i lavoratori al nero, impiegati per quelle attività che nessuno vuole fare. Nel mondo dell’informazione si chiamano collaboratori, termine politically correct free lance.

Il free lance è un professionista o un pubblicista disoccupato a vita che si ostina a rifiutare un lavoro onesto e remunerativo, come ad esempio viado sulla tangenziale, pur di pensarsi giornalista. 

Muccioli prima e Don Mazzi poi avevano provato a costituire delle comunità per disintossicare i free lance, ma la Fieg ha bloccato i finanziamenti.

I free lance, anche se non pare, sono indispensabili nella vita di qualsiasi testata, come gli extracomunitari lo sono per i latifondisti del sud o gli industriali del nord- est.

La giornata di un free lance inizia al mattino presto con una visita alle banche, di cui è affezionato cliente. Spiegato al funzionario che è assolutamente impossibile che non sia ancora arrivato il bonifico milionario e che deve trattarsi di un tragico errore –da verificare quando sarà aperta l’amministrazione del giornale -, convince o meglio tenta di convincere il bancario a pagare ugualmente la bolletta del telefono, con un’elasticità di cassa oltre al fido di pochi giorni.

Vada bene o no, passa a trovare qualche parente –ottime le vecchie zie zitelle e senza altri eredi, ma anche la madre pensionata è un punto di riferimento affettivo da frequentare assiduamente- e, fingendosi indignato per il mancato arrivo del bonifico milionario, riesce a scucire almeno i soldi del telefono e un pentolino con un po’ di salsa di pomodoro.

A parte i familiari stretti, di solito i free lance hanno una vita sociale molto elitaria. Evitano accuratamente amici di nuova e vecchia data, perché devono loro un sacco di soldi, spiegando all’anziana madre che purtroppo il loro evidente successo in campo giornalistico ha attirato invidie immotivate.

Verso le undici sono sul campo di battaglia ossia presenziano a tutti quegli eventi che nessuno, nemmeno il fattorino, ha voglia di seguire. Un collaboratore può passare senza fare una piega da un convegno su ‘Le iniezioni intramuscolari nella farmacopea mediterranea’ (dove, relatrice d’eccezione, è una cugina dell’editore) a una conferenza stampa del ‘Circolo del tricot’ –diretto dalla mamma di un redattore.

Al quinto evento di vitale importanza, mangiucchiando un panino, comincia il giro delle telefonate, equamente suddivise tra quelle dirette alle amministrazioni e quelle ai fortunati colleghi contrattualizzati. Entrambe sordidamente untuose.

Alla ‘responsabile collaboratori’ chiede umilmente di controllare se, per ipotesi e se non crea troppo disturbo, magari forse l’azienda potrebbe provvedere, in via del tutto eccezionale, a saldare almeno le spettanze di due anni fa.

Inizia una pietosa pantomima da cui il free lance si salva solo perché non ha una lira. L’impiegata, infatti, dopo essersi dimostrata comprensiva e attenta, spiega con dovizia di particolari le difficoltà economiche in cui versa l’editore, dopo il secondo divorzio e il minuscolo scandaletto a seguito, che l’ha messo in ginocchio con la Finanza.

Annuncia che molto probabilmente a fine mese è possibile che la Tributaria sblocchi i fidi, ma confessa di non sapere come fare al ventisette con le paghe dei contrattualizzati.

Poi alza il tiro: ‘Si figuri, se potessi le farei avere anche tutto subito…ma pensi anche (e spara il nome di una mitica firma del giornalismo italiano) sta aspettando da 15 giorni ben tre milioni’. Il free lance sbianca, vuoi perché messo sullo stesso piano del ‘più grande dei grandi’, sia per paura di perdere la collaborazione.

Così facendo gli sfugge che i tre milioni al divino sono il rimborso per un intervento di dieci righe. Non potendo contribuire personalmente a risollevare le sorti dell’azienda, promette di farsi vivo più avanti, sempre con la speranza di non disturbare.

Di tutt’altro tono le conversazioni telefoniche coi colleghi contrattualizzati, che sovente conosce solo via cavo.

Se il free in questione è femmina, il rapporto, iniziato sotto una buona stella, continuerà così fino alla visita alla redazione, quando il giornalista scoprirà che dietro alla voce suadente di una spiritosa fanciulla c’è un manico di scopa piatto e baffuto o una cicciona spelata.

Se il collaboratore è maschio verrà sfruttato, ma rispettato in virtù di una solidarietà di genere che le donne ignorano. In entrambi i casi il free deve vendere le notizie in suo possesso, possibilmente a più testate, garantendo l’autenticità e originalità dei pezzi.

I norcini friulani, particolarmente sapienti nell’utilizzo di tutte le parti del maiale ammazzato, stanno organizzando dei corsi di giornalismo per free lance. La tecnica è simile: si prende una notizia e, una volta venduto ai quotidiani quanto serve all’attualità, la si sviscera per i settimanali. Quello che resta va ai mensili specializzati.

Un free lance è in grado di scrivere sullo stesso argomento anche dieci notizie tutte diverse nella forma, ma identiche nella sostanza. Per venderle ha fatto di tutto: attaccato esasperanti bottoni telefonici, lusingato il collega sostenendo che erano anni che nessuno mai era stato in grado di descrivere Berlusconi con l’acume e l’intelligenza dimostrato nel pezzo pubblicato sull’ultimo numero, spiegato nei minimi particolari la fondamentale importanza che riveste il ritrovamento nella stazione di Forlì di cinque clandestini bulgari alla luce dei nuovi sviluppi del centro d’accoglienza Caritas della cittadina.

Il free sa tutto della vita familiare di tutti i suoi interlocutori, scadenza date importanti, colleziona articoli altrui fondamentali.

Il collaboratore lavora come può. Di solito gli basta un telefono, un computer e Internet (da cui, vantando incredibili doti di hacker, si collega alle agenzie). Supplisce alla mancanza di mazzetta con un’ora di navigazione dalle due alle tre del pomeriggio, prima di mettersi a scrivere.

Entro le 21 ha prodotto almeno sette o otto pezzi sugli argomenti più disparati e li ha anche inviati. Se è bravo ha rispettato gli ordini ossia misure e tempi di consegna. Se è inesperto telefonerà in chiusura di giornale, chiedendo se l’articolo è piaciuto e cercando conferme.

Ma un free così non ha lunga vita, al pari di quelli che, aperto il giornale e letto un curioso pezzo a propria firma, si fan vivi per protestare per le modifiche apportate. 

Per non parlare di coloro che entrano in crisi solo perché il servizio non esce o esce con sei mesi di ritardo, quando ormai anche l’Eco di Medjugorjie ha esaurito l’argomento.

Un vero free non fa domande. Un vero free non ha pretese. Un vero free va avanti e tiene duro. Se per ipotesi la zia zitella muore lasciandolo erede, approfitterà di un’insperata ricchezza per andare a proprie spese, senza assicurazione, in Afghanistan a intervistare le mogli dei Talebani sulle violenze sessuali in famiglia e, al ritorno (se ci sarà un ritorno), tenterà invano di vendere il servizio a un noto settimanale, sentendosi rispondere che è già stato fatto. Ripiegherà su un pezzo di colore sulla moda a Kabul per Mani di fata.

Dopo una cena frugale il collaboratore, se non è costretto da un quotidiano locale a seguire lo spettacolo amatoriale in dialetto del nipote della portinaia della testata, segue gli spettacoli televisivi delle emittenti di provincia per cogliere gli umori di aspiranti assessori alla nettezza urbana del Comune e nel contempo legge i libri degli autori esordienti del suo quartiere, navigando in Internet alla ricerca di siti singolari.

Verso le due o le tre di notte, dopo la rassegna stampa, mentre sta tentando di portare a termine un servizio sul tesoro di Milosevic –basato sulle pezze d’appoggio degli estratti conto intestati all’ex leader serbo, ottenute, con semplice richiesta verbale, dal cassiere della banca- crolla addormentato sul computer.

E sogna. Sogna un posto fisso in una redazione di giornale. Sogna di poter sbattere il telefono in faccia a quei rompiballe di collaboratori. Sogna che è il 27 e che sulla sua scrivania plana una busta paga, dove Inpgi e Casagit sono già incluse.

Sogna la prima bolletta telefonica con una cifra a soli tre zeri e un direttore che lo chiama per chiedergli se, per piacere e in via del tutto eccezionale, è disposto a raccontare, tutto spesato, cosa si prova in un mese di vacanza a Tonga. 

Sogna di essere fermato per strada, ‘ma lei non è…?’, sogna la voce dell’onorevole che, supplice, gli chiede un’intervista, senza che la segretaria (per inciso quella stronza che fa da filtro) ne sappia nulla.

Free lance e redattori, è evidente, fanno parte di due facce di una stessa medaglia. Da un lato chi immagina il posto fisso come un’oasi di libertà, dall’altra chi immagina l’oasi di libertà come un posto fisso, ma senza colleghi. 

Non sanno, poverini, che senza le organizzazioni di categoria rischiano, al pari dei giornalisti delle testate multimediali, di finire nel grande crogiuolo del ‘giornalismo del futuro’.


CONCLUSIONI


Come si diventa giornalistI

Giornalisti non si diventa, si nasce. Potrà sembrare banale, ma non lo è. Molti si sentono chiamati, ma pochi finiscono per essere realmente gli eletti. Non basta saper scrivere. Se sai scrivere e pensi che qualcuno ti legga, non sei un giornalista, ma uno scrittore o, peggio ancora, un poeta.

Buona fortuna, ma non fai per noi. Tutt’al più ti recensiamo domani. O forse sei curioso, ti piace guardare il mondo che ti circonda, indagare, cercare di capire? Ti consigliamo l’arruolamento in Polizia, a meno che tu non preferisca la carriera opposta, quella del ‘guardone’.

Ma tu magari sei sempre aggiornato, leggi, t’informi. L’Università deve pur esistere per qualcosa, fai un bel concorso. Oppure sei di quelli che coltivano rapporti umani. Lascia perdere, ne abbiamo visti tanti provare e fallire miseramente. Se vuoi realizzarti iscriviti a un’associazione di volontariato e dà libero sfogo alla tua natura.

Ma può succedere che tu sappia scrivere, non necessariamente bene, e che non t’importi nulla che qualcuno ti legga. Che tu sia curioso, dotato di un certo fiuto per le situazioni, che il mondo e le persone che ti circondano t’interessi, anche perché con una distaccata gestione della realtà pensi di riuscire a tirar su due lire e a ritagliarti un piccolo spazio di potere.

Caro amico, benvenuto tra noi. A te abbiamo dedicato questo manuale, svelando i segreti di una professione tra le più antiche del mondo. A te, giornalista nato, che vuoi battere con noi la strada, riserviamo gli ultimi consigli.

Per diventare seri professionisti ci sono due possibilità.

La prima, impraticabile, è l’assunzione in un giornale. Scordatelo. E’ un vecchio trucco che non funziona più. Se non hai avuto la fortuna di farti assumere come praticante dal ‘manifesto’, salvo poi salutare i compagni allo scadere dei diciotto mesi e passare alle principali testate nazionali, l’unica possibilità è il praticantato d’ufficio.

Raccogli con cura tutti gli articoli e i relativi pagamenti (anche 500 lire bastano): dopo il primo tagliando (pubblicista), intensifica la tua attività e attendi pazientemente un’ondata di prepensionamenti. 

A quel punto porta tutto all’Ordine dei giornalisti della tua Regione: per pareggiare i conti dell’Inpgi qualcosa ti riconoscono, fai l’esame e diventi professionista.

Oppure iscriviti a qualche scuola di giornalismo, lavora gratis duramente nelle testate convenzionate e segui il piano di studi. L’esame ti spetta di diritto. In un modo o nell’altro riuscirai a diventare un professionista, che comunque è sempre meglio che lavorare. Tanto un lavoro non lo troverai ugualmente, ma farai parte della grande famiglia di lavoratori del futuro, i free lance. Una prospettiva decisamente allettante.

In verità può anche succedere che tu abbia una zia funzionaria di partito. In tal caso non ti servono consigli. Sarà la zia a farti assumere dall’organo –d’informazione, ovviamente.

Ma non farti illusioni: se anche ti viene riconosciuto il praticantato e ti dicono che sei lì per fare informazione, se anche fai l’esame e lo superi, in realtà sei solo una pedina per un finanziamento. Lo capirai solo quando e se ti capiterà di scrivere un articolo vero per un vero giornale. Ed è probabile che, piangendo, tu ritorni dalla zia chiedendole un posto d’addetto stampa di un onorevole. Che comunque è sempre meglio che lavorare.

Noi non vogliamo scoraggiarti, ma farti prendere coscienza della realtà. Sentire la vocazione al giornalismo è missione e passione. In senso ecumenico.

Praticantato vero o d’ufficio, volontariato universitario o pratica da dattilografo, verrà il giorno in cui comprerai un manuale e ti getterai nello studio, matto e disperatissimo, in previsione dell’esame. Ascoltaci, ti prego, caro futuro collega, ascoltaci.

Noi sappiamo che la prima cosa che ti viene in mente è cercare un collega dell’Ordine che ti presenti alla Commissione.

Non lo fare. Ogni sessione vanta centinaia di candidati, ogni commissario altrettante centinaia di raccomandati. Siccome sono uomini faticano a tenere a mente i nomi di tutti, è più semplice promuovere tout court e evitare così gaffes, magari con amici di vecchia data.

Sii dignitoso, fidati di te stesso e delle tue capacità. In virtù della presenza dei grafici e dei fotografi –condannati inspiegabilmente alle tue stesse prove scritte- qualsiasi testo tu produca sarà valutato in modo positivo.

Concentrati piuttosto sull’uso della macchina da scrivere, anzi cerca di procurartene una in tempo da antiquari e rigattieri della tua città. Non sottovalutare le insidie del nastro, la fatica di un ritorno a capo, l’impossibilità di un controllo automatico delle battute. Allenati.

Quanto ai test, non preoccuparti: sei libero di andare quando vuoi in bagno, ammesso e non concesso che la ressa di persone che vi colloquia amabilmente consenta l’accesso. Parla con i tuoi compagni di strada, avendo cura di scegliere quello che a istinto ti sembra più preparato. E comunque confronta le risposte. Superati brillantemente gli scritti hai tempo per preparare l’orale.

Scegli, per la tesina, un argomento noto a te solo, tipo ‘La situazione politica del Gimzebikstan del Sud’. Il tuo relatore ti chiederà il nome della capitale del Gimzebikstan del Sud e plaudirà alla risposta (Karabaul).

Non strafare, attendi che ti chieda –domanda trabocchetto- quello della capitale del Gimzebikstan del Nord. Basta rispondere Babarum e sarai immediatamente dirottato ai magistrati, con ampi cenni di consenso.

Adesso ascolta bene: devi mandare a memoria i compiti del Presidente della Repubblica, conoscere la differenza tra un Gip e un Gup e qual è il nome dell’Ente che è organo di consulenza delle Camere e del Governo in materia sociale ed economica, quanti membri ha e come sono suddivisi tra esperti e rappresentanti di categoria.

Non puoi consultare nulla, né rispondere ‘Non lo so, ma so dove reperire i dati’. Se sbagli sei fregato, ma se ti viene in mente ‘Cnel, 80, 1 presidente, 20 esperti e 59 rappresentanti’ nessuno ti chiede se ti fermi o raddoppi, ti stringono la mano e te ne torni a casa col tesserino di giornalista in tasca.


Dal Deuteronomio 7, 7-8: Non già per essere voi più numerosi di ogni altro popolo, ch’il Signore v’ha prediletti e prescelti, poiché voi siete il meno numeroso di tutti i popoli. Ma per l’amore del Signore verso di voi, Egli vi trasse con mano potente. E ti liberò da quella che per te era schiavitù da lavoro mettendoti nelle mani di un Editore” (per alcuni filologi c’è un ‘d’Egitto’, che non figura nella versione apocrifa fin qui utilizzata).

Rispose Isaia 44,8:Non v’impaurite, non vi spaventate. Già da lungo tempo te lo feci udire e lo annunciai e voi siete i miei testimoni: c’è dunque un Editore fuori di me? Non c’è potente ch’io non conosca".

Questo manuale non è dunque solo per te, giornalista nato, che hai superato o stai per superare l’esame. E’ per tutte quelle persone iscritte a un Ordine e che, nonostante tutto, anche dopo decine di anni di onesta professione faticano a prendersi troppo sul serio.

Ossia per me, qualche amico o, forse, lettore del Barbiere della Sera. Soprattutto per lo sponsor che l’ha generosamente pagato. L’unico che può anche sull’Editore.


FINE


-Il Manuale del buon Giornalista-
Copyright 2001 Chiar.mo Prof. C. Magrìt - Il Barbiere della Sera
(Riproduzione riservata)


 

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