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Introduzione
Dal libro dell’Esodo, 19.
“Il Signore
disse a Indro Montanelli ‘Va, scendi, poi salirai tu
e Curzi con te. Ma i giornalisti e i pubblicisti non si
precipitino per salire verso il Signore, altrimenti Egli
si avventerà contro di loro’.
Montanelli scese
verso i giornalisti e parlò”. In qualità di decano
del giornalismo italiano ebbe direttamente da Javè le
dieci tavole professionali e tentò disperatamente di
illustrarne il contenuto a un popolo munito di carta,
penna e microfoni pronto a idolatrare un vitello perché
commestibile, meglio ancora se d’oro. Tuonò invano
Indro:
Primo: rispetterai la
personalità umana’.
‘Passa al
secondo…’ urlò sghignazzando dal loggione un
cronista di nera.
‘Secondo:- proseguì impassibile
Montanelli- rispetterai la verità dei fatti’.
Più
che un boato, fu un coro a cappella di risate.
‘Terzo- disse, imperturbabile, l’anziano
giornalista- manterrai un comportamento leale nel
riferire le notizie’.
Le prime file- editori,
direttori e vicedirettori con signora regolamentare al
fianco- cominciarono a protestare. Prima in modo
sommesso, poi- quando il padre del giornalismo nazionale
affermò:
‘Quarto: sii in buona fede’- il brusio
di fastidio si fece plateale sinfonia di fischi.
‘Quinto- e qui anche Indro cominciò a dare segni di
nervosismo- avrai il dovere di rettificare e riparare gli errori’. Gli avvocati presenti incaricarono il
presidente del loro Ordine di tenere un breve, ma
struggente discorso di ringraziamento a una categoria
che, tra querele e diffamazioni, consentiva a tanti bravi
laureati in giurisprudenza di mantenere famiglia e
amanti.
‘Sesto: tieni segrete le fonti’.
Si fece silenzio, nessuno riusciva a
capire di che cosa stesse parlando.
‘E’
vecchio’ abbozzò una firma rampante. ‘Ma dai
che l’ha sponsorizzato la Fiuggi… non vedi che
dimostra vent’anni di meno…’.
Dopo una
breve riunione dei rappresentanti dei Cdr di tutte le
testate, si decise che per ‘fonti segrete’
andava inteso il divieto di segnalare sulle carte
geografiche tutte le sorgenti a monte delle aziende
produttrici di acque oligominerali.
Intervenne subito l'ex Ministro dell’Ambiente Bordon che tolse il vincolo
di segretezza alla San Pellegrino e alla San Benedetto,
imponendo nel contempo restrizioni a tutte le fonti
vaticane o non rigorosamente laiche, perché
potenzialmente inquinanti.
La successiva discussione tra
il presidente del Consiglio Amato e il Ministro della
Sanità Veronesi venne bloccata dalla voce, imperiosa e
alterata, di Indro Montanelli:
‘Settimo:
collaborerai con gli editori’. L’ovazione delle
prime file coprì le timide proteste di qualche sperduto
fiduciario Fnsi.
‘Ottavo: promuoverai la fiducia nella stampa’.
‘Cavoli vostri’
sibilò
un giornalista Rai a un collega di un quotidiano di
provincia. La rissa, che stava estendendosi anche ai
giornalisti televisivi di Mediaset, venne immediatamente
sedata da un intervento del senatore Agnelli, che
riteneva assolutamente corretto appoggiare La Stampa. Il
malumore di editori e direttori di altre testate venne
subito bloccato dal presidente di Confindustria e
Montanelli potè proseguire:
‘Nono: difendi il
decoro dei giornalisti’. Serventi Longhi, segretario
del sindacato, venne allontanato dalla sala da un gruppo
di iscritti in aperto contrasto con l’ultimo
contratto.
‘Decimo’. Montanelli fece una
pausa solenne, densa di significato. ‘Rispetta la
tua dignità e quella dell’Ordine a cui
appartieni’.
Si sentirono solo gli ultimi rantoli di
un gruppo di free lance, rimasti schiacciati contro la
rete di recinzione da colleghi che avevano fretta di
raggiungere l’uscita prima dello scadere delle
fatidiche 7 ore e 15 minuti.
Nelle tasche di uno di loro
venne ritrovato un tesserino da pubblicista e la ricevuta
di un bonifico da 7.500 lire lorde, spese a carico del
destinatario. Pietoso, Montanelli chiese all’Inpgi
di assumersi almeno l’onere delle spese funebri, ma
il poveretto non aveva versato la sua parte di contributi
all’Inpgi 2 e il corpo venne affidato ai servizi
dell’Ente protezione animali.
All’esterno editori,
direttori, vicedirettori, signore regolamentari e
giornalisti attesero per un po’ il profeta
Montanelli. Poi decisero che era vecchio e in odore di
comunismo e andarono a mangiare il vitello senza di lui.
Javè indisse un referendum per l’abolizione
dell’Ordine dei giornalisti, ma, al solito, fu
boicottato dall’informazione.
Capitolo Primo
La regola delle 5 W
Come tutti sanno un
giornalista, nel passare la notizia, si attiene senza
eccezioni alla regola britannica delle 5 W, ‘who,
what, where, when, why’. E’ fondamentale però
applicarla con onestà professionale, senza mai
dimenticare di coniugare i principi essenziali di
rispetto della privacy con le necessità di
un’informazione libera ed esaustiva.
Who? Chi? Il protagonista.
Prendiamo un caso inverosimile, ma sempre possibile (nel
mondo del giornalismo tutto è possibile).
La moglie di
un celebre editore viene rapita dal domestico
extracomunitario. Trattandosi di un celebre editore è
inutile fornire le generalità sue e della consorte, dal
momento che lo conoscono tutti.
E’ meglio
concentrarsi sul domestico. In tal senso oltre al nome e
cognome, al luogo, data e ora di nascita, al numero di
scarpe, alla descrizione dettagliata dell’arcata
dentaria è essenziale fornire un albero genealogico fino
alla terza generazione, individuando se possibile anche i
cugini di secondo grado multati per divieto di sosta.
What? Che cosa? Il fatto è
evidente. Un criminale extracomunitario ingrato, entrato
in Italia di nascosto il 12 luglio 1990 alle ore 22 e 47,
con uno zio materno ubriacone e una nipote della
cugina ragazza madre, ha rapito la moglie di un noto
editore.
Where? Dove? Siccome le
indagini potrebbero essere in corso o magari anche no, a
scanso d’equivoci è meglio chiedere direttamente
all’editore dove preferisce immaginare sia stata
rapita la sua signora.
When? Quando? Anche in
questo caso un giornalista coscienzioso si rivolge
direttamente alla fonte (l’editore), garantendo
comunque la massima discrezionalità.
Why? Perché? La domanda è
solo apparentemente oziosa. Pur restando indiscutibile la
realtà, ossia che si tratta di un pericoloso
extracomunitario incapace di azioni oneste, un bravo
giornalista ha sempre l’obbligo di sondare gli
imperscrutabili abissi degli istinti, fossero anche
quelli di una scimmia.
Potrebbe scoprire ad esempio che,
secondo una tradizione religioso antropofaga del paese di
provenienza, l’essere in questione è costretto a
rapire una donna nella prima notte di plenilunio nel mese
successivo al compimento del trentatreesimo anno
d’età. In tal senso la conoscenza profonda della
storia, della geografia, delle tradizioni e delle
religioni altrui è, per un vero giornalista, un bagaglio
impagabile. Essenziale è, comunque e sempre, utilizzare
le proprie vaste conoscenze senza alcun pregiudizio.
Applicazioni pratiche
L’esempio appena esposto va ovviamente
adattato alle necessità delle testate e dei mezzi
d’informazione.
Informazione televisiva. Si
accompagna il testo d’agenzia con le immagini della
sorella del rapitore extracomunitario mentre cerca di
sottrarsi all’inseguimento delle telecamere
nascondendosi dietro (o meglio ancora dentro) un
cassonetto di spazzatura.
O della biscugina di tre anni
all’asilo mentre beve la minestra direttamente dal
piatto. Importante soffermarsi a lungo sul volto della
bambina in modo che tutti possano riconoscerla per strada
e raccogliere al microfono i gemiti della sorella.
Quotidiani di centro- sinistra.
Si ventila l’ipotesi che sia tutta una montatura del
centro- destra per gettare discredito sugli
extracomunitari. Segue intervista con la ministra Livia
Turco che dice cose di sinistra sulla nuova legge- resa
necessaria dal caso in questione- sull’introduzione
di guinzaglio e catena per i domestici extracomunitari
(regolari e non). Nonché intervista con l’ex
sindaco di Roma, Rutelli, sull’utilizzo dei
cassonetti come dormitorio da parte degli
extracomunitari.
Quotidiani di centro- destra.
Si ventila l’ipotesi che sia tutta una montatura del
centro- sinistra per gettare discredito sulla proposta
del centro- destra di mettere la museruola ai domestici
extracomunitari (regolari e non).
Intervista al
Presidente della Regione Lazio, Storace, su eventuali
misure preventive storicamente testate e spesso
mistificate nei testi scolastici. Intervento di un cardinale
a sostegno dell’uguaglianza di tutti gli uomini, con
particolare attenzione per quelli che sono uguali alle
bestie. Convegno di Forza Italia e proclama di Berlusconi
‘Sarò un presidente extracomunitario’.
Quotidiani comunisti. Dopo
aver denunciato con forza l’esistenza di rapporti di
parentela tra il noto editore e un noto politico del
centro- destra, si accusa il governo di aver adottato
misure restrittive nei confronti degli extracomunitari. A
tal fine viene indetta una manifestazione di massa per la
difesa dei diritti e il ritorno di Ocalan.
Settimanali. Foto in
copertina di Naomi Campbell nuda (davanti quelli di
centro- sinistra, dietro quelli di centro- destra) e
titoli. ‘Sono nera, ma aspetto di essere
rapita’ per il centro- sinistra.
‘L’extracomunitaria che rapisce’, centro-
destra. All’interno pubblicità.
Settimanali ‘rosa’.
Servizio sulla cognata dell’extracomunitario sposata
con un extracomunitario che ha la fortuna di lavorare
dodici ore al giorno sette giorni alla settimana per una
ditta dell’indotto del settore metallurgico e non ha
grilli per la testa.
Conclusioni
Dopo un mese, indipendentemente dagli
sviluppi della vicenda, un’ennesima clamorosa
notizia costringerà il bravo giornalista a nuovi e
faticosi approfondimenti. Se ha fatto onestamente il suo
lavoro, comunque, sarà grato al noto editore per aver
scelto nella vita di non fare l’extracomunitario.
Capitolo Secondo
La notizia e le fonti: la nascita di una notizia
Cos’è mai la notizia…! Tutto
è ovviamente notizia e tutto non lo è.
Prendiamo, ad esempio, un terremoto in pieno
inverno nel Sinkiang Uighur settentrionale con 600.000
morti e 1.500.000 di senza tetto.
Un giornalista attento
capisce subito che nessun italiano dotato di buon senso
può trovarsi nel Sinkiang Uighur settentrionale a
gennaio, unico motivo valido per occuparsi del fatto. E
del resto, fino a che il collega dell’Ansa che segue
(da solo, dal momento che ogni tentativo di dimezzare la
redazione per ridurre i costi è miseramente fallito)
tutti gli eventi in Cina non imparerà a farsi i fatti
suoi, è ovvio che le cronache saranno sommerse di
informazioni inutili, da usare –al limite- per
riempire il colonnino delle brevi.
Ma facciamo un altro esempio.
Silvio Berlusconi dichiara ‘Vinceremo le
elezioni’. Gli fa eco Francesco Rutelli con ‘Le
elezioni le vinceremo noi’. Apparentemente le due
frasi si somigliano e, essendo in campagna elettorale,
nessuno dubita che entrambi (a meno non siano ancora più
sciagurati di quello che sembrano) siano interessati a
vincere. Eppure è su questo campo che si gioca la
differenza tra lettore e giornalista, tra utente e
produttore.
Se facessimo un’indagine di mercato, su 100 persone
intervistate, 100 risponderebbero ‘Chi se ne
frega’ (98 se tra gli intervistati ci sono
Berlusconi e Rutelli).
Dopo una settimana di informazione
capillare ben mirata il numero degli scettici si riduce
alla metà, dopo un anno (come nel caso in questione)
tutti e 100 gli intervistati partecipano alla tenzone e
si dichiarano disponibili a far vincere entrambi purché
sia finita. Che cosa ha trasformato due frasi
apparentemente banali in una notizia? Il bravo
giornalista. Grazie al bravo editore, a sua volta
supportato dal bravo direttore.
Per permettere ai giornalisti
l’onestà intellettuale che distingue la
categoria, l’editore si fa carico di conoscere un
sacco di gente.
L’editore di solito è un uomo
diventato poverissimo per vocazione, come è noto a
tutti, soprattutto in tempi di rinnovo contrattuale. Per
mantenere i giornalisti è costretto a frequentare i
centri di potere.
Capita così che intrecci amicizie
interessanti con cui scambiare confidenze. Essendo
generoso, non le tiene per sé e le racconta al suo
migliore amico, il direttore, che in tempi remoti era
anche un giornalista. E siccome il primo dovere di chi si
occupa d’informazione è non nascondere nulla, ecco
la notizia.
Mettiamo che Berlusconi conosca
un editore. Anzi, facciamo finta che Berlusconi, il
politico, sia anche un editore. La moglie Veronica dorme, e lui non sa con chi parlare. Chiuso nella sua stanza si dice:
‘Vinceremo le elezioni’. Il giorno successivo
Berlusconi, l’editore, sente il bisogno di confidare
le speranze di Berlusconi, il politico, a qualcuno e si
sfoga coi direttori (facciamo finta che Berlusconi,
l’editore, ne abbia più di uno). Può, secondo voi,
un giornalista non dare voce a un urlo nel silenzio?
Ma proseguiamo. Francesco Rutelli, prima
d’addormentarsi, confida alla signora Barbara che
‘Le elezioni le vinceremo noi’. Lei magari ha
sonno, ma prima di essere moglie è giornalista. E
mantiene buoni rapporti coi suoi editori, passati e
presenti. Può una moglie giornalista non confidare
subito a un editore i sogni e le speranze del marito?
Giammai.
Il mattino successivo gli editori, anche
l’editore Berlusconi, sono a conoscenza dei sogni
dei politici Berlusconi e Rutelli e avvisano i direttori
di mettere i giornalisti sulla notizia. E quando un
giornalista è sulla notizia il gioco si fa duro.
Nelle redazioni di tutti i quotidiani e
delle testate televisive uomini e donne si preparano a
una giornata di massacrante lavoro. Attendono coi muscoli
tesi lo start, il via: la notizia Ansa che, per prima,
autorizzerà la partenza.
Alle 12 e 11’ e
32’’ l’agenzia batte due takes, uno sui
sogni di Berlusconi, uno su quelli di Rutelli. Arriva la
riconferma dalle altre (può anche succedere che le altre
battano sul tempo l’Ansa, ma ciò significa che un
valoroso collega Ansa è morto sul campo di battaglia,
medaglia d’oro al valore della riduzione dei costi).
Un vero giornalista si riconosce
dallo scatto. Afferra il registratore, il blocco
degli appunti, la penna e si catapulta nei luoghi dove
Berlusconi, il politico, e Rutelli si apprestano a
parlare (non prima che siano arrivate le telecamere).
Può succedere che i due scambino le frasi e che
Berlusconi affermi ‘Le elezioni le vinceremo
noi’, mentre Rutelli dica ‘Vinceremo le
elezioni’, persino senza punto di domanda. Perdere
l’attimo fuggente può costare la carriera.
Decine di microfoni e registratori si
dispiegano in bocca ai due leader (i maligni sostengono
che Berlusconi, l’editore, abbia addirittura una
microspia nell’impianto dentario collegata al
microchip dell’ipotalamo dei direttori) ben sapendo
che i protagonisti della scena politica, per diventare
tali, non hanno mai sofferto di claustrofobia.
Segue
conferenza stampa in cui Berlusconi promette un milione
di posti di lavoro e Rutelli promette a un milione di
persone un posto di lavoro.
Raccolto il materiale sul campo, il bravo
giornalista ritorna in redazione, guarda le agenzie e col
‘copia e incolla’ (una volta bisognava
ribattere il tutto, ma c’erano ancora i poligrafici)
getta le basi per trasformare la notizia in articolo.
E’ la parte più delicata del
lavoro. Varia a seconda della sensibilità del
direttore di testata.
a) testata anglosassone:
‘Berlusconi e Rutelli promettono un milione di posti
di lavoro. Gli industriali: ci stiamo, ma abbattete tasse
e costo del lavoro’ (vedi Sole 24 ore)
b) testata di centro- sinistra:
‘Rutelli sfida Berlusconi sui posti di lavoro.
Stretto nel suo loden blu, Clarks in tinta, ...’
(vedi Repubblica)
c) testata di centro- destra:
‘Berlusconi sfida Rutelli, creerò un milione di
posti di lavoro. Stanco per le venticinque ore di lavoro
giornaliere che la sua indefessa attività politica
richiede, ma pur sempre sorridente e in ottima forma
fisica, ...’ (vedi Giornale)
d) testata di centro (sinistra e
destra): ‘Sfida tra leader. Un milione di
posti di lavoro, comunque. Queste le promesse dei
leader…’ (vedi Corriere, segue editoriale di
Claudio Magris, ‘In media stat virtus’)
e) testata comunista:
‘Trecentomila disoccupati in piazza a Gioia Tauro. E
Berlusconi e Rutelli promettono ancora…’
La notizia dunque è nata,
ma è come una pianta che ha bisogno di venir coltivata
con cura e amore. Ogni direttore ha una sua ricetta, un
suo editorialista, un fine esperto in fonemi, un
fotografo o un cineoperatore capace di cogliere gli
aspetti salienti della situazione, una ditta di sondaggi,
un tuttologo per trasformare due sogni in realtà o
meglio per aiutare gli amici dell’amico editore,
catturando l’attenzione del resto d’Italia.
Venuta alla luce, la notizia, coi suoi primi vagiti,
coinvolge anche le testate locali che si cimentano in
prove inumane, come dimostrare che il milione di posti di
lavoro promesso da Berlusconi spetta a Udine o che
Rutelli, parlando di un milione di disoccupati, si è
riferito a quelli campani.
In tarda nottata le rassegne
stampa dei telegiornali ufficializzeranno la nascita di
un evento destinato a tenere col fiato sospeso sessanta
milioni d’italiani (meno due)- peraltro già
abbondantemente annunciato in giornata, sempre uguale e
per più volte, su almeno tre Tg Rai e Rai regionali, tre
reti Mediaset, Telemontecarlo, Telenorba, ecc. nonché da
Televideo e da tutti i Gr delle radio più o meno libere.
Inizia un lungo periodo di
‘riprese’. Perché, se sognano i due
leader, anche il Terzo Polo fantastica e Rifondazione non
scherza. E’ il momento dei big, quei giornalisti
prestati all’intrattenimento che, in virtù di un
fascino particolare, riescono a trasformare la piccola
‘notizia- pianta’ in una vera e propria selva
di notizie.
Succederà così che Berlusconi da Vespa, in tema di
‘vinceremo le elezioni’, disquisisca sulle sue
smentite con D’Antoni e racconti sorridendo la sua
giornata sul marciapiedi di fronte al numero 10 di
Downing Street in attesa di Blair.
O che Rutelli canti
con Raffella Carrà ‘Come è bello far l’amore
da Trieste in giù…’ descrivendo la partenza
del treno dell’Ulivo da Costanzo, argomento ‘un
milione di posti di lavoro’.
E che Berlusconi neghi
d’aver smentito D’Antoni che ha smentito
Berlusconi, perché caso mai è stato smentito da
D’Antoni che sostiene d’aver smentito
Berlusconi.
E che Rutelli neghi di essere partito da
Trieste (non c’era nessuno a salutarlo), ma che
confermi di aver fatto l’amore in giù… Con il
vento in poppa- un’apparizione di Mastella a Fatima-
la notizia regge almeno dieci giorni. A meno che
l’editore non abbia intenzione di arrivare alle due
settimane. Ma in tal caso, il bravo giornalista può
sempre ricorrere alle corte perse o alle ferie arretrate.
Al limite, mettersi in malattia.
Tipologia delle notizie
Una volta trovata la Notizia
il giornale o il telegiornale è fatto. Si tratta solo di
riempire le restanti pagine di tante piccole notizie e,
soprattutto, verificare che cosa hanno gli altri giornali
o telegiornali.
Quest’ultima è attività
delicatissima, tanto che corre voce che le principali
testate abbiano assunto pensionati del Sismi, della Cia e
del Mossad a cui è stato affidato il delicato compito di
arginare il pericoloso fenomeno del ‘buco’.
Sofisticate apparecchiature elettroniche permettono al
Corriere di controllare Repubblica e la Stampa, un
sistema satellitare collegato alla redazione di
Repubblica fornisce in tempo reale indicazioni sui
movimenti alla Stampa e al Corriere, mentre la Stampa ha
preferito sacrificare due ‘colletti bianchi’ di
Mirafiori e farli assumere come centralinisti a
Repubblica e il Corriere.
Nelle testate minori si ricorre all’infallibile
tecnica del ‘…chiamalo che sei sua amica’-
riferendosi a un collega del giornale concorrente che la
redattrice in questione non vede dai tempi delle scuole
medie- o al rassegnato ‘pazienza, magari ci torniamo
domani…’. Tutto è fondamentale per arrivare a
produrre giornali fotocopia (e permettere ad altri
colleghi di aprire un dibattito sul tema), ma soprattutto
per non ‘bucare’.
La notizia bucata,
principale nemica del giornalista, di solito giace da
tempo immemore sulla scrivania di un inconsapevole
redattore.
Ingiallita, con visibili tracce di cenere,
viene usata come sottobottiglia. Ha le forme più strane:
comunicato stampa, appunti presi nel corso di una
telefonata, lettera anonima, articolo di un
collaboratore, lettera di un lettore, ritaglio di stampa
estera conservato perché sul retro c’è la
pubblicità di un hotel che può sempre tornar utile per
le vacanze.
Sordida e viscida com’è,
la ‘buca’ è capace di giacere per mesi su un
tavolo senza manifestare in nessun modo la sua vera e
pericolosa natura. Per i motivi più assurdi (non ci sono
notizie, è giunta all’orecchio dell’editore,
il suo primo estensore nel frattempo ha fatto
carriera…) viene riesumata.
Il primo che la scopre
frega di norma tutti gli altri. E’ una questione di
tempo. Il bravo giornalista batte tutti per una manciata
di decimi di secondo. Attenti però alle false partenze:
se la notizia viene data prima bisogna ricominciare.
Un esempio classico è l’uranio impoverito. Un sacco
di inviati di buona volontà durante la guerra in Kosovo
sostenevano che la Nato non gettava bombe al pino
silvestre, né usava proiettili balsamici.
Frastornati
dal rumore dei bombardamenti i poverini avevano
dimenticato la regola base della notizia: i morti devono
essere minimo uno, ma italiano.
Le loro segnalazioni
sull’uranio impoverito dunque sono rimaste sulla
scrivania per più di un anno, nella pila di carte che
ogni bravo giornalista coltiva per far venire i nervi,
ogni sera, alle donne delle pulizie.
E’ bastata la
prima morte nazionale per far impazzire le redazioni di
tutt’Italia. A nulla son valsi i consueti
‘E’ vecchia’, ‘L’ho già
letta’, ‘Ma che c…’.
I primi che
hanno scovato l’ormai sbiadito reportage
dell’inviato, il comunicato stampa (dieci comode
cartelle) di un’associazione pacifista, gli appunti
di una telefonata di una madre di militare in lacrime,
l’hanno data buca a tutti gli altri. Un bravo
giornalista infatti parte con la notizia, non prima, non
dopo.
La cronaca nera
Cronaca nera: le notizie di cronaca
nera hanno senso solo per le testate locali o se vengono
date ‘a grappolo’.
E’ ovvio che a Macerata, ad
esempio, saranno in molti a voler conoscere tutti i
particolari sulla morte della moglie dell’idraulico,
sgozzata dall’amante che voleva sostituire con un
amico del figlio diciottenne.
Tra conoscenti della
vittima, dell’idraulico, dell’amante e del
candidato futuro (nonché dei parenti dei protagonisti)
il quotidiano locale subirà sicuramente
un’impennata nelle vendite, tanto più se la morta
è stata ritrovata legata al letto con solo un perizoma
rosso mangiucchiato.
A livello nazionale,
però, il fatto interessa quanto il passaggio di
Mastella con D’Antoni. Solo nella fortunata ipotesi
che nell’arco di due giorni qualcuno provveda, anche
a Barletta e Cuneo, a sgozzare altre due incaute mogli di
idraulici cornuti, la notizia troverà degna risonanza
nell’informazione nazionale.
Tre idraulici vedovi e becchi in due giorni giustificano
infatti il ricorso agli esperti –psicologi,
sociologi, criminologi, pari opportunità, Assartigianato,
Confcasalinghe, ecc.- per spiegare il
dilagare del fenomeno in tutto il paese.
Emergerà che la
difficoltà di trovare un idraulico, soprattutto per
lavori di normale manutenzione, se è causa di nevrosi
per il 52% delle casalinghe italiane, colpisce il 76%
delle mogli dei medesimi, costrette a ricorrere
all’esterno per le immediate necessità.
Tra notizie a grappolo sulle
organizzazioni malavitose da gestire ciclicamente per
equità (quindici giorni tocca alla camorra, poi alla
mafia, poi alla sacra corona, poi all’anonima, per
non fare un torto a nessuno) e quelle sulla delinquenza
settoriale (extracomunitaria, minorile, gay,
tossicodipendente, ecc.) da tempo i giornalisti attendono
un delitto che sconvolga le regole della cronaca nera.
Potrebbe essere, ad esempio, un semplice ‘Squarta i
genitori e ne ricompone i pezzi: volevo vedere se invece
di un puzzle riuscivo finalmente a fare un tangram’.
Sarebbe l’occasione
giusta per inchiodare i giochi intelligenti alle
loro responsabilità, liberare i bambini degli asili di
tutta Italia e riabilitare i videogiochi. E permettere ai
giornalisti di affrontare un capitolo assolutamente nuovo
per la storia dell’informazione italiana: i danni
provocati dall’intelligenza.
Cronaca rosa: con
l’intervento massiccio delle televisioni è
diventata la Cenerentola del giornalismo.
Un tempo la casalinga di
Voghera sognava d’abbandonare marito e
figli per scappare con Alberto Lupo o farsi sussurrare
all’orecchio frasi d’amore da Nando Gazzolo.
Oggi, nemmeno alla più frustrata delle casalinghe di
Voghera passerebbe per la testa di trascorrere una serata
a giocare a Monopoli con Frizzi, la cui esistenza rende
persino simpatica la povera Rita Dalla Chiesa. E- lo
confermano le statistiche- nessuna, neanche con problemi
d’udito, tollererebbe un sussurro all’orecchio
di Bonolis.
Un tempo le adolescenti
di tutta Italia si confrontavano con Caroline di Monaco e
Caroline Kennedy, confidando le loro frustrazioni alla
Mucca Carolina, ricordo di un’infanzia trascorsa a
‘Invernizzina’. Quelle di oggi guardano
disgustate Charlotte Casiraghi perché non ha neanche un
piercing e si trucca come un’albanese della
circonvallazione.
Un tempo gli uomini
sognavano una notte hard con le gemelle Kessler, oggi
sghignazzano al pensiero di Natalia Estrada a letto con
Paolo Berlusconi.
Un tempo i settimanali
patinati andavano a ruba grazie alle scollature
della Loren o della Lollo, oggi per vendere stanno dando
fondo agli archivi vaticani su Padre Pio, perché della
storia d’amore tra l’acneica Cristina e il
nerboruto Taricone non frega niente a nessuno.
Comprensibile.
Un tempo i miti duravano una vita, oggi una stagione- e,
ricordate, non ci sono più le mezze stagioni. Il
confronto tra Milena Miconi e Roberta Lanfranchi, a parte
il colore di capelli, è possibile forse per Marzullo,
che sicuramente le avrà intervistate entrambe.
La tecnologia ha distrutto la
cronaca rosa. Un parto plurigemellare fa notizia solo se
la partoriente ne ha scodellati in casa dodici, tutti
sopravvissuti (e messi nella gabbietta dei conigli). Un
distacco di siamesi fa notizia se sopravvivono in due,
una con tre braccia e l’altra con tre gambe. O se il
professor Marcelletti ha deciso di intervenire a
qualunque costo per il bene della scienza e quindi
dell’umanità e quindi suo.
Divorzi, separazioni, figli more
uxorio, topless e nudi integrali, tossicodipendenze,
‘fuitine’ non fanno più notizia.
L’ultima, veramente seria, fu l’esibizione del
‘merolone’ di Ducruet, ex marito di Stefania di
Monaco. Ma per trovare un fesso di quella portata
bisognerà aspettare ancora molti anni.
E, purtroppo, le
principesse di Monaco- leader del settore- ormai cedono
il passo all’età.
Si suggerisce, peraltro, a chi
volesse ostinarsi a seguire le cronache rosa di non
perdere di vista il primo ‘testa coda’ del
principino inglese William.
Cronache esteri:
trattasi
di notizie che trovano abbondantemente spazio o nelle
pagine sportive o in quelle di moda. Da tempo
l’Italia ha delegato alla Ferrari e all’italian
style il compito di rappresentarla nel mondo. Inutile
dunque pensare di parlare di politica estera prescindendo
dai nostri augusti connazionali Schumacher e Campbell (Naomi).
Quanto a ciò che accade nel
mondo, è difficile ravvedere gli estremi della notizia.
In onore alla storia, Roma è e resta caput mundi. Può
succedere che nei Balcani scoppi un conflitto, ma è cosa
comune tra i barbari.
Può accadere che tra israeliani e
palestinesi i rapporti s’irrigidiscano, ma anche Pilato, a suo tempo, era stato messo in difficoltà da un
pericoloso terrorista. Nulla di nuovo sotto il sole.
In onore della democrazia
che contraddistingue, comunque, il mondo del giornalismo,
c’è sempre spazio su qualunque testata per le così
dette ‘notizie dagli esteri’. Anzi, per
renderle veritiere e incisive, ogni giornale –previo
accordo con la Holiday Inn co.- manda un osservatore nei
‘posti caldi’. E’ l’inviato, punta di
diamante dell’informazione nazionale.
Fatta eccezione per alcuni
drammatici episodi (che finiscono per essere imputati
alla curiosità del giornalista stesso, vedi morti in
Bosnia e, soprattutto, Somalia) e per imbarazzanti
situazioni di misunderstanding (vedi Remondino,
intervistato da una collega da Roma, reticente a parlar
male di Milosevic in pieno regime e in piena Belgrado),
la vita dell’inviato sembra un letto di rose, ma è
piena d’insidie.
E’ vero che dorme nei migliori alberghi
e mangia nei migliori ristoranti della città. Ma deve
anche saper fare i conti. Più che un esperto in politica
estera, un inviato è un genio della matematica. A
Belgrado, ad esempio, basta dire ‘taliansko
novinar’ (giornalista italiano) e il tassista ti
riempie di ricevute da compilare a piacere.
Al ristorante
non ci si alza da tavola finché l’inviato non ha
ottenuto una ricevuta attendibile (ossia compatibile con
la cifra media di un pasto in Italia, non necessariamente
coincidente col costo di un pasto in un paese in guerra o
in via di sviluppo).
A tutto ciò s’aggiunge la fatica di far quadrare i
conti d’interprete e collaboratori/trici locali. Di
solito, soprattutto nei Balcani e più in generale
nell’est europeo, le notizie sono in vendita nelle
hall dei grandi hotel, che verso l’ora di pranzo si
riempiono di dolcissime signore trasudanti informazioni.
Con un po’ di fortuna si possono comprare anche foto
con didascalia in italiano di massacri e stragi senza
nemmeno togliersi il pigiama e a tariffa ‘tutto
compreso’.
Ciò premesso la
vita dell’inviato non è facile. Molti, riusciti
fortunosamente ad avvicinarsi alla zona delle operazioni,
strappando confidenze a generali, spie e criminali vari,
ignorano che la notizia, dettata in modo rocambolesco col
telefono satellitare sottratto a un moribondo, è stata
cestinata per mancanza di spazio.
Molti, reduci da
un’incursione sulla prima linea, dopo una giornata
trascorsa a respirare uranio impoverito e a intervistare
kosovare stuprate, si sentono sbattere il telefono in
faccia dalla dimafonista perché ‘stiamo
lavorando’.
E’ fondamentale dunque, per
chiunque si occupi di notizie dal mondo, aver coscienza
che a nessuno importa nulla di quanto accade fuori dai
patri confini (a meno che non muoia un italiano, regola
base della notizia, come già più volte ricordato).
Il
servizio ideale –che rimarrà nella storia del
giornalismo italiano- è quello fornito da Liguori e
Capuozzo da Sarajevo. Con giubbotto antiproiettile ed
elmetto raccontavano da un ponte le vicende della città
assediata. Dietro loro sfilavano mamme con bambini,
branchi di adolescenti e pensionati incuriositi. Tutti
normalmente abbigliati. Era una drammatica giornata di
tregua. Di due inviati.
Cronache italiane:
l’Italia, come si sa è divisa in tre: Roma, Milano
e il resto. Un incidente col motorino in via Po a Roma o
una vecchia arrotata dal tram in Corso Sempione a Milano
dovrebbero essere stimolo per nuoresi, cosentini e
cuneesi per rivedere le norme che regolamentano la
circolazione nelle loro città.
Le due capitali, si sa,
sono all’avanguardia, anche nel settore notizie. Al
contrario, la provincia difficilmente riesce a produrre
informazioni di portata nazionale e si limita a riempire
le pagine dei quotidiani locali con l’unica rubrica
di reale interesse: i necrologi.
Le cronache italiane sono
pertanto un settore ancora inesplorato nel variegato
mondo della stampa e delle televisioni. Perché un
avellinese faccia notizia c’è bisogno di un
terremoto dell’undicesimo grado della scala Mercalli. Un veneto assurge agli onori delle cronache se
stringe, come d’abitudine consolidata negli ultimi
dieci anni, la mano a Haider. Un ligure o un bresciano
finiscono sui giornali per una Vacca fuori di testa.
Se la fortuna assiste, il cronista del
quotidiano locale –che è anche collaboratore della
testata nazionale- si sta occupando proprio del caso e
fornisce, previ aggiustamenti, un quadro esaustivo della
situazione comprensibile a tutta Italia.
Se peraltro la notizia suscita vasta eco, è necessario
affiancare il lavoro del corrispondente –attività
che negli ambienti è definita ‘marchetta’,
autoironico epiteto che accomuna il meretricio su strada
a quello su computer- a quello dell’inviato.
A
differenza del collega spedito in giro per il mondo, il
giornalista nomade per l’Italia, a causa delle
ricevute fiscali, può concedersi il lusso di non saper
fare i conti, ma deve possedere una capiente valigia dove
stipare gli scontrini.
Si suggerisce di evitare pranzi in provincia con più di
due inviati: data la lentezza dei camerieri delle piccole
città, la stesura dei conti ‘alla romana’ (e
in particolare la suddivisione delle bevande) può
portare via anche un paio d’ore.
L’inviato comunque nella
provincia si consola, godendo di particolare seguito,
soprattutto femminile. Conoscere una firma di un grande
quotidiano nazionale, vedere dal vivo un big della
televisione risveglia i mai sopiti aneliti di vita di
gente che non si rassegna a fare la comparsa del pianeta
Italia. Il povero inviato –neanche il tempo di
sbarcare- verrà sommerso da un numero di informazioni
incontenibili persino dalla Treccani.
Aggiornato a tempo record su tutti i
legami politico- sentimental- massonico- clericali di un
migliaio di residenti notabili o ‘degni di
nota’ negli ultimi cinquant’anni e accompagnato
dai rappresentanti delle istituzioni in tutti i
‘luoghi comuni’ del posto (la torre a Pisa,
l’Arena a Verona, ecc.), sarà costretto a ricorrere
al così detto ‘interlocutore fisso’, buono per
tutti i temi, tutte le circostanze, tutte le stagioni.
Ogni città e regione d’Italia ne ha uno (l’Ordine dei giornalisti dovrebbe provvedere
all’iscrizione d’ufficio negli elenchi
speciali): Bassolino in Campania, Cacciari in Veneto,
Magris a nord est, Vattimo a nord ovest…
Dal momento
che gli inviati si muovono in massa può succedere che
gli articoli sulle cronache di provincia delle varie
testate nazionali siano identici nella sostanza. Compito
del bravo inviato sarà dunque quello di arricchirli di
particolari di colore seguendo gli spunti e i
suggerimenti degli autoctoni. Solitamente la parte di
luoghi comuni sfuggiti ai rappresentanti delle
istituzioni.
Cronache politiche:
abbiamo già anticipato quanto le cronache politiche
siano la struttura portante dell’informazione
nazionale, dipendendo in gran parte dal buon cuore
dell’editore. Esiste comunque una cronaca politica
spicciola, umiliata e bistrattata, ma seguita da persone
professionalmente preparate.
Per ambire al posto di cronista
politico, il giornalista deve seguire innanzi tutto un
corso di botanica, in virtù del quale riuscirà a
destreggiarsi perfettamente tra ulivi, girasoli,
margherite, cogliendo appieno il senso di ogni organismo
vegetale.
Indi verrà sottoposto a dei test –curati
dalla Panini- sul ‘who is who’. Gli verranno
sottoposte delle figurine che dovrà incollare nello
spazio segnalato da nome e cognome del politico o (in
caso di partito con unico elettore, segretario, ministro,
deputato e senatore) sul simbolo della formazione in cui
si è autoeletto.
Chi confonde Parisi con Castagnetti ha chiuso la sua
carriera e finisce a correggere bozze. Ciò non significa
che qualcuno debba sapere chi è Parisi o Castagnetti.
Basta fissare la fisionomia al cognome ed, eventualmente,
al simbolo (la risposta DC, viene data per buona).
Il cronista dovrà poi imparare a
districarsi nella politica, senza perdere tempo su leggi
e leggine. E’ la parte più difficile del training
e, a tale scopo, ogni redazione mette a disposizione una
tavola –simile a quella del Risiko- da aggiornare
quotidianamente.
Spetta infatti al cronista politico
spostare a destra o a sinistra formazioni o singoli
soggetti del centro o della Lega (o eventuali destri
passati a sinistra o sinistri a destra), seguendo gli
eventi.
Se, ad esempio, una legge passa con cento assenti,
cinquanta astenuti e trenta deputati con impellente
bisogno di far pipì, il bravo cronista politico sposterà
centottanta soldatini sulla scacchiera, cercando
d’intuire le cause di assenza, astensione e scarsa
ritenzione idrica. Quando la metà azzurra della tavola
ospita più di metà dei soldatini o quella rossa la
metà più un altro quarto, parte la notizia.
Da questo momento in poi
si richiede al cronista solo di riportare le
dichiarazioni dei politici. In teoria è facile. I
politici sono esseri semplici e- se non sbagli il nome e
cognome e la foto sul giornale- qualunque cosa virgoletti
a nome loro potrebbe andar bene.
Inoltre hanno memoria
cortissima e non ricordano oggi quanto affermato la sera
precedente. Ma nella pratica è difficilissimo. Tra
ministri, senatori, deputati, consiglieri e assessori
(regionali, provinciali, comunali), sindaci, governatori,
presidenti e segretari di partito sono tantissimi e in
guerra tra di loro, anche quando militano nello stesso
esercito, pardon, partito.
Un aggettivo riportato male può
determinare un conflitto ad alta intensità, con
conseguente spostamento di soldatini da una parte
all’altra della tavola del Risiko. Una frase
registrata in presenza di numerosi testimoni può anche
sfuggire all’attenzione di chi l’ha pronunciata
e scatenare la reazione atomica delle smentite e controsmentite.
A favore della notizia politica
gioca comunque un fattore fondamentale: non la legge
nessuno.
Cronache bianche e
giudiziarie: Le cronache bianche, con quelle
giudiziarie, sono la Caienna di qualsiasi testata. I
cronisti ‘bianchi’ racchiudono in una sola
figura le qualità del collega che si occupa di Italia e
di politica, senza alcun riconoscimento pubblico. Il loro
compito, infatti, è quello di raccattare le briciole
lasciate dai più autorevoli colleghi e dedicarsi a
politici o incriminati di basso profilo.
Gli unici ad aver cura della fragile psicologia del
cronista ‘bianco’ sono gli addetti stampa delle
istituzioni, che provvedono ad aggiornarlo costantemente
con le meravigliose proposte partorite in seno a consigli
circoscrizionali, comunali, provinciali e regionali.
Se
non si tratta dell’istituzione di un passo carraio
all’angolo di via Mario de’ Fiori con via Frattina, ma delle modifiche che la Regione Lazio intende
apportare ai libri di testo ‘comunisti’, la
notizia passa subito al collega ‘politico’ e il
povero ‘bianco’, che l’ha segnalata, viene
dirottato sulla riunione in notturna della Circoscrizione
Roma Prati sulla tenuta dei tombini nelle giornate di
pioggia.
Al contrario il
‘giudiziario’, solitamente maschio, è
costretto ad irretire tutte le segretarie dei magistrati,
dai Pm alla Cassazione, al fine di sbirciare –con la
scusa del decolletè- le carte processuali e raccattare
notizie.
A differenza del cronista di ‘bianca’,
che non va a dormire prima delle due del mattino (anche
se ha imparato a prendere sonno ad occhi aperti in pieno
consiglio comunale), il cronista di giudiziaria si
sveglia alle sei. Alle sette entra in tribunale
–bloccato solo da uscieri neoassunti che pretendono
timbri il cartellino- e comincia la perlustrazione delle
aule alla ricerca del ‘processo perduto’.
Conosce tutti gli avvocati del foro e, come loro, puzza
di sigaro e alcool misto a caffè già dalle sette e
mezza del mattino. Parla (e scrive) in una strana lingua,
una miscellanea di latino e napoletano, sa a memoria
tutti i codici e potrebbe riconoscere qualsiasi
pregiudicato col solo olfatto. Non a caso i cronisti di
giudiziaria sono noti col simpatico nomignolo di
‘mastino’. Quando afferrano una causa non
mollano l’osso e lo spolpano con animale ferocia.
La pagina scritta però non fa giustizia
del loro lavoro. Costretti a frequentare residuati
sociali e a reprimere forme espressive diventate parte
integrante del loro idioletto (bestemmie e
quant’altro) si aggrappano solitamente alla
retorica.
Nascono così curiosi lead come ‘Sembrava
una famiglia normale, ma nella quiete delle quattro mura
domestiche, allietate dalla nascita di due bambini, la
legava imbavagliata al termosifone, incaprettandola con
cinghie di cuoio per poi stuprarla davanti alla suocera
con i ferri arroventati del camino. Tre anni e sette
mesi…’ o ‘Tu es pulvis, ma si trattava di
cocaina. B.V. pregiudicato di 78 anni, è stato
condannato a…’
Per quel che riguarda il cronista
di ‘bianca’ è notoriamente un uomo, più
spesso una donna, mite. Esperto in leggi sulle
amministrazioni pubbliche, è aggiornato su tutte le
formule possibili di finanziamento a privati e
associazioni. Ha un sogno: poter raccontare gli intrecci
amorosi che determinano sodalizi trasversali. Di solito
semplicemente ‘in seno’. Quando, forse
malamente, ci prova, viene brutalmente represso e messo a
fare titoli.
Economia:
Le notizie
d’economia sono appannaggio dei migliori
giornalisti. E diventare giornalista economico non è per
tutti. Per trattare una notizia economica bisogna avere
doti caratteriali che consentano fini mediazioni tra
denaro, finanza, industria, politica: bisogna in pratica
essere nati ruffiani.
La notizia economica nasce il
giorno stesso che un’azienda sigla un contratto di
pubblicità con l’editore. Da quel momento
l’impresa in questione entra a pieno titolo nelle
quotazioni della testata e il valore azionario sarà
tanto maggiore quanto più ampio è lo spazio
pubblicitario acquistato.
Può anche succedere che
l’azienda sia contemporaneamente editore e in tal
caso si tratta di azienda che farà quotidianamente
notizia, dal momento che sarà cura dell’editore
fornire tutte le informazioni giuste al momento adatto.
La notizia economica fa parte di
quelle notizie che arrivano da sole sul tavolo della
redazione. Se per caso qualcuno incappa in una notizia
economica a spasso per conto proprio, stia pur certo che
non riuscirà a pubblicarla.
Una notizia economica in libertà o porta a una condanna
per turbativa d’asta o, nella migliore delle
ipotesi, alla recessione del contratto pubblicitario. E
siccome le notizie economiche vere sono vincolate al
segreto più dei pastorelli di Fatima, il rischio che, se
gira liberamente, si tratti di una ‘sola’ è
molto elevato.
Queste premesse
renderebbero il lavoro della redazione economica
particolarmente noioso, non fosse per alcuni minuscoli
benefit che lo rendono accettabile. Il training di chi
s’occupa di economia in un giornale è del tutto
simile a quello previsto per i bancari e i procacciatori
d’affari.
In breve tempo il giornalista impara a
collocare al posto giusto parole difficili come Opa o
cash flow. Attraverso uno ‘skill del cliente e lo
screening delle posizioni’ un bancario decide se
dare soldi a chi ce li ha già e rifilargli un
‘index linked’, obbligazione assicurativa
collegata al mercato azionario (con succulento fisso
garantito del 2%, spese variabili).
Un giornalista economico è in pochi mesi in grado di
riprodurre fedelmente i suoni su supporto cartaceo,
lanciare Opa e riportare al padrone i comunicati stampa.
Il lettore potrà: a) seguire il suggerimento del
bancario e investire tutti i suoi averi sull’index linked, liberandosi finalmente della schiavitù del
denaro b) seguire il suggerimento del giornalista e
investire tutti i suoi averi nelle azioni della società,
liberandosi finalmente della schiavitù del denaro c)
tradurre il bancario e il giornalista, capire che, sia in
un caso che nell’altro, qualcuno ti vuole fregare i
soldi, metterli sotto il materasso e fare, finalmente,
sogni d’oro.
A differenza del
bancario, il giornalista economico trae dalla
sua attività riconoscimenti concreti. Ciò accade
intorno a Natale, quando i clienti del bancario, dopo un
attento studio dell’estratto conto, si trattengono
dal tirare in testa al malcapitato ‘operatore
finanziario’ l’agenda e il calendario regalo.
Mentre i colleghi della nera sbavano come Forlani
(tutt’al più ricevono dal questore il calendario
della Polizia), il giornalista economico ogni sera porta
a casa le testimonianze di gratitudine provenienti da
coloro che si sono generosamente prestati a fare da
notizia. Da una cassa di vino in su, a Natale, chiuso il
bilancio, la notizia economica non bada a spese…
Rileggendo queste righe
mi rendo conto di aver equiparato i giornalisti
professionisti delle pagine di economia agli estensori di
redazionali, prezzolati al soldo della pubblicità. Ciò
è profondamente ingiusto, dal momento che le notizie
economiche non possono limitarsi a magnificare un
prodotto, ma devono anche sapersi destreggiare nel
complicato mondo della politica economico-finanziaria.
Un giornalista economico conosce a memoria tutti i numeri
di cellulare dei ‘magnanti’ dell’alta
finanza –quella ‘sporca dozzina’ di
persone che hanno sacrificato l’esistenza per
privatizzare per conto dello stato i beni dello stato
senza privarne lo stato, né privarsi dei soldi dello
stato-, ricorda tutte le trame che hanno portato un
privatizzatore metalmeccanico alle telecomunicazioni, un
sindacalista ad occuparsi di problemi del mercato del
lavoro, un dirigente Rai alla Rai e un Agnelli alla Fiat.
L’esperto di economia sa leggere un bilancio,
fingendo d’ignorare che si tratta del bilancio
scritto ad hoc per l’esperto di economia. In
giornate di grazia, riesce anche a coniugare il Nasdaq
col Mib alzando significativamente l’indice al
cielo. Quando vuole strafare si getta a capofitto in
previsioni che nemmeno il più spericolato dei
meteorologi oserebbe: l’andamento dei telefonici a
sei mesi.
Creativa e brillante
(soprattutto dopo un’intera pagina sul ritorno degli
investimenti in diamanti dopo il crollo dell’Euro
–ndr: Euro Felluga, il barista cinquantenne in crisi
per essersi accorto di aver bisogno del Viagra), la
notizia economica spopola sulle prime pagine quando il
Parlamento è chiuso per ferie o nessun marocchino arrota
sulle strisce una carrozzina.
Cultura: La connotazione
principale di una notizia culturale è il suo spirito
latino- americano, più precisamente colombiano. A
diffonderla, infatti, sono delle organizzazioni di stampo
mafioso che coordinano pericolosi spacciatori di
‘ego’. Questi ultimi assumono varie sembianze
(scrittori, attori, musicisti, pittori, ecc.) per far
cadere nel tranello gli acquirenti. L’
‘ego’, tra le varie droghe, costa relativamente
poco e, talvolta, è anche in grado di produrre effetti
piacevoli. Più spesso, purtroppo, è causa di abissali smarronamenti, di soporifero disgusto, quando non di
profonda incazzatura. Ma questo non si può scrivere
perché la cupola è molto potente (nel caso dei libri fa
capo agli stessi editori).
Lo spaccio dell’
‘ego’ trova nell’informazione un
canale privilegiato. Solitamente uno ‘sfatto’
di ‘ego’ è persona capace di eiaculare in
pubblico solo a sentir pronunciare il proprio nome e in
overdose riesce a parlare di sé per quarantott’ore
di fila senza fermarsi. Ogni organizzazione criminale
scegli i propri pusher e li propone, anzi li impone, ai
giornalisti che provvedono a diffondere la droga sul
mercato. Nasce così la notizia culturale.
L’ego si può spacciare
sotto forma di testo, di figura plastica o di spettacolo.
All’interno di queste tipologie l’ego viene
tagliato con derivati e sottoderivati reperibili sul
mercato, dando vita a tipi di stupefacenti simili tra
loro, ma in grado di produrre reazioni differenti:
pianto, riso, indignazione, plauso. Nel 99% dei casi
comunque la scienza medica ha dimostrato che l’ego
provoca in chi ne fa uso una noia mortale.
Nascono così
gli abbonamenti aziendali a teatro e i club del libro,
organizzazioni parallele all’informazione culturale
e finalizzate alla sopravvivenza delle cupole mafiose.
La notizia culturale arriva
direttamente al giornalista sotto forma di libro,
biglietto gratuito (per tutta la famiglia fino ai
consanguinei della terza generazione) agli spettacoli,
invito ai festival o recensione pagata su catalogo della
mostra. E’ scientificamente dimostrato che non è
necessario far uso di ‘ego’ per riportare su
carta o video la notizia culturale.
Per un libro ad
esempio basta copiare la quarta di copertina e frasi a
caso, avendo l’accortezza di non rileggersi: se
l’articolo è ben fatto c’è anche il rischio
di autoconvincersi e leggere il libro.
Una delle tecniche più in voga
per affrontare la notizia culturale è quella di
scriverla in linguaggio culturale. Si tratta di un codice
speciale, diversificato per le varie espressioni
artistiche, altamente innovativo. Nel linguaggio
culturale infatti il rapporto tra significante e
significato è modificato a favore di una grammaticalità
che non può essere confusa con la significanza.
Il primo articolo di critica contemporanea è stato
scritto da Noam Chomsky, ‘Pallide idee verdi dormono
furiosamente’, in occasione di una mostra di
pittura. Da allora il bravo critico è riuscito a
perfezionare la ricerca linguistica arrivando a
espressioni sublimi come ‘processo stocastico
entropico a carattere markoviano’ in occasione della
proiezione di un film bulgaro sottotitolato in rumeno.
Per scrivere un buon articolo culturale
è dunque necessario saper giocare con parole e sintagmi,
avere un buon dizionario e tutte le Garzantine a portata
di mano. La citazione è essenziale e a tal fine è
possibile trovare in libreria agili manualetti a tema che
ne forniscono una per ogni circostanza. Inevitabile poi
disporre dei numeri di telefono di noti uomini di
cultura. Ottimo quello di Hans Magnus Enzensberger, anche
se Dario Fo e Massimo Cacciari possono supplire benissimo
a qualsiasi bisogna.
In questo quadro, comune al 99%
delle testate culturali italiane, esistono due varianti
singolari e di gran successo. La prima è la cifra
stilistica di Vincenzo Mollica, improntata a una visione
solare e positiva dell’arte. Una sua intervista a
Eminem –con tanto di ‘lei che è bravissimo e
buonissimo’- avrebbe riportato il caso di San Remo
nei normali canali dello spettacolo e il rapper a nuove
prospettive di vita.
Il secondo è Vittorio Sgarbi. Il
suo linguaggio diretto permette di cogliere appieno lo
spirito dell’opera d’arte, sia quando insinua
che ‘questo quadro è una merda’, sia quando,
all’opposto, sottolinea che l’artista in
questione, un genio universale, è un suo carissimo amico
di cui, per pura bontà d’animo, rivende le opere.

Lo
sport
Cronache
sportive: La notizia sportiva, com’è noto, non è una notizia,
ma la notizia, così come il giornalista sportivo non è un
giornalista, ma il giornalista. Nella notizia sportiva è
condensata tutta la scienza dell’informazione, dalle cronache rosa
alle pagine economiche, senza trascurare la politica e la ‘nera’.
Grazie alla notizia sportiva i lettori assimilano
informazioni destinate a restare imperiture nella loro memoria: la
condriosi, ad esempio, comune ma fastidiosa e seminvalidante affezione
del ginocchio, potrebbe finalmente ottenere finanziamenti ministeriali
atti a sviluppare la ricerca e la prevenzione, se solo Totti ne
risultasse afflitto. Per molte settimane la condriosi al ginocchio
sinistro del celebre calciatore occuperebbe i migliori ortopedici
d’Italia e finalmente anche chi ne è affetto potrebbe trovare
suggerimenti medici validi in grado di permettere di fare le scale.
Grazie al contributo delle cronache sportive, del resto, il menisco,
nemico di ‘scapoli’ e ‘ammogliati’, nonché di sciatori del
week end e tennisti dei circoli di tutta Italia, oggi non è più un
problema.
La notizia sportiva dunque ha un’alta valenza sociale. Dal martedì
alla domenica le cronache trasudano preziose informazioni sullo stato
di salute dei calciatori di tutte le squadre di qualsiasi serie. Si
tratta di dati importanti, che permettono di leggere con attenzione le
pagine del lunedì e di interpretare e giustificare eventuali errori
in campo.
L’influenza di Maldini può essere un ottimo pretesto per convincere
anche i pensionati italiani più riottosi a vaccinarsi, soprattutto
se, a causa del male di stagione, il Milan dovesse venir eliminato
dalla Coppa delle Coppe del Nonno (quella che va in onda su Tele+1 il
lunedì pomeriggio).
Rispetto al passato infatti- quando la notizia
sportiva si librava in tutta la sua possanza solo alla domenica, in
occasione dei campionati del mondo e, talvolta, al mercoledì- per
venire incontro alle necessità dell’informazione è diventata
quotidiana. In base ai bollettini medici e proporzionalmente al valore
dello sportivo, gli allenatori schierano giornalmente, tra amichevoli
e coppe, i più incredibili ‘undici’. Un attaccante pagato cento
miliardi verrà impiegato a domeniche alterne, compatibilmente alle
condizioni meteorologiche e ai risultati delle Tac forniti da
prestigiose cliniche statunitensi.
Nel resto della settimana c’è posto in squadra anche per la cugina
dell’allenatore, soprattutto se androgina. Quotidianamente le
squadre affiancano ai tornei televisivi (Coppa mista Milan- Inter
scapoli ammogliati, su Telesport Lombardia al giovedì notte, Coppa
ambidestra Lazio- Roma su Televaticano International al venerdì in
prima serata, scontri censurati) un duro allenamento che consiste nel
rendere visibile il nome dello sponsor nel corso di un’azione di
rilievo.
Una pratica banale in caso di gol, più difficile quando si tratta di
rovesciate o di dribbling. Le nuove tecniche in vigore permettono
comunque a un calciatore di tirare un angolo o un rigore con la maglia
sul viso e la scritta del succo di frutta tatuata sul petto.
Questo lungo preambolo per dire che nessun particolare,
neanche il più insignificante, può sfuggire al giornalista sportivo,
un uomo sempre sulla notizia. Un lavoro duro per i duri. Mettiamo caso
che la Nazionale italiana giochi contro quella del Burkina Faso, in un
incontro amichevole valevole ai fini della Coppa Crema- Cioccolato
(sponsorizzata da una nota ditta di gelati, tutti i sabato pomeriggio
a reti unificate).
Una volta appurato che il Burkina schiererà undici calciatori di
colore- da valutare con attenzione in campo per un eventuale acquisto-
e dato per scontato che è impensabile mettere in campo contro il
Burkina l’equivalente del tesoro della Banca d’Italia, si pone il
problema di reperire undici calciatori italiani.
Vengono contattati per primi i giornalisti sportivi.
Qualcuno suggerisce di averne visto uno, padano DOC, nella Mestrina.
Dopo un’attenta analisi degli ammoniti della settimana, si
recuperano altri due italiani di prima serie che, scartati al primo
fallo, possono poi tranquillamente tornare in panchina.
Un giornalista infila il figlio sedicenne, che milita nella
Polisportiva. Altri sei calciatori vengono estratti a sorte nel parco
riserve under 21 delle squadre di serie A. Trapattoni chiede ad
Agnelli, se, solo per questa volta, gli presta il portiere. Agnelli
tentenna, ma poi prevale la solidarietà nazionale. La notizia è
pronta.
Nella settimana che anticipa l’incontro, i giornalisti analizzeranno
con la massima cura la filosofia alla base delle scelte
dell’allenatore. Per sette giorni s’inviteranno gli ultras di
tutta Italia a dare dimostrazione di civiltà, evitando almeno di
tirare coi bazooka sui negroni del Burkina, dando modo così ai bravi
tifosi italiani di ricordarsi che già da parecchie settimane i
lanciafiamme languono senza carburante nelle sedi delle società.
Dopo il rito –inno nazionale italiano sillabato dal figlio del
giornalista e dal portiere di casa Agnelli, fischi e bombe a mano sui
calciatori del Burkina, palleggio a centro campo fino al fallo in area
del mestrino ai danni di un burkino, rigore, 0 a 1 in casa per
l’Italia, lancio di napalm e gran finale con l’ingresso in stadio
dei Carabinieri a cavallo e corsa di autoambulanze al San Camillo- per
alcune settimane la notizia sportiva sarà incentrata sugli errori di
Trapattoni, sulle sue potenziali dimissioni e sulla disponibilità di
Lippi a sostituirlo per soli cinquanta miliardi in più all’anno.
L’acquisto di sei calciatori del Burkina (senza passaporto) al
prezzo di uno metterà a tacere le polemiche.
A vogare contro chi ritiene che il giornalismo
sportivo sia per incolti, c’è comunque la domenica di Campionato,
quando la notizia necessita di poliglotti in grado di pronunciare
senza difficoltà alcuna nomi che, come Shevchenko, rappresentano il
meglio del calcio italiano. Alcune emittenti particolarmente attente
hanno richiamato i corrispondenti dai Balcani e dal Sudamerica, gli
unici in grado di seguire con precisione una partita come, ad esempio,
Milan- Lazio.
Tra loro qualcuno, in preda all’entusiasmo e ai ricordi, talvolta
esagera. ‘La palla è a Milosevic…stoppa Boban e passa a Tudjman…
cross di Mladic che appoggia a Karadzic, fallo…punizione ai limiti
dell’area di Izetbegovic…palla al bomber Arkan che spara…gooool!!!!!!!
Sarajevo a zero- ex Jugoslavia uno. Arbitro Dini’.
La
notizia sportiva è calcio, ma non solo. Sarebbe banale
ricordare in questa sede episodi gaglioffi come il match Bellillo-
Mussolini o l’inquietante polemica sull’immigrazione clandestina
di calciatori miliardari. Le notizie sportive non hanno bisogno di
colpi bassi o di pregiudizi per diventare tali. Volano sulle ali dello
spirito olimpico che rende tutti fratelli e sorelle, là dove ognuno
sa che l’importante è partecipare e non vincere.
Per cui ben venga uno scontro dove le borsette sostituiscono i
guantoni o sottolineano come sia possibile l’ingresso di stranieri
senza passaporto su voli di prima classe, invece che su pescherecci da
rottamare (un favore comunque alle politiche dei trasporti e
dell’ambiente che intendono agevolare l’ingresso dell’Italia in
Europa scoraggiando i traffici su gomma).
La notizia sportiva è soprattutto ‘mens sana in corpore sano’,
evita tutto ciò che induce nella gioventù, ma anche tarda età,
italica comportamenti che non collimino coi valori nazionali che, si
chiamino Euro o Lira, sono e rimangono sacri.
Dal verde dei campi di calcio passa dunque al rosso
del Cavallino rampante. Sport difficile, che costringe milioni di
italiani sulle poltrone di casa ogni domenica con la speranza di
assistere in diretta alla più eccitante delle performance sessuali
dei giorni nostri: due automobili che s’inculano in curva con una
bella ammucchiata di lamiere che spalanca la strada della vittoria al
nostro concittadino Schumacher.
Il trionfo della Rossa di Maranello, la supremazia delle quattro ruote
sui piedi, è per chiunque si occupi d’informazione e crescita del
nostro Paese motivo d’orgoglio sportivo. E se la Valleverde pagasse
i testimonial quanto la Ferrari Schumacher anche le industrie
calzaturiere venderebbero di più (suggerimento per le cronache
economiche, tenuto presente comunque che cadere da un tacco è meno
spettacolare che sfracellarsi in auto)…
Verde
e rosso. Manca il bianco. Le nevi. Lo sci. Il Circo bianco è
terzo nella graduatoria delle grandi notizie sportive. L’Italia ha
dato al mondo grandi campioni austriaci, incurante del ritardo con cui
ha approvato la legge sulla tutela delle minoranze linguistiche.
Dopo l’inevitabile declino dell’Albertone nazionale, l’unico
sciatore del centro Italia in grado di esprimersi in italiano come un
altoatesino, lo sport più caro degli italiani (minimo tre milioni a
stagione per l’attrezzatura) è in fase calante. E con lui la
notizia. Ma non bisogna disperare. Perché la vera essenza della
notizia sportiva è ‘memento audere semper’. Ci sarà una fottuta
azienda di sci che importerà da Zakopane un lavavetri polacco in
grado di vincere uno slalom?
Purtroppo
la notizia sportiva non può limitarsi a questi brevi appunti, che non
fanno onore a tanti colleghi che si sacrificano e si sono sacrificati
in tutto il mondo per un tozzo di panem nei circenses. Il loro lavoro,
spesso d’equipe, sulla notizia ritornerà, perché sulla notizia un
bravo giornalista ci ritorna sempre. Perché l’Italia è un Paese di
‘santi, poeti e navigatori’, ma soprattutto di sportivi.
Le
rubriche: Vere e proprie istituzioni, molte rubriche sono il
motore delle vendite, se non in alcuni casi l’unico motivo per
acquistare il giornale. Per comodità d’esposizione le suddividiamo
in sezioni.
a)
pagine monotematiche: viaggi, salute, automobili. Contengono
‘redazionali’ (scritti pubblicitari caratterizzati da un riquadro
e dalla scritta ‘spazio a pagamento’) e articoli del collega che
cura la pagina (redazionali firmati). Si tratta di una produzione di
grande impatto col pubblico, soprattutto quello delle aziende
commerciali a cui vendere pubblicità.
b)
lettere al direttore: chi si occupa di questa pagina,
fondamentale per qualsiasi giornale, è quotidianamente a contatto con
uno dei principali problemi di una società sempre più autistica,
sempre più chiusa in se stessa: la grafomania. La grafomania è
malattia poco nota, pericolosa e sottovalutata. Ha vari modi per
manifestarsi (tra cui questo manuale): la comunicazione di massa
consente oggi al malato di esprimersi non solo con romanzi o raccolte
di poesie per l’editoria a pagamento, ma anche in forma epistolare.
E’ sorta dunque in questi anni una nuova figura professionale, che
andrebbe inquadrata in modo da consentirne l’iscrizione a Inpgi e
Casagit: è lo scrittore/la scrittrice di lettere al Direttore. Dopo
studi approfonditi s’è appurato che ogni testata ha i suoi
fedelissimi, capaci di discettare su qualsiasi argomento d’interesse
pubblico e privato.
Il grafomane da giornale scopre solitamente il suo talento dopo una
rissa col vigile urbano per una multa in plateale divieto di sosta.
Non potendo pestare il vigile, abbandonato dagli amici al ventesimo
resoconto (‘E io allora gli ho detto…e lui mi ha
detto…ecc..’), scatena la sua rabbia in una breve letterina al
quotidiano locale. Il testo vanta le uniche due qualità apprezzate in
una lettera al direttore (non inizia con ‘il Vostro giornale di
merda’ ed è, soprattutto, breve) e viene pubblicata.
Da quel momento il grafomane da giornale vive l’irripetibile
esperienza della celebrità. A partire dall’edicolante, l’intero
quartiere si congratula per prosa, contenuti e fermezza di carattere.
Arriva inevitabile la frase che sigla la nascita ufficiale di questo
insolito collaboratore (con minori pretese, se possibile, dei
collaboratori ufficiali): ‘Sapessi scrivere come te, sai quante
gliene canterei...’
E' la fine. Alla prima lettera segue la seconda, la terza, fino a
raggiungere, in un paio di settimane, il ritmo di due scritti al
giorno. Si spazia su tutto, dalle biotecnologie ai bottini della
spazzatura, dalla presa di Porta Pia alla beatificazione di Padre Pio.
Data la mole di posta ricevuta, chi cura la rubrica archivia per
argomento gli interventi dei grafomani al fine di utilizzarli ‘sulla
notizia’. Ragazza stermina la famiglia? Nessun problema.
Nell’archivio giacciono non pubblicate almeno un centinaio di
lettere sulle questioni giovanili. Il Papa tuona contro l’aborto?
Tra Papa e aborto si può disporre di almeno trecento interventi.
c)
necrologi: sono la spina dorsale di un giornale e della città.
Senza arrivare alla geniale pensata di una certa Viola Graves- che su
un quotidiano pubblica ogni giorno foto e vita di illustri signori
nessuno (lavoro massacrante che consiste nello spulciare l’anagrafe
comunale e telefonare ai parenti per un’intervista sul caro
estinto)- il semplice necrologio è la vera testimonianza di vita o,
per meglio dire, dal necrologio si può desumere che ‘quello sì che
sa vivere’.
Ogni giornale ha il suo stile. Trafiletto piccolo e sobrio, ma denso
di titoli, onorificenze e cognomi altisonanti, come il Corriere (tanto
più importante quanti più sono i richiami al de cuius). Arioso ma
composto, come Repubblica. Con foto del morto da giovane in cappello
d’alpino e faccia d’avvinazzato, come sul Gazzettino. Bilingue
(Mandi Rosine –Tarcento/Tarcìnt), con foto strappata dal tesserino
della pensione della scomparsa come sul Messaggero Veneto.
Multireligioso e multietnico come a Trieste, crogiuolo di razze e di
culture, ponte ideale tra est ed ovest, dove stelle di Davide, croci
cattoliche, greco-ortodosse, serbo- ortodosse e cognomi
impronunciabili creano un’atmosfera da Herald Tribune.
I
necrologi sono le pagine imperdibili di qualsiasi quotidiano. Scappa
un morto e si rischia, non solo la classica gaffe (‘Come va?’
‘Non lo sai, è morto papà…’ e, a saperlo, si poteva
tranquillamente cambiar strada ed evitare l’elenco delle atrocità a
cui il defunto è stato sottoposto nelle ultime ore di vita), ma la
perdita di fondamentali gossip cittadini. Dietro un semplice ‘tua
Amalia’ c’è la conferma che il morto si scopava l’Amalia
all’insaputa del marito della porcona.
Per non parlare delle ‘famiglie allargate’ che, con simpatico
anticonformismo, rendono partecipe il mondo di tutti gli avvenimenti
dell’entourage. ‘Emilio non c’è più. Ne dà il triste annuncio
la madre con Ennio’ (e vai! La vecchia vedova s’è risistemata).
Segue: ‘Ciao papà Emilio. Andrea e Giorgio, con la mamma e Didi’
(quel troione allora sta proprio col Didi, per inciso carico di
soldi). Indi: ‘A Emilio per sempre, le tue Vera e Pupi’ (e Vera si
ritrova sola come un cane con una bambina di tre anni, senza la
pensione, perché Emilio non l’ha sposata). Seguono analoghi gli
intrecci di fratelli, nonni materni dei figli di primo e secondo letto
e cognati più o meno acquisiti.
Anche
i testi, forse proprio perché non scritti da giornalisti
professionisti, sono gustosi, leggibili e talvolta sconfinano nel
letterario. I più semplici si rifanno a Bibbia e Vangelo. I più
frettolosi a stilemi classici come ‘dopo lunghe sofferenze si è
spento’ o ‘si è ricongiunta al suo caro Alfredo’. Chi è
cosciente di quanto costi un necrologio si limita allo stringato
‘E’ morto’, segue nome, cognome (forse), partecipano al lutto e
data dei funerali.
I migliori coniano frasi tipo: ‘Padre e marito esemplare, grande
lavoratore, ha raggiunto la Luce un uomo buono. Giuseppe (Pepi
Lampadina, elettricista) non c’è più. Lo piangono sconsolati…’
seguono un’ottantina di nomi con tutte le qualifiche familiari e
l’immancabile ringraziamento ‘a suor Maria che col suo conforto
religioso ha rallegrato le sue ultime ore’ (15 parole a 5.000 lire
l’una fanno 75.000 lire in più).
Per non sfigurare i parenti accendono anche un mutuo per acquistare un
po’ di spazio bianco. Personalmente, da giornalista, opterei per un
‘Nulla gli fu risparmiato, né risparmiò mai nulla’, ma sono 8
parole, 40.000 lire, cifra eccessiva per i miei eredi.
Le
fonti. Agenzie.
Un
bravo giornalista, prima di passare la notizia, ha sempre
l’accortezza e l’obbligo morale di verificarne la fonte. Quello di
accedere a fonti certe e affidabili è infatti alla base di un lavoro
accurato e coscienzioso. In tal senso, la prima fonte di un bravo
giornalista sono le Agenzie.
Il
lavoro delle Agenzie è un lavoro spesso sottovalutato dagli stessi
fortunati redattori che ne fanno parte, ma è essenziale per la vita
dell’informazione nazionale. Un bravo giornalista d’Agenzia è un
mago della sbobinatura, un re del virgolettato, un puntiglioso cultore
degli incisi (come ha detto, come ha sostenuto, come ricordato da…).
Non conosce l’uso del condizionale, ha dimenticato la propria
identità e vanta capacità di sintesi simili a quelle dei matematici
quando quantificano con una formula la massa dell’universo. Quanto
più saprà essere preciso, tanto più la sua sigla (Slo/hr, Usa/GB,
Ps/SS, ecc.) sarà apprezzata dai vertici dell’Agenzia, che ne
tuteleranno l’occupazione nonostante gli inevitabili tagli dettati
dall’unica vera esigenza dell’Agenzia, la sintesi. Dei costi.
I
giornalisti delle Agenzie sono ovunque.
Muniti di blocco d’appunti e registratore raccolgono i gemiti di
politici, personalità della cultura, dello spettacolo, delle Chiese
d’Oriente e Occidente, di forze dell’ordine e magistrati. Due
secondi dopo sono in grado di comunicarli (i migliori grazie alla
telepatia) alla redazione che in meno di un secondo li mette in rete,
al fine di evitare che i giornalisti dell’Agenzia concorrente li
battano sul tempo.
Il capo Agenzia ha il compito di essere su tutti i campi e stare su
tutte le notizie, leggere quelle inviate dai redattori, eventualmente
correggerle, apporre le sigle esatte, smistare i comunicati stampa e
il lavoro, organizzare la settimana ed eventuali ferie, approvare le
buste paga evitando gli oneri degli straordinari, scegliere le foto,
rispondere al telefono, aprire la porta, chiudere le luci a sera e
svuotare i cestini.
I redattori d’Agenzia devono seguire le conferenze stampa e fare
domande, essere presenti allo sterminio di un’intera famiglia e
contemporaneamente intervistare il giudice delle indagini preliminari,
scrivere le notizie, aggiornarsi sulle notizie in rete, riassumere i
comunicati stampa, telefonare a polizia, carabinieri e pompieri per
eventuali incidenti, controllare la veridicità delle informazioni,
condensare il tutto in massimo venti righe e fornire disponibilità
ventiquattr’ore su ventiquattro, cercando se possibile di anticipare
gli eventi. Ad aiutarli c’è solitamente un poligrafico, due nelle
sedi principali, e i collaboratori.
Per fare il collaboratore d’Agenzia bisogna o essere miliardari di
nascita o talmente orgogliosamente poveri da rifiutarsi di mendicare.
Una notizia d’Agenzia viene infatti pagata dalle 5 alle 20 mila lire
lorde. A fine mese un collaboratore molto, ma molto attivo riesce a
guadagnare anche trecentomila lire, che finiscono per pesare sul
bilancio dell’Agenzia, costretta a sua volta a tagli di personale,
ferie, corte e poligrafici.
Se l’Agenzia infatti versa in uno stato di miseria cronica è talora
dovuto al fatto che non è proprietà di un editore, ma di tutti gli
editori, che nella struttura mettono in comune la loro endemica povertà.
Esistono
comunque dubbi anche sulle capacità dei giornalisti di
Agenzia di attingere direttamente alle fonti. Dal momento che il
rapporto di uno a dieci a parità di notizie rispetto ai colleghi
delle testate giornalistiche è incomprensibile, si sospetta che
esista una Superagenzia che fornisca notizie direttamente dal cosmo.
L’astronoma Margherita Hack ha recentemente individuato una
Superansa al largo della costellazione di Orione che ritrasmette su
onde medie a modulazione di frequenza quanto accade nell’Universo.
Una
volta che la notizia d’Agenzia è arrivata sul tavolo della
redazione è compito del giornalista farne l’uso migliore. Si può
infatti inserirla col ‘copia incolla’ direttamente all’inizio
del testo e affiancarle, sempre col ‘copia incolla’, qualche
particolare desunto da un’altra Agenzia. L’operazione, detta ‘pastone’,
garantisce l’immunità da querele, anche se si corre il rischio di
leggere un articolo del tutto identico sul quotidiano concorrente.
A tal fine è molto importante invertire, col ‘taglia e incolla’,
le frasi, partendo magari dalle conclusioni per arrivare al fatto. O
aprire con una considerazione personale (dell’editore o del
direttore). Gli scrupoli sono comunque eccessivi, dal momento che
l’unica cosa che l’eventuale lettore avrà, forse, l’accortezza
di leggere sarà il titolo.
Se
non c’è la notizia d’Agenzia –concetto fondamentale-
la notizia non esiste. Può succedere che un corrispondente sia a
conoscenza dell’abbattimento di mille capi bovini affetti da afta
epizootica. Afferma di essere sicuro del fatto dal momento che è sì
giornalista per passione- stufo del mestiere impostogli dal padre,
allevatore -,ma pure titolare della stalla sequestrata. Se non c’è
sul posto l’Agenzia non credetegli. Dove c’è la notizia, c’è
l’Agenzia. Se non c’è l’Agenzia, non c’è la notizia. Il
corrispondente, nella migliore delle ipotesi, vuole recuperare
trentamila lire lorde per arginare un danno di svariate centinaia di
milioni.
E inoltre. Mettiamo esista anche la notizia d’Agenzia, ma non viene
rilanciata dai Telegiornali. Che ve ne fate di una notizia di Agenzia,
magari anche ricicciata dal corrispondente con succulenti particolari,
se il giorno prima nessun telegiornale l’ha preannunciata?
Comunicati
stampa
La
seconda fonte della notizia sono i comunicati stampa. Si dividono per
categorie:
a)
Invito. Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data,
ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti all’evento.
Scivola di scrivania in scrivania per planare sul tavolo dell’ultimo
arrivato che dovrà seguirlo per poi, se va bene, ridurlo a una
brevina.
b)
Invito con allegato. Trattasi di testo brevissimo contenente
luogo, data, ora, eventuale tema, organizzatori e partecipanti
all’evento cui segue pranzo/cena/ spettacolo, preferibilmente per
due persone. Il primo che lo trova è suo. Se buffet o spettacolo
risultano graditi ci scappa, al limite, una pagina.
c)
Comunicato stampa istituzionale. Il comunicato stampa
istituzionale inizia col virgolettato di quanto affermato
dall’istituzione di turno e termina, qualche volta, con la notizia.
Il bravo giornalista aspetta il rilancio d’agenzia e in tal caso
opera di conseguenza, con un’intervista all’istituzione asserente
e a quella concorrente.
d)
Comunicato stampa alternativo. Il comunicato stampa
alternativo è caratterizzato dalla sua corposità. Si tratta infatti
di un fax di dieci agili cartelle in cui l’estensore mette a fuoco,
con incredibile capacità di sintesi, tutto ciò che pensa
sull’universo. Dopo un breve preambolo –in cui vengono riassunti i
presupposti filosofici da Platone a Bertinotti- e un lieve excursus
sul tema (il mercato globale delle multinazionali nella società
europea postcapitalista e in particolare in quella della provincia di
Parma) si arriva alle iniziative sviluppate dalla circoscrizione di
viale Garibaldi per ostacolare lo sfruttamento degli extracomunitari
nel prosciuttificio di via Guastalla.
Solitamente si tratta di un segnale forte- che anticipa una
manifestazione di massa a cui sono intenzionate ad aderire le
organizzazioni di volontariato e della società civile- per le
trentacinque ore e, già che ci siamo, la solita liberazione di Ocalan.
Segue elenco delle adesioni e, soprattutto, venti telefonate degli
organizzatori per verificare se il messaggio è arrivato e se il
giornalista è intenzionato a presenziare. Si consiglia di rispondere
in modo affermativo a qualsiasi domanda e archiviare. Tanto qualsiasi
cosa si scriva sarà, nella migliore delle ipotesi, riduttiva, quando
non un boicottaggio, rispetto alle attese degli organizzatori.
e)
Comunicato stampa economico. Trattasi di sintesi dei miracoli
mensili dell’azienda in questione che ha registrato un +22% del
fatturato rispetto allo stesso mese dell’anno precedente con un
incremento del 125,36% delle vendite, pari a un 7,5% di redditività
complessiva nel bimestre in corso. Da tenere da parte per il mese
successivo, quando toccherà annunciare il fallimento dell’impresa
in questione.
f)
Comunicato stampa via mail: di solito è un articolo già
scritto da un addetto stampa, che in realtà è un giornalista
professionista disoccupato e sa cosa serve a un giornalista per fare
una notizia: che il testo sia compatibile col programma di
videoscrittura della testata, onde evitare di ribattere le accentate e
le virgolette.
g)
Mattinale. I mattinali, tra tutti i comunicati stampa, sono
la vera croce dei giornalisti. Spesso contengono la notizia, ma sempre
non riescono a fornire una base utile per svilupparla.
‘Oggi, alle ore 15 e 27 la pattuglia di PS in perlustrazione della
zona tra viale Zara e Via Pola ha individuato un individuo che a bordo
di un’Alfa truccata blu tagliava la strada a una Polo targata Ancona
metallizzata virgola a bordo della quale c’erano i pregiudicati Vito
Bucicco, di anni 37 di Palmi, e Antonio ‘Nino’ Capuavetere, anni
46 di Capuavetere ma residente nel capolugo, che scendevano e
consegnavano all’individuo, individuato come tale Vojslav
Musurowskij, detto Il Pope, anni 26 di Varsavia ma residente in via
del Lago 4, una borsa contenente 50 chilogrammi di eroina pura Punto
il Musurowskij bloccato dopo breve inseguimento e portato alla caserma
di PS veniva identificato come amico di Magda Dal Monon, attualmente
in carcere per spaccio internazionale di stupefacenti dall’Italia
alla Colombia e prostituzione Punto l’inchiesta è stata affidata
alla magistratura Punto a capo alle 16 e 25 M.D., anni 17, ha scippato
la borsetta della signora Maria Venzi, anni 68, contenente la carta
d’identità e 30.000 lire, in banconote due da diecimila una da
cinquemila tre da mille e il resto in monete virgola lo zingarello è
stato prontamente fermato e arrestato dalla volante’.
Solitamente
il bravo giornalista schizza alla parola ‘zingarello’ e
approfondisce, fornendo dati utili a ricordare che la percentuale di
zingarelli in carcere in Italia è superiore al numero di parole
contenute nello Zingarelli. Il riserbo della magistratura invece
impedirà per mesi di fare chiarezza sul sibillino Mattinale e capire
che la Dal Monon era in realtà la finanziatrice occulta, in tutti i
sensi e in tutti i settori, del vicesindaco.
Giornali,
radio e televisione
La
terza fonte della notizia sono i giornali e i telegiornali.
Succede infatti che, per strane circostanze astrali, un quotidiano o
un Tg abbiano notizie in esclusiva. Di solito accade quando una
personalità di spicco nella politica o nella cultura è strettamente
imparentata con un giornalista che necessita di un riconoscimento
professionale.
Siccome la famiglia è la base della società, il personaggio in
questione si sacrifica per il consanguineo e si tiene fuori
circolazione per uno o due giorni, in modo da permettere al parente di
fare il così detto scoop.
E’ sicuramente un’operazione rischiosa. Può succedere, infatti,
che le testate concorrenti decidano che l’onta subita è troppo
grave per non venir lavata col sangue e snobbino la notizia.
Quest’ultima finirà per essere un apostrofo rosa tra un’agenzia e
l’altra, dimenticata nello spazio di un mattino, ma ben presente
nelle coscienze dei capo redattori delle testate concorrenti.
Personaggio e parente giornalista godranno per mesi di pessima fama
negli ambienti dell’informazione, saranno nel mirino dei media e
solo condotte assolutamente irreprensibili li salveranno dal
linciaggio morale.
Accade
inoltre che una testata inizi autonomamente una polemica.
L’editorialista di turno ad esempio, al termine di una rissa con un
vigile urbano, decide che è arrivato il momento di disarmare il corpo
togliendogli il libretto delle multe. La questione privata finisce
sulla prima pagina di un quotidiano nazionale e scatena un putiferio,
dividendo la categoria. Da un lato appaiono editorialisti che
collaborano con testate collocate in zone prive di parcheggi (anche
abusivi), dall’altro firme di risonanza nazionale che abitano
nell’appartamento sopra la redazione o hanno infilato nel contratto
personalizzato il ‘rimborso taxi’.
A peggiorare la situazione c’è l’inevitabile
schieramento politico che porta ad ulteriori suddivisioni tra coloro
che vorrebbero i vigili senza libretto delle multe, ma con la pistola,
quelli che li vorrebbero solo col libretto o solo con la pistola. Il
caso finisce inevitabilmente in talk show e diventa notizia. Si
suppone che gli storici del XXX secolo faranno fatica a ricostruire
pedissequamente il fatto e difficilmente riusciranno, se non con
sofisticate tecniche di psicoingegneria molecolare, a risalire alle
motivazioni dell’Ur-editorialista.
Un
ultimo caso di giornale- fonte riguarda le interrogazioni e
interpellanze parlamentari. Perseguitato a casa, sul lavoro, sul
cellulare da un conoscente, il giornalista si rassegna a proporre alla
redazione, quasi in lacrime, un servizio- denuncia di malversazioni
sugli anziani nella casa di riposo in cui il suo persecutore lavora.
Spiega ai colleghi che da quando l’amico ha deciso di raccontare
tutto, a casa sua non si vive più. La moglie se ne vuole andare, i
figli lo evitano e persino il cane, svegliato nel cuore della notte
dalle telefonate pressanti dell’informatore, è sull’orlo di una
crisi di nervi. Il capo redattore (in tempi molto remoti era stato
giornalista anche lui), mosso a compassione, gli consente una trentina
di righe, che il giornalista consegna a tempo record, non senza aver
tranquillizzato l’amico con un ‘esce domani’.
Non
sa, l’incauto, che la persona in questione è in diretto contatto
con un politico (altrettanto perseguitato), che viene immediatamente
aggiornato del fatto. Per salvarsi a sua volta, il politico in
questione dà ordine di copiare l’articolo e presentare
interrogazione al Ministro della Sanità e il giorno successivo tutti
i giornali (in mancanza di meglio e, soprattutto, se quel giorno più
di un vecchio s’è suicidato) denunciano lo sfruttamento degli
anziani nelle case di riposo.
Non va dimenticato, inoltre, che l’informazione è fonte primaria di
notizie per quelle testate che operano al motto di ‘ci torniamo
domani’. ‘Ci torniamo domani (metti intanto nelle brevi)’ è
frase che segna un grande passo avanti nella cultura giornalistica.
Significa disprezzo per lo scoopismo e volontà di approfondimento.
Purtroppo accade con una certa frequenza che giornalisti malfidi il
giorno successivo, invece che ampliare il campo della ricerca,
s’approprino del lavoro altrui scopiazzando. La cosa non è bella e
l’Ordine dei giornalisti, quando lo viene a sapere, piange molto.
Internet
Con
l’avvento della rete il mondo dell’informazione ha
subito un importante cambiamento. La comparsa di dattilografi/e con
contratto da metalmeccanico ha segnato la nascita di nuove figure
professionali –note come ‘fantasmi del video’- capaci di
comporre, per dodici ore sigillati in una stanza con la sola compagnia
di una tastiera, vere e proprie opere d’ingegno collettivo a costo
quasi zero. Le e-fanzine, gli e-magazine, le e-agenzie sono una vera
pacchia per chi opera in qualsiasi testata giornalistica, fonte
inesauribile di informazioni e di spunti creativi.
Come
tutti sanno, infatti, esistono stagioni dell’anno in cui né in
Italia, né nel mondo accade nulla. Si tratta di Natale- Capodanno,
Pasqua e Ferragosto (in senso ampio). In questi drammatici periodi le
notizie scompaiono e gran parte delle redazioni sono costrette a
mettersi in ferie. Chi resta, sacrificando il pranzo in famiglia del
25 dicembre per quattro denari (conquistati con mesi di dure lotte
balcaniche tra colleghi), una volta esauriti i riti popolari, le messe
e i morti sulle strade è costretto a ricorrere ai collaboratori e
pubblicare articoli fermi in redazione da almeno sei mesi. Eppure
anche ciò non basta a riempire un giornale o un telegiornale.
Da un paio d’anni Internet ha risolto tutti i problemi posti dalle
festività. Mentre a Pasquetta i colleghi oziano con la famiglia nei
prati di periferia, il bravo giornalista, navigando, scopre
l’esistenza di un sito interamente dedicato alle uova sode (www.uovosodo.it),
con ampio spazio per la lettura divinatoria dei gusci rotti, per
maschere di bellezza a base di tuorli e un test a sfondo erotico
(‘Di chi sono questi due begli ovetti?’ e foto di maggiorate).
Copia, incolla e sbatte il sito in prima pagina, avendo cura di
stigmatizzare il ‘fondo a cui siamo arrivati’.
Ma il bello della rete non finisce qui. Una società
come quella attuale, sempre più timorosa del rapporto diretto e
soprattutto afflitta da collezionismo monomaniacale, può disporre di
un buon numero di ‘signori nessuno’ che condividono passioni
attraverso Internet. Facciamo finta, ad esempio, che esista un esperto
in lingue slave costretto, per lavoro, a tradurre quotidianamente la
stampa dei Balcani.
E facciamo finta che questo signore da anni rigiri le proprie
traduzione in un sito Internet che, casualmente, chiameremo www.est.org/balcani
(il nome sembra più vero di uovosodo). Facciamo finta che per caso,
naviga che ti naviga, uno o due giornalisti incappino in quel sito e
scoprano, ad esempio, tutte le traduzioni di cinque anni di articoli
serbi dedicati al caso (ovviamente fittizio) della Telekom Serbija
acquistata dagli italiani.
La casualità porta sempre consiglio e così, magari, prende spunto,
con cinque anni di ritardo, anche dall’Italia, una simpatica
inchiesta sui beneficiari dei soldi italiani investiti nelle
telecomunicazioni serbe. Tra siti pedofili, siti negazionisti e,
modestamente, Il barbiere della sera Internet è comunque una fonte
inesauribile di notizie.
Lo
sport
Cronache sportive: La
notizia sportiva, com’è noto, non è una notizia,
ma la notizia, così come il giornalista
sportivo non è un giornalista, ma il giornalista.
Nella notizia sportiva è condensata tutta la scienza
dell’informazione, dalle cronache rosa alle pagine
economiche, senza trascurare la politica e la
‘nera’.
Grazie alla notizia sportiva i lettori
assimilano informazioni destinate a restare imperiture
nella loro memoria: la condriosi, ad esempio, comune ma
fastidiosa e seminvalidante affezione del ginocchio,
potrebbe finalmente ottenere finanziamenti ministeriali
atti a sviluppare la ricerca e la prevenzione, se solo
Totti ne risultasse afflitto. Per molte settimane la
condriosi al ginocchio sinistro del celebre calciatore
occuperebbe i migliori ortopedici d’Italia e
finalmente anche chi ne è affetto potrebbe trovare
suggerimenti medici validi in grado di permettere di fare
le scale.
Grazie al contributo delle cronache sportive, del resto,
il menisco, nemico di ‘scapoli’ e
‘ammogliati’, nonché di sciatori del week end
e tennisti dei circoli di tutta Italia, oggi non è più
un problema.
La notizia sportiva dunque ha un’alta valenza
sociale. Dal martedì alla domenica le cronache trasudano
preziose informazioni sullo stato di salute dei
calciatori di tutte le squadre di qualsiasi serie. Si
tratta di dati importanti, che permettono di leggere con
attenzione le pagine del lunedì e di interpretare e
giustificare eventuali errori in campo.
L’influenza di Maldini può essere un ottimo
pretesto per convincere anche i pensionati italiani più
riottosi a vaccinarsi, soprattutto se, a causa del male
di stagione, il Milan dovesse venir eliminato dalla Coppa
delle Coppe del Nonno (quella che va in onda su Tele+1 il
lunedì pomeriggio).
Rispetto al passato infatti- quando la
notizia sportiva si librava in tutta la sua possanza solo
alla domenica, in occasione dei campionati del mondo e,
talvolta, al mercoledì- per venire incontro alle
necessità dell’informazione è diventata
quotidiana. In base ai bollettini medici e
proporzionalmente al valore dello sportivo, gli
allenatori schierano giornalmente, tra amichevoli e
coppe, i più incredibili ‘undici’. Un
attaccante pagato cento miliardi verrà impiegato a
domeniche alterne, compatibilmente alle condizioni
meteorologiche e ai risultati delle Tac forniti da
prestigiose cliniche statunitensi.
Nel resto della settimana c’è posto in squadra
anche per la cugina dell’allenatore, soprattutto se
androgina. Quotidianamente le squadre affiancano ai
tornei televisivi (Coppa mista Milan- Inter scapoli
ammogliati, su Telesport Lombardia al giovedì notte,
Coppa ambidestra Lazio- Roma su Televaticano
International al venerdì in prima serata, scontri
censurati) un duro allenamento che consiste nel rendere
visibile il nome dello sponsor nel corso di
un’azione di rilievo.
Una pratica banale in caso di gol, più difficile quando
si tratta di rovesciate o di dribbling. Le nuove tecniche
in vigore permettono comunque a un calciatore di tirare
un angolo o un rigore con la maglia sul viso e la scritta
del succo di frutta tatuata sul petto.
Questo lungo preambolo per dire che nessun
particolare, neanche il più insignificante, può
sfuggire al giornalista sportivo, un uomo sempre sulla
notizia. Un lavoro duro per i duri. Mettiamo caso che la
Nazionale italiana giochi contro quella del Burkina Faso,
in un incontro amichevole valevole ai fini della Coppa
Crema- Cioccolato (sponsorizzata da una nota ditta di
gelati, tutti i sabato pomeriggio a reti unificate).
Una volta appurato che il Burkina schiererà undici
calciatori di colore- da valutare con attenzione in campo
per un eventuale acquisto- e dato per scontato che è
impensabile mettere in campo contro il Burkina
l’equivalente del tesoro della Banca d’Italia,
si pone il problema di reperire undici calciatori
italiani.
Vengono contattati per primi i giornalisti
sportivi. Qualcuno suggerisce di averne visto
uno, padano DOC, nella Mestrina. Dopo un’attenta
analisi degli ammoniti della settimana, si recuperano
altri due italiani di prima serie che, scartati al primo
fallo, possono poi tranquillamente tornare in panchina.
Un giornalista infila il figlio sedicenne, che milita
nella Polisportiva. Altri sei calciatori vengono estratti
a sorte nel parco riserve under 21 delle squadre di serie
A. Trapattoni chiede ad Agnelli, se, solo per questa
volta, gli presta il portiere. Agnelli tentenna, ma poi
prevale la solidarietà nazionale. La notizia è pronta.
Nella settimana che anticipa l’incontro, i
giornalisti analizzeranno con la massima cura la
filosofia alla base delle scelte dell’allenatore.
Per sette giorni s’inviteranno gli ultras di tutta
Italia a dare dimostrazione di civiltà, evitando almeno
di tirare coi bazooka sui negroni del Burkina, dando modo
così ai bravi tifosi italiani di ricordarsi che già da
parecchie settimane i lanciafiamme languono senza
carburante nelle sedi delle società.
Dopo il rito –inno nazionale italiano sillabato dal
figlio del giornalista e dal portiere di casa Agnelli,
fischi e bombe a mano sui calciatori del Burkina,
palleggio a centro campo fino al fallo in area del
mestrino ai danni di un burkino, rigore, 0 a 1 in casa
per l’Italia, lancio di napalm e gran finale con
l’ingresso in stadio dei Carabinieri a cavallo e
corsa di autoambulanze al San Camillo- per alcune
settimane la notizia sportiva sarà incentrata sugli
errori di Trapattoni, sulle sue potenziali dimissioni e
sulla disponibilità di Lippi a sostituirlo per soli
cinquanta miliardi in più all’anno. L’acquisto
di sei calciatori del Burkina (senza passaporto) al
prezzo di uno metterà a tacere le polemiche.
A vogare contro chi ritiene che il
giornalismo sportivo sia per incolti, c’è comunque
la domenica di Campionato, quando la notizia necessita di
poliglotti in grado di pronunciare senza difficoltà
alcuna nomi che, come Shevchenko, rappresentano il meglio
del calcio italiano. Alcune emittenti particolarmente
attente hanno richiamato i corrispondenti dai Balcani e
dal Sudamerica, gli unici in grado di seguire con
precisione una partita come, ad esempio, Milan- Lazio.
Tra loro qualcuno, in preda all’entusiasmo e ai
ricordi, talvolta esagera. ‘La palla è a
Milosevic…stoppa Boban e passa a Tudjman… cross
di Mladic che appoggia a Karadzic, fallo…punizione
ai limiti dell’area di Izetbegovic…palla al
bomber Arkan che spara…gooool!!!!!!! Sarajevo a
zero- ex Jugoslavia uno. Arbitro Dini’.
La notizia sportiva è
calcio, ma non solo. Sarebbe banale ricordare in
questa sede episodi gaglioffi come il match Bellillo-
Mussolini o l’inquietante polemica
sull’immigrazione clandestina di calciatori
miliardari. Le notizie sportive non hanno bisogno di
colpi bassi o di pregiudizi per diventare tali. Volano
sulle ali dello spirito olimpico che rende tutti fratelli
e sorelle, là dove ognuno sa che l’importante è
partecipare e non vincere.
Per cui ben venga uno scontro dove le borsette
sostituiscono i guantoni o sottolineano come sia
possibile l’ingresso di stranieri senza passaporto
su voli di prima classe, invece che su pescherecci da
rottamare (un favore comunque alle politiche dei
trasporti e dell’ambiente che intendono agevolare
l’ingresso dell’Italia in Europa scoraggiando i
traffici su gomma).
La notizia sportiva è soprattutto ‘mens sana in
corpore sano’, evita tutto ciò che induce nella
gioventù, ma anche tarda età, italica comportamenti che
non collimino coi valori nazionali che, si chiamino Euro
o Lira, sono e rimangono sacri.
Dal verde dei campi di calcio passa
dunque al rosso del Cavallino rampante. Sport difficile,
che costringe milioni di italiani sulle poltrone di casa
ogni domenica con la speranza di assistere in diretta
alla più eccitante delle performance sessuali dei giorni
nostri: due automobili che s’inculano in curva con
una bella ammucchiata di lamiere che spalanca la strada
della vittoria al nostro concittadino Schumacher.
Il trionfo della Rossa di Maranello, la supremazia delle
quattro ruote sui piedi, è per chiunque si occupi
d’informazione e crescita del nostro Paese motivo
d’orgoglio sportivo. E se la Valleverde pagasse i
testimonial quanto la Ferrari Schumacher anche le
industrie calzaturiere venderebbero di più (suggerimento
per le cronache economiche, tenuto presente comunque che
cadere da un tacco è meno spettacolare che sfracellarsi
in auto)…
Verde e rosso.
Manca il bianco. Le nevi. Lo sci. Il Circo bianco è
terzo nella graduatoria delle grandi notizie sportive.
L’Italia ha dato al mondo grandi campioni austriaci,
incurante del ritardo con cui ha approvato la legge sulla
tutela delle minoranze linguistiche.
Dopo l’inevitabile declino dell’Albertone
nazionale, l’unico sciatore del centro Italia in
grado di esprimersi in italiano come un altoatesino, lo
sport più caro degli italiani (minimo tre milioni a
stagione per l’attrezzatura) è in fase calante. E
con lui la notizia. Ma non bisogna disperare. Perché la
vera essenza della notizia sportiva è ‘memento
audere semper’. Ci sarà una fottuta azienda di sci
che importerà da Zakopane un lavavetri polacco in grado
di vincere uno slalom?
Purtroppo la notizia sportiva non
può limitarsi a questi brevi appunti, che non fanno
onore a tanti colleghi che si sacrificano e si sono
sacrificati in tutto il mondo per un tozzo di panem nei
circenses. Il loro lavoro, spesso d’equipe, sulla
notizia ritornerà, perché sulla notizia un bravo
giornalista ci ritorna sempre. Perché l’Italia è
un Paese di ‘santi, poeti e navigatori’, ma
soprattutto di sportivi.
Le rubriche: Vere e
proprie istituzioni, molte rubriche sono il motore delle
vendite, se non in alcuni casi l’unico motivo per
acquistare il giornale. Per comodità d’esposizione
le suddividiamo in sezioni.
a) pagine monotematiche:
viaggi, salute, automobili. Contengono
‘redazionali’ (scritti pubblicitari
caratterizzati da un riquadro e dalla scritta
‘spazio a pagamento’) e articoli del collega
che cura la pagina (redazionali firmati). Si tratta di
una produzione di grande impatto col pubblico,
soprattutto quello delle aziende commerciali a cui
vendere pubblicità.
b) lettere al direttore:
chi si occupa di questa pagina, fondamentale per
qualsiasi giornale, è quotidianamente a contatto con uno
dei principali problemi di una società sempre più
autistica, sempre più chiusa in se stessa: la
grafomania. La grafomania è malattia poco nota,
pericolosa e sottovalutata. Ha vari modi per manifestarsi
(tra cui questo manuale): la comunicazione di massa
consente oggi al malato di esprimersi non solo con
romanzi o raccolte di poesie per l’editoria a
pagamento, ma anche in forma epistolare.
E’ sorta dunque in questi anni una nuova figura
professionale, che andrebbe inquadrata in modo da
consentirne l’iscrizione a Inpgi e Casagit: è lo
scrittore/la scrittrice di lettere al Direttore. Dopo
studi approfonditi s’è appurato che ogni testata ha
i suoi fedelissimi, capaci di discettare su qualsiasi
argomento d’interesse pubblico e privato.
Il grafomane da giornale scopre solitamente il suo
talento dopo una rissa col vigile urbano per una multa in
plateale divieto di sosta. Non potendo pestare il vigile,
abbandonato dagli amici al ventesimo resoconto (‘E
io allora gli ho detto…e lui mi ha
detto…ecc..’), scatena la sua rabbia in una
breve letterina al quotidiano locale. Il testo vanta le
uniche due qualità apprezzate in una lettera al
direttore (non inizia con ‘il Vostro giornale di
merda’ ed è, soprattutto, breve) e viene
pubblicata.
Da quel momento il grafomane da giornale vive
l’irripetibile esperienza della celebrità. A
partire dall’edicolante, l’intero quartiere si
congratula per prosa, contenuti e fermezza di carattere.
Arriva inevitabile la frase che sigla la nascita
ufficiale di questo insolito collaboratore (con minori
pretese, se possibile, dei collaboratori ufficiali):
‘Sapessi scrivere come te, sai quante gliene
canterei...’
E' la fine. Alla prima lettera segue la seconda, la
terza, fino a raggiungere, in un paio di settimane, il
ritmo di due scritti al giorno. Si spazia su tutto, dalle
biotecnologie ai bottini della spazzatura, dalla presa di
Porta Pia alla beatificazione di Padre Pio.
Data la mole di posta ricevuta, chi cura la rubrica
archivia per argomento gli interventi dei grafomani al
fine di utilizzarli ‘sulla notizia’. Ragazza
stermina la famiglia? Nessun problema. Nell’archivio
giacciono non pubblicate almeno un centinaio di lettere
sulle questioni giovanili. Il Papa tuona contro
l’aborto? Tra Papa e aborto si può disporre di
almeno trecento interventi.
c) necrologi: sono
la spina dorsale di un giornale e della città. Senza
arrivare alla geniale pensata di una certa Viola Graves-
che su un quotidiano pubblica ogni giorno foto e vita di
illustri signori nessuno (lavoro massacrante che consiste
nello spulciare l’anagrafe comunale e telefonare ai
parenti per un’intervista sul caro estinto)- il
semplice necrologio è la vera testimonianza di vita o,
per meglio dire, dal necrologio si può desumere che
‘quello sì che sa vivere’.
Ogni giornale ha il suo stile. Trafiletto piccolo e
sobrio, ma denso di titoli, onorificenze e cognomi
altisonanti, come il Corriere (tanto più importante
quanti più sono i richiami al de cuius). Arioso ma
composto, come Repubblica. Con foto del morto da giovane
in cappello d’alpino e faccia d’avvinazzato,
come sul Gazzettino. Bilingue (Mandi Rosine
–Tarcento/Tarcìnt), con foto strappata dal
tesserino della pensione della scomparsa come sul
Messaggero Veneto. Multireligioso e multietnico come a
Trieste, crogiuolo di razze e di culture, ponte ideale
tra est ed ovest, dove stelle di Davide, croci
cattoliche, greco-ortodosse, serbo- ortodosse e cognomi
impronunciabili creano un’atmosfera da Herald
Tribune.
I necrologi sono le pagine
imperdibili di qualsiasi quotidiano. Scappa un morto e si
rischia, non solo la classica gaffe (‘Come va?’
‘Non lo sai, è morto papà…’ e, a
saperlo, si poteva tranquillamente cambiar strada ed
evitare l’elenco delle atrocità a cui il defunto è
stato sottoposto nelle ultime ore di vita), ma la perdita
di fondamentali gossip cittadini. Dietro un semplice
‘tua Amalia’ c’è la conferma che il morto
si scopava l’Amalia all’insaputa del marito
della porcona.
Per non parlare delle ‘famiglie allargate’ che,
con simpatico anticonformismo, rendono partecipe il mondo
di tutti gli avvenimenti dell’entourage.
‘Emilio non c’è più. Ne dà il triste
annuncio la madre con Ennio’ (e vai! La vecchia
vedova s’è risistemata).
Segue: ‘Ciao papà Emilio. Andrea e Giorgio, con la
mamma e Didi’ (quel troione allora sta proprio col
Didi, per inciso carico di soldi). Indi: ‘A Emilio
per sempre, le tue Vera e Pupi’ (e Vera si ritrova
sola come un cane con una bambina di tre anni, senza la
pensione, perché Emilio non l’ha sposata). Seguono
analoghi gli intrecci di fratelli, nonni materni dei
figli di primo e secondo letto e cognati più o meno
acquisiti.
Anche i testi, forse proprio
perché non scritti da giornalisti professionisti, sono
gustosi, leggibili e talvolta sconfinano nel letterario.
I più semplici si rifanno a Bibbia e Vangelo. I più
frettolosi a stilemi classici come ‘dopo lunghe
sofferenze si è spento’ o ‘si è ricongiunta
al suo caro Alfredo’. Chi è cosciente di quanto
costi un necrologio si limita allo stringato
‘E’ morto’, segue nome, cognome (forse),
partecipano al lutto e data dei funerali.
I migliori coniano frasi tipo: ‘Padre e marito
esemplare, grande lavoratore, ha raggiunto la Luce un
uomo buono. Giuseppe (Pepi Lampadina, elettricista) non
c’è più. Lo piangono sconsolati…’
seguono un’ottantina di nomi con tutte le qualifiche
familiari e l’immancabile ringraziamento ‘a
suor Maria che col suo conforto religioso ha rallegrato
le sue ultime ore’ (15 parole a 5.000 lire
l’una fanno 75.000 lire in più).
Per non sfigurare i parenti accendono anche un mutuo per
acquistare un po’ di spazio bianco. Personalmente,
da giornalista, opterei per un ‘Nulla gli fu
risparmiato, né risparmiò mai nulla’, ma sono 8
parole, 40.000 lire, cifra eccessiva per i miei eredi.
Le fonti. Agenzie.
Un bravo giornalista,
prima di passare la notizia, ha sempre l’accortezza
e l’obbligo morale di verificarne la fonte. Quello
di accedere a fonti certe e affidabili è infatti alla
base di un lavoro accurato e coscienzioso. In tal senso,
la prima fonte di un bravo giornalista sono le Agenzie.
Il lavoro delle Agenzie è un
lavoro spesso sottovalutato dagli stessi fortunati
redattori che ne fanno parte, ma è essenziale per la
vita dell’informazione nazionale. Un bravo
giornalista d’Agenzia è un mago della sbobinatura,
un re del virgolettato, un puntiglioso cultore degli
incisi (come ha detto, come ha sostenuto, come ricordato
da…).
Non conosce l’uso del condizionale, ha dimenticato
la propria identità e vanta capacità di sintesi simili
a quelle dei matematici quando quantificano con una
formula la massa dell’universo. Quanto più saprà
essere preciso, tanto più la sua sigla (Slo/hr, Usa/GB,
Ps/SS, ecc.) sarà apprezzata dai vertici
dell’Agenzia, che ne tuteleranno l’occupazione
nonostante gli inevitabili tagli dettati dall’unica
vera esigenza dell’Agenzia, la sintesi. Dei costi.
I giornalisti delle
Agenzie sono ovunque. Muniti di
blocco d’appunti e registratore raccolgono i gemiti
di politici, personalità della cultura, dello
spettacolo, delle Chiese d’Oriente e Occidente, di
forze dell’ordine e magistrati. Due secondi dopo
sono in grado di comunicarli (i migliori grazie alla
telepatia) alla redazione che in meno di un secondo li
mette in rete, al fine di evitare che i giornalisti
dell’Agenzia concorrente li battano sul tempo.
Il capo Agenzia ha il compito di essere su tutti i campi
e stare su tutte le notizie, leggere quelle inviate dai
redattori, eventualmente correggerle, apporre le sigle
esatte, smistare i comunicati stampa e il lavoro,
organizzare la settimana ed eventuali ferie, approvare le
buste paga evitando gli oneri degli straordinari,
scegliere le foto, rispondere al telefono, aprire la
porta, chiudere le luci a sera e svuotare i cestini.
I redattori d’Agenzia devono seguire le conferenze
stampa e fare domande, essere presenti allo sterminio di
un’intera famiglia e contemporaneamente intervistare
il giudice delle indagini preliminari, scrivere le
notizie, aggiornarsi sulle notizie in rete, riassumere i
comunicati stampa, telefonare a polizia, carabinieri e
pompieri per eventuali incidenti, controllare la
veridicità delle informazioni, condensare il tutto in
massimo venti righe e fornire disponibilità
ventiquattr’ore su ventiquattro, cercando se
possibile di anticipare gli eventi. Ad aiutarli c’è
solitamente un poligrafico, due nelle sedi principali, e
i collaboratori.
Per fare il collaboratore d’Agenzia bisogna o essere
miliardari di nascita o talmente orgogliosamente poveri
da rifiutarsi di mendicare. Una notizia d’Agenzia
viene infatti pagata dalle 5 alle 20 mila lire lorde. A
fine mese un collaboratore molto, ma molto attivo riesce
a guadagnare anche trecentomila lire, che finiscono per
pesare sul bilancio dell’Agenzia, costretta a sua
volta a tagli di personale, ferie, corte e poligrafici.
Se l’Agenzia infatti versa in uno stato di miseria
cronica è talora dovuto al fatto che non è proprietà
di un editore, ma di tutti gli editori, che nella
struttura mettono in comune la loro endemica povertà.
Esistono comunque dubbi
anche sulle capacità dei giornalisti di Agenzia di
attingere direttamente alle fonti. Dal momento che il
rapporto di uno a dieci a parità di notizie rispetto ai
colleghi delle testate giornalistiche è incomprensibile,
si sospetta che esista una Superagenzia che fornisca
notizie direttamente dal cosmo. L’astronoma
Margherita Hack ha recentemente individuato una Superansa
al largo della costellazione di Orione che ritrasmette su
onde medie a modulazione di frequenza quanto accade
nell’Universo.
Una volta che la notizia
d’Agenzia è arrivata sul tavolo della redazione è
compito del giornalista farne l’uso migliore. Si
può infatti inserirla col ‘copia incolla’
direttamente all’inizio del testo e affiancarle,
sempre col ‘copia incolla’, qualche particolare
desunto da un’altra Agenzia. L’operazione,
detta ‘pastone’, garantisce l’immunità da
querele, anche se si corre il rischio di leggere un
articolo del tutto identico sul quotidiano concorrente.
A tal fine è molto importante invertire, col
‘taglia e incolla’, le frasi, partendo magari
dalle conclusioni per arrivare al fatto. O aprire con una
considerazione personale (dell’editore o del
direttore). Gli scrupoli sono comunque eccessivi, dal
momento che l’unica cosa che l’eventuale
lettore avrà, forse, l’accortezza di leggere sarà
il titolo.
Se non c’è la
notizia d’Agenzia –concetto
fondamentale- la notizia non esiste. Può succedere che
un corrispondente sia a conoscenza dell’abbattimento
di mille capi bovini affetti da afta epizootica. Afferma
di essere sicuro del fatto dal momento che è sì
giornalista per passione- stufo del mestiere impostogli
dal padre, allevatore -,ma pure titolare della stalla
sequestrata. Se non c’è sul posto l’Agenzia
non credetegli. Dove c’è la notizia, c’è
l’Agenzia. Se non c’è l’Agenzia, non
c’è la notizia. Il corrispondente, nella migliore
delle ipotesi, vuole recuperare trentamila lire lorde per
arginare un danno di svariate centinaia di milioni.
E inoltre. Mettiamo esista anche la notizia
d’Agenzia, ma non viene rilanciata dai Telegiornali.
Che ve ne fate di una notizia di Agenzia, magari anche
ricicciata dal corrispondente con succulenti particolari,
se il giorno prima nessun telegiornale l’ha
preannunciata?
Comunicati stampa
La seconda fonte della notizia
sono i comunicati stampa. Si dividono per categorie:
a) Invito.
Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora,
eventuale tema, organizzatori e partecipanti
all’evento. Scivola di scrivania in scrivania per
planare sul tavolo dell’ultimo arrivato che dovrà
seguirlo per poi, se va bene, ridurlo a una brevina.
b) Invito con allegato.
Trattasi di testo brevissimo contenente luogo, data, ora,
eventuale tema, organizzatori e partecipanti
all’evento cui segue pranzo/cena/ spettacolo,
preferibilmente per due persone. Il primo che lo trova è
suo. Se buffet o spettacolo risultano graditi ci scappa,
al limite, una pagina.
c) Comunicato stampa
istituzionale. Il comunicato stampa
istituzionale inizia col virgolettato di quanto affermato
dall’istituzione di turno e termina, qualche volta,
con la notizia. Il bravo giornalista aspetta il rilancio
d’agenzia e in tal caso opera di conseguenza, con
un’intervista all’istituzione asserente e a
quella concorrente.
d) Comunicato stampa
alternativo. Il comunicato stampa alternativo è
caratterizzato dalla sua corposità. Si tratta infatti di
un fax di dieci agili cartelle in cui l’estensore
mette a fuoco, con incredibile capacità di sintesi,
tutto ciò che pensa sull’universo. Dopo un breve
preambolo –in cui vengono riassunti i presupposti
filosofici da Platone a Bertinotti- e un lieve excursus
sul tema (il mercato globale delle multinazionali nella
società europea postcapitalista e in particolare in
quella della provincia di Parma) si arriva alle
iniziative sviluppate dalla circoscrizione di viale
Garibaldi per ostacolare lo sfruttamento degli
extracomunitari nel prosciuttificio di via Guastalla.
Solitamente si tratta di un segnale forte- che anticipa
una manifestazione di massa a cui sono intenzionate ad
aderire le organizzazioni di volontariato e della
società civile- per le trentacinque ore e, già che ci
siamo, la solita liberazione di Ocalan.
Segue elenco
delle adesioni e, soprattutto, venti telefonate degli
organizzatori per verificare se il messaggio è arrivato
e se il giornalista è intenzionato a presenziare. Si
consiglia di rispondere in modo affermativo a qualsiasi
domanda e archiviare. Tanto qualsiasi cosa si scriva
sarà, nella migliore delle ipotesi, riduttiva, quando
non un boicottaggio, rispetto alle attese degli
organizzatori.
e) Comunicato stampa
economico. Trattasi di sintesi dei miracoli
mensili dell’azienda in questione che ha registrato
un +22% del fatturato rispetto allo stesso mese
dell’anno precedente con un incremento del 125,36%
delle vendite, pari a un 7,5% di redditività complessiva
nel bimestre in corso. Da tenere da parte per il mese
successivo, quando toccherà annunciare il fallimento
dell’impresa in questione.
f) Comunicato stampa via
mail: di solito è un articolo già scritto da
un addetto stampa, che in realtà è un giornalista
professionista disoccupato e sa cosa serve a un
giornalista per fare una notizia: che il testo sia
compatibile col programma di videoscrittura della
testata, onde evitare di ribattere le accentate e le
virgolette.
g) Mattinale. I
mattinali, tra tutti i comunicati stampa, sono la vera
croce dei giornalisti. Spesso contengono la notizia, ma
sempre non riescono a fornire una base utile per
svilupparla.
‘Oggi, alle ore 15 e 27 la pattuglia di PS in
perlustrazione della zona tra viale Zara e Via Pola ha
individuato un individuo che a bordo di un’Alfa
truccata blu tagliava la strada a una Polo targata Ancona
metallizzata virgola a bordo della quale c’erano i
pregiudicati Vito Bucicco, di anni 37 di Palmi, e Antonio
‘Nino’ Capuavetere, anni 46 di Capuavetere ma
residente nel capolugo, che scendevano e consegnavano
all’individuo, individuato come tale Vojslav
Musurowskij, detto Il Pope, anni 26 di Varsavia ma
residente in via del Lago 4, una borsa contenente 50
chilogrammi di eroina pura Punto il Musurowskij bloccato
dopo breve inseguimento e portato alla caserma di PS
veniva identificato come amico di Magda Dal Monon,
attualmente in carcere per spaccio internazionale di
stupefacenti dall’Italia alla Colombia e
prostituzione Punto l’inchiesta è stata affidata
alla magistratura Punto a capo alle 16 e 25 M.D., anni
17, ha scippato la borsetta della signora Maria Venzi,
anni 68, contenente la carta d’identità e 30.000
lire, in banconote due da diecimila una da cinquemila tre
da mille e il resto in monete virgola lo zingarello è
stato prontamente fermato e arrestato dalla
volante’.
Solitamente il bravo giornalista
schizza alla parola ‘zingarello’ e
approfondisce, fornendo dati utili a ricordare che la
percentuale di zingarelli in carcere in Italia è
superiore al numero di parole contenute nello Zingarelli.
Il riserbo della magistratura invece impedirà per mesi
di fare chiarezza sul sibillino Mattinale e capire che la
Dal Monon era in realtà la finanziatrice occulta, in
tutti i sensi e in tutti i settori, del vicesindaco.
Giornali, radio e televisione
La terza fonte della
notizia sono i giornali e i telegiornali.
Succede infatti che, per strane circostanze astrali, un
quotidiano o un Tg abbiano notizie in esclusiva. Di
solito accade quando una personalità di spicco nella
politica o nella cultura è strettamente imparentata con
un giornalista che necessita di un riconoscimento
professionale.
Siccome la famiglia è la base della
società, il personaggio in questione si sacrifica per il
consanguineo e si tiene fuori circolazione per uno o due
giorni, in modo da permettere al parente di fare il così
detto scoop.
E’ sicuramente un’operazione rischiosa. Può
succedere, infatti, che le testate concorrenti decidano
che l’onta subita è troppo grave per non venir
lavata col sangue e snobbino la notizia.
Quest’ultima finirà per essere un apostrofo rosa
tra un’agenzia e l’altra, dimenticata nello
spazio di un mattino, ma ben presente nelle coscienze dei
capo redattori delle testate concorrenti. Personaggio e
parente giornalista godranno per mesi di pessima fama
negli ambienti dell’informazione, saranno nel mirino
dei media e solo condotte assolutamente irreprensibili li
salveranno dal linciaggio morale.
Accade inoltre che una testata
inizi autonomamente una polemica. L’editorialista di
turno ad esempio, al termine di una rissa con un vigile
urbano, decide che è arrivato il momento di disarmare il
corpo togliendogli il libretto delle multe.
La questione
privata finisce sulla prima pagina di un quotidiano
nazionale e scatena un putiferio, dividendo la categoria.
Da un lato appaiono editorialisti che collaborano con
testate collocate in zone prive di parcheggi (anche
abusivi), dall’altro firme di risonanza nazionale
che abitano nell’appartamento sopra la redazione o
hanno infilato nel contratto personalizzato il
‘rimborso taxi’.
A peggiorare la situazione c’è
l’inevitabile schieramento politico che porta ad
ulteriori suddivisioni tra coloro che vorrebbero i vigili
senza libretto delle multe, ma con la pistola, quelli che
li vorrebbero solo col libretto o solo con la pistola. Il
caso finisce inevitabilmente in talk show e diventa
notizia. Si suppone che gli storici del XXX secolo
faranno fatica a ricostruire pedissequamente il fatto e
difficilmente riusciranno, se non con sofisticate
tecniche di psicoingegneria molecolare, a risalire alle
motivazioni dell’Ur-editorialista.
Un ultimo caso
di giornale- fonte riguarda le interrogazioni e
interpellanze parlamentari. Perseguitato a casa, sul
lavoro, sul cellulare da un conoscente, il giornalista si
rassegna a proporre alla redazione, quasi in lacrime, un
servizio- denuncia di malversazioni sugli anziani nella
casa di riposo in cui il suo persecutore lavora.
Spiega ai colleghi che da quando l’amico ha deciso
di raccontare tutto, a casa sua non si vive più. La
moglie se ne vuole andare, i figli lo evitano e persino
il cane, svegliato nel cuore della notte dalle telefonate
pressanti dell’informatore, è sull’orlo di una
crisi di nervi. Il capo redattore (in tempi molto remoti
era stato giornalista anche lui), mosso a compassione,
gli consente una trentina di righe, che il giornalista
consegna a tempo record, non senza aver tranquillizzato
l’amico con un ‘esce domani’.
Non sa, l’incauto, che la
persona in questione è in diretto contatto con un
politico (altrettanto perseguitato), che viene
immediatamente aggiornato del fatto. Per salvarsi a sua
volta, il politico in questione dà ordine di copiare
l’articolo e presentare interrogazione al Ministro
della Sanità e il giorno successivo tutti i giornali (in
mancanza di meglio e, soprattutto, se quel giorno più di
un vecchio s’è suicidato) denunciano lo
sfruttamento degli anziani nelle case di riposo.
Non va dimenticato, inoltre, che l’informazione è
fonte primaria di notizie per quelle testate che operano
al motto di ‘ci torniamo domani’. ‘Ci
torniamo domani (metti intanto nelle brevi)’ è
frase che segna un grande passo avanti nella cultura
giornalistica.
Significa disprezzo per lo scoopismo e
volontà di approfondimento. Purtroppo accade con una
certa frequenza che giornalisti malfidi il giorno
successivo, invece che ampliare il campo della ricerca,
s’approprino del lavoro altrui scopiazzando. La cosa
non è bella e l’Ordine dei giornalisti, quando lo
viene a sapere, piange molto.
Internet
Con l’avvento della
rete il mondo dell’informazione ha
subito un importante cambiamento. La comparsa di
dattilografi/e con contratto da metalmeccanico ha segnato
la nascita di nuove figure professionali –note come
‘fantasmi del video’- capaci di comporre, per
dodici ore sigillati in una stanza con la sola compagnia
di una tastiera, vere e proprie opere d’ingegno
collettivo a costo quasi zero. Le e-fanzine, gli
e-magazine, le e-agenzie sono una vera pacchia per chi
opera in qualsiasi testata giornalistica, fonte
inesauribile di informazioni e di spunti creativi.
Come tutti sanno, infatti,
esistono stagioni dell’anno in cui né in Italia,
né nel mondo accade nulla. Si tratta di Natale-
Capodanno, Pasqua e Ferragosto (in senso ampio). In
questi drammatici periodi le notizie scompaiono e gran
parte delle redazioni sono costrette a mettersi in ferie.
Chi resta, sacrificando il pranzo in famiglia del 25
dicembre per quattro denari (conquistati con mesi di dure
lotte balcaniche tra colleghi), una volta esauriti i riti
popolari, le messe e i morti sulle strade è costretto a
ricorrere ai collaboratori e pubblicare articoli fermi in
redazione da almeno sei mesi. Eppure anche ciò non basta
a riempire un giornale o un telegiornale.
Da un paio d’anni Internet ha risolto tutti i
problemi posti dalle festività. Mentre a Pasquetta i
colleghi oziano con la famiglia nei prati di periferia,
il bravo giornalista, navigando, scopre l’esistenza
di un sito interamente dedicato alle uova sode (www.uovosodo.it), con ampio spazio per la lettura
divinatoria dei gusci rotti, per maschere di bellezza a
base di tuorli e un test a sfondo erotico (‘Di chi
sono questi due begli ovetti?’ e foto di
maggiorate). Copia, incolla e sbatte il sito in prima
pagina, avendo cura di stigmatizzare il ‘fondo a cui
siamo arrivati’.
Ma il bello della rete non finisce qui.
Una società come quella attuale, sempre più timorosa
del rapporto diretto e soprattutto afflitta da
collezionismo monomaniacale, può disporre di un buon
numero di ‘signori nessuno’ che condividono
passioni attraverso Internet. Facciamo finta, ad esempio,
che esista un esperto in lingue slave costretto, per
lavoro, a tradurre quotidianamente la stampa dei Balcani.
E facciamo finta che questo signore da anni rigiri le
proprie traduzione in un sito Internet che, casualmente,
chiameremo www.est.org/balcani (il nome sembra più vero di
uovosodo). Facciamo finta che per caso, naviga che ti
naviga, uno o due giornalisti incappino in quel sito e
scoprano, ad esempio, tutte le traduzioni di cinque anni
di articoli serbi dedicati al caso (ovviamente fittizio)
della Telekom Serbija acquistata dagli italiani.
La casualità porta sempre consiglio e così, magari,
prende spunto, con cinque anni di ritardo, anche
dall’Italia, una simpatica inchiesta sui beneficiari
dei soldi italiani investiti nelle telecomunicazioni
serbe. Tra siti pedofili, siti negazionisti e,
modestamente, Il barbiere della sera Internet è comunque
una fonte inesauribile di notizie.
Conferenza
stampa
La
conferenza stampa è, dopo le cavallette, settima, e il rinnovo del
contratto, ottava, la nona piaga dei giornalisti. S’ignora cosa
spinga chicchessia a preferire la formula della conferenza a quella più
agevole del comunicato. Tanto non c’è differenza, anche se il
risultato al termine della conferenza è nettamente inferiore.
L’unica cosa che spinge un giornalista a presenziare a una
conferenza stampa, oltre agli ordini di servizio, è la possibilità
di trovare gadget o, al limite, di rimediare un bloc notes e una
penna. Se il gadget è un portachiavi (come nel 99% dei casi) comunque
il cronista sarà insoddisfatto del proprio lavoro e lo manifesterà
apertamente nel proprio pezzo.
Una conferenza stampa si compone di quattro fasi.
1) Atrio della sala stampa in attesa dei relatori. I colleghi
si scambiano informazioni su cosa avrebbero potuto fare di più e di
meglio invece di attendere uno, nella migliore delle ipotesi, più, in
caso di catastrofe, persone che ‘tanto si sa già cosa hanno da
dire’. I cineoperatori bivaccano ai lati appoggiati mollemente ai
treppiedi, scambiandosi eloquenti occhiate ogni qualvolta il
‘proprio’ giornalista apre bocca.
Dopo una vita dedicata all’arte visiva i cineoperatori conoscono
solo il linguaggio degli occhi. Palpebre chiuse: ‘adesso comincia’.
Doppio battito di palpebra: ‘te l’avevo detto… ascoltalo e
sappimi dire’. Occhi al cielo: ‘non lo ferma più nessuno’.
Occhi al cielo, sospiro e cenno del capo verso il collega
dell’emittente concorrente: ‘cazzi tuoi…chi è quel cretino che
gli dà spago?’ Occhi al cielo e scassata di testa: ‘te l’avevo
detto che il mio è peggio del tuo…’.
A salvare la situazione squilla il primo cellulare. E’ la redazione
con nuove indicazioni (o un amico che viene fatto passare per
redattore capo, in modo da consentire un briciolo di professionalità).
I cellulari squillano ininterrottamente. Chi non viene chiamato cerca
di darsi un contegno. I maschi decantano le meraviglie dell’ultima
macchina comprata a rate, le donne si guardano con odio, studiando
domande sempre più difficili e complicate per far fare brutta figura
alla collega.
Con un buon margine di ritardo, mentre ormai l’addetto stampa ha
esaurito tutte le sue cartucce (‘Hai scritto un pezzo
meraviglioso’, ‘Ti dovevo richiamare per dirti una cosa che forse
ti interessa…’, ‘Dio mio, ma cosa hai fatto, sembri più giovane
di vent’anni?’, ‘Non ti hanno dato, la cartella? Scusami, arrivo
subito…’, ecc.), arriva o arrivano i relatori.
2) Blocco totale sulla porta, per assecondare le
necessità delle televisioni. I cineoperatori imbracciano le
telecamere, i giornalisti televisivi e radiofonici i microfoni, gli
altri si uniscono al gruppo con registratore o blocco d’appunti, così
‘magari si va via prima’ (non si sa mai si riesca anche a fare la
spesa prima di rientrare in redazione). L’intervistato ripete in
viva voce quanto già scritto nel comunicato d’invito alla
conferenza e quindi, chi vuole, può entrare in sala.
3) L’intervistato ripete in viva voce quanto già
scritto nel comunicato d’invito alla conferenza. Se aggiunge ‘Sarò
breve’, i giornalisti seduti vicino alla porta (solitamente quelli
con maggiore anzianità di servizio e posto fisso) guadagnano
l’uscita con la scusa di una sigaretta.
Nelle prime file siedono nell’ordine: i parenti, gli amici,
eventuali dipendenti, giornalisti neoassumibili, giornaliste.
Carrellata dei cineoperatori sulla segretaria del relatore che prende
appunti e su due cronisti che si stanno scambiando l’indirizzo del
rivenditore di auto. Al termine della conferenza segue imbarazzante
pausa, preceduta dalla fatidica frase: ‘Ci sono domande?’
4) Purtroppo sì. C’è sempre qualcuno, nel variopinto
mondo del giornalismo, che non ha ancora capito che se i relatori
hanno qualcosa da dire di veramente interessante non lo diranno mai
pubblicamente e, soprattutto, non lo diranno a tutti, ma solo a chi fa
loro comodo.
E che, per quanto la domanda possa essere intelligente e articolata,
dopo un’ora di sala stampa, privi d’aria e frastornati di parole,
i colleghi sognano solo di riconquistare la libertà.
Finite le domande l’addetto stampa autorizza l’uscita, stringe le
mani di tutti (con le solite mezze frasi: ‘Mi raccomando…’,
‘Ci conto…’, ecc.) e lancia occhiate allusive a coloro che,
sopravvissuti alla noia, hanno a disposizione quella mezz’ora,
privata, per porre domande serie al/ai relatori. O saluta chi, con la
scusa del ritardo, si beccherà l’intervista in esclusiva.
Interviste
L’intervista, come fonte di notizia, è quanto di più arduo
esista nel giornalismo. Prevede infatti l’esistenza di due soggetti,
oltre all’intervistato (che si presuppone debba aver qualcosa da
dire) l’intervistatore ossia il giornalista.
E’, in pratica, una forma particolare di seduta psicoanalitica per
cui valgono le stesse regole in uso in terapia. Assecondando la
propria indole e in particolare quella del direttore, il giornalista
potrà adottare tecniche freudiane, junghiane o lacaniane. Esistono
poi due varianti metodologiche di stampo esoterico, non codificate
dalla medicina ufficiale: il marzullismo e il biagismo.
Tecnica freudiana. Ciò che interessa
all’intervistatore freudiano è il ‘surrealismo psicologico’.
L’intervistato viene lasciato libero di rivolgere la mente dove
vuole, senza obbligatoriamente mettere in ordine nelle sue idee, senza
legarle logicamente tra loro.
All’inizio è naturale che vi siano esitazioni o silenzi, perché il
soggetto intervistato lotta tra ciò che gli passa per la testa e
l’immagine che vorrebbe dare di sé. Bisogna si renda conto che
l’intervistatore è del tutto neutro, che non si meraviglia mai di
ciò che ascolta perché tutto è per lui normale.
L’intervistatore freudiano dunque non pone domande.
Apre il registratore e prende appunti, interrompendo il monologo
dell’intervistato solo in caso di discorsi assolutamente
incomprensibili o per incensare l’interlocutore.
Spesso pensa ai fatti propri, quando non si assopisce. Qualunque cosa
gli dica l’intervistato mantiene l’aria di chi ‘lo sa già’.
Quando l’intervistato proclama ‘e questo è tutto’, magari
aggiungendo ‘per oggi’, chiude taccuino e registratore, ringrazia
e se ne va.
A questo punto il suo lavoro si fa veramente duro. In primo luogo
perché l’intervistatore nel 90% dei casi non riesce a capire che
cavolo ha scritto negli appunti ed è quindi costretto a sbobinarsi la
cassetta. Poi perché scopre che l’intervistato non ha detto nulla,
ma proprio nulla, di quanto non si sapesse già.
E al quel punto è tardi per porgli domande. Raccatta dunque alla
bell’e meglio i passaggi che gli sembrano più significativi, li
riordina sulla base di domandine semplici (soggetto, predicato e
complemento oggetto) e consegna l’intervista al capo redattore, che
si congratula per l’equilibrio del lavoro svolto.
E’ la tecnica in voga nel giornalismo parlamentare o, più in
generale, in quello di testate locali, dove s’intervistano solo gli
amici dell’editore.
Tecnica junghiana. S’inserisce in quella corrente
di pensiero caratterizzata dal ritorno al soggetto e tende a
ricollocare nella persona il momento primo della sua alienazione
sociale e il suo possibile recupero.
L’intervistatore junghiano intende fondare nell’uomo le radici
affettive di una nuova immagine di sé che superi il limite della
particolarità egoica per abbracciare il divenire storico e sociale
dell’umanità.
In tal senso l’intervistatore porrà domande della durata di venti
minuti, in cui ripercorrere, a partire da Adamo e Eva, l’intera
storia dell’umanità in tutte le sue sfaccettature. L’intervistato
ha di fronte due sole possibilità: affermare o negare. Ma di solito
s’è già addormentato.
La tecnica junghiana, molto in voga tra i giornalisti rampanti, porta
a conclusioni sorprendenti. Inseguendo il proprio ragionamento e le
proprie conoscenze, sfiancando magari l’avversario, pardon
l’intervistato, il giornalista junghiano è capace di far ammettere
a Berlusconi o a Andreotti di aver avuto contatti con la mafia.
Quando l’intervista diventa pubblica (ci vogliono un paio di giorni,
perché è difficile sintetizzare le domande e trasferire parte del
proprio discorso all’interlocutore, che magari ha solo annuito con
un cenno del capo) l’intervistato s’incavola di brutto, nega tutto
e sporge querela. La causa si trascinerà per anni nei tribunali anche
perché i magistrati faticano a sbobinare il tutto senza andare in
catalessi.
Tecnica lacaniana: quello che conta è come
l’intervistato parla, non cosa dice. Pertanto il tempo
dell’intervista può durare pochi secondi o in eterno visto che ciò
che interessa all’intervistatore è il ritmo entro il percorso dei
significanti.
E’ la tipica tecnica da talk show televisivo, dove la mimica spesso
assume più importanza dei contenuti (inesprimibili dal momento che ci
sono almeno una decina di ospiti da intervistare). Si tratta
d’interviste che si possono seguire anche senza audio e che servono
all’intervistato per dire ‘Hai visto, da Costanzo c’ero
anch’io…’.
Tecnica marzulliana: si rifà al nome del suo
fondatore, Gigi Marzullo, che, secondo alcune scuole di pensiero,
l’ha desunta direttamente dai telegiornali locali e dai quesiti
dell’orale agli esami di giornalismo.
Consiste nel porre domande talmente semplici da indurre
l’interlocutore a credere che si tratti di alta filosofia.
Spiazzato, l’intervistato cercherà di dimostrarsi all’altezza
della situazione, fornendo risposte che superano ogni limite del
grottesco. Il risultato è lo straniamento totale di fruitori e
attori, raggiungibile in altri settori solo dagli esperti di Sufi.
Tecnica biagiana: pochissimi in Italia sono in grado
di applicare le tecniche biagiane. Solo Enzo Biagi, Bruno Vespa e Enzo
Bettiza. Eppure si tratta di un lavoro elementare: basta trovare una
casa editrice disposta a pubblicarti 52 libri all’anno e recuperare
52 personaggi importanti disposti a raccontarsi.
Dal momento che il biagismo è in voga da decenni, fatto un rapido
calcolo, 52 (i libri) x 10 (gli anni, in difetto) x 3 (gli autori) si
superano abbondantemente le 1500 persone intervistate. Al momento
attuale il mercato è ovviamente saturo.
Per quel che riguarda l’impostazione delle domande vale nel
giornalismo la ‘regola delle 3 C’: domande compiacenti,
compiaciute e ‘culo’. In quest’ultimo caso intese come dettate
dalla fortuna (si chiede e nella risposta c’è quanto nessuno
avrebbe mai osato chiedere), più spesso suggerite dall’ultimo
tratto dell’intestino.
Gli
informatori
Ogni bravo giornalista ha i suoi informatori. I
giornalisti delle testate politiche ne hanno talmente tanti (tutti i
politici, gli iscritti e i simpatizzanti del partito) che la notte
s’addormentano sognandosi paparazzi di Novella Duemila
all’inseguimento di Mara Venier in topless.
Gli informatori, nella vita di tutti i giorni, sembrano persone
normali. In realtà da ragazzi divoravano spy story e, una volta
cresciuti e diventati amici di un giornalista, non lo mollano più.
Per riconoscere un informatore basta attendere che ti contatti con la
tipica espressione gergale ‘Qua te lo dico e te lo nego’. Il
giorno seguente ti consegnerà un baule di carte al motto di ‘Io non
ne so nulla’.
Si suggerisce di fotocopiare via via che dalla lettura dei dossier
emergono particolari interessanti. Fare fotocopie alla fine equivale a
perdere materiale prezioso, fotocopiare tutto a perdere tempo. Non
fotocopiare proprio è da idioti, perché poi non c’è nulla da
consegnare al giudice quando, inevitabile, arriverà l’ora del
giudizio.
L’informatore infatti è un pericoloso individuo che gode nel
mettere nelle rogne i giornalisti. Come replicante conosce cose che
gli umani non potrebbero nemmeno immaginare, ma ben se ne guarda
dall’apparire, avendo trovato un gonzo che lo fa di mestiere.
Un bravo informatore è anche un abile comunicatore.
Butta con nonchalance frasi tipo ‘So come incastrarlo’ o ‘Io ho
visto le carte’ per solleticare l’ormai spenta curiosità del
giornalista. Fornisce a pizzichi e mozzichi concetti che lasciano
intendere, senza equivoco alcuno, che è a conoscenza dei fatti più e
meglio di chi li ha compiuti.
Stuzzica le più basse fantasie del cronista che, al suono delle sue
parole, già si vede vincitore del Pulitzer. Sa motivare come nessun
direttore è in grado di fare.
E quando il pollo è cotto lo abbandona per sempre al suo destino,
senza nemmeno salutarlo quando l’incontra per strada. Questi
informatori non costano nulla solo in apparenza. Le loro notizie, tra
avvocati e carte bollate, raggiungono cifre stroboscopiche.
Più
onesti gli informatori esteri, soprattutto se appartenenti ai paesi in
‘via di sviluppo’. Essendo già stipendiati dai regimi si
accontentano di briciole di valuta straniera e, in alcuni casi,
uniscono l’utile al dilettevole, rallegrando piacevolmente le notti
trascorse lontani da casa e focolare domestico.
Gli informatori cresciuti secondo i dettami della ‘scuola di
Mosca’ sono cortesi, poliglotti e colti. Se non in casi eccezionali
(tipo presupponenza e ostinazione nel voler verificare di persona la
fonte), non si corrono rischi, né si fatica troppo. In aggiunta
lasciano libero il giornalista di fare ciò che vuole della notizia
venduta: tanto è comunque, sempre e solo una palla madornale.
Il
giornalismo su campo
Capita, per fortuna sempre più di rado, che il giornalista
fornisca notizie di prima mano raccolte su campo. Questa pessima
abitudine, che in passato esponeva la categoria a rischi anche vitali
(il minore era l’alcolismo e il tabagismo cronico, nonché il
ripudio di moglie e persino madre), è oggi saggiamente ostacolata
dall’impossibilità dell’ubiquità.
Se uno infatti deve trascorrere la sua giornata lavorativa al desk a
guardare le agenzie, fare pastoni e passare i pezzi altrui, non può
essere contemporaneamente sul luogo del delitto.
E, mettiamo anche ci sia, non ha più quella forma mentis che un tempo
l’avrebbe portato, una volta individuato l’assassino tra la folla,
a tampinarlo per un mese senza conoscere né sonno né fame, in piena
complicità tra inseguito e inseguitore. Torna tranquillamente in
redazione e attende che, prima o poi, la polizia invii il suo
mattinale (o che telefoni la segretaria del magistrato per ‘un
aperitivo’).
Se poi si tratta di un collaboratore che, non avendo un posto di
lavoro, girovaga alla ricerca disperata di notizie, è necessario
porre molta attenzione: solitamente sono persone infide,
apparentemente disinteressate agli spiccioli che elemosinano, ma
capaci di piantarti una causa per assunzione quando meno te
l’aspetti. Meglio mantenere prudenza, in fondo di una mancata
notizia non è mai morto nessuno e ci si può sempre ritornare in
seguito.
Anche per quel che riguarda le inchieste molto è
cambiato rispetto al passato. Oggi si può contare sul valido aiuto
dell’Istat e soprattutto dei sondaggi. Grazie ai sondaggi è
possibile avere il polso della situazione e conoscere in anticipo gli
interessi dei lettori.
Ad esempio, se un’azienda di sondaggi fornisce i dati sul consumo di
prosciutto o mortadella in Italia è ovvio che gli italiani (e non
solo la multinazionale di salumi che l’ha commissionata) non
desiderano altro che sapere se fan parte di quella fetta di
popolazione, di destra, che si strafà di crudo o di quell’altra, di
sinistra, storicamente fedele alla mortadella.
L’intervento di un bravo psicologo- che spiega che il Parma e il San
Daniele in parte della popolazione rappresentano la virilità e quindi
incentivano stereotipi machisti, mentre i pistacchi e le bolle di
grasso nella mortadella richiamano a un ritorno all’utero materno e
quindi al partito in senso leninista- farà piazza pulita di tante
dicerie sul consumo degli insaccati in epoca moderna. Fatto che
consente a tutti di dormire tra due fette di guanciale.
I tempi di Mario Soldati sono lontani e anche la cucina non necessita
più di prese dirette. Al limite, se proprio si vuol essere
alternativi, basta consultare i sondaggi sull’inarrestabile ascesa
della macrobiotica e sul tracollo Mib della fiorentina.
Dicevamo che può comunque succedere che, per congiunzioni astrali
particolarmente sfavorevoli, un giornalista si trovi proprio sulla
notizia. Se non è fortemente disturbato, se la nonna non lo picchiava
da piccolo, se non sta maniacalmente pensando al suicidio seguirà il
suo istinto e s’unirà al branco. Dei giornalisti.
Il
branco dei giornalisti sulla notizia, come recentemente
ricordato in una trasmissione di Piero Angela, ricorda molto il
comportamento delle antilopi nella savana. All’apparire
dell’avvocato della difesa gli corrono tutti incontro.
Sbatte una porta, esce dall’altra parte quello dell’accusa, e il
branco inverte la rotta. Si sente il ruggito del magistrato e le
bestiole, stordite, cercano di sfidare il leone, mentre nel contempo
la leonessa, madre dell’accusato, spalanca le fauci a nuove
dichiarazioni.
Più in là, protetta dall’oscurità dei corridoi del palazzo di
giustizia, siede una giovane donna vestita di nero. Un’antilope
stanca la raggiunge per condividere la panca e fumare una sigaretta.
Lascia il branco e trova lo scoop. E’ una parente della vittima,
presente in aula: ricorda parola per parola non solo le requisitorie,
ma anche tutte le testimonianze. Elenca le prove. Consegna quanto può.
Il giornalista uscito dal branco, con lo scoop in tasca, se ne va
rallegrandosi con se stesso per non aver mai smesso di fumare...
I
mezzi d’informazione.
Cos’è e come si fa un giornale
Un giornale è un’opera d’ingegno collettivo
che ha nel direttore colui che s’assume l’onere di esserne autore
e nell’editore l’uomo che si fa carico del rischio di creare e
vendere il prodotto. Questa è la risposta giusta da dare all’orale
dell’esame di giornalismo. Riduttiva come ogni risposta da manuale.
Un giornale può infatti essere molto di più.
In caso di trasloco, ad esempio, con cosa riempireste gli scatoloni
del vasellame, se non con carta di giornale? Cosa fornite al pittore
che vi chiede qualcosa per proteggere il pavimento?
E vi siete mai domandati perché i vetri delle case e delle auto
americane brillano più di quelli nostrani? Hanno l’Herald Tribune,
prodotto con un tipo di carta che non graffia e assorbe perfettamente
l’umidità, lasciando le superfici libere da acqua e detersivi.
Avete mai visto la casa di una comunista? La si riconosce dalle tracce
di colore sui vetri lasciate da Liberazione o dalla nuova Unità.
Volete uova fresche dal contadino? Un bel cartoccio con le copertine
di Espresso o Panorama e ogni singolo ovetto avvolto in carta di
quotidiano permettono di non fare la frittata anzi tempo.
Si tratta, ovviamente, della fine ultima di un giornale che, come
opera d’ingegno collettivo, viene sfruttata come un tempo si faceva
col maiale. Prima di raggiungere l’edicola, infatti, un giornale
serve a vivacizzare le notti degli insonni nelle rassegne stampa
televisive.
E’ poi una simpatica abitudine mattutina che consente di affrontare
la giornata: un caffè e una brioche al bar, se accompagnate dalla
distratta lettura del quotidiano, ammazzano la solitudine di fronte
‘a un nuovo giorno’ (Gigi Marzullo).
Messi assieme tanti giornali, il peso della borsa del burocrate si
riequilibra, scongiurando il mal di schiena sempre in agguato. Un
giornale (solitamente sempre lo stesso) serve sempre, più di un Pin,
di un tatuaggio, di un piercing a identificare un adolescente con
velleità intellettuali.
E il vecchio pensionato, senza un’opera d’ingegno collettivo, non
solo non potrebbe rendersi conto di essere un sopravvissuto (uno
sguardo ai necrologi), ma non prenderebbe mai coscienza di essere un
peso sociale (l’altro alle cronache).
Per non parlare di chi a metà giornata cerca di programmare la serata
tra cinema e televisione. L’opera d’ingegno collettivo insomma è
parte integrante della vita degli italiani.
Avete mai visto una casalinga sbucciare patate su un telegiornale?
Caso mai segue un Tg, gettando le bucce sul giornale. Siete
ecologisti? Un giornale si ricicla sempre, un Tg solo in tarda serata.
Questa premessa lascerebbe intendere che i giornali non li legge
nessuno. Il che non è vero. I giornali si leggono. O, almeno, chi non
li fa li legge e chi li fa legge quelli degli altri, ma non il proprio
(niente è più teneramente patetico del collega della tua stessa
testata che, citandosi, spera di trovare conferma di quanto ha
scritto, niente è più oscenamente ruffiano dell’elogio del collega
della testata concorrente che ha letto quanto hai scritto).
Prendiamo dunque in mano il prodotto dell’ingegno
collettivo. Ha un nome, detto testata, una gerenza (ossia un riquadro
da cui desumere chi è il proprietario, chi dirige quel blocco di
pagine e dove è situato e, di solito, chi sono i kapò), una sua
specificità fisica che lo rende oggetto più o meno gradevole, detta
formato, e una sua struttura peculiare, detta impostazione grafica.
Il nome può essere accompagnato da banner pubblicitari che
trasformano appena impercettibilmente la testata. Il quotidiano
‘Libero’ ad esempio è noto come ‘Infostrada- Libero-
Infostrada’, la nuova Unità come ‘Telecom- L’Unità- Telecom’.
E’ una formula innovativa che porterà sicuramente a sviluppi
imprevedibili, salvo restando che ‘La Stampa’, per motivi di
dignità, non si chiamerà mai ‘Fiat- La Stampa- Fiat’. Sarebbe
banale e l’Avvocato è un editore di classe.
Esistono poi settimanali che, al nome della testata uniscono una foto,
a garanzia del marchio. Diffidate dunque da periodici che si chiamano
‘Panorama’ o ‘Espresso’ se in copertina non c’è né una
tetta, né un culo o da ‘Oggi’, ‘Gente’ e ‘Chi’ se non
appare un Savoia o un Grimaldi o un Carrisi. Si tratta di imitazioni.
Poco pubblicizzate, ma molto vendute, sono anche
alcune minuscole testate, spesso edite in provincia. Si tratta di
prodotti di ingegno collettivo in tutti i sensi, con ampi servizi su
ammucchiate o rapporti interpersonali e di gruppo (non editoriale).
La loro esistenza, se fa piangere la Federcasalinghe, risolleva
comunque da sempre le sorti dell’editoria italiana e, talvolta,
anche quelle di qualche giornalista che, sotto pseudonimo, recupera
quanto sottrattogli dall’ultimo contratto firmato dalla FNSI.
In ogni caso la testata è il marchio che garantisce la qualità del
prodotto editoriale. Lo si capisce se il cellophan in cui è incartato
il giornale fissa il gadget almeno sotto il titolo d’apertura.
Se il gadget però è un pacco di croccantini per gatto, bisogna
fidarsi e comprare il giornale a scatola chiusa. Cd, Cd- rom e
videocassette rimangono gadget ideali perché poco ingombranti.
Un’automobile sarebbe il regalo più gradito, ma pare che alla
proposta si siano opposte sia le concessionarie, che l’associazione
edicolanti (e poi costa troppo incellophanarla). Hanno una discreta
tiratura le borse per la spesa firmate e gli articoli da spiaggia
gonfiabili.
Il Sole 24 Ore ha poi ideato gli inserti speciali che
sono in pratica dei giornali gadget allegati, nel loro bravo cellophan,
al giornale principale. Compri un quotidiano e ne porti via anche due
o tre, tutti rigorosamente sigillati. Separare la carta dalla plastica
richiede tempo, ma trattandosi del principale quotidiano economico
nazionale ogni azienda di un certo rilievo ha provveduto ad assumere
un extracomunitario addetto alla preparazione alla lettura.
Più agile invece l’acquisto degli altri giornali, anche se gli
edicolanti infilano al posto del settimanale allegato al quotidiano
nazionale il fascicolo Guida alle meraviglie d’Italia di quello
locale o viceversa.
Grazie a queste iniziative, comunque, non c’è famiglia italiana che
non abbia almeno un opuscolo sull’Abruzzo, Basilicata e Campania,
anche se va ricordato che la Regione Valle d’Aosta è fortemente
penalizzata, incominciando per V. In tal senso s’è mossa anche la
FNSI, invitando gli editori a produrre guide e manuali partendo dalla
zeta.
La FIEG ha assicurato interventi immediati sulla mobilità alfabetica
in cambio della disponibilità globale alla mobilità giornalistica.
L’argomento verrà discusso in una delle prossime riunioni
all’Hotel Ergife -i cui dipendenti hanno annunciato una
mobilitazione nel caso si ripresentassero i giornalisti.
Formato tabloid o lenzuolo, pagine tante o poche, un giornale si
caratterizza, oltre che per la testata, per l’impostazione grafica,
ossia la disposizione dei ‘moduli’, unità di misura della pagina.
I moduli, per i collaboratori, vengono tradotti in ‘righe’. I
collaboratori affermati e professionali non discutono nemmeno più
sull’argomento, ma contrattano direttamente le cifre. ‘120 per 60?
Ok?’ I più anziani continuano con le cartelle (‘2 o 3
cartelle?’), i giovanissimi stanno sulle battute (‘Van bene
18.000? Sennò 7.200?’).
A un’ora non meglio precisata (se lo fosse, al
giornale non ci sarebbe nessuno) si convoca la riunione di redazione.
E’ un rito che risale ai tempi della Santa Inquisizione e che a suo
tempo portò all’eresia albigese e catara.
Il direttore convoca i capo redattori e i giornalisti presenti (o
almeno quelli che non sono riusciti a sigillarsi negli angusti spazi
dell’erogatrice del caffè) e getta le basi per il numero a venire.
Esteri? Risponde il responsabile :‘Arresto di Milosevic. Richiamo in
prima, 120 per 60, più boxino, foto e spalla’. ‘Perfetto’. Ma
si pone subito un problema: la manchette. Se la spalla è un articolo
che, messo in alto a destra, ha una sua valenza, la manchette ne ha di
più perché è un annuncio a pagamento.
Quindi o si elimina la spalla o la manchette o la foto o si arriva a
60 per 60 (misure che, per un pastone- ossia il copia incolla di tutte
le agenzie soprattutto in un momento definito ‘storico per la
democrazia europea’- sono veramente scarse) o si getta il boxino,
che però è essenziale, anche perché già preannunciato dalle
agenzie.
La discussione solitamente si fa violenta, ma alla fine vince lo
spazio pubblicitario, anche perché se la notizia c’è sempre, lo
sponsor va e viene.
Se i giornalisti sono psicofisicamente pronti alla
riunione di redazione (ossia si sono già autosedati con Lexotan, il
più amato dalla categoria, Valium e sette tipi diversi di prodotti
omeopatici o fiori di Bach) la seduta scivola liscia tra righe,
cartelle e battute. Può succedere, però, che qualcuno abbia saltato
l’incontro col terapeuta e senta il bisogno di sfogarsi.
Oppure che sia presente un neoassumibile, magari ambizioso. La
riunione di redazione, in questo caso, assume connotati da thrilling.
Lo sfasato o l’ambizioso spostano la conversazione sui contenuti,
risvegliando il basso istinto giornalistico sedato da ogni serio
professionista.
Spiazzano il direttore (che è diventato tale perché da decenni evita
le notizie, conoscendone tutte le insidie), dribblano la segretaria di
redazione (che è tale perché da anni si occupa delle notizie),
fottono i colleghi (che sono così perché tra ‘sapere evitare’ e
‘sapere e evitare’ c’è di mezzo il mare) e si rifilano il più
bell’autogol della storia di ‘Quelli che…’.
Dopo un’ora di stressante dibattito vincono la partita. Si beccano
(oltre la maledizione eterna dei colleghi evergreen) il richiamo in
prima, 18.000 battute, boxino, foto e fondo e neanche uno spazio
pubblicitario, come richiesto.
Corrono a disegnare la pagina e contattano le più belle firme del
paese. Selezionano foto, recuperando capacità estetiche dimenticate
dai tempi del liceo, e titolano con arguzia.
Un attimo prima di passare la pagina apprendono, con stupore, che, per
necessità dettate da quel prodotto d’ingegno collettivo che è un
giornale, si dovranno far carico di una manchette nuova di zecca, che
non può stare da nessun’altra parte.
C’è chi si mette in malattia per sei mesi e chi ritorna al Valium.
I neoassumibili capiscono che non c’è speranza, si tingono la
faccia col lucido da scarpe e chiedono un posto come extracomunitari
all’azienda che ha comprato lo spazio sottratto alle notizie.
Proviamo
ora a sfogliare un giornale. La prima cosa che balza agli
occhi sono i titoli, per definizione una sintesi che precede ed
evidenzia la notizia. Nella parte alta abbiamo l’occhiello, summa
delle circostanze del fatto, segue il titolo vero e proprio e quindi
un sommario, che sintetizza la notizia.
Questa struttura permette ai lettori, se i titoli sono ben fatti, di
non leggere l’articolo senza ledere il diritto ad essere informati.
Esistono addirittura giornali dove, una volta fatto il titolo, si
chiude la redazione e tutti sono liberi di andare a casa (si tratta di
quotidiani, spesso politici, che escono in un’unica copia ad uso e
consumo delle rassegne stampa televisive). Un buon titolo è garanzia
di rilancio di una notizia, che non necessariamente deve avere, come
già detto, qualità particolari.
E’
chiaro dunque che si tratta di mettere in gioco tutta la creatività,
la cultura e la fantasia dei giornalisti, evitando banalità, luoghi
comuni e frasi fatte. Ma è la capacità di sintesi la principale dote
di un buon giornalista alle prese coi titoli. E un bravo giornalista
la manifesta sin dall’inizio, quando chiede al collega di
raccontargli a grandi linee che cavolo ha scritto, in modo da metterlo
nel titolo.
Facciamo
finta che Massimo D’Alema, rischiando il tutto per tutto,
si candidi solo per il maggioritario, evitando seggi ‘paracadute’
nel proporzionale e sostenendo che è ora di finirla con le
spartizioni. E facciamo finta che Veltroni non sia d’accordo.
Un titolo classico potrebbe essere “D’Alema: ‘Basta con le
spartizioni’” oppure “Basta con le spartizioni dice D’Alema”
o ancora “Le spartizioni? Stop di D’Alema”. Segue sommario
classico: “Veltroni: Scelta individuale, non può essere regola”
oppure “Scelta individuale, non può essere regola, dice Veltroni”
ossia (discorsivo) “Per Veltroni una scelta individuale non può
essere una regola”.
Precede occhiello classico: “Il presidente dei Ds rifiuta il
ripescaggio in Parlamento col proporzionale e mette in imbarazzo la
Quercia” oppure “ In imbarazzo la Quercia per il rifiuto del
presidente dei Ds del ripescaggio in Parlamento col proporzionale” o
“Nessun ripescaggio col proporzionale in Parlamento per il
Presidente dei Ds. Imbarazzo nella Quercia”.
Capita che qualcuno, per eccesso di zelo creativo, titoli “La
Quercia rifiuta le proporzioni del ripescaggio in Parlamento e mette
in imbarazzo il presidente dei Ds. Basta con D’Alema dicono le
spartizioni. Per una scelta individuale Veltroni non può essere una
regola”, ma in tal caso ha tre ore di tempo per rivolgersi alla Fnsi
e ottenere il permesso di pagarsi un avvocato.
E’ chiaro che la creatività deve porsi dei limiti, ma, dal momento
che il giornalismo è il mondo del possibile, non è strettamente
necessario che tutte le testate titolino come i principali quotidiani
nazionali. In questo caso esistono spunti spiritosi che permettono
varianti interessanti.
Prendete
ad esempio la parola ‘seggi paracadute’: “D’Alema in
caduta libera” è un ottimo titolo per qualsiasi giornale non
desideri altro che vederlo sfracellarsi al suolo ancor prima delle
elezioni. Oppure ‘ripescaggio’: a un bravo giornalista verranno
subito in mente le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei
voti, intesi come pesci.
Da uno spunto così dotto- niente niente- nasce anche un editoriale o
un fondo (commento ai fatti più o meno firmato) o un corsivo
(solitamente presentato in rassegna stampa come ‘corsivo
corrosivo’, micidiale nota polemica in cui un giornalista,
solitamente considerato arguto, anzi il più arguto –per la stampa
post comunista Il Migliore ossia il lider maximo del partito -,
stigmatizza la situazione).
Abbiamo
già accennato al fatto che non tutti i giornalisti possono aspirare a
diventare editorialisti o corsivisti. Bisogna avere doti particolari
che non si apprendono neanche in quarant’anni di onesta professione.
In linea di massima un direttore è sempre un ottimo editorialista,
anche se gli unici pezzi pubblicati sono quelli di saluto e di
commiato dai lettori ad ogni cambio di testata.
Scrivono splendidi fondi i professori universitari di ruolo
(possibilmente con una casa editrice alle spalle, di cui sono anche
consulenti) e tutti i segretari di partito, ma il meglio viene dai
corsivisti corrosivi professionisti.
Si
sconsiglia, a chiunque intenda intraprendere la professione
giornalistica, di affrontare la dura strada del corsivista. Si tratta
di un lavoro che solo apparentemente si limita alla stesura di un
vibrante fondello sulla degenerazione dei costumi, sulle linee di
tendenza del baratro in cui sta precipitando il paese (in discesa
verso destra, centro, sinistra, a seconda delle testate) e sulla
rinascita di qualche mostro del passato.
La
giornata del corsivista inizia all’alba, con un intervento
radiofonico di presentazione e commento delle prime pagine dei
giornali a cui seguono le registrazioni (mattutine) dei talk show in
onda la sera.
Per evitare di perdere tempo negli studios, di solito i corsivisti
escono di casa alle sei truccati di tutto punto -tanto che nei
quartieri di residenza circolano voci molto discutibili sulle loro
abitudini sessuali.
Nel primo pomeriggio raggiungono il camerino nella redazione del
giornale dove si fanno raccontare dall’estetista le ultime novità,
sfogliano la posta, dettano le risposte, imbastiscono l’editoriale
del giorno e ricevono il direttore e l’editore (di solito al momento
della manicure). Neanche il tempo di un caffè e sono di nuovo in
pista per presentare l’ultimo libro (loro o altrui) e firmare
autografi.
Nella breve pausa che precede la soirèe, rientrano in redazione e
stilano di gran carriera un vibrante fondello sulla degenerazione dei
costumi e sulle linee di tendenza del baratro in cui, ecc., mentre il
barbiere e l’estetista provvedono a rivitalizzare il look,
ustionandosi col riflesso della lampada al quarzo.
Fino alle due o alle tre del mattino l’editorialista è presente a
cene, spettacoli, serate per pochi, contati e contanti intimi. Come
fa? Secondo i maligni si fa. Ma in modo assolutamente legale,
sniffandosi ogni ora un’ascella.
Oltre
ai titoli e all’editoriale, un giornale di solito contiene
anche articoli (scritti frutto dell’ingegno individuale messo a
disposizione del prodotto collettivo) e servizi (indagini esaustive di
un argomento o, quanto meno, di tutti i dati dell’ultimo sondaggio
sull’argomento).
Può ospitare pure note politiche (una bella velina arrivata fresca
fresca al direttore da Montecitorio sul senso della giornata
politica), resoconti (la cronologia degli eventi prodotta dalle
agenzie) e persino pallini, ossia notizie senza titolo messe lì per
caso soprattutto se si è sbagliato a disegnare la pagina (attività
che consiste nel tematizzare i moduli, ordinare misure diverse per
argomenti simili).
La
pagina di cultura, un tempo la ‘terza’, si apre con un
elzeviro ossia un testo incomprensibile che spieghi ai lettori che,
per quanti sforzi facciano, per quanto tentino di studiare, leggere e
documentarsi scienza e arte sono pane per pochi eletti. A ricordare
inoltre che la cultura è un genere in via d’estinzione, tutelato
dal WWF, subentrano i coccodrilli.
Quotidianamente gli archivi dei giornali, infatti, si liberano di
articoli scritti decenni prima, in occasione delle prime avvisaglie
del male incurabile che crudelmente finisce col tempo per sottrarre
alla comunità bravi pittori di 96 anni, indimenticabili scrittori di
94 anni, insostituibili registi e attori di 89 anni. Senza lasciare al
mondo eredi degni di cotanto cognome.
Ogni
coccodrillo ha una sua storia, ignorata dai lettori. Verso i
cinquant’anni –minimo quarant’anni fa- il grande dell’arte
comincia ad accusare vaghi disturbi. Circolano così le prime voci che
lo danno per perso. Esce dalla clinica –prima disintossicazione- più
giovane, più bello e più creativo che pria e così il primo
coccodrillo viene consegnato all’archivista. Fungerà da base per il
grande coccodrillo finale.
Al ritmo delle entrate e uscite dalle cliniche verrà aggiornato con
nuove opere o interpretazioni, con nuovi matrimoni o figli. Foglio
sbiadito nella parte iniziale, battuta con la Lettera 24, cui sono
stati aggiunti nuovi fogli stampati a computer, con vistose macchie di
muffa, tra le bestemmie delle tastieriste, verrà ribattuto
integralmente e firmato dal cronista di turno al momento dell’arrivo
della notizia d’agenzia.
L’artista sarà pianto dal mondo intero. I dieci giornalisti che
negli anni hanno contribuito a magnificarlo in punto di morte non
verranno nemmeno menzionati. Sic transit gloria mundi.
Le fotografie
In un giornale le fotografie hanno
grande spazio. Nei settimanali sono addirittura la
componente primaria. Non è un caso, dunque, che anche i
fotografi sostengano l’esame professionale con prove
analoghe a quelle dei giornalisti, nonostante più di
qualcuno incontri difficoltà nella stesura di quello che
sarà l’unico articolo di una vita
‘letteraria’ limitata a didascalie e fatture
(se dal caso).
Come tutti i giornalisti sanno, le foto si dividono in
due categorie, quelle in formato orizzontale e quelle in
formato verticale, e solitamente servono a riempire uno
spazio se ‘salta’ un articolo. Ci
s’accorge dell’uso- tappabuchi della foto
soprattutto quando è quadrata e collima perfettamente
con le dimensioni della/e colonna/e: significa che
mancano alcuni moduli e il tempo per riempirli.
La vita di fotografi e giornalisti ha in
comune solo la necessità di finire il lavoro prima
possibile. Per il resto le due categorie vivono
un’incomunicabilità totale, determinata dal fatto
che i primi, fisiologicamente e fisicamente sempre
presenti quando c’è un evento, sono solitamente
incapaci di metterlo per iscritto e costringono il
giornalista a un duro lavoro di ricostruzione.
Se il fotografo, oltre a scattare le foto, si
preoccupasse di raccogliere dichiarazioni o informazioni,
prendendo anche qualche appunto, il giornalista
apprezzerebbe sicuramente di più il lavoro del collega.
Mettiamo ci sia una conferenza stampa,
cui il giornalista è impossibilitato a partecipare.
Forte del comunicato (vedi capitolo precedente), telefona
al fotografo e gli intima di recarsi alle ore 11 in via
Roma 26 II piano. Il fotografo esegue. Arrivato
all’ora esatta nel luogo concordato, s’infila
nella prima porta a destra dove fotografa Mario Rossi
mentre l’amico Giovanni Bianchi provvede ad
affettarlo con un’accetta.
Il fotoreporter prosegue il giro pianificato e continua a
seguire le indicazioni che gli giungono dalla redazione
(manifestazione, presentazione di un libro, maltempo,
incidente d’auto…) e, nel tardo pomeriggio,
consegna al giornalista la foto scattata in via Roma 26
al II piano. Il collega della carta stampata,
l’acqua alla gola perché in chiusura, chiede la
foto del sindaco durante la conferenza stampa in via Roma
26, II piano, porta a sinistra.
Tra giornalista e fotografo scoppia immancabile una
rissa, che si placa solo con l’arrivo di un
mattinale della Questura che annuncia l’avvenuto
squartamento di Mario Rossi, in via Roma 26 II piano,
attorno alle 11 (come da perizia legale) ad opera
d’ignoti.
A questo punto si pone un duplice problema,
che appiana ogni questione precedente. Il primo riguarda
la foto del sindaco e si risolve riesumando e ritoccando
quella del giorno precedente. Il secondo l’articolo
sul delitto.
Invano il giornalista (e poi l’inquirente) riuscirà
a strappare al fotografo una frase che non sia:
‘Quello che so’ è tutto lì nella foto’.
Foto che, per inciso, è già stata sequestrata dalla
magistratura...
Su queste premesse è ovvio che le due
categorie fatichino a capirsi. Nel passato le pellicole
6x6 della Rolleiflex fornivano automaticamente foto
quadrate, buone per tutte le occasioni. Oggi bisogna
quadrare l’inquadratura col rischio, nelle foto di
gruppo, di lasciare- per rispetto della simmetria- due
mezze teste ai lati di ogni immagine.
Oppure si finisce per ricorrere a ingrandimenti che,
supersgranati, danno dei protagonisti delle vicende
un’immagine straniante. Sempre le esigenze di
spazio, inoltre, riducono le foto a francobollini
incollati quasi casualmente a fianco del titolo, fattore
per nulla apprezzato dall’autore, che magari ha
perso un’ora ad attendere la luce giusta o a
studiare atmosfere e prospettive.
A difesa del giornalista va detto che,
sovente, di fotografia capisce poco, se ne interessa
ancora meno e, soprattutto, se potesse scegliere da solo
il fotoreporter di suo gradimento si rivolgerebbe alla
Magnum e non a Toni Cartòn.
Il rapporto tra giornalista e fotografo finisce per
essere un monologo in cui il primo, oltre a indicare un
luogo e un’ora, specifica il formato geometrico di
foto richiesta. Se è una nave è inevitabilmente
verticale (e il fotografo s’appiattisce sulla
banchina, riprendendo la prua da terra e ottenendo un
terrificante effetto Titanic), se è un faro orizzontale
(e il fotografo o noleggia una barca e, munito di
teleobbiettivi, si fa arrestare per spionaggio in acque
extraterritoriali o propina una ‘veduta’ di
alberi tra cui spicca il bianco di un ‘tronco’
in cemento).
A difesa del fotografo va detto che non
pone mai domande, forse perché intuisce che gli
interlocutori non fanno parte dello staff della Magnum.
Ogni foto pubblicata pone comunque problemi di
didascalia. Non è colpa del giornalista se, una volta
decifrati i geroglifici dei fotografi sul retro
dell’immagine, capita che un articolo sulla
manipolazione genetica dei suini sia corredato dalla foto
di due belle porcone ritratte in una discoteca di Rimini.
Riportare il testo della ‘dida’ proposto dal
fotografo significa rischiare otto capi
d’imputazione diversi (compreso quello di violenza
aggravata alla lingua italiana) e il povero giornalista
è costretto a rifarsi alla domanda posta
all’operatore al momento di commissionare il lavoro:
‘Modifiche da laboratorio sulle scrofe della
Romagna’.
In effetti le due fanciulle sembrano, a partire dalle
labbra fino ai glutei, uno spot pubblicitario di Silicon
Valley. E, in ogni caso, se il giornalista dovesse anche
guardare e valutare le foto che mette in pagina, le sei
ore e trentasei minuti previste dal contratto non
basterebbero nemmeno per selezionare la foto di copertina...
Oltre al fotografo o ai fotografi, da
tempo i giornali hanno scoperto le arti figurative
attraverso i vignettisti. Dicasi vignettista un
editorialista che usa la penna per disegnare un commento
a una notizia invece di scriverlo.
Per definizione il
vignettista è ‘salace’, così come
l’editorialista è ‘arguto’. La salacità
del vignettista viene spiegata, con la stessa pazienza a
suo tempo usata dal Maestro Manzi, dai commentatori delle
rassegne stampa televisive. Suona più o meno così
(testo fantastenografico):
‘…(risatina). Ed ecco qui in prima la vignetta
di…(risatina)…Presidente televisore… Come
sempre spiritosissima…c’è lui (indicazione)
che dice a lei (indicazione e risatina), mentre sono in
salotto e guardano la
televisione…(risatina)…questa
volta…scusate (risatina)…questa volta è un
presidente… sì, un presidente
televisore…(risatina)…si riferiscono (risatina)
a Berlusconi che si vede disegnato qui (indicazione) e
che ricorderete che tempo fa si è definito presidente
operaio, mentre in questo caso è presidente televisore,
perché è disegnato nella televisione…
(risatina)…si ricollega, in modo molto spiritoso,
alle attuali polemiche sulla Rai che appaiono sui titoli
di tutti i quotidiani nazionali. Molto divertente,
passiamo a…’.
L’Italia è un paese dove la satira
è molto apprezzata ed è soprattutto libera e
liberalizzata. Lo dimostra il numero di quotidiani,
settimanali e telegiornali in circolazione. Le vignette
sono solo un’aggiunta a quanto di naturalmente
spassoso può uscire dai computer dei giornalisti. La
loro funzione viene dunque naturalmente ricondotta,
quand’è possibile, a quella che nella società
civile ha una barzelletta raccontata ridendo,
possibilmente dopo aver anticipato il finale.
Lo stesso lettore –in virtù del grande rispetto che
il nostro Paese porta per le arti figurative- fatica a
trattenere il riso (indipendentemente dallo schieramento
politico d’appartenenza) di fronte a una falce e
martello sul colbacco di Veltroni disegnata –uno a
caso- da Forattini.
Ogni vignettista vanta una cifra stilistica
che lo rende facilmente riconoscibile: a Forattini
vengono bene le falci e i martelli, ad Altan gli
ombrelli, a Elle Kappa gli omini adiposi e a Vauro tutto,
basta lo paghino quanto pattuito e presto.
A lustri alterni i vignettisti vengono riuniti in branco
per dar vita a quella che in gergo giornalistico si
chiama ‘la rinascita della satira’ ossia la
pubblicazione di un settimanale di satira. Il settimanale
di satira è un periodico, nel senso che dura quel che
dura, cioè un periodo, lo spazio di tempo che serve per
accumulare querele, perdere le cause e fallire.
In gergo si parla di ‘morte della
satira’, curioso fenomeno a cui segue dibattito. Di
solito a morire e rinascere è la satira di sinistra,
mentre quella di destra vanta una certa stabilità, forse
perché protagonisti e lettori prediligono
l’umorismo genuino, quello del Bagaglino e delle
barzellette.
Barcamenandosi tra periodi morti e di vita,
i vignettisti riescono a condurre un’esistenza
dignitosa, pur essendo odiati da tutti (tranne che da
Andreotti, l’unico in Italia ad aver capito che, se
ne parli bene, se ne parli male, l’importante è che
se ne parli).
In passato il lavoro del vignettista era facilitato dai
retaggi bellici. Cresciuti senza vitamine, i politici
della Prima Repubblica erano inevitabilmente brutti e
quindi non era difficile caricare i difetti fisici:
alcuni erano gobbi, altri grassi, ma i più bassi e
pelati.
Con il boom economico e il benessere
diffuso l’Italia ha prodotto solo politici bellocci
(si pensi a Casini, a Fini, alla Melandri, a
D’Alema, alla Mussolini) o, al limite, bruttini, ma
in piena forma fisica (vedi Veltroni o Bossi).
Di bassi spelati non ce ne sono quasi più
ed è quindi ovvio che il vignettista, nel caso ne
trovasse uno, si scateni. Solo così si spiega
l’accanimento terapeutico di alcuni cartoonist nei
confronti del presidente di Forza Italia, onorevole
Silvio Berlusconi, ingiustamente considerato principale
oggetto di satira, come fosse l’unico politico del
Paese a dire cose divertenti. Se Francesco Rutelli fosse
nano e pelato godrebbe sicuramente di maggiore
popolarità, soprattutto quando ruba le battute di
Berlusconi.
A conclusione di questo lungo capitolo
sulla carta stampata va ricordato il pezzo che è la
spina dorsale di un qualunque giornale: lo scoop.
Lo scoop è il
sogno di ogni giornalista, quella notizia unica
che hai solo tu e che, una volta di dominio pubblico, è
destinata a capovolgere le sorti dell’umanità.
Lo
scoop è come una vergine da amare e accarezzare con la
consapevolezza che stai plasmando la più bella donna del
mondo, tua e solo tua per sempre. Quelli
dell’ambiente sanno che un giornalista in possesso
di uno scoop è riconoscibile da alcuni indizi, come le
mogli quando sospettano che il marito abbia un’altra
donna.
Chiedete alle portinerie dei quotidiani.
Lo scoopista un giorno si presenta in redazione in ore
antelucane –qualcuno persino alle 10 e mezza del
mattino. E’ di ottimo umore e persino saluta. Prima
di sedersi alla scrivania controlla che non ci sia
nessuno e che non esistano cimici, poi chiude la porta.
Apre con fare circospetto il computer e provvede a
cambiare la password, trovandone una difficilissima tipo
ax67bzh19. La scrive su un bigliettino che nasconde in un
luogo impossibile (la pila di carte sul tavolo), quindi
scrive su un altro foglietto il posto (mettendo il
foglietto nell’ultimo cassetto della scrivania,
quello dove di solito giacciono i pacchetti di sigarette
vuoti quando il cestino è stracolmo) e su un terzo
biglietto, da tenere in tasca, segna l’ultimo punto
della mappa.
Finalmente apre un file a cui assegna un nome neutro che
non desti l’interesse di nessun collega (evita cioè
parole come ‘rimborsi’, nomi femminili e
persino riferimenti al lotto, superenalotto, automobili e
squadre di calcio).
Scollegato il computer dalla rete (la
segnalazione del ‘guasto’ avverrà a scoop
consumato), comincia finalmente a scrivere. Il giorno
precedente, nel corso di una cena, il giornalista in
questione ha incontrato una persona in vena di
confidenze.
Con la classica tecnica dell’entraineuse
l’ha ubriacata ed è riuscito a farsi consegnare
carte che tutti cercano invano. Ha alle spalle una notte
insonne, ha letto tutto e nascosto i documenti nel posto
più sicuro di casa, quello dove nemmeno i figli vanno a
ficcare il naso (la libreria). Lavora su materiale
mandato a memoria fino all’arrivo dei colleghi.
Verso mezzogiorno e mezza-l’una esce da una porta
laterale, rientra in redazione (approfittando di
un’assenza del portiere) e si scusa per il ritardo.
I colleghi, appena arrivati, intuiscono subito che ha uno
scoop, ma abbozzano. Da quel momento infatti lo scoopista
diventa un giornalista modello, disponibile a farsi
carico di tutto il lavoro di redazione e anche di più.
Ogni tanto esce, raggiunge l’altro capo della città
e, da un telefono di un bar di periferia, approfondisce
la sua inchiesta. Torna in redazione, impasta agenzie,
sbobina interviste, impagina, titola…Ogni volta che
apre il computer si posiziona in modo che nessuno possa
capire cosa sta scrivendo.
E’ una posa curiosa e molto plastica,
detta 90 gradi, abbastanza frequente nell’ambiente
giornalistico. Il busto fa da scudo al video,
l’apertura alare protegge le carte sul tavolo da
sguardi indiscreti. Guai a prendere lo scoopista di
sorpresa alle spalle. Si volta di scatto a braccia alzate
proteggendo il computer col proprio corpo.
Chi ha uno scoop sa che il primo nemico da cui difendersi
è il collega del proprio giornale, capace di ogni
iniquità pur di farsi bello agli occhi del direttore.
Quando squilla il telefono il possessore di scoop assume
il tipico atteggiamento del marito infedele.
Bisbiglia, sussurra, alza la voce
all’improvviso su argomenti di scarso interesse,
ulula particolari di nessuna importanza, per poi
accucciarsi sulla cornetta in tipica posizione
trentacinque del Kamasutra.
A giornale chiuso lo scoopista rimane al suo posto, per
poter scrivere in santa pace. Dopo tre giorni di questa
vita non ne può più. Cominciano le confidenze, previo
giuramento di segretezza. I portieri vengono presi
d’assalto dai colleghi, curiosi di sapere a che ora
lo scoopista è entrato e uscito.
Le donne delle pulizie vengono invitate a fare il loro
lavoro fino in fondo e nell’arco di poche ore tutto
il giornale è a conoscenza dei minimi dettagli di uno
scoop che rimane tale solo per le altre testate. La
situazione è inevitabilmente precipitata e il
giornalista è costretto a condividere coi capi quanto in
suo possesso. Si verificano le seguenti possibilità:
a) Lo scoop è arrivato al redattore capo.
Quest’ultimo comunicherà al direttore di aver
indicato al suo collaboratore una pista e i modi per
seguirla. Nonostante si tratti di ‘quello che
è’, il giornalista in questione ha fatto un buon
lavoro, che andrebbe premiato almeno con un richiamo in
prima.
b) Lo scoop è arrivato al vicedirettore.
Tenuto presente che il redattore capo è ‘quello che
è’, che se si aspetta lui ‘campa cavallo’
e che il giornalista in questione da tempo meriterebbe
maggior riconoscimento, il lavoro è buono e andrebbe
premiato con l’apertura della prima.
c) Lo scoop è arrivato al direttore.
Tenuto presente che a partire dal vicedirettore per
arrivare al redattore capo se ‘non ci fossi io qui
potremmo chiudere’, il direttore gratifica il
giornalista con un ‘bravo, adesso sentiamo cosa dice
l’editore’.
In questo caso le possibilità sono due:
a) ‘Non se ne parla nemmeno’ e
lo scoop finisce nella migliore delle ipotesi in un
colonnino di venti righe tra i necrologi e le
‘offerte di manodopera’. Lo scoopista viene
trasferito alla ‘Provincia’, se non si suicida
prima o se il suo medico non provvede ai sei mesi
canonici per esaurimento nervoso.
b) ‘Eccezionale’ e lo scoop
apre la prima pagina, con un editoriale del direttore e
richiamo al pezzo del collaboratore. Per due settimane il
direttore non passa nemmeno per la redazione, troppo
impegnato in dibattiti televisivi: e questo è un bel
vantaggio. L’unico vantaggio di uno scoop.
Cos’è e come si fa
un telegiornale
Gran parte di quanto scritto per i giornali (compreso
lo jus primae noctis del direttore in caso di scoop) vale
per i telegiornali, informazioni veicolate
dall’etere in ore precise della giornata.
Con una differenza sostanziale: il
giornalista televisivo mette in gioco non solo la propria
professionalità, ma anche voce e volto. Deve inoltre
sapersi destreggiare con le immagini, fattore che lo lega
indissolubilmente al cineoperatore e al montatore e, non
ultimo, al regista.
Più del giornale, dunque, un telegiornale è opera
d’ingegno collettivo, frutto del contributo di tanti
misconosciuti operatori dell’informazione il cui
lavoro appare defilato, ma non per questo meno
importante. A questi militi ignoti dedichiamo minuscole
schede affinché almeno i posteri non dimentichino
contributi preziosi per la crescita democratica del
nostro Paese.
-Il regista: si tratta, almeno in Rai,
di un programmista regista se non quotato, sicuramente
‘in quota’. Il suo compito è quello di
segnalare all’operatore che non è il caso
d’insistere con la telecamera sul giornalista mentre
non va in onda il filmato, perché sennò tutto finisce a
Blob, Striscia la Notizia o a ‘Mai dire…’.
Per una sostituzione alla regia di telegiornale, un
programmista regista è disposto a cedere al collega tre
giorni di ferie, l’intera opera di Proust rilegata
in pelle umana e persino il manoscritto, con dedica
personale al nonno, dell’ultimo intervento di Freud
al Convegno di psichiatria di Vienna prima della fuga a
Londra.
A differenza del giornalista, infatti,
il programmista regista ha come minimo una laurea e
alcune specializzazioni, che purtroppo non contemplano
mai le tecniche di messa in onda di un tg.
-Il cineoperatore: abbiamo già
accennato ai rapporti tra cineoperatori e giornalisti. I
primi sono l’alternativa televisiva ai fotografi,
con il compito aggiuntivo di riprendere il microfono e la
mano del giornalista, mettendo in evidenza la sigla della
testata d’appartenenza (lavoro particolarmente arduo
in caso di assiepamento).
Ciò rende molto intimi i legami tra le due categorie, al
punto che spesso il giornalista è portato a considerare
il cineoperatore un suo stretto collaboratore e gli
consente di passare a prendere, con l’auto
(solitamente i cineoperatori sono anche autisti
eccellenti), i figli a scuola.
Il cineoperatore, al pari del fotografo, è
caratterizzato dall’assenza di emozioni di fronte a
una notizia, trovando molto più eccitante riprendere un
disastro ferroviario dall’alto seduto sui
‘pattini’ di un elicottero, possibilmente senza
imbragatura, o un cecchino mentre mira dalla finestra
della casa di fronte.
In guerra, il cineoperatore finirà
inevitabilmente per ostinarsi a cercare un filmato dei
soldati dell’Uck in azione, perdendo magari la
cassetta con l’intervista al generale italiano nel
blindato della Nato.
Tutto ciò, ovviamente, complica il
lavoro dei giornalisti, a scapito del prodotto finale, il
telegiornale, che richiederebbe soluzioni più semplici.
Di giorno lo sfondo della via principale della città da
cui ci si collega con le auto, di notte lo sfondo della
stessa via con i fari delle auto.
-Il ‘montatore’: si tratta
della categoria più bistrattata di lavoratori, dopo gli
extracomunitari. L’operatore in sala di montaggio è
considerato una specie di ‘barra degli strumenti-
voce copia incolla’ della televisione. In alcune
emittenti ha risolto il suo problema (totale assenza di
partecipazione al prodotto d’ingegno collettivo)
staccando all’ora del pranzo, non un secondo di
più, e al termine dell’orario previsto.
Quando viene mandato in onda un servizio monco del finale
gli esperti conoscono con precisione l’ora in cui è
stato concluso, che coincide con quella d’apertura
della mensa. Esistono peraltro ‘montatori’
d’indiscutibile capacità che, di nascosto, imitano
la voce del giornalista, modificando i testi, pur di
salvare la dignità della testata.
-L’archivista: è il depositario,
più sovente la depositaria, dell’archivio immagini.
Può trovare tutto e di tutto nello spazio di pochi
minuti. Sciopero degli autobus? L’archivista
provvede a fornire decine di immagini di repertorio.
Sta
al giornalista capire che è quanto meno singolare
mettere in onda a luglio –prima notizia il caldo
killer che stermina il paese- le immagini di nugoli di
donne in visone, montone o lapin in vana attesa alla
fermata dei mezzi pubblici.
-La truccatrice: è la più diretta
collaboratrice del giornalista, purtroppo presente solo
nelle redazioni principali e a disposizione dei big. La
migliore è stata contattata dagli Studios di Hollywood e
rischia una nomination per gli effetti speciali al
prossimo Oscar.
Si tratta della truccatrice di Bruno Vespa che, con un
colpo di genio, ha capito che era necessario spostare i
nei del celebre giornalista- anchorman a sinistra o a
destra del volto, a seconda dell’interlocutore.
Conscia che nulla avrebbe potuto fare per rendere bello
Vespa, la signora in questione, Silvia B., ispirata da
una trasmissione del noto conduttore, ha cominciato
ricreando e coprendo nevi, cisti e polipi come guidata da
una bacchetta sulla carta geografica d’Italia.
I primi lusinghieri risultati (al posto del ponte sullo
Stretto ha costruito una mini costellazione che accerchia
l’orbita destra con un gradevole effetto laser, al
posto del traforo del Frejus una serie di polipetti sul
naso con effetto piercing) l’hanno spinta a
trattamenti sempre più osè, tanto che lo stesso Vespa
fatica a riconoscere nel monitor il Vespa che intervista
Berlusconi e il Vespa che intervista D’Alema.
Postilla: a livello di televisioni
private locali è possibile che queste figure si
riassumano in una sola, quella del giornalista. In tal
caso ciò non incide sulla retribuzione, solitamente
considerata ‘collaborazione saltuaria e non
continuativa’.
A differenza dei giornali, uscendo in
tempo reale e non il giorno seguente, i telegiornali
possono contare su una rete di notizie di pubblico
interesse che fungono da scaletta fissa e agevolano il
lavoro del conduttore.
La prima è il meteo. Capita infatti
che, a furia di rincoglionirsi davanti alla televisione,
alla gente sfugga quanto accade fuori casa. Comunicare
che sta piovendo da due giorni (emergenza maltempo) o che
l’afa sta facendo strage di pensionati (il famoso
caldo killer, sponsor l’Inps) ha una valenza di
largo respiro sociale. In tal senso il telegiornale,
sostituendo anche la finestra di casa, diventa una vera e
propria finestra sul mondo.
Esaurita la lettura delle notizie pubblicate dai
quotidiani del giorno (scritte il giorno precedente) e
quella delle notizie d’agenzia, il giornalista
televisivo può spaziare liberamente su temi di pubblica
utilità- ossia salute, traffico, religione e,
soprattutto, sport- che trovano sempre troppo poco spazio
sulla carta stampata e che si prestano a servizi anche
visivamente interessanti.
Nessun fotografo, per quanto bravo;
nessuna penna, per quanto celestiale, riuscirà a rendere
le emozioni di un gol accompagnato da lancio di
lacrimogeni o di una rovesciata di sinistro, con sfondo
di ultras che caricano la polizia in assetto
antisommossa, schiacciando una ventina di minori sulle
reti di protezione.
Nessun cronista, per quanto cruento,
potrà rendere a computer la drammaticità di un Tir
ridotto alle dimensioni di scatoletta Simmenthal (carne
inclusa) spiaccicato sulla A117.
Nessun giornalista, religioso e pio
collaboratore di fiducia dell’Osservatore Romano,
riuscirà a coinvolgere nella sacralità dei riti
prenatalizi o pentecostali gli ascoltatori come può fare
un giornalista delle redazioni periferiche dei tg di un
paese notoriamente laico e repubblicano come
l’Italia.
Nessun Medico senza frontiere riuscirà
infine ad allarmare gli afghani sulla diffusione del tifo
petecchiale nella sua variante cancero- tubercolar-
setticemica come un giornalista di telegiornale alle
prese con un’epidemia d’influenza fa col suo
pubblico. Le immagini dei corridoi d’ospedale,
corredate da intervista col primario, convincono da sole
i pesi sociali (i pensionati e gli italiani in condizioni
fisiche non ottimali) a vaccinazioni di massa.
I telegiornali vantano dunque un’innegabile presa
sugli utenti. E il merito va in primis al giornalista,
che mette a disposizione della società non solo una
professionalità encomiabile, ma anche volti
indimenticabili e voci suadenti.
Ma sono tanti, troppi volti e voci per
non fare torto a tutti citando qualcuno. Non resta che
passare alla figura che meglio caratterizza una testata
televisiva e riassume in sé i sogni e le aspirazioni di
chi vi lavora, il direttore.
Fino all’avvento di Telekabul il direttore di un
telegiornale aveva una parte marginale nella vita della
testata, troppo preso a organizzare le nozze dei propri
figli con quelli di qualche potente e prolifico esponente
della Democrazia Cristiana o del Partito Socialista.
Fu Sandro Curzi, mai troppo compianto
direttore del TG3, a inaugurare la felice stagione degli
editoriali del direttore. Intere famiglie aspettavano col
cucchiaio a mezz’aria la predica della sera. I padri
intimavano ai figli e alla moglie di tacere in attesa di
un verbo che sarebbe giunto, roboante e impietoso, a
stigmatizzare l’evento principale di una giornata
solo apparentemente uguale a tutte le altre.
Chi ha vissuto quei giorni gloriosi, chi ancora ricorda
la veemenza di discorsi che giungevano direttamente al
cuore dell’ascoltatore, sa cosa significa rimpianto
per una stagione televisiva che non ha precedenti nella
storia. Ci furono e ci sono pietosi tentativi di plagio.
Ci provò Giuliano Ferrara, intuendo ben
presto che la sua strada, non foss’altro per una
questione di equilibrio nel peso specifico, era quella
della carta stampata. Tentò Vittorio Sgarbi, riducendosi
a imbonitore da televendita e preferendo, quindi, la
carriera politica. Continua a provarci Enrico Mentana,
con alterne fortune. Ma l’unico vero erede di Curzi
oggi come oggi è Emilio Fede.
Quando cominciai a scrivere questo manuale
avevo in mente, lo confesso, un modello. Cercavo
d’ispirarmi a una persona vera, districandomi in una
professione che inesorabilmente conduce a diventare
burattini, spesso ignari persino del nome del capocomico
che tira i fili.
Tra i tanti Pinocchio doveva esistere
quello capace di diventare un bambino vero, uno con alle
spalle un Geppetto, munito, più che di pialla, di
squadra e compasso, in grado di quadrare il cerchio della
nostra inutile vita.
Volevo un uomo, ho cercato, ho trovato. Emilio
Fede. Non se ne abbiano a male gli altri, ma è
il Migliore. Quando passa o commenta una notizia non è
necessario chiedersi dove vuole andare, cosa sottende, se
ha o non ha secondi fini.
E’ limpido e cristallino: le sue
parole sgorgano dal cuore come acqua da una sorgente
d’alta montagna. In nomen omen, ha una fede certa e
sicura, una strada maestra segnata che percorre impavido,
senza titubanze o ripensamenti. Se Josip Vissarionovic
Dzugasvjili detto Stalin l’avesse conosciuto, gli
avrebbe affidato a cuor leggero il ministero stampa e
propaganda e anche quello della difesa.
Se Churchill l’avesse avuto al suo fianco,
la Gran Bretagna oggi sarebbe un continente. Se De Gaulle
avesse potuto contare su di lui, la storia
dell’Impero romano impallidirebbe di fronte alla
grandeur francese. Persino la Germania nazista non
avrebbe conosciuto l’onta della sconfitta e il
bombardamento di Dresda avrebbe sconvolto l’umanità
quanto le bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki.
Non a caso in Giappone il ‘defenestrato’ Mori
sta cercando di clonare tanti piccoli ‘Emilio
Fede’ da infilare nelle principali testate (ossia
testine delle stampanti laser) nipponiche e George Bush
ne ha comperati dieci per il suo ufficio stampa (uno è
stato ritrovato nell’aereo spia atterrato in Cina e
ora è allo studio di uno staff di scienziati della
comunicazione a Pechino, intenzionati ad arrivare alla
fecondazione in vitro delle cellule staminali da
iniettare nel cervello di un giornalista cinese, la cui
famiglia ha optato per la sperimentazione scientifica pur
di non pagare la pallottola per l’esecuzione
finale).
Per nostra fortuna Emilio Fede è un italiano
e ciò fa onore alla nostra stirpe di ‘santi, poeti
e navigatori’, di cui lui è il più degno
rappresentante. La sua presenza sulle scene del
giornalismo italiano oscura la pur sapiente
interpretazione di Russel Crowe ne ‘Il
Gladiatore’. Facile criticarlo e irriderlo,
impossibile imitarlo. Emilio Fede al momento attuale è
unico e, purtroppo (come auspicherebbe lo staff dei suoi
detrattori), irripetibile.
E nui chiniam la fronte al Massimo Fattor,
che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma
stampar…
L'informazione via Internet
Fino a quando Bill Gates non
produrrà Windows 2001 Odissea nello spazio (e ciò
accadrà quando e se l’indice Nasdaq fosse
intenzionato a riprendersi, invece di passare le giornate
a scivolare avanti e indietro) le prospettive del
giornalismo via Internet non sono eclatanti.
I principali programmi in commercio non permettono voli
pindarici o scritture creative, indi si finisce per dare
un servizio classico su supporto diverso. Unico vantaggio
per l’utente non abbonato alle agenzie è avere in
tempo quasi reale le notizie, magari già
‘rifilate’ da un bravo giornalista-
metalmeccanico (ma, visto che si tratta di pastoni, non
sarebbe stato meglio rifarsi al contratto edili o a
quello del settore alimentare, vedi panettieri?).
In questo contesto va infilata la
classica definizione del giornalismo in Internet quale
‘giornalismo del futuro’. Significa che in
futuro qualcuno s’inventerà un programma facile da
utilizzare che consentirà nuove prospettive
d’informazione alternative alla carta stampata, alle
radio e alle televisioni. Nell’attesa i giornali in
Internet si specializzano nel settore rubriche.
Sondaggi: sono la roccaforte di
qualsiasi testata. Il database dà immediato il polso
della situazione, senza bisogno di elaborazione manuale
dei dati. L’importante, dunque, è porre le domande
giuste in modo appropriato.
Prendiamo il caso di Novi Ligure, la
ragazzina che sbudella col fidanzatino madre e
fratellino: qual è la giusta pena? Per saperlo occorre
votare, scegliendo tra pena di morte, ergastolo o
manicomio criminale.
Mancando una qualche altra
possibilità, il popolo di Internet, pacifico per
definizione, opta all’80% per la pena di morte, che
in Italia, almeno finché non sarà reintrodotta, non
c’è.
In redazione si pensa subito a un nuovo sondaggio, questa
volta sulla pena di morte (favorevole, tre opzioni,
molto, abbastanza, poco), scoprendo che il non
belligerante popolo di Internet vuole reintegrare la pena
capitale. Quale?
Terzo sondaggio tra sedia elettrica,
iniezione letale, impiccagione. I favorevoli alla
lapidazione per protesta non votano, il
‘buonista’ popolo di Internet sceglie
l’iniezione. Finalmente, dati scientifici alla mano
(340 votanti, di cui 50 voti ripetuti di dodicenni che
non sanno cosa fare nel pomeriggio dal momento che si è
rotta la play station), si può aprire un forum.
Il forum su Internet è un luogo dove
tutti possono dire quello che pensano, a patto si
rispettino le regole di buona educazione dettate dalla
rete. L’educatissimo popolo di Internet trasforma
subito il dibattito sulla pena di morte in un sito per
appassionati di bondage.
Al centesimo garbato intervento
sulla fustigazione (con scambio di tecniche, link e
indirizzi) la redazione capisce che l’argomento è
esaurito e provvede, con un nuovo sapiente e pacifico
sondaggio, a trovarne un altro altrettanto rispettoso
della dignità umana e della verità dei fatti, come
richiesto ai giornalisti, anche se a contratto
metalmeccanico.
I forum più interessanti sono però appannaggio delle
testate considerate di sinistra. Dietro variopinti e
originali nickname (Cielo Duro, Benito, Dux ecc.) si
nascondono penne raffinate capaci di concetti semplici,
talora sgrammaticati, ma comprensibili e di alto valore
morale. ‘Maledeti rosi, ve lo spacceremo in
quatro…’ o ‘x i comunisti come voi,
morte’.
I messaggi arrivano a destinazione e non
rimangono senza risposta. Altrettanti aspiranti
comunicatori, dietro pseudonimi singolari tipo Che
Guevara o Il nipote di Palmiro, rispondono in rima.
‘X Cielo duro che ciela moscio: fascisti tremate,
per voi non Che domani’ e via dicendo.
Gli altri
interventi si dividono equamente tra chi si congratula
per il bel sito e chi protesta per i privilegi dei
giornalisti che ne fanno parte, dimenticandosi che un
vero compagno si riconosce dal contributo personale alle
feste o nella diffusione porta a porta del giornale di
partito.
Ma sondaggi e forum sono solo uno dei tanti servizi che
le testate giornalistiche mettono a disposizione del
pacifico, educato e interattivo popolo di Internet.
Gli Sms gratuiti sono molto apprezzati,
così come il meteo (che permette di sapere subito che
tempo fa a Dallas e confrontarlo con quello della propria
città) e l’oroscopo personalizzato.
Ottime anche le classifiche delle donne più belle, degli
uomini più arrapanti, dei cd più scaricati da Napster,
dei giochi con download gratuito e lo spazio per cucina,
viaggi e bellezza.
Sempre gradito un collegamento con i principali
screensaver che permettono all’anticonformista
popolo di Internet di personalizzare il proprio computer,
solitamente con una bella gnocca smutandata che sorbisce
vogliosa un cono di gelato (va bene anche un ricoperto al
cioccolato).
A perenne confronto con un’utenza raffinata
e selettiva, è chiaro che i giornalisti in Internet
debbano offrire servizi sempre più sofisticati e
mantenersi continuamente aggiornati sugli argomenti di
principale interesse nazionale- donne, motori e calcio,
cui di recente s’è aggiunta le telefonia mobile.
In questo contesto si colloca la singolare scelta di una
testata di mettere in rete il temibile cruciverba di
Stefano Bartezzaghi. Per gli appassionati di enigmistica
il Bartezzaghi è sinonimo di alto livello culturale (si
dice che più di un ministro fosse intenzionato a
inserire il Bartezzaghi nelle prove per il passaggio di
ruolo dei docenti universitari, nonostante la fiera
opposizione dell’Ordine degli ingegneri).
Da sempre risolvere un cruciverba del
Bartezzaghi, a partire dal primo Bartezzaghi,
rassicura gli universitari e i maturandi sul buon esito
dei loro esami. Chi ha concluso nella vita almeno un
Bartezzaghi può vantare quoziente intellettuale
superiore alla media, cultura universale e accedere di
diritto ai master dei prestigiosi atenei inglesi e
statunitensi.
Il pur coltissimo pubblico di Internet pare fatichi a
rispondere a domande tipo ‘La città dove si laureò
Ostwald’ –sei lettere, D iniziale- o ‘In
psicanalisi, meccanismo di difesa cosciente’
–15 lettere, O la terza-: alla quarta domanda clicca
su soluzione scoprendo l’esistenza di una città che
si chiama Dorpat o del termine
‘scotomizzazione’. E, in generale, scotomizza
subito Bartezzaghi.
I meccanismi di controllo connessi alla
rete stanno vigilando, in attesa di comunicare al
pacifico, educato, interattivo, anticonformista e colto
popolo di Internet, se non il nome, almeno il numero di
collegamento del primo risolutore di un cruciverba del
Bartezzaghi.
Nel frattempo, come già successo alla storica Settimana
Enigmistica, un centinaio di riviste Internet tentano il
plagio, con domande alla portata del pacifico, educato,
interattivo, anticonformista e colto popolo di Internet,
tipo ‘Sono due, stanno sopra l’ombelico e se
sono della Marini sono anche belle (ma forse
rifatte)’ –cinque lettere, T iniziale- o
‘Attaccante della Roma (come all’1 orizzontale,
ma con le vocali diverse)’ -cinque lettere,
ovviamente T iniziale.
Se il pacifico, educato, interattivo, anticonformista e
colto popolo di Internet sa distinguere una vocale da una
consonante il cruciverba è risolto.
Però, detto tra noi, non vale.
L'informazione
radiofonica
A conclusione di questo capitolo affrontiamo i notiziari
radiofonici. Non si tratta ovviamente di quelli delle
grandi emittenti pubbliche o private, che funzionano più
o meno come i telegiornali, con -unica differenza- la
necessità di rendere visibile il più possibile il nome
della testata stampigliato sul microfono nel caso fossero
presenti telecamere.
Vogliamo riferirci alle piccole radio private,
che ospitano centinaia di giornalisti (soprattutto
aspiranti tali) mossi solo da una struggente passione per
l’informazione e da un entusiasmo giovanile che
sfida qualsiasi dato anagrafico.
Con un eufemismo si potrebbe definire
queste persone ‘sottopagati’ della
notizia, non fosse che nella maggior parte dei casi non
sono nemmeno pagati. Hanno vaghe reminiscenze di un tempo
felice, quando adolescenti acneici frequentavano
coetanei, fantasticando su un futuro tra canzoni e
cinema.
Solitamente è questa l’età in cui il sottopagato
da informazione radiofonica viene incastrato e stritolato
dal sistema. Gli si avvicina in un pub un individuo con
l’impermeabile che, lodando le sue competenze
musicali, gli offre un posto nella sua radio per una
trasmissione. Aggiunge il sordido pedofilo: ‘puoi
dire e fare tutto ciò che credi’.
L’adolescente abbocca all’amo.
Negli anni rileverà persino quote della radio in cui,
senza accorgersene, comincerà a trascorrere sempre più
tempo, fino ad installarvisi definitivamente. Il trasloco
inizia col trasferimento dell’intero
‘parco’ dischi, cassette e cd: dopo una prima
trasmissione di musiche con dedica e parole in libertà,
il giovane sentirà il bisogno di aprirsi
all’attualità.
E’ finito: il raggio d’azione
dell’emittente raggiunge le periferie cittadine e i
paesi della provincia. Se ha iniziato a lavorare prima di
aver conseguito la patente, raggiungerà in motorino
quartieri dimenticati, frazioni sconosciute, paesi
diroccati riportando voci e storie ignote al mondo, ma
segnalate da qualche radioascoltatore.
Questa seconda esperienza lo spingerà a dar vita a un
vero e proprio Gr, dove intrecciare alle notizie
classiche, storie di vita e informazioni di prima mano.
E’ l’ultimo passo prima del baratro.
Chi lavora in radio entra nel tunnel senza accorgersene,
uscirne è impossibile. Le difficoltà economiche della
prima emittente lo porteranno a lavorare, sottopagato,
gratis o a proprie spese, per un’altra radio.
Un
nuovo padrone con l’impermeabile, viscido e unto
come il precedente, lo circonverrà, sfruttando quelle
doti di pusher della notizia su campo, innate in un
tossico del giornale- radio.
Dopo venticinque anni di questa vita, senza più amici,
senza famiglia, il giornalista di radio privata riuscirà
ad ottenere d’ufficio il tesserino di pubblicista.
Di lui rimarrà imperitura la gratitudine degli
intervistati e, unico vezzo, una raccolta di autografi di
big incontrati nel corso di un’onesta carriera
giornalistica, professionalmente ineccepibile.
Per contro accade che la radio privata
in questione sia una radio alternativa, Radio Viva Chiapas
o San Giuseppe Network. In tal caso i Gr sono il veicolo
principale della controinformazione e i giornalisti dei
missionari investiti del grave compito di convertire
l’umanità.
Il giornale radio viene strutturato come una messa, la
cui parte centrale è l’omelia, solitamente tenuta
dal politico o dal prete che coordina l’emittente. A
differenza del commento al Vangelo domenicale, i discorsi
radiofonici superano abbondantemente la mezz’ora e
nemmeno la musica che segue riesce a svegliare
l’incauto radioascoltatore.
I servizi –tutti rigorosamente originali (nessuno si
sognerebbe non solo di farli, ma nemmeno di riprenderli)-
sono prodotti in completa autarchia, si tratti di polizia
che bastona (e il giornalista in questione riesce a
tenere il collegamento con la radio anche sotto i colpi
di manganello della celere) o dell’operazione di
convincimento in diretta di una donna intenzionata ad
abortire.
Si tratta di giornalismo trash che
evidentemente ha un suo seguito, dal momento che, invece
di chiudere, questo tipo di radiofonia si moltiplica. Un
fenomeno facilmente comprensibile se si pensa che da anni
esiste e resiste in Italia una radio che manda in diretta
tutti i dibattiti parlamentari. Più trash di così…
Gli
strumenti essenziali per un giornalista
Al pari del muratore con la cazzuola,
per poter praticare la professione, un giornalista non
può prescindere da una serie di strumenti che rendono
possibile il suo duro lavoro.
Il primo è la mazzetta dei giornali. La
vera mazzetta di un vero giornalista contempla due
attrezzi indispensabili: La Gazzetta dello Sport e
Quattroruote.
Il primo è un quotidiano che consente un aggiornamento
costante sugli umori del Paese. Il giornalista-
inseguendo quell’istinto, oserei dire animale, che
lo conduce sulla notizia- non può ignorare quanto sta
mandando in fibrillazione i connazionali. Sarebbe come un
medico che non tasta il polso e si rifiuta di rilevare la
pressione del paziente.
Colleghe maligne sostengono che la
lettura della Gazzetta dello Sport è finalizzata a un
interesse personale maturato (se così si può dire) sin
dalla più tenera infanzia. Si tratta di perfidie
femminili di basso profilo. Le stesse giornaliste che
insinuano che gli unici interessi del collega siano
partite e calcio mercato non si rendono conto che il loro
disprezzo è un boomerang micidiale.
Non ci vuole molto per capire perché sono così poche le
donne che fanno carriera nei giornali italiani: pagano lo
scotto di una professionalità senza solide basi, ignara
di tattiche e strategie su campo.
La lettura approfondita della Gazzetta
è il primo impegno della giornata lavorativa e, se fatta
con coscienza, porta via almeno un’ora, al termine
della quale è presso che indispensabile un confronto coi
colleghi, soprattutto nelle mattine che seguono le
partite di Coppa.
Il dibattito si svolge nell’unico luogo dove tutte
le barriere di un giornale cadono, dove giornalisti e
poligrafici si ritrovano uniti come cosa sola: la
macchina del caffè e il distributore di bibite.
Bicchierino di plastica in mano,
mescolando con bastoncino di plastica un brodino nero
simile al caffè, i cronisti si dimenticano che stanno
parlando con l’ultimo gradino della scala sociale,
superiore solo alle donne delle pulizie, e condividono il
piacere di rinverdire i fasti del passaggio di sinistro
al ventiduesimo del primo, con scarto
dell’avversario e gol in rovesciata da fuori area.
Gli occhi del poligrafico brillano di
riconoscenza e i rancori per le continue,
imperiose e pressanti richieste –senza nemmeno un
ringraziamento- per un attimo si sopiscono. La funzione
coesiva della Gazzetta (e della macchina del caffè) è
dunque fondamentale per il buon andamento di una testata.
Se il direttore è un buon Mister di un team ben allenato
e affiatato, non lesinerà Gazzette e sceglierà con cura
l’erogatore e la marca di brodo scuro. Giornalisti e
poligrafici motivati sono le fondamenta di ogni opera di
ingegno collettivo.
Il secondo elemento imprescindibile di
una mazzetta ben curata è Quattroruote, mensile
economico che permette di stabilire il Pil (prodotto
interno lordo), confrontarlo con quello dell’anno o
degli anni precedenti, metterli in relazione con quelli
degli altri paesi e decidere se è arrivato il momento di
cambiare auto.
Ciò che lo rende più gradevole di un qualsiasi
quotidiano specializzato in economia è il fatto che,
invece che darsi per riferimento astrusi indici di borsa
o al limite sigle come Euro, dollaro o yen, Quattroruote
ha scelto come valuta le automobili, monete difficili da
contrattare col verduraio (‘Mi dia un chilo di
patate, tre mele e un pugno di radicchio, pago con due
valvole e la lancetta del tachimetro’ è
impensabile), ma utili per operazioni economiche di ampio
respiro.
(SPAZIO A PAGAMENTO)
Metti che un anno
prima hai comperato una macchina e che vorresti
sostituirla- o caso (e quando si dice caso, caso è e
caso resta)- con una Mini Minor, perché più giovane e
giovanile, più agile, più scattante, più comoda, in
una sola parola più dotata. S
enza troppa fatica, uno
studio su Quattroruote consente al giornalista di
valutare i prezzi di mercato dell’obsoleto catorcio,
di apprezzare quelli -poffarbacco, una macchina nuova di
zecca a caso- della Mini Minor, fare le debite
sottrazioni e addizioni (neanche una divisione, per
rendere più facile l’operazione finaziaria) e
correre dal più vicino concessionario di Mini Minor
(prendiamo ovviamente un’auto scelta a caso, come da
spazio pubblicitario che ci accompagna) per rottamare un
relitto di tredici mesi di vita e sostituirlo con una
macchina vera.
(FINE DELLO SPAZIO A PAGAMENTO e,
probabilmente, della sponsorizzazione di questo sito).
La fortuna di Quattroruote è determinata dal
fatto che un giornalista è anche la sua automobile, anzi
le sue automobili. Ogni giornalista che si rispetti ne ha
infatti due, quella di servizio e quella di famiglia. La
prima è un insieme di lamiere arroccate su una parvenza
di motore e munite di volante e quattro ruote.
Sul sedile posteriore giacciono da decenni le carte che,
per casi vari, non sono state seminate sulla scrivania.
In generale vi si può trovare di tutto, libri, biscotti
mummificati, lattine di birra vuote, peli di cane, peli
non meglio identificati, pet di acqua minerale
cristallizzata.
Questa cosa, che risale ai tempi pre-praticantato, è
messa a disposizione degli spostamenti richiesti dalla
testata, dal casa-ufficio al ricevimento
all’ambasciata degli Stati Uniti in onore della
prima visita presidenziale a Roma.
Ha l’invidiabile
caratteristica di poter venir parcheggiata in ogni luogo,
anche in prossimità dei cassonetti (coi quali si
confonde, a rischio di essere rilevata dal camion delle
immondizie), in virtù della sua forma indistinta.
Gli adesivi d’iscrizione all’Ordine
e il cartello scritto a mano col nome della testata
indicano ai vigili urbani che si tratta di auto da
multare, a patto che il Comune accetti l’idea di non
incassare una lira. In tempi di rinnovo contrattuale, la
cifra di rimborso per ammortamento del mezzo è singolare
oggetto di contrattazione.
L’auto personale del giornalista è, al contrario,
una macchina da tutti i punti di vista con una storia
degna di nota. Due ore dopo aver siglato il contratto da
praticante il giornalista si presenta al concessionario
per acquistare a rate la sua prima vera automobile, che
metterà in garage, contemplandola notte tempo.
Ne parlerà a lungo coi colleghi,
descrivendone le meraviglie e magnificando la potenza di
un motore che, per non rovinare, testerà fino ai 5.000
chilometri. Poi, dopo settimane di studio approfondito di
Quattroruote, deciderà di sostituirla con una più
prestigiosa, all’altezza della sua dignità
professionale e di quella della testata. Così per anni,
fino alla pensione.
Può anche succedere che, in via del tutto eccezionale
(magari in previsione di una promozione), il giornalista
tiri fuori dal garage la sua vera automobile per
accompagnare direttore e editore a uno dei tanti impegni
di lavoro, meglio noti come party.
Se è persona timida e riservata,
provvederà a ricoprire i sedili con cellophan (ammesso
che l’abbia levato al momento della consegna),
sostenendo che serve per proteggere gli interni dai peli
del cane (un vero giornalista ha quasi sempre un cane,
così come una vera giornalista ama circondarsi di
gatti).
Se è sfrontato, disporrà coperte sui
sedili sotto gli occhi allibiti dei suoi capi, prima di
farli salire e invitarli a pulirsi le scarpe.
Nell’auto di servizio non è proibito fumare, visto
che, in virtù di finestrini che da vent’anni non si
aprono, ristagna il fumo di tre generazioni (in alcune
giacciono ancora i resti delle vecchie Nazionali senza
filtro).
Un trasbordo anche breve su un’auto di servizio è
l’alternativa passiva a tre pacchetti di Marlboro in
dieci minuti. Sull’auto personale -trasudante
deodoranti al pino silvestre- è vietato persino
starnutire.
In tema di mezzi di locomozione, non va
sottovalutato l’uso della bicicletta. Al compimento
del quarantesimo anno d’età ogni giornalista
maschio prende coscienza dello stato in cui è ridotto.
I brodi al caffè hanno ipereccitato il sistema nervoso e
sforacchiato la prostata, birre, grappe e vino hanno
perforato il tenue, depositandosi in rubicondi grappoli
di emorroidi, similpranzi e cene fuori orario si sono
raccolti attorno all’ombelico con un buffo effetto
‘omino Michelin’, la nicotina depositata tra
bronchi e laringe dà al respiro un inquietante effetto
rantolo, che al mattino si manifesta con sbocchi
catarrali che disgustano persino il cane.
I capelli sono spesso un ricordo, gli occhiali un
obbligo, e il Lexotan l’unica spiaggia. E’
arrivato il momento in cui il giornalista decide di fare
qualcosa per sé e acquista una bicicletta, dopo check up
convenzionato Casagit.
Da quel momento l’uomo e la
bicicletta saranno una cosa sola, previa manomissione del
tachimetro dell’auto di servizio o, meglio ancora,
di quella personale per il rimborso spese previsto da
contratto.
Partendo dalla mazzetta dei giornali
abbiamo cominciato a scandagliare particolari intimi e
privatissimi di un giornalista. Non è casuale, dal
momento che la mazzetta rappresenta l’uomo o la
donna, i suoi amori, interessi, passioni.
Nella mazzetta è raccolto il sogno di una persona, una
mazzetta è come un distintivo sul bavero di una giacca.
Dietro una mazzetta c’è una vita, solo
apparentemente un giornalista.
Ed ecco quindi il collega che sin da bambino sognava di
fare il manager leggere i titoli del Sole 24 Ore, quello
con ambizioni rivoluzionarie che divora un corsivo di
Rossanda sul Manifesto, il cronista che ha finito
l’analisi che si gratifica con la saggezza e
l’equilibrio di Corriere della Sera e Stampa,
l’arguto che solletica il proprio humor britannico
sfogliando beffardo Il Foglio, il sanguigno che sfoga le
proprie frustrazioni con La Padania e Il Giornale.
Ce n’è per tutti, basta non leggere
quell’orripilante copia nuova di zecca –intonsa
e intangibile- che è l’ultimo numero del giornale
per cui si lavora, testimonianza di una vita al
condizionale, di un ‘avrei potuto essere…’
o ‘avrei potuto avere…’ che nemmeno Fromm
ha osato analizzare.
Un giornalista è
anche il suo computer. Non quello coi programmi
che mettono gli editori, né men che meno quella macchina
scalcagnata fornita dall’azienda capace di
formattare un articolo proprio sul finale.
E’ mesi e anni di sapienti download,
salvaschermo personalizzato, siti raccolti in
‘preferiti’ e videogiochi per ammazzare il
tempo in attesa che il corrispondente si degni di mandare
quelle fottute 60 righe ‘che non me ne può fregare
di meno’.
Un giornalista è un computer collegato a un telefono o
un portatile con telefonino. E’ un registratore e un
blocchetto d’appunti recuperato tra i tanti che si
prelevano distrattamente e ci si rubacchia dai tavoli
della redazione.
E’ una penna che non si trova mai e che comunque non
è mai uguale a se stessa. E’ un pass che lo mette
all’indice, permettendo a un illustre sconosciuto
‘non schedato’ di avvicinare il personaggio di
turno e fotografarlo o intervistarlo, mentre decine di
onesti lavoratori dell’informazione ufficiale
attendono, calpestandosi, di portare a termine
l’ultimo compito della giornata per scribacchiare
trenta righe e raggiungere una famiglia dimenticata in
una qualche casa dell’Inpgi.
Il giornalista è anche ciò: un essere
umano condannato a lavorare. O meglio, legato a un orario
di lavoro, per la precisione 6 ore e 36 minuti. Ogni
giorno un’eternità da riempire come possibile con
ciò che il posto di lavoro offre. Solitario al computer
e telefonate sono un ottimo aiuto per ingannare il tempo.
Le telefonate più interessanti sono appannaggio delle
donne.
In una non meglio precisata età una giornalista era una
giovane donna. Brillante, affascinava tutti per la sua
grinta, per una scrittura sferzante, per le osservazioni
acute, per quel talento naturale che la portava
d’istinto ad essere la persona giusta al posto
giusto. Molto carina, elegante senza essere banale,
trasferiva anche nell’abbigliamento quella cura per
il particolare che caratterizzava i suoi scritti.
Il suo ingresso in redazione aveva immediatamente
risvegliato il maschio che esiste in ogni giornalista.
Ognuno ci provava, a modo suo.
Nel giornalismo esistono infatti varie tecniche
seduttive.
1) Collega anziano, già pensionato, a cui
nessuno ha il coraggio di dire che ormai è libero di
starsene a casa: la tecnica è semplice e diretta, nota
come ‘alla vecchia’.
Lo sguardo fisso sulle
tette, il vecchio giornalista invita al bar il virgulto e
elargisce consigli professionali e manate sul culo. La
neogiornalista abbozza risatine, ricordando che ha poco
tempo, perché deve rientrare subito.
2) Collega in odore di pensione o
prepensionamento: ascetico, si esibisce ad uso e
consumo della fanciulla in prove sempre più difficili,
tipo correggere e ridurre il pezzo del collaboratore in
pochi minuti o titolare un articolo azzeccando al primo
colpo le misure. La neogiornalista, in piedi al suo
fianco, simula ammirazione e si domanda, tra sé e sé,
quando mai potrà tornare al lavoro.
3) Collega nel pieno della carriera:
nelle prime settimane la ignora. Quando lei meno se
l’aspetta, l’attende davanti alla macchinetta
del caffè e l’aggredisce, criticando duramente
trenta righe di pastone di giudiziaria.
Finita la
sfuriata, intuito che la ragazza è letteralmente
distrutta, le promette di prenderla sotto la propria
tutela, di spiegarle tecniche, tattiche e strategie del
buon giornalismo, di fare di lei una vera firma, visto
che il talento c’è.
La ragazza arrossisce e si prepara a sognare nuovi
incontri ravvicinati, entrando così
nell’inesorabile spirale del ‘caffè da
giornale’.
4) Collega sfigato: al momento delle
presentazioni racconta una barzelletta sconcia, tende la
mano e con l’altra, appoggiata a metà avambraccio,
fornisce le misure del suo principale attrezzo di lavoro.
Viene immediatamente identificato ed evitato con cura per
tutti gli anni a venire.
5) Vertici: di solito non hanno una
tecnica precisa, in virtù di uno jus primae noctis che,
consumato o no, consente spesso di soddisfare
l’istinto animale femminile che porta al ‘posto
fisso’.
6) Collega ‘marito’: ebbene
sì, comincia così la storia della giornalista e delle
sue telefonate. Dopo un drammatico intrigo col collega
nel pieno della carriera -fatto di serate trascorse da
sola al ristorante in attesa che il fondamentale servizio
a cui l’uomo sta attendendo arrivi alla svolta
cruciale, di etichette malevole appiccicate da rivali
gelosi/e, di pianti e notti d’estasi- la giornalista
trova il coraggio di confidare tutta la sua disperazione
a un collega scapolo o divorziato.
Quest’ultimo ha finito di pagare le rate
dell’auto ed è a buon punto col mutuo per la casa
con l’Inpgi. Mancherebbe, in effetti, un contributo
economico in grado di consentire al giornalista di
lasciare la casa paterna e arredare con tanto di cucina
la nuova abitazione.
Manca, soprattutto, chi sappia fare buon uso della cucina
o almeno di usare il microonde non solo per scongelare.
Su queste basi è inevitabile che i due si comprendano.
Lei ha trasformato la depressione per un insuccesso
sentimentale in senso di totale fallimento anche sul
piano professionale. Lui sperimenta subito le attitudini
della ragazza, invitandola nell’appartamento semi
arredato e proponendole una cena a lume di candela a base
di ‘c’è quel che c’è’.
Lei, con un fornelletto a gas e due uova,
riesce a preparare ‘crepes flambès aux c’è
quel che c’è’. Ridono molto. Si amano. Al
termine del praticantato di lei, previo studio
approfondito dei reciproci piani ferie, si sposano.
Delusa dal lavoro, nell’arco di quattro anni lei
sforna due o tre figli, per la gioia di tutti i/le
giornalisti/e disoccupati/e.
La variante ‘divorziato’ prevede
anche una vacanza interlocutoria col o coi figli di primo
letto di lui, tutti sanamente rompicoglioni, come tutti i
figli di questo mondo.
Se lei trova adorabile il modo in
cui Giuseppe si ficca le dita nel naso prima di mangiare
con le mani la pasta e ride felice alla simpatica battuta
di Giulia che la chiama ‘lurida troia’ (si
tratta solo di errori di percorso determinati dalle
scarse conoscenze pedagogiche e dall’insensibilità
dell’ex moglie), la prova è superata.
Passano gli anni. Quella che fu una
promessa del giornalismo femminile è madre e sposa più
o meno felice. Femmina un giorno e poi madre per sempre,
come cantava De Andrè.
Passa al desk catastrofi nucleari, nozze di star
hollywoodiane e interventi di esimi editorialisti con lo
stesso entusiasmo con cui sbuccia le patate, va ai
colloqui coi professori a scuola o riempie la lavatrice.
L’unica parola che riaccende una fiamma di vita in
occhi spersi dietro occhiali da presbite, dà colore a
capelli informi e sbiaditi, imporpora un volto senza
trucco è ‘ferie’.
Il resto della sua giornata è scandito dalle telefonate
dei e ai figli, della e alla baby sitter o della e alla
nonna ‘vigilantes’. Le conversazioni sono di
pubblico dominio, per una questione audio, soprattutto
quando il secondogenito spione comunica che la sorella ha
appena assaltato il freezer, divorando gli ultimi resti
di surgelati che dovevano servire per la cena, o quando
la primogenita, gelida, avverte che
dall’appartamento del piano di sopra (solitamente di
proprietà di colleghi di una testata concorrente) sta
piovendo.
Lui, l’uomo della sua vita e padre
dei suoi figli, è ormai diventato un collega nel pieno
della carriera e la invita a risolvere ‘almeno’
i problemi domestici, visto che quelli professionali sono
tutti sulle sue spalle. Lei si attacca al telefono,
ordinando in tempo pizze express o creando casi
diplomatici tra giornali rivali.
I suoi ‘bambini’ –creature che avrebbero
appassionato solamente il Lombroso- bivaccano in
redazione ogni volta che la baby sitter dà forfait.
Creativi, saccenti e impositivi, come il padre,
piagnucolano per nulla, come la madre, e sarebbero
detestati da tutti, non fosse che tutti hanno imposto
alle redazioni i propri figli.
In tal senso la FIEG (e non la FNSI,
come auspicato da tanti colleghi) sta trattando per
predisporre cartelli all’ingresso di ogni testata
tipo ‘In questo stabile non sono graditi testimoni
di Geova, animali e figli. Pubblicità sì, ma solo a
pagamento’.
Il registratore
Un posto di rilievo nella vita del giornalista,
soprattutto di quello d’agenzia, è rivestito dal
registratore.
Si tratta di una curiosa macchinetta che in teoria
dovrebbe registrare e riprodurre le voci degli
intervistati, munita di un vistoso adesivo col nome della
testata.
In realtà l’oggetto funziona perfettamente
solo nelle prove in redazione, mentre in corso d’opera
o s’incastra il nastro o si scaricano le pile o
parte autonomamente il tasto ‘pause’ e lo
strumento si blocca. Nessuno da tempo si fida del
registratore e quindi, contemporaneamente, prende
appunti.
E’ notorio che i giornalisti hanno
una grafia simile a quella dei medici e spesso si
rivolgono al farmacista di fiducia chiedendogli di
decifrare quanto scritto. Altro passatempo molto in voga
nella categoria è la ricerca di penne e carta, ma
soprattutto del portacenere.
Luogo comune vuole che un vero cronista picchietti a
macchina o computer con la cicca pendente dal labbro.
Nulla di più falso. In virtù di una
sordida campagna stampa volta a disincentivare l’uso
della nicotina, a furia di scrivere che il fumo fa male,
più di qualche collega si è autoconvinto e ha smesso.
Ciò ha portato a una frattura insanabile e a spaccature
all’interno degli stessi Cdr, al punto che l’Ordine
sta pensando ad iscrizioni diversificate tra
professionisti tabagisti e virtuosi, dando la precedenza,
nelle liste di disoccupazione, ai mangiatori di mentine.
Allo stato attuale in ogni testata, anche quella che
occupa due persone, esiste la stanza dei fumatori e
quella dei non fumatori. Due mondi che non solo non s’incontrano,
ma in perenne conflitto tra loro.
1) Non fumatori: il giornalista virtuoso
è, come sempre, un pentito. E come tutti i pentiti
persona di cui diffidare. Si tratta in genere di
quarantenne reduce da un check up Casagit che ha
fortemente minato il suo equilibrio psichico, solo
perché il colesterolo è alle stelle e con la pressione
–se mette in bocca acqua e un cucchiaino di caffè-
può autoprodurre un espresso senza bisogno di andare al
bar.
Sotto l’incubo di infarto e ictus la persona in
questione, indipendentemente dal sesso, acquista una
bicicletta e s’accorge subito che solo il tentativo
di salirci produce affanno. Dalla mattina alla sera getta
le sigarette e acquista Tir di caramelle.
Senza rendersene conto entra in una
spirale di cui non può essere cosciente, altamente
dannosa per la sua salute: ingrassa e più ingrassa più
pedala. Lo stress fisico si assomma a quello nervoso,
trasformando quello che era pur sempre un collega in un
salutista hitleriano (persone che amano i fiori, la
musica e gli animali, ma sterminano i bambini).
L’incomunicabilità con chi lo
riporta al passato si manifesta nella richiesta di venir
trasferito di scrivania, magari al fianco della collega
incinta che, sebbene primipara attempata, si ostina a
voler restare al suo posto fino all’ultimo, con
grave danno per la categoria dei disoccupati. La loro
stanza, tra riviste sulla maternità, piantine
ossigenanti e caramelle sembra la nursery di un asilo
nido tedesco.
Provocatoriamente i due lasciano la porta aperta, senza
alcuna vergogna per lo stato in cui versano. L’odore
di pino mugo misto a vaniglia e la musica soft che
spandono nel corridoio è il chiaro segnale di qualcosa
di grave che si sta per abbattere sull’intera
redazione. E così è.
Alla prima riunione di redazione i due,
solidali, impongono l’astinenza agli altri. Prima
con gesti di evidente fastidio, poi esplicitamente. Non
bisognerebbe cedere, ma anche i giornalisti hanno un
cuore.
Le richieste di un ciccione a rischio d’infarto e in
cura e di una ingrassata che per almeno un anno non si
vedrà più vengono accolte, anche perché, con la scusa
della sigaretta, è possibile abbandonare la riunione di
redazione prima del tempo.
Nessuno pensa che il sostituto della futura mamma sarà,
molto probabilmente, un giovane cresciuto divorando
servizi contro il fumo passivo…Espandendosi come
piovre -con l’aiuto di scellerati controlli medici
previsti dal contratto che portano alla scoperta di
patologie devastanti in individui che, se solo non
dovessero lavorare, starebbero benone- i non fumatori
aumentano di numero e pretese.
Quando un ordine di servizio inviterà i fumatori a tener
chiusa la porta della stanza è arrivato il momento di
licenziarsi e trovare un lavoro onesto, tipo spacciare
droga o gestire un bordello per minorenni.
2) Fumatori: non fosse per le campagne
denigratorie di cui sono vittime –e a cui, con
particolare sadismo, sono costretti a partecipare, magari
con ampi servizi sui centri oncologici cittadini-
sarebbero delle persone rilassate e felici.
Il cinismo e la perfidia di una società
ipocrita che mette al bando l’ultimo piacere di un
giornalista (in alcuni casi anche l’unico) li
segrega in stanze bunker, li condanna a respirare non
solo il proprio fumo, ma anche quello dei colleghi.
Certo, le loro dita gialle di catrame e bruciacchiate
possono fare impressione, ma s’armonizzano
perfettamente con i buchi da bronze su cravatta, golf,
camicia.
Né mancano i vantaggi: il fumatore
incallito può esibire baffi e barba biondo cenere
naturale anche in là con gli anni. Quanto ai denti, neri
e smozzicati, la presa di posizione della Casagit di non
rimborsare più di una pulizia del tartaro all’anno
è servita a dimostrare solo la meschinità dell’ente.
Un vero giornalista tabagista, infatti, non va dal
dentista, così come evita i medici.
Convinto che di qualcosa si deve pur morire, affronta il
proprio destino con impavida consapevolezza. Accende una
sigaretta ad ogni nuovo capoverso, e, nella nebbia
profonda della sua cella, descrive sapiente ogni
minuscolo particolare dell’efferato delitto. Meglio
morire di fumo che affettati da una banda di giovani
criminali al termine di uno stupro anale di massa. E’
questione di alta filosofia.
La conclusione di un capitolo sugli strumenti essenziali
per la pratica giornalistica spetta ai tre elementi
fondamentali che hanno portato un ragazzo pieno di buoni
sentimenti, intelligente e brillante a deviare su una
strada ardua e piena di insidie: la busta paga, i
rimborsi missione e le ferie.
Busta paga e rimborso missione sono
semplici fogli di carta riempiti di cifre, espressione
delle incredibili capacità di sintesi tra discipline
umanistiche e scientifiche di un giornalista. La
differenza tra i due è che il primo viene letto, il
secondo compilato. Entrambi sono comunque oggetto di
studi approfonditi.
La busta paga, al momento della
consegna, viene aperta con circospezione. Ognuno cerca di
sbirciare almeno il netto dei colleghi e tutti si rendono
subito conto che ‘non è possibile andare avanti
così’. Comincia il conto delle domeniche e feste
lavorate, la voce che più incide sul totale.
Ognuno giura che è arrivato il momento di chiarire una
volta per tutte col capo che non è possibile che il
vicino di scrivania se le becchi sempre lui. Pensandola
tutti allo stesso modo qualcosa che non va ci deve
essere, ma non c’è tempo per appurarlo. L’occhio
di falco del giornalista cade infatti sulla voce
trattenute.
Quella che infastidisce di più è la Fnsi,
poche lire, ma è una questione di principio, soprattutto
nella stagione di rinnovo del contratto e peggio ancora
dopo. Il colpo di grazia lo dà comunque la rata del
mutuo per la casa.
La casa è una delle croci storiche del
giornalismo italiano. Premesso che ai giornalisti, in
teoria, una casa non serve a nulla, dal momento che
bivaccano in redazione, per una pura questione di
principio ogni giornalista che dio ha messo in terra
prima o poi si autoconvince a comprarne una.
La colpa è da imputarsi all’Inpgi, che subdolamente
offre tassi interessanti: un po’ come fanno i
supermercati con le raccolte bollini, spendi un sacco di
soldi in prodotti inutili, ma alla fine ti porti a casa
uno scaldavivande. Il giornalista non ha bisogno di un
tetto, ma gli dispiace sprecare l’occasione di un
mutuo a interessi quasi zero.
Arriva dunque prima o poi il fatidico giorno in cui
cadere nel tranello. L’appartamento in questione è
dislocato in ‘zona informazione’ e ha l’incommensurabile
pregio di essere vicino a quello di un collega con cui
poter dividere le spese di trasporto verso l’ufficio.
‘Prendilo, così la mattina andiamo con una macchina
sola’ suggerisce sordido il futuro vicino di casa,
che per incastrarlo ben bene comincia a magnificare il
quartiere e a prospettare grigliate primaverili nel
giardinetto condominiale. E’ la fine per tutti.
Quando un giornalista compra una casa e
per giunta la ristruttura, è bene prendere ferie fino al
giorno del trasloco. In redazione non si farà altro che
parlare di idraulici ladri, piastrellisti criminali e
geometri incompetenti. Le cifre si sprecano, pare d’essere
alla borsa di New York, tra prezzi di sanitari al rialzo
e interruttori al ribasso.
Dopo vari mesi di intoppi, evitato da tutti, arriva
finalmente il giorno in cui il malcapitato in questione
prende ferie per trasferirsi ufficialmente nella nuova
abitazione.
Promette ai colleghi che l’hanno sopportato una cena
d’inaugurazione, che tutti accettano di buon grado,
coscienti che non si farà mai.
Dissanguato anche dagli autotrasportatori, di quella casa
il giornalista rinverdirà i fasti mensilmente con le
trattenute in busta paga, bestemmiando all’indirizzo
della carogna che l’ha convinto a comprarla e, nel
contempo, cercando viscidamente di intortare nell’acquisto
di un’abitazione il neoassunto. ‘S’è
liberato l’appartamento del quinto piano. Prendilo,
così la mattina andiamo con una macchina sola’.
La busta paga che più disgusta il
giornalista è quella natalizia, ma il colpo di grazia
viene da quella di gennaio. In teoria, prima di Natale,
dovrebbe esserci un raddoppio degli emolumenti: in
pratica l’occhio cade solo sul raddoppio delle
trattenute.
Sperperati i sudati guadagni in autogratificazioni
essenziali (un masterizzatore, una cinepresa digitale, un
cellulare da polso, un orologio collegato via satellite
ai fusi orari degli States, ecc.) per più di un mese non
beccherà una lira, ma si cullerà nel sogno di un Natale
lavorativo pagato profumatamente o di un Capodanno
milionario in redazione. Niente di più falso. Il mese in
questione dura quaranta giorni e i conguagli fiscali del
nuovo anno annullano qualsiasi beneficio.
In realtà il mondo dell’informazione
riserva alcuni interessanti privilegi, dai buoni pasto
alla sanità, dall’ingresso ufficiosamente gratuito
in qualsiasi teatro fino ai rimborsi per aggiornamento
professionale e borse di studio per i figli.
Qualcuno arriva addirittura ad avere l’auto in
omaggio. Ma se un giornalista vuole mantenere il proprio
decoro è costretto a fare i salti mortali. E l’unica
rete di protezione sono i rimborsi missione.
Abbiamo già accennato alla fatica richiesta dalla
raccolta scontrini ogniqualvolta un giornalista si trovi
fuori sede. Più difficile ancora è stendere una
richiesta di rimborso quando il cronista viene mandato
con la propria macchina dall’altro capo della
città.
Intanto perché bisogna dimostrare che la macchina, per
una deviazione imprevista, ha percorso una distanza di
due chilometri in linea d’aria in venti chilometri.
Poi perché l’ammortamento del mezzo ha un suo
valore, anche se si tratta del catorcio di servizio.
Da tempo alcuni editori particolarmente avari
preferiscono rimborsare i trasferimenti in taxi, con
conseguenti tensioni tra i lavoratori delle due
categorie, tassisti e giornalisti.
In questo contesto, per tagliare ogni
possibilità di fraintendimenti economici, alcune
testate, solitamente gestite in cooperativa, hanno
risolto il problema alla radice: pagano stipendi e
rimborsi quando è possibile.
E’ scientificamente
provato che un giornalista che riceve a giugno la busta
paga di gennaio è contento di poter saldare, almeno
parzialmente, i debiti con le banche e, sollevato,
finisce persino per essere grato all’azienda che gli
ha permesso di risolvere i pressanti problemi contingenti.
Ultima dolente nota sono le ferie. A
differenza di quanto accade in un qualunque altro posto
di lavoro, in un giornale nessuno si sognerebbe mai di
incastrare le proprie ferie tra Natale e Capodanno, tra
Pasquetta, il 25 aprile e il 1° maggio o a Ferragosto e
al 1° novembre. Se è previsto siano lavorativi. Le
famiglie dei giornalisti sanno che l’assenza del
congiunto per motivi di lavoro a Natale ha una profonda
valenza religiosa o meglio un valore sacro.
A primavera il lavoro nelle testate rallenta per
permettere a tutti la stesura del piano ferie. Se per
ipotesi un comando kamikaze intendesse far saltare per
aria il presidente degli Stati Uniti è pregato di farlo
dopo la consegna del piano ferie, altrimenti la notizia
finisce nelle ‘brevi dal mondo’. E siccome ai
terroristi, anche kamikaze, piace finire sui giornali è
meglio che sappiano che la stagione non è quella
opportuna.
Il primo a compilare il piano ferie è il
redattore capo. Dopo un accurato studio su
‘dove si va quest’anno’ e previa lettura
approfondita di riviste sul turismo sceglie l’ultima
settimana di luglio e le prime due di agosto, in modo da
essere presente a Ferragosto. Presa questa prima e
inderogabile decisione, passa ad analizzare la situazione
contrattuale.
Gli scioperi solitamente si collocano in ‘campagna
elettorale’, ottimo periodo per ritemprarsi senza
salassare la busta paga o passare per crumiri. Rimane la
settimana bianca che, con un sapiente gioco d’incastro
tra ‘corte’ perse e ferie residue può
diventare anche due, compatibilmente alla presenza o
assenza di neve.
Dopo settimane di lotte all’ultimo sangue e sfide ad
armi bianche –perché c’è sempre la collega
che a scuole chiuse non sa dove ficcare i figli o il
collega che, occupandosi di turismo, ha ricevuto
casualmente in omaggio una vacanza di tre settimane in un’isola
sperduta del Pacifico- il piano ferie si può dire
concluso.
A parte alcuni casi singolari, imputabili al rispetto per
le abitudini degli anziani, non verrà rispettato e dal
giorno successivo si apriranno le contrattazioni.
Alla Panini, editrice esperta nel
settore, è allo studio un sistema di figurine da
scambiare. ‘Se ti do la mia corta giovedì e
mercoledì prossimo, mi dai uno dei tuoi giorni di ferie,
in modo che poi comunque mi faccio la domenica?’ La
domenica, notoriamente, vale doppio.
La struttura operativa di un organo d’informazione
Come si compone una redazione
C’è sempre una data precisa che ricorda il
giorno in cui un signore, in genere benestante, decide d’investire
per creare e vendere un prodotto dell’informazione
su supporto cartaceo o audiovisivo.
C’è anche un motivo, sebbene non
sempre comprensibile o quanto meno incomprensibile se si
pensa al prodotto. C’è anche un preciso istante in
cui il signore in questione, meglio noto come editore,
decide di affidare il suo investimento a un direttore,
che a sua volta nomina un suo sostituto, il
vicedirettore, e un coordinatore dell’attività
lavorativa, il redattore capo.
Quest’ultimo è più o meno quello che nell’esercito
si chiama ‘caporalmaggiore’ e a cui l’ambiente
militare ha dedicato la simpatica canzoncina ‘Caporalmaggior,
caporalmaggior fammi una…’.
Dal redattore capo
dipendono i vari caposervizio, responsabili dei numerosi
settori d’interesse dell’opera di ingegno
collettivo. Sono loro che coordinano l’attività dei
redattori e dei collaboratori.
A completamento dell’organizzazione di una
testata c’è la segreteria di redazione
–unico ufficio realmente informato su quanto accade
non solo nel mondo, ma anche nel giornale-, un archivio
cartaceo e fotografico, gli uffici amministrativi e
contabili, l’economato (dove si provvede a ordinare
bicchieri di carta, caffè e qualche volta anche penne),
i settori vendite, diffusione, pubblicità e marketing. E
soprattutto un centralino che spesso funge anche da
portineria, fonte inesauribile di notizie sulla vita del
giornale.
Per comodità d’esposizione,
sezioniamo quello che è un corpus unico, una redazione,
nelle figure che la compongono.
1) Direttore. Il direttore di una
testata è per definizione un uomo, se non bello,
interessante. Nei rarissimi casi di direttrice il
concetto è lo stesso. E se non fosse così non si
capirebbe perché tutti fanno a gara per accaparrarsi un
direttore a cena o invitarlo ai talk show.
Il direttore è spiritoso. Il direttore
scrive benissimo, anche se non lo fa spesso per non
suscitare invidia nei dipendenti. Il direttore è alla
mano, nel senso che si lascia dare del tu. Insomma il
direttore è il migliore o almeno il migliore dei
direttori possibili finché rimane tale, dal momento che
i direttori passano e solo i giornalisti restano.
Il giorno successivo alla sua (buon)uscita dalla testata
il direttore diventa uno dei peggiori criminali dell’informazione,
un sordido approfittatore di grazie muliebri, avvinazzato
e semianalfabeta.
La dipartita del troglodita è
anticipata dalle telefonate dei colleghi del quotidiano
che si appresta ad accoglierlo e a cui si risponde, con
una speciale forma di sadismo anale, elencando una per
una tutte le malefatte dell’infame a partire dal
primo scoop archiviato per arrivare a piccanti
particolari sessuali. Solo nella nuova testata il
direttore tornerà ad essere un uomo interessante,
amabile, intelligente e, al limite, anche molto bello.
Esistono varie tipologie di direttori. C’è
ad esempio il direttore- direttore, molto apprezzato
soprattutto dalle agenzie. Vive di, a, da, in, con, su,
per, tra, fra la notizia e quindi è presente venticinque
ore su ventiquattro in redazione.
Delega al suo vice solo
il compito di decidere la marca di caffè da acquistare e
parte del piano ferie e ai collaboratori i comunicati
stampa ben scritti.
Per il resto controlla ogni articolo con la lente d’ingrandimento
e, in caso di ‘buca’, dopo un primo goffo
tentativo di suicidio, propone un massacro di massa con l’aranciata.
Quando c’è ‘ciccia’ si sigilla nella sua
stanza per dar vita a un pezzo memorabile che entrerà
negli annali del giornalismo mondiale. Se lo si asseconda
può anche succedere che faccia tutto da solo, titoli
compresi: in tal caso è essenziale lodarlo molto,
fingendo ammirata partecipazione per un’opera di
ingegno singola, che però pare collettiva.
Più articolate sono le categorie di
direttori politicamente schierati. A sinistra è facile
trovare quello che trascorre il suo tempo nei locali più
in vista della città con il presidente di Assindustria,
per poi concludere la serata con un Black Jack a casa di
una contessa della nobiltà papalina.
A destra s’incappa in pericolosi borgatari capaci di
rivitalizzare una bettola periferica suonando con la
chitarra e l’armonica a bocca ‘O bella ciao’.
Al centro ci sono morigerati padri di famiglia
felicemente sposati e apertamente schierati contro l’aborto,
assidui frequentatori dei viali di circonvallazione, con
la scusa dei ‘motivi di servizio’.
2) Vicedirettore. Facsimile del
direttore, ma un tono più sotto.
3) Redattore capo. Facsimile del
vicedirettore, ma un tono più sotto. Parafrasando Woody
Allen, si potrebbe dire che chi non ha voglia di far
nulla nella vita fa il giornalista e chi non ha voglia di
fare nemmeno quello fa il redattore capo.
4) Capo servizio. Mentre direttore e
vice hanno sempre le valige pronte e il redattore capo è
figura sfuggente, il caposervizio è un vero e proprio
giornalista, così come l’abbiamo più o meno
raccontato finora.
Con una particolarità: il caposervizio
si fa carico di coordinare il lavoro del suo settore- sia
esteri, cronaca, cultura e quant’altro- anche a
parità di trattamento economico. Questa curiosa
caratteristica è stata oggetto di studi da parte di
celebri psichiatri. Le ricerche si stanno sviluppando
lungo due filoni differenti.
Per la psichiatria classica, i neuroni del caposervizio
producono una speciale sostanza che inibisce il sistema
immunitario, stimolando l’attività onirica. In
pratica il paziente nutre ambizioni di carriera, pur
sapendo che è impossibile e dannoso per il suo
equilibrio psicofisico.
I laboratori di una multinazionale farmaceutica stanno
mettendo a punto uno speciale psicofarmaco in grado di
invertire il processo e tra un paio d’anni si
presuppone che, al pari dei giornalisti, scompariranno
anche i caposervizio.
Per gli psichiatri democratici, il caposervizio non è un
malato, ma un soggetto da reinserire nel tessuto sociale
del giornale, evitando ogni forma di emarginazione e
compiti onerosi, come dire a ciascuno dei propri
collaboratori cosa dovrebbe fare.
L’ideale sarebbe la costituzione all’interno di
ogni testata di servizi- famiglia (esteri- famiglia,
cronache- famiglia, ecc.) dove tutti a turno settimanale
gestiscono l’organizzazione del settore o, in
alternativa, il trattamento sanitario obbligatorio.
Prevalga una teoria o l’altra, sta
di fatto che il rapporto ambizioni- realtà manda in
crisi non solo i caposervizio, ma anche i redattori
semplici. Ci vogliono infatti molti anni di cure per
convincere un giornalista che fare carriera non è
questione di bravura o di raccomandazioni, ma il frutto
di una particolare congiunzione astrale nel tema natale.
Accade così che la depressione sia sempre in agguato e
che il 50% dei pazienti distesi sul lettino di ogni
analista sia iscritto all’Ordine dei giornalisti.
Chi non ha il coraggio di affrontare un lungo viaggio nei
meandri della propria psiche, si affida ai più classici
psicofarmaci.
In alcune redazioni si è provveduto a mettere, a fianco
della macchina del caffè e delle bibite, un dispenser
con le principali pillole e gocce in commercio, dall’En,
al Valium, al Lexotan, per evitare che a qualcuno possa
sopraggiungere una crisi da astinenza proprio in chiusura
di giornale.
5) Manovalanza. Del lavoro delle
manovalanze abbiamo già dettagliatamente parlato. Come
in ogni cantiere che si rispetti, a fianco degli operai
specializzati e contrattualizzati –nel nostro caso i
redattori- ci sono i lavoratori al nero, impiegati per
quelle attività che nessuno vuole fare. Nel mondo dell’informazione
si chiamano collaboratori, termine politically correct
free lance.
Il free lance è un professionista o un
pubblicista disoccupato a vita che si ostina a rifiutare
un lavoro onesto e remunerativo, come ad esempio viado
sulla tangenziale, pur di pensarsi giornalista.
Muccioli
prima e Don Mazzi poi avevano provato a costituire delle
comunità per disintossicare i free lance, ma la Fieg ha
bloccato i finanziamenti.
I free lance, anche se non pare, sono indispensabili
nella vita di qualsiasi testata, come gli extracomunitari
lo sono per i latifondisti del sud o gli industriali del
nord- est.
La giornata di un free lance inizia al
mattino presto con una visita alle banche, di cui è
affezionato cliente. Spiegato al funzionario che è
assolutamente impossibile che non sia ancora arrivato il
bonifico milionario e che deve trattarsi di un tragico
errore –da verificare quando sarà aperta l’amministrazione
del giornale -, convince o meglio tenta di convincere il
bancario a pagare ugualmente la bolletta del telefono,
con un’elasticità di cassa oltre al fido di pochi
giorni.
Vada bene o no, passa a trovare qualche parente –ottime
le vecchie zie zitelle e senza altri eredi, ma anche la
madre pensionata è un punto di riferimento affettivo da
frequentare assiduamente- e, fingendosi indignato per il
mancato arrivo del bonifico milionario, riesce a scucire
almeno i soldi del telefono e un pentolino con un po’
di salsa di pomodoro.
A parte i familiari stretti, di solito i free lance hanno
una vita sociale molto elitaria. Evitano accuratamente
amici di nuova e vecchia data, perché devono loro un
sacco di soldi, spiegando all’anziana madre che
purtroppo il loro evidente successo in campo
giornalistico ha attirato invidie immotivate.
Verso le undici sono sul campo di battaglia ossia
presenziano a tutti quegli eventi che nessuno, nemmeno il
fattorino, ha voglia di seguire. Un collaboratore può
passare senza fare una piega da un convegno su ‘Le
iniezioni intramuscolari nella farmacopea mediterranea’
(dove, relatrice d’eccezione, è una cugina dell’editore)
a una conferenza stampa del ‘Circolo del tricot’
–diretto dalla mamma di un redattore.
Al quinto evento di vitale importanza,
mangiucchiando un panino, comincia il giro delle
telefonate, equamente suddivise tra quelle dirette alle
amministrazioni e quelle ai fortunati colleghi
contrattualizzati. Entrambe sordidamente untuose.
Alla ‘responsabile collaboratori’ chiede
umilmente di controllare se, per ipotesi e se non crea
troppo disturbo, magari forse l’azienda potrebbe
provvedere, in via del tutto eccezionale, a saldare
almeno le spettanze di due anni fa.
Inizia una pietosa pantomima da cui il
free lance si salva solo perché non ha una lira. L’impiegata,
infatti, dopo essersi dimostrata comprensiva e attenta,
spiega con dovizia di particolari le difficoltà
economiche in cui versa l’editore, dopo il secondo
divorzio e il minuscolo scandaletto a seguito, che l’ha
messo in ginocchio con la Finanza.
Annuncia che molto probabilmente a fine mese è possibile
che la Tributaria sblocchi i fidi, ma confessa di non
sapere come fare al ventisette con le paghe dei
contrattualizzati.
Poi alza il tiro: ‘Si figuri, se
potessi le farei avere anche tutto subito…ma pensi
anche (e spara il nome di una mitica firma del
giornalismo italiano) sta aspettando da 15 giorni ben tre
milioni’. Il free lance sbianca, vuoi perché messo
sullo stesso piano del ‘più grande dei grandi’,
sia per paura di perdere la collaborazione.
Così facendo gli sfugge che i tre milioni al divino sono
il rimborso per un intervento di dieci righe. Non potendo
contribuire personalmente a risollevare le sorti dell’azienda,
promette di farsi vivo più avanti, sempre con la
speranza di non disturbare.
Di tutt’altro tono le conversazioni telefoniche coi
colleghi contrattualizzati, che sovente conosce solo via
cavo.
Se il free in questione è femmina, il
rapporto, iniziato sotto una buona stella, continuerà
così fino alla visita alla redazione, quando il
giornalista scoprirà che dietro alla voce suadente di
una spiritosa fanciulla c’è un manico di scopa
piatto e baffuto o una cicciona spelata.
Se il collaboratore è maschio verrà
sfruttato, ma rispettato in virtù di una
solidarietà di genere che le donne ignorano. In entrambi
i casi il free deve vendere le notizie in suo possesso,
possibilmente a più testate, garantendo l’autenticità
e originalità dei pezzi.
I norcini friulani, particolarmente sapienti nell’utilizzo
di tutte le parti del maiale ammazzato, stanno
organizzando dei corsi di giornalismo per free lance. La
tecnica è simile: si prende una notizia e, una volta
venduto ai quotidiani quanto serve all’attualità,
la si sviscera per i settimanali. Quello che resta va ai
mensili specializzati.
Un free lance è in grado di scrivere sullo stesso
argomento anche dieci notizie tutte diverse nella forma,
ma identiche nella sostanza. Per venderle ha fatto di
tutto: attaccato esasperanti bottoni telefonici,
lusingato il collega sostenendo che erano anni che
nessuno mai era stato in grado di descrivere Berlusconi
con l’acume e l’intelligenza dimostrato nel
pezzo pubblicato sull’ultimo numero, spiegato nei
minimi particolari la fondamentale importanza che riveste
il ritrovamento nella stazione di Forlì di cinque
clandestini bulgari alla luce dei nuovi sviluppi del
centro d’accoglienza Caritas della cittadina.
Il free sa tutto della vita familiare di tutti i suoi
interlocutori, scadenza date importanti, colleziona
articoli altrui fondamentali.
Il collaboratore lavora come può. Di
solito gli basta un telefono, un computer e Internet (da
cui, vantando incredibili doti di hacker, si collega alle
agenzie). Supplisce alla mancanza di mazzetta con un’ora
di navigazione dalle due alle tre del pomeriggio, prima
di mettersi a scrivere.
Entro le 21 ha prodotto almeno sette o otto pezzi
sugli argomenti più disparati e li ha anche inviati. Se
è bravo ha rispettato gli ordini ossia misure e tempi di
consegna. Se è inesperto telefonerà in chiusura di
giornale, chiedendo se l’articolo è piaciuto e
cercando conferme.
Ma un free così non ha lunga vita, al pari di quelli
che, aperto il giornale e letto un curioso pezzo a
propria firma, si fan vivi per protestare per le
modifiche apportate.
Per non parlare di coloro che
entrano in crisi solo perché il servizio non esce o esce
con sei mesi di ritardo, quando ormai anche l’Eco di
Medjugorjie ha esaurito l’argomento.
Un vero free non fa domande. Un vero
free non ha pretese. Un vero free va avanti e tiene duro.
Se per ipotesi la zia zitella muore lasciandolo erede,
approfitterà di un’insperata ricchezza per andare a
proprie spese, senza assicurazione, in Afghanistan a
intervistare le mogli dei Talebani sulle violenze
sessuali in famiglia e, al ritorno (se ci sarà un
ritorno), tenterà invano di vendere il servizio a un
noto settimanale, sentendosi rispondere che è già stato
fatto. Ripiegherà su un pezzo di colore sulla moda a
Kabul per Mani di fata.
Dopo una cena frugale il collaboratore, se non è
costretto da un quotidiano locale a seguire lo spettacolo
amatoriale in dialetto del nipote della portinaia della
testata, segue gli spettacoli televisivi delle emittenti
di provincia per cogliere gli umori di aspiranti
assessori alla nettezza urbana del Comune e nel contempo
legge i libri degli autori esordienti del suo quartiere,
navigando in Internet alla ricerca di siti singolari.
Verso le due o le tre di notte, dopo la rassegna stampa,
mentre sta tentando di portare a termine un servizio sul
tesoro di Milosevic –basato sulle pezze d’appoggio
degli estratti conto intestati all’ex leader serbo,
ottenute, con semplice richiesta verbale, dal cassiere
della banca- crolla addormentato sul computer.
E sogna. Sogna un posto fisso in una
redazione di giornale. Sogna di poter sbattere il
telefono in faccia a quei rompiballe di collaboratori.
Sogna che è il 27 e che sulla sua scrivania plana una
busta paga, dove Inpgi e Casagit sono già incluse.
Sogna la prima bolletta telefonica con una cifra a soli
tre zeri e un direttore che lo chiama per chiedergli se,
per piacere e in via del tutto eccezionale, è disposto a
raccontare, tutto spesato, cosa si prova in un mese di
vacanza a Tonga.
Sogna di essere fermato per strada,
‘ma lei non è…?’, sogna la voce dell’onorevole
che, supplice, gli chiede un’intervista, senza che
la segretaria (per inciso quella stronza che fa da
filtro) ne sappia nulla.
Free lance e redattori, è evidente, fanno parte di due
facce di una stessa medaglia. Da un lato chi immagina il
posto fisso come un’oasi di libertà, dall’altra
chi immagina l’oasi di libertà come un posto fisso,
ma senza colleghi.
Non sanno, poverini, che senza le
organizzazioni di categoria rischiano, al pari dei
giornalisti delle testate multimediali, di finire nel
grande crogiuolo del ‘giornalismo del futuro’.
CONCLUSIONI
Come si diventa
giornalistI
Giornalisti non si diventa, si nasce.
Potrà sembrare banale, ma non lo è. Molti si sentono
chiamati, ma pochi finiscono per essere realmente gli
eletti. Non basta saper scrivere. Se sai scrivere e pensi
che qualcuno ti legga, non sei un giornalista, ma uno
scrittore o, peggio ancora, un poeta.
Buona fortuna, ma non fai per noi. Tutt’al più ti
recensiamo domani. O forse sei curioso, ti piace guardare
il mondo che ti circonda, indagare, cercare di capire? Ti
consigliamo l’arruolamento in Polizia, a meno che tu
non preferisca la carriera opposta, quella del ‘guardone’.
Ma tu magari sei sempre aggiornato, leggi, t’informi.
L’Università deve pur esistere per qualcosa, fai un
bel concorso. Oppure sei di quelli che coltivano rapporti
umani. Lascia perdere, ne abbiamo visti tanti provare e
fallire miseramente. Se vuoi realizzarti iscriviti a un’associazione
di volontariato e dà libero sfogo alla tua natura.
Ma può succedere che tu sappia scrivere,
non necessariamente bene, e che non t’importi nulla
che qualcuno ti legga. Che tu sia curioso, dotato di un
certo fiuto per le situazioni, che il mondo e le persone
che ti circondano t’interessi, anche perché con una
distaccata gestione della realtà pensi di riuscire a
tirar su due lire e a ritagliarti un piccolo spazio di
potere.
Caro amico, benvenuto tra noi. A te
abbiamo dedicato questo manuale, svelando i segreti di
una professione tra le più antiche del mondo. A te,
giornalista nato, che vuoi battere con noi la strada,
riserviamo gli ultimi consigli.
Per diventare seri professionisti ci sono due
possibilità.
La prima, impraticabile, è l’assunzione
in un giornale. Scordatelo. E’ un vecchio trucco che
non funziona più. Se non hai avuto la fortuna di farti
assumere come praticante dal ‘manifesto’, salvo
poi salutare i compagni allo scadere dei diciotto mesi e
passare alle principali testate nazionali, l’unica
possibilità è il praticantato d’ufficio.
Raccogli con cura tutti gli articoli e i relativi
pagamenti (anche 500 lire bastano): dopo il primo
tagliando (pubblicista), intensifica la tua attività e
attendi pazientemente un’ondata di prepensionamenti.
A quel punto porta tutto all’Ordine dei giornalisti
della tua Regione: per pareggiare i conti dell’Inpgi
qualcosa ti riconoscono, fai l’esame e diventi
professionista.
Oppure iscriviti a qualche scuola di giornalismo,
lavora gratis duramente nelle testate convenzionate e
segui il piano di studi. L’esame ti spetta di
diritto. In un modo o nell’altro riuscirai a
diventare un professionista, che comunque è sempre
meglio che lavorare. Tanto un lavoro non lo troverai
ugualmente, ma farai parte della grande famiglia di
lavoratori del futuro, i free lance. Una prospettiva
decisamente allettante.
In verità può anche succedere che tu abbia una zia
funzionaria di partito. In tal caso non ti servono
consigli. Sarà la zia a farti assumere dall’organo
–d’informazione, ovviamente.
Ma non farti illusioni: se anche ti viene riconosciuto il
praticantato e ti dicono che sei lì per fare
informazione, se anche fai l’esame e lo superi, in
realtà sei solo una pedina per un finanziamento. Lo
capirai solo quando e se ti capiterà di scrivere un
articolo vero per un vero giornale. Ed è probabile che,
piangendo, tu ritorni dalla zia chiedendole un posto d’addetto
stampa di un onorevole. Che comunque è sempre meglio che
lavorare.
Noi non vogliamo scoraggiarti, ma farti
prendere coscienza della realtà. Sentire la vocazione al
giornalismo è missione e passione. In senso ecumenico.
Praticantato vero o d’ufficio, volontariato
universitario o pratica da dattilografo, verrà il giorno
in cui comprerai un manuale e ti getterai nello studio,
matto e disperatissimo, in previsione dell’esame. Ascoltaci, ti prego, caro futuro collega,
ascoltaci.
Noi sappiamo che la prima cosa che ti viene in mente è
cercare un collega dell’Ordine che ti presenti alla
Commissione.
Non lo fare. Ogni sessione vanta
centinaia di candidati, ogni commissario altrettante
centinaia di raccomandati. Siccome sono uomini faticano a
tenere a mente i nomi di tutti, è più semplice
promuovere tout court e evitare così gaffes, magari con
amici di vecchia data.
Sii dignitoso, fidati di te stesso e delle tue capacità.
In virtù della presenza dei grafici e dei fotografi
–condannati inspiegabilmente alle tue stesse prove
scritte- qualsiasi testo tu produca sarà valutato in
modo positivo.
Concentrati piuttosto sull’uso della macchina da
scrivere, anzi cerca di procurartene una in tempo da
antiquari e rigattieri della tua città. Non
sottovalutare le insidie del nastro, la fatica di un
ritorno a capo, l’impossibilità di un controllo
automatico delle battute. Allenati.
Quanto ai test, non preoccuparti: sei
libero di andare quando vuoi in bagno, ammesso e non
concesso che la ressa di persone che vi colloquia
amabilmente consenta l’accesso. Parla con i tuoi
compagni di strada, avendo cura di scegliere quello che a
istinto ti sembra più preparato. E comunque confronta le
risposte. Superati brillantemente gli scritti hai tempo
per preparare l’orale.
Scegli, per la tesina, un argomento noto a te solo, tipo
‘La situazione politica del Gimzebikstan del Sud’.
Il tuo relatore ti chiederà il nome della capitale del
Gimzebikstan del Sud e plaudirà alla risposta
(Karabaul).
Non strafare, attendi che ti chieda –domanda
trabocchetto- quello della capitale del Gimzebikstan del
Nord. Basta rispondere Babarum e sarai immediatamente
dirottato ai magistrati, con ampi cenni di consenso.
Adesso ascolta bene: devi mandare a
memoria i compiti del Presidente della Repubblica,
conoscere la differenza tra un Gip e un Gup e qual è il
nome dell’Ente che è organo di consulenza delle
Camere e del Governo in materia sociale ed economica,
quanti membri ha e come sono suddivisi tra esperti e
rappresentanti di categoria.
Non puoi consultare nulla, né rispondere ‘Non lo
so, ma so dove reperire i dati’. Se sbagli sei
fregato, ma se ti viene in mente ‘Cnel, 80, 1
presidente, 20 esperti e 59 rappresentanti’ nessuno
ti chiede se ti fermi o raddoppi, ti stringono la mano e
te ne torni a casa col tesserino di giornalista in tasca.
Dal Deuteronomio 7, 7-8: “Non
già per essere voi più numerosi di ogni altro popolo,
ch’il Signore v’ha prediletti e prescelti,
poiché voi siete il meno numeroso di tutti i popoli. Ma
per l’amore del Signore verso di voi, Egli vi trasse
con mano potente. E ti liberò da quella che per te era
schiavitù da lavoro mettendoti nelle mani di un Editore”
(per alcuni filologi c’è un ‘d’Egitto’,
che non figura nella versione apocrifa fin qui
utilizzata).
Rispose Isaia 44,8: “Non v’impaurite,
non vi spaventate. Già da lungo tempo te lo feci udire e
lo annunciai e voi siete i miei testimoni: c’è
dunque un Editore fuori di me? Non c’è potente ch’io
non conosca".
Questo manuale non è dunque solo per te, giornalista
nato, che hai superato o stai per superare l’esame.
E’ per tutte quelle persone iscritte a un Ordine e
che, nonostante tutto, anche dopo decine di anni di
onesta professione faticano a prendersi troppo sul serio.
Ossia per me, qualche amico o, forse, lettore del
Barbiere della Sera. Soprattutto per lo sponsor che l’ha
generosamente pagato. L’unico che può anche sull’Editore.
FINE
-Il Manuale del
buon Giornalista-
Copyright 2001 Chiar.mo Prof. C. Magrìt - Il Barbiere della Sera
(Riproduzione riservata)
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