Finalmente Vera
Paggi ha detto una cosa ragionevole: bisogna arrivare a far pagare agli
editori il 6,66
per cento del carico Inpgi2.
Caro
Barby, ti scrivo per far conoscere il problema che alcuni autori testi di
mamma Rai hanno con i contributi previdenziali. Dal 1996 sono pubblicista
e dal '97 sono iscritto all'Inpgi 2. Collaboro ad un inserto de "Il
Messaggero" che regolarmente mi paga il 2 per cento in più su ogni
prestazione.
Aumentare il
contributo minimo a un corrispettivo di 5 milioni lordi
annui e' vessatorio? Forse si'.
Cari colleghi, volevo intervenire sulla dolorosa
questione dell'Inpgi2.
Alla domanda «Contributo o rapina?», rispondo senza ombra di dubbio «Rapina».
A
me è capitato varie volte di fare collaborazioni per 2-300 mila lire
all'anno. Bene. Domando io: perché una persona sana di mente dovrebbe
pagarci sopra 650 mila lire di contributo Inpgi?
Ora
che iniziano a lamentarsi anche gli articoli 1 forse ci si renderà
definitivamente conto quanto l'Inpgi 2 sia una fregatura. Nella
precedente polemica (ottobre) erano stati coinvolti solamente i free
lance, così in molti avranno pensato al lamento di un gruppo di
pezzenti. Ora la lunga mano della cassa di previdenza arriva anche agli
iper garantiti e magari il problema verrà visto e affrontato in maniera
più seria.
Scriverei free-lance se ormai non fosse sinonimo di disoccupato o sfruttato (o tutti e due). Poi dopo tante peregrinazioni ho trovato un giornale di settore che mi faceva un contratto. Ovviamente si tratta di un coordinato e continuativo, però dopo mesi di "Free lance" è stata una gioia, anche perché mi sono trovato in un ambiente serio. Al momento del contratto mi dicono: devi iscriverti all'Inpgi 2, perché noi ti paghiamo il 2%. A questo punto mi incuriosisco e scopro che sul netto che guadagno devo pagare ben il 10% all'Inpgi. Per alcuni giorni ho dato testate ai muri e maledetto l'ordine, la Fnsi, l'Inpgi e mezzo mondo. Il punto è questo: non solo non sono assunto, ma mi devo pure pagare il 10% all'Inpgi per un futuro per nulla certo, visto le sorprese che ogni governo prepara per le pensioni (e se pensiamo che è in arrivo il Polo.). Ma il punto è un altro ancora: i vari organismi di categoria, al posto di cercare con incentivi o con altri mezzi (quali, saranno fatti loro, esistono facciano pur qualcosa) di far aumentare le assunzioni, hanno pensato bene di garantirsi altre entrate previdenziali per pagare le pensioni ai vecchietti che hanno avuto tutti i privilegi del mondo e per pagarle a quelli che i privilegi li hanno ora. Visto che gli editori assumono sempre meno, facciamo pagare anche i non assunti. Così non solo io mi trovo non assunto (quindi niente tredicesima, niente liquidazione niente liquidazione extra (non mi ricordo il nome), niente Casagit) ma devo pure pagare per i privilegiati, che sono sempre meno e che per garantirsi i loro privilegi hanno bisogno dei miei soldi. Insomma un esproprio proletario al contrario. E non venite a parlarmi di come l'Inpgi pensi alla mia vecchiaia o cose del genere, perché l'andamento delle pensioni (sempre più basse) mi fa sperare per il peggio. Inoltre visto che non sono assunto potrò almeno gestirmi i miei soldi come voglio, scegliendo se fare un'assicurazione privata, se investire in fondi obbligazionari, se sputtanarmeli tutti in viaggi. Non, devo darli a chi sta meglio di me! Evviva, questo è il vero contributo di solidarietà. Ora capisco perché all'esame passano anche i peggio somari: hanno bisogno di carne da previdenza, di gente che gli paghi la pensione. Esattamente il contrario di quello che succede con gli avvocati, che vengono bocciati per non creare nuova concorrenza. Ovviamente l'Inpgi e l'Fnsi si guardano bene dal fare una visita a sorpresa nei palazzi dei grandi editori: scoprirebbero un esercito di abusivi. Ma forse è meglio di no. Dopo le testate al muro (visto che sono un pesce piccolo non provo a sgarrare altrimenti mi pescano subito e mi squamano) ho detto: «Ok, vediamo che vantaggi mi dà questo diavolo di Inpgi». Visto che voglio comprare casa ho chiesto per il mutuo: «No, ci spiace per voi dell'Inpgi 2 non è possibile». Evviva. Case in affitto? «Sì, forse quelle sì». Inoltre mi chiedo a cosa servano l'ordine e l'Fnsi. Non so come siano andate le trattative per questa figata dell'Inpgi2 (ne voglio andare a cercare i particolari, mi basta il presente, inutile andare a cercare nel passato) però vorrei proprio sapere come è possibile che si sia arrivati ad avere un carico previdenziale che pesa per il 2% sull'editore (che manco mi assume) e per il 10% su di me (che manco sono assunto). Vorrei sapere chi è il genio che ha concluso questa trattativa. Se non fosse per la speranza di essere un giorno assunto con il
contratto, rinuncerei immediatamente all'iscrizione all'ordine così
non dovrei subire questa espropriazione da parte dei privilegiati. Infine
l'ultima considerazione: a me è andata bene, il mio contratto di
Coordinata e continuativa è alla lettera. Dicevo prima persone serie
e lo sono: non ho orari, non devo rendere conto dei miei spostamenti o
assenze. Devo solo rendere conto del lavoro che va fatto. Quindi mi posso
organizzare e collaboro anche con altri giornali. La domanda per tutti
gli organi della professione però è: quanti contratti coordinati
e continuativi non sono altro che mancate assunzioni, visto che la gente
è poi obbligata di fatto a seguire orari da assunti. Perché
non andate a verificare questa realtà? Grazie per il sito che
è veramente bello. Ciao a tutti.
Be’, questo e’ un argomento interessante. Qualcuno, magari
dall’Inpgi, desidera replicare?
Ci montiamo su una bella discussione? Vedete voi.
Cordialmente. Vera Paggi Consigliere di amministrazione Gestione separata Inpgi
C'è qualcuno in questa categoria che difende i non assunti? Vorrei ricordare all'Inpgi che in un paese libero e democratico ogni cittadino deve poter essere lasciato libero di scegliere come gestire i propri soldi. Ho sognato di fare questo mestiere fin da piccola, ho faticato fra un giornale e l'altro per anni da abusiva per riuscire ad arrivare a Roma. Finalmente ci riesco, divento professionista e ottengo perfino un contratto di collaborazione coordinata etc, etc. Poi cosa vengo a scoprire? . Che essendo giornalista - non importa se te lo puoi permettere, se magari, dico magari, i soldi che guadagni ti servono per vivere - devo versare ben il 10 per cento a giornalisti di altre generazioni che di privilegi ne hanno certamente goduto. Ora io non dico di volere privilegi, ma, perbacco, lasciatemi libera di avere i miei soldi. Chi mi garantisce, con i tempi che corrono, che anch'io "da grande"
avrò la mia pensioncina? Me lo garantisce l'Inpgi2? O l'Ordine,
da cui mi sento così tutelata? Questi contributi anch'io come Sand
(lo chiamo così per affetto spero che lui accetti) li verso alle
casse dell'Inpgi 2, perché non ho parenti noti e, ovviamente, perché
non sono assunta da grandi e per questo intoccabili editori! A questo punto
mi chiedo perché nessuno si incuriosisca, perché nessuno
si prenda la briga di vedere come tanti giovani colleghi vivano. Come tanti
altri, anch'io sto facendo la mia sana gavetta e ne sono fiera, non mi
piacerebbe lavorare perché sono figlia, amica o parente di... Sono
fiera della mia gavetta, ma per piacere un po' di serietà e di giustizia
non guasterebbero. Forse io e Sand sembriamo crudeli e duri nei confronti
di tanti vecchietti. Caro Sand, ti do' un consiglio. Non arrabbiarti
e cerca di essere più buono e solidale. D'altronde questi vecchietti
non fanno niente di male. Non te la prendere se loro viaggiano in treno,
in aereo o in barca e tu a piedi. Così è la vita!
Ma purtroppo è una legge dello Stato ad obbligare i co.co. (coordinati e continuativi...) al versamento di una percentuale all'istituto di previdenza; nel nostro caso, diamo queste lirette all'Inpgi, che - per la verità - chiede effettivamente al nostro buon cuore uno sforzo economico maggiore di quello che l'Inps chiede ai suoi iscritti. Il fatto che sia la legge a prescrivere questo simpatico obbligo non diminuisce certamente la mia indignazione di giornalista professionista contrattista a termine e collaboratrice coordinata e continuativa e parasubordinata (quante cose ero, senza saperlo!). Tanto più che i casi sono due: - se sono dipendente, allora vorrei che i contributi me li pagasse il datore di lavoro; - se sono autonoma (e quanta retorica hanno fatto, i nostri organismi di categoria, sull'autoimprenditorialità?), vorrei poter decidere cosa fare del mio denaro. Comunque, ascoltate qua. Facciamo che prendevo - ipotesi - quindici milioni da lavoro dipendente con i miei contratti a termine (mai sentito parlare di sostituzioni estive qua e là per l'Italia?); facciamo che altri dieci mi arrivino dalle collaborazioni (facciamo, ho detto). Facciamo che sia ora di presentare la denuncia dei redditi. Allora: il datore di lavoro che mi ha assunto a termine come professionista mi ha trattenuto il minimo di Irpef, perché col reddito che ho guadagnato da lui raggiungevo solo l'aliquota di tassazione più bassa. Ma se ci si somma il mio reddito da co.co. - e a giugno lo devo ben fare - sorpresa: l'aliquota aumenta!!! Sul mio lauto compenso annuale di co.co. devo poi versare il dieci per cento all'Inpgi (e pensare che quel genio di Raffaele Morese propone di elevare al 23 per cento le ritenute previdenziali per i parasubordinati: ma questo qua dove vive?). In più, ho da pagare la casagit, l'iscrizione annuale all'ordine, e - chissà se gliene frega a qualcuno, del fatto che in questo Paese noi co.co. non possiamo detrarre le spese per la produzione del reddito... - quelle bollette Telecom Infostrada Tele2 Omnitel, quei pieni di benzina che servono per muovermi di qua e di là per lavoro, quelle gomme della macchina che consumo per spostarmi di qua e di là, e tutto quel che mi occorre per poter lavorare, compresi i computer che gestiscano immagini e filmati e quant'altro... Ora: leggo che la Fnsi, in sede di rinnovo contrattuale, si sta
acconciando a cedere tutto sui neo-assunti. Non m'aspettavo davvero che
cedesse sulle posizioni consolidate, per carità. Ma che pretenda
di essere ancora l'unico sindacato della categoria, beh, questo mi sembra
troppo. I miei interessi, cara Fnsi, divergono terribilmente da quelli
Per i giornalisti l'obbligo dell'iscrizione alla Gestione previdenziale separata per il lavoro autonomo è indicata dall'articolo 6 del Decreto legislativo 103/96 (comma 1, lettera a) e riguarda tutti i giornalisti iscritti all'Ordine, anche se già dispongano di una posizione previdenziale derivante da un rapporto di lavoro subordinato (giornalistico o non giornalistico). La legge dice: "Il presente decreto legislativo, in attuazione della delega conferita ai sensi dell'art. 2, comma 25, della legge 8 agosto 1995, n. 335, assicura, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale obbligatoria ai soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione senza vincolo di subordinazione, il cui esercizio è condizionato all'iscrizione in appositi albi o elenchi". L'Inpgi e l'Ordine, quindi, hanno attuato disposizioni legislative: va detto che la gestione separata è una cosa, quella dei giornalisti dipendenti un'altra. I conti e le casse sono divisi per legge. L'Inpgi peraltro ha adottato una decisione saggia e generosa (che la gestione separata dell'Inps non ha fatto). Dice il regolamento dell'Inpgi: "Ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto utile il periodo di contribuzione nell'assicurazione obbligatoria IVS o in forme sostitutive, esclusive o esonerative e nella Gestione Previdenziale Separata, costituita in favore dei giornalisti che svolgono attività autonoma di libera professione anche sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa". I periodi legati all'Inpgi 1 e all'Inpgi 2 sono uniti.
Non è poco. Voglio dare a Sandokan e ai lettori del "Barbiere
della sera" una notizia, di cui ho parlato su "Il Sole 24
Ore" del 7 settembre: una recentissima direttiva Ue impone alle
aziende di pagare le fatture entro 30 giorni, anche quelle dei giornalisti
liberi professionisti. La notizia può essere sintetizzata così:
"E' finita la pacchia per gli editori: giustizia per i giornalisti free
lance. Anche le professioni
Gli editori dovranno rispettare la direttiva comunitaria e pagare
le collaborazioni entro trenta giorni. Un tempo incredibilmente corto rispetto
ai 4-8 mesi di oggi. Giustizia per i giornalisti liberi professionisti
o free lance!!! Era ora. Dal tavolo delle trattative così è
stato tolto un macigno enorme, che aveva contribuito a determinare un clima
di scontro tra Fnsi e Fieg. Cordiali saluti,
1) dal 1995 esiste in Italia un obbligo di legge in base al quale qualunque reddito da lavoro deve essere assoggettato alla contribuzione ai fini pensionistici (il 10%). A tale obbligo sono soggetti indistintamente tutti i cittadini. Sia con quelli con un contratto da consulente, sia quanti esercitano forme di collaborazione coordinata e continuativa, sia quanti esercitano la libera professione. Tale obbligo fu introdotto per due ragioni: anzitutto, contrastare la 'furbata' di molti datori di lavoro che sostituivano i rapporti di lavoro dipendente con rapporti di consulenza, al fine di non pagare i contributi. In secondo luogo, tale norma fu introdotta per far si' che anche i protagonisti (a volte, loro malgrado) di forme di lavoro flessibile e non sempre disciplinato da dipendenza piena, avessero una qualche tutela previdenziale. 2) la legge obbligava tutti i cittadini a iscriversi presso una speciale cassa amministrata dall'Inps, quella dei cosiddetti 'lavoratori parasubordinati'. Con una sola esclusione : i liberi professionisti (avvocati, ingegneri, notai, ecc.) gia' obbligati dai rispettivi ordinamenti a versare i contributi alle proprie casse di previdenza. Nel 1996 l'Inpgi, l'Ordine e la Fnsi, d'accordo con la Fieg, chiesero al ministero del lavoro di esentare i giornalisti dall'obbligo di versare i propri contributi all'Inps, e di consentire che il versamento venisse fatto presso un'apposita cassa autonoma costituita presso l'Inpgi, quella che poi prese il nome di ''Gestione separata''. 3) Dopo qualche tempo il ministero del lavoro ha riconosciuto fondata tale richiesta ed ha previsto per i giornalisti iscritti all'albo l'obbligo di versare il famoso 10% all'Inpgi, anziche' all'Inps. 4) I soldi che ogni singolo contribuente versa alla 'gestione separata'' dell'Inpgi non servono a pagare le pensioni dei giornalisti che hanno gia' lasciato il lavoro (chi ha mai detto una sciocchezza simile ?). Quei soldi servono a pagare le pensioni degli iscritti alla stessa ''gestione separata''. Cio' che non accade all'Inpgi, pero', accade invece all'Inps: li' si, infatti,i contributi versati alla cassa dei lavoratori parasubordinati finiscono nel calderone unico da l quale vengono prelevati i fondi per pagare le pensioni ogni fine mese. Ma questo appartiene appunto, all'Inps. 5) I soldi versati alla ''gestione separata'' vengono gestiti da un comitato amministratore di cui fanno parte il presidente dell'Inpgi e il suo vice, nonche' i rappresentanti degli stessi contribuenti, eletti su scala nazionale. Il bilancio della 'gestione separata' e' totalmente autonomo e indipendente da quello del cosiddetto Inpgi 1, quello cioe' cui sono iscritti gli articoli 1 e gli articoli 2 professionisti. 6) I soldi versati all'Inpgi daranno diritto ad una pensione, il cui importo sara' proporzionale ai contributi versati. Chi avra' versato tanti contributi ricevera' una pensione piu' alta, chi avra' versato poco, poco avra'. Il sistema di calcolo di queste pensioni e' quello considdetto a capitalizzazione, con una serie di aggiustamenti tecnici il cui dettaglio vi risparmio in questa sede. 7) Per una serie di circostanze legislative, che qui e' inutile ricordare, i giornalisti iscritti all'Inpgi 2 oggi continuano a versare il 10% del loro reddito (anche se spesso ce ne rimettono un altro 2 %, visto che molte aziende si rifiutano di pagarlo). Gli iscritti all'Inps versano invece gia' il 13%, e in breve tempo l'aliquota arrivera' al 19%. 8) Al di la' dell'obbligo di legge, la convenienza dei versamenti all'Inpgi 2 per i giornalisti e' totale: intanto quei soldi sono deducibili dalle tasse per intero; inoltre, se uno versa per meno di 5 anni, puo' chiedere al momento del pensionamento di ricevere indietro il capitale versato debitamente rivalutato; in terzo luogo, i suoi contributi potranno essere 'totalizzati' con quelli versati all'Inpgi 1 ai fini del diritto alla pensione, cosa che invece con l'Inps non sarebbe possibile; infine, la pensione dell'Inpgi 2 e' totalemtne cumulabile con quella dell'Inpgi 1, anche se si riferiscono allo stesso periodo di lavoro. Credo che tali osservazioni siano sufficienti a diradare qualche dubbio inutile, anche se sono comprensibili le lamentele di chi guadagna poco e da quel poco deve pure detrarre ulteriori somme per far fronte agli obblighi derivanti dalle leggi in vigore. Non trovo comprensibile invece il tentativo di 'sparare'
nel mucchio di quelli che hanno l'articolo 1, che vengono dipinti quasi
come dei profittatori. Sicuramente ci saranno dei raccomandati che hanno
ottenuto piu' di quanto avrebbero meritato, ma ci sono e sono la maggioranza
anche quelli che hanno fatto enormi sacrifici, che hanno studiato tanto
e fatto tanta gavetta, che si sono guadagnati lo spazio lavorando come
dannati, e che sanno svolgere questa professione con grandissima dignita'.
In ogni caso, non e' detto che nella vita tutti debbano fare i giornalisti,
solo perche' alcuni gia' lo fanno . Cordiali saluti
Provate a chiedere ai vostri colleghi che lavorano per qualche importante gruppo editoriale. Loro (e probabilmente molti altri) sì che sono fortunati. Loro, l'INPGI2, non sanno neppure che cosa sia. Il by-pass funziona così: certe aziende anzichè acquistare per una sola volta e per un solo giornale un pezzo, lo acquistano come se fosse un libro o una canzone: per sempre. I vantaggi sono enormi. Il giornalista paga le tasse su un imponibile ridotto del 20 per cento e non paga il 10 per cento di INPGI2. L'editore non paga il 2 per cento a suo carico di INPGI2 e in teoria potrebbe anche pagare di meno convincendo il free-lance che il lauto bottino in qualche modo va pur diviso. In più, se volesse ripubblicare gli articoli in Italia o all'estero, on-line o off-line, non dovrebbe pagare ulteriori diritti al free-lance. Così funziona, cari amici, ma... Ma cosa succede se la Finanza (magari imbeccata dall'INPGI2 che ha visto negli ultimi due anni ridursi paurosamente le entrate) decide di contestare agli editori e ai giornalisti questa simpatica consuetudine? Cosa succede se il raggiro viene scoperto e giornalisti ed editori si troveranno insieme imputati di associazione a delinquere finalizzata all'evasione fiscale? Certo, gli uffici legali delle case editrici sanno il fatto loro,
ma in caso di contenzioso con il fisco al piccolo giornalista cosa succederà?
Il problema è serio perchè mette i free-lances nelle condizioni
di rischiare molto per il solito, insufficiente, insultante pezzo di pane.
E l'INPGI2 cosa dice? Per ora niente. sarebbe auspicabile un suo
autorevole intervento sulle pagine del BdS.
Ma ho tanta, tanta, tantissima voglia di evadere. Filippo
Paolo Ps. Perché la FNSI, che difende la categoria, non procede d'ufficio dopo aver fatto, sempre d'ufficio, magari con la collaborazione dell'INPGI, periodiche verifiche amministrative nelle aziende editoriali?
1) Non è vero, come tu dici, che gli iscritti all'Inps versano il 13% e quelli all'Inpgi 2 il 10%. Gli iscritti all'Inps versano UN TERZO del 13%, cioè il 4,33%, mentre gli altri due terzi sono a carico del datore di lavoro. Per gli iscritti all'Inpgi 2 l'intero 10% è a carico del collaboratore. Anche quando l'aliquota sarà al 19%, il collaboratore verserà il 6,33%, quindi meno di quanto spetta oggi all'iscritto Inpgi 2. 2) Il costo complessivo dei contributi Inpgi 2 è del 12%, grazie al 2% aggiuntivo versato dal datore di lavoro (contro l'8,66% che verserebbe a un collaboratore Inps). Ma, attenzione, non tutto questo 12% finisce al conto previdenziale, bensì solo l'83%. Il rimanente 17% viene intascato dall'Inpgi 2 per spese di gestione e per costituire un fondo di riserva. Nessun istituto previdenziale pubblico o privato ha commissioni di gestione così elevate. Per recuperare i soldi versati all'Inpgi 2 dal lavoratore e dal datore di lavoro, bisogna sperare che il fondo previdenziale renda il 20%. Ipotesi da considerare più l'eccezione della norma. 3) Franco riconosce che spesso le aziende non versano il loro 2%,
ma omette di ricordare che in questo caso l'Inpgi 2 non si rivale sull'azienda
ma sul collaboratore, tenuto a versare anche le somme non di sua competenza.
Unico caso in cui il sostituto d'imposta è la parte debole del rapporto
di lavoro.
Brillantina professionista co.co (collaboratrice coordinata e continuativa)
Inoltre non per tutti vale il discorso: «mi dai 2 milioni netti, aumentiamoli del 10% visto che mi pago io l'Inpgi». La risposta, con il sorriso liberale sulle labbra, è «Ti avrei dato 1 e 800, ma visto che c'è l'Inpgi ho arrotondato a 2». Balle, mi avrebbe dato comunque 2!! Inoltre se come Franco & Franco (Abruzzo) sostengono l'Inpgi2 è così bella (quasi una favola direi) perché è obbligatoria? Se fosse realmente così bella non dovrebbe essere obbligatoria, tutti si iscriverebbero spontaneamente. Inoltre Franco dimostra di ben conoscere la realtà: molti editori non pagano il loro 2% (avranno paura di fallire?). Quindi anche questo ricade sulle nostre spalle. Perché l'Inpgi non manda gli ispettori a verificare. Sono certo che se sgarro io, Federica o Marianna, ci prendete per squamarci per bene. E gli editori? E non parlo solo di piccoli editori, lo fanno pure le grandi realtà. Prego, "sguinzagliate" gli ispettori! Infine una risposta al buon Franco: la sua frase «In ogni
caso non è detto che nella vita tutti debbano fare i giornalisti,
solo perché alcuni già lo fanno» non può passare
inosservata. Probabilmente il caro pezzo grosso dell'Inpgi è nato
e cresciuto in un'altra epoca. Io ho dimostrato di saper fare questo lavoro,
e le dimostrazioni sono arrivate da miei pezzi e servizi pubblicati anche
da quotidiani e settimanali nazionali di grande diffusione (non giornaletti
parrocchiali). Certo, non sono un fuoriclasse ma sono in grado di svolgere
questo lavoro in maniera seria, questo lo dicono i fatti. Probabilmente
se le condizioni fossero ancora quelle di una volta sarei già stato
assunto e avrei avuto la possibilità di imparare ancora meglio la
professione, lavorando a stretto contatto con colleghi con decine d'anni
di esperienza. Questo per ora non mi è successo, ma non dispero.
Comunque è una situazione comune a molti colleghi giovani, che (piaccia
o meno) va a impoverire la professione in generale. Di questo gli organi
di categoria dovrebbero preoccuparsi. Probabilmente anche il buon Franco
se fosse un giovane giornalista di oggi si troverebbe alle prese con un
contratto di coordinata e continuativa, la ritenuta d'acconto del 20%,
l'inpgi al 10% ecc ecc.
Nel leggere la "furbizia" suggerita da Gambadilegno,
mi sembra di rivedere tutto quel pressappochismo di tanto giornalismo italiano
che in questi anni e' riuscito a far perdere a molti lettori la fiducia
nella nostra professione e professionalita'. Allora, qualche chiarimento
(ma sono a disposizione dei colleghi per tutti i dubbi che volessero chiarirsi,
o in caso volessero lanciare pomodori agli amministratori) sull'Inpgi2.
L'Inpgi2 non ha problemi finanziari, caro Gambadilegno. E'
una Gestione separata (si chiama separata proprio perche' non ha nulla
a che fare con l'Inpgi1), nella quale confluiscono solo esclusivamente
i versamenti previdenziali dei giornalisti freelance, regolarmente iscritti
a questa gestione. Questi colleghi sono oltre 9000 (dati aggiornati al
1 settembre 2000).
Dal 1996 a oggi, gli iscritti hanno versato complessivamente all'Inpgi2, 45 miliardi di lire. Questi soldi non servono per pagare le pensioni dei giornalisti dipendenti, come qualcuno ha erroneamente scritto, ma alimentano conti individuali. Piu' verso, piu' metto via, piu' soldi avro' alla fine dell'eta' lavorativa. Questi soldi, pero' non stanno "fermi" (per fortuna, senno' fra vent'anni non resterebbero che noccioline). Innanzitutto, Il 10% del reddito netto fiscalmente dichiarato, che i colleghi versano annualmente, viene (sempre annualmente) rivalutato di una percentuale pari al prodotto interno lordo riferito al quinquennio precendente la rivalutazione. La rivalutazione effettuata sul bilancio '99 e' del 5,3597% (netta),
quella stimata per il 2000 e' del 4,70%. Il 2% versato dagli editori serve
invece a coprire le spese generali di gestione della cassa, le percentuali
di rivalutazione, e il Fondo di Riserva (da cui vengono attinte le disponibilita'
per far fronte alle pensioni di invalidita', sempre dei freelance, ma finora
pari a un esborso zero). Una volta dedotte le spese, la rivalutazione,
l'accantonamento, il totale versato viene reinvestito in titoli mobiliari.
Nel 1998, questi investimenti (in fondi comuni e gestioni partimoniali
obbligazionarie) hanno dato un rendimento del 20,8%; nel 1999 il rendimento
e' stato dell'11,7%.
Chiarito di chi sono, dove finiscono e quanti sono questi quattrini, chiariamo il secondo punto, e cioe' chi li deve versare. Tutti i giornalisti iscritti all'albo (pubblicisti e professionisti) che svolgano attivita' di lavoro autonomo e tutti i dipendenti che prestino la loro attivita' professionale, al di fuori del loro rapporto di lavoro subordinato. E cioe' chi ha un contratto regolato dal codice civile di attivita' coordinata e continuativa, chi ha la partita Iva, chi non ha un contratto ma viene pagato a prestazione 9i cosiddetti occasionali). Chi e' iscritto all'albo dei giornalisti (pubblicista o professionista), non svolge attivita' occasionale quando scrive un pezzo, fa un'inchiesta, insomma fa il proprio lavoro. L'occasionalita', che fa decadere l'obbligo di versare il 10(+2)%, riguarda solo la "natura" della prestazione, e non la "quantita'". Mi spiego: se un giornalista, nel tempo libero, fa anche il barbiere, non dovra' versare nessun contributo previdenziale all'Inpgi e nemmeno all'Inps, perche' quell'attivita' di barbiere non rientra nelle sue prerogative professionali. Se invece scrive articoli, anche solo 3 volte all'anno, su quegli articoli dovra' versare il contributo previdenziale. La legge che istituisce l'Albo dei giornalisti prevede che fra i
requisiti per l'iscrizione anche all'albo dei pubblicisti, ci sia la non
occasionalita' dell'attivita'. Le migliaia di pubblicisti iscritti all'Ordine,
che nella vita fanno altro e scrivono un articolo o due all'anno, dovrebbero
essere cancellati dall'Albo, cosa che la maggior parte degli ordini Regionali
si guarda bene dal fare. Ma questo e' un altro argomento sul quale varrebbe
la pena aprire piu' di una pagina.
E veniamo al diritto d'autore. C'e' una legge che regola la cessione
del diritto d'autore e vi invito ad andarvela a leggere. Per quanto riguarda
i giornalisti, articoli, inchieste, rubriche, sono attivita' professionale
e non cessione di diritto d'autore. A meno che non abbiate scritto un libro,
ideato e curato una trasmissione radiofonica o televisiva, ideato un sito
Internet, fornito i testi per un programma radiofonico o televisivo. Il
resto e' attivita' professionale. Gli editori lo sanno bene, ma cominciano
a saperlo anche i colleghi. Chi accetta, senza denunciarlo, un contratto
di diritto d'autore per la cessione di articoli, inchieste e cosi' via,
rischia due volte: di pagare per evasione fiscale, e di dover pagarsi i
contributi previdenziali oltre alle sanzioni.
Naturalmente, sull'equita' di questo sistema di previdenza, piuttosto
che su un regime fiscale che penalizza i giornalisti freelance e favorisce
gli editori, sulle tariffe vergognose che gli editori pagano per gli articoli,
le inchieste, le foto e chi piu' ne ha piu' ne metta, ci sarebbero da dire
tante cose, e come amministratori dell'Inpgi2, tante cose abbiamo gia'
detto e ancora diremo e faremo, ma vorrei - e concludo questa lunga ma
doverosa risposta - che tutti i colleghi freelance riflettessero
sul proprio futuro. L'Inpgi2 non e' una tassa, e' un accantonamento previdenziale.
E' uno strumento per garantirsi la vecchiaia.
Del resto Vera Paggi sa benissimo quali sono gli editori che praticano questo malcostume e credo che proprio l'INPGI2 possa e debba fare due operazioni sacrosante: informare meglio i colleghi sui vantaggi della gestione separata e agire sugli editori per evitare ulteriori scorciatoie. Ancora una cosa: la comunicazione che ricevo dall'INPGI2 è sicuramente abbondante. Ma è troppa e non sempre chiara. La dimostrazione è in alcuni degli interventi sul BdS: molti iscritti sono assolutamente fuori strada. Forse uno sforzo di chiarezza sarebbe produttivo. In fondo se dobbiamo pagare almeno ci si metta in condizione di farlo con un mezzo sorriso sulle labbra. Gambadilegno
Quello che voglio dire non può prescindere dalla mia esperienza: forse dovremmo iniziare a raccontare di più le nostre storie. Ci farebbero capire che poi sono molto simili. o in 5 anni ho cambiato più volte status: prima collaboratore (inizialmente bisognava iscriversi all'Inps), poi assunto in contratto di formazione lavoro, poi riconosciuto il praticantato d'ufficio, poi disoccupato, ora "lavoratore autonomo?". Quest'anno ho versato circa 5 milioni lo scorso 28 agosto. Per chi ne guadagna quanto me significa non prendere lo stipendio per due mesi. Ho 33 anni e una famiglia. Solo per "seguire" le mie vicende previdenziali e per capire come muoversi per non incappare in multe, sanzioni e illegalità ho speso giornate intere. Inoltre, anche se gli uffici dell'Inpgi, si sono dimostrati estremamente
disponibili e gentili, a me risulta, proprio da un colloquio telefonico
(abito in provincia) che non è possibile ricollegare le due posizioni
Inpgi 1 e Inpgi 2. Dovè la verità? Abruzzo dice una
cosa l'Inpgi un'altra? E proprio agli amici Franco
& Franco chiedo: ma non non vi abbiamo
chiesto di avere la pensione. perchè non ci avete almeno intepellato?
Chi si può permettere di gestire i nostri soldi senza chiederci
nulla? Ve lo immaginate se avessero deciso un contributo di 5 milioni per
un pensionato medio della nostra categoria quanta gente si sarebbe stracciato
le vesti? Voglio inoltre farvi notare che sul mio stipendio grava anche
un carico fiscale determinato dalle tasse che questo Paese oggi è
costretto a far pagare per risanare un debito (due milioni e mezzo di miliardi:
si scrive così, 2.500.000.000.000.000) creato dalle generazioni
che mi hanno preceduto e che hanno governato questo Paese.
Vorrei poi aggiungere caro Franco (2) che è vero che non bisogna fare per forza i giornalisti: a quelli come me, figli di operaio, tu avresti fatto fare chiaramente l'operaio. Magari minacciandolo di usare un extracomunitario al posto mio se avessi avuto il coraggio di chiedere un aumento salariale. E' chiaro che questo accadrà tra breve: quando il tuo omonimo (che mi risulta insegni nelle scuole) sarà riuscito a far passare l'idea che bisogna laurearsi in giornalismo per fare questo mestiere (quando mi risulta già che ormai alle stesse scuole accede solo chi può permetterselo?). Ma non era un certo Einaudi (che non mi risulta essere stato
un comunista) a dire che il giornalismo, come la politica, non si può
imparare nelle scuole. La mia impressione è che la situazione è
già ormai irrecuperabile. Questo Paese ha già le caste (o
forse sono le corporazioni di "ventennale " memoria che ritornano?) e quelli
che come me stanno scrivendo su questo onesto foglio altri non sono che
i reietti, gli scarti, di questa corporazione. Non perchè non sono
bravi giornalisti, anzi... Ma perchè non sono conformi a questa
corporazione... E l'Inpgi due è il nostro dazio, la nostra tassa
sul pane... saluti
Gli altri ordini professionali, d'intesa con le università,
perseguono un'accorta politica di numeri "controllati" per l'accesso alla
professione. Soltanto l'Ordine dei giornalisti fa una politica dissennata
e riversa sul mercato centinaia di disoccupati l'anno, destinati a pesare
sull'Inpgi e ad inflazionare la domanda di lavoro, con il naturale effetto
di farne precipitare il valore di mercato.
Su questa prima follia s'innesta la follia, e la solenne ingiustizia, di contratti nazionali che discriminano in maniera immorale i nuovi assunti, che hanno stipendi da fame. Io mi vergogno a lavorare fianco a fianco con colleghi bravi quanto me, che fanno lo stesso lavoro con uguale impegno, e prendono un terzo di quello che prendo io. In realtà poi, quello che il sindacato fa a noi privilegiati è un favore a doppio taglio, perché in cambio di un denaro in più oggi ci espone al rischio di venir licenziati per essere sostituiti con colleghi che costano meno. Questo rischio, nei piccoli giornali, è ben concreto: soltanto
i pochi che lavorano in grandi gruppi editoriali o per la Rai, dove gli
stipendi li paga Pantalone, possono stimarsi abbastanza forti da conservare
i loro privilegi ancora per vent'anni. Per tutti noi altri, temo, prima
o poi la distanza abissale che di contratto in contratto si sta creando
tra il valore di mercato del lavoro giornalistico e il costo di un giornalista
assunto anni fa determinerà la nostra espulsione. Anche noi, come
i disoccupati creati dall'Ordine, andremo ad arricchire le schiere dei
service e dei colleghi pronti a tutto pur di portare a casa la pagnotta,
con ulteriori aggravi per l'Inpgi e inasprimento della concorrenza ai "privilegiati"
rimasti.
E l'Inpgi? Avete dimenticato le lettere e gli articoli di Cescutti, di Serventi Longhi e di altri stimatissimi colleghi, quando la legge ci consentiva di optare per l'Inps? Io le conservo e qualche volta, in redazione, le rileggiamo ridendoci sopra con amara ironia. Mentre potevamo optare per l'Inps, l'Inpgi ci venne dipinto come il paradiso terrestre, come l'ente previdenziale più solido della terra. In un'occasione, su un giornale di categoria, un collega assai stimato, che ora ha una posizione importante all'Inpgi, giunse a dare testualmente dello stupido a chi fosse stato tanto pazzo da lasciare i vantaggi dell'Inpgi per affidarsi all'Inps. Pochi mesi dopo averci così dipinto l'Inpgi, quegli stessi
colleghi o i loro compagni di corrente vararono la prima "manovra" che
dimezzava i cosiddetti vantaggi dell'Inpgi e noi scoprimmo esterrefatti
che il solidissimo Inpgi spendeva quasi il 100 per cento di quanto noi
accantonavamo per pagare le pensioni in essere, e che bastava la crisi
di un paio di giornali per mettere a repentaglio i conti. Se vi fosse un
sindacato vero, vi sarebbero gli estremi per ricorrere al giudice per ottenere
ad personam la riapertura dei termini per l'opzione verso l'Inps, per esserci
stata allora falsamente rappresentata una solidità dell'Inpgi che
si è rivelata inesistente, tanto che oggi si parla di ulteriori
tagli e aggravi di contributi, che allineereanno in pratica le prestazioni
Inpgi a quelle Inps, con l'handicap di una ben minore solidità e
con l'assenza di paracadute: se l'Inpgi va a rotoli, a noi ci danno la
pensione minima sociale. Ma questo non fa certo paura a chi intanto sarà
andato in pensione con sei, otto, dodici e venti milioni al mese.
L'Inpgi, poi, investe ancora una parte importante dei propri capitali
nella disastrosa gestione di un patrimonio immobiliare che rende, se ho
ben capito, l'uno per cento, cioè distrugge capitale se si tien
conto dell'inflazione. Evidentemente l'obiettivo primo della gestione di
questo patrimonio non è garantire una buona redditività per
finanziare le future pensioni, ma permettere ai padroni del quadrilatero
sindacale di fare favori e cortesie a politici e vip, mettendo a loro disposizione
appartamenti di pregio a buon prezzo. Tanto, paghiamo noi.
L'Inpgi2 fa parte di questa "grande fregatura" non perché
il denaro raccolto dagli autonomi serva a finanziare le pensioni dei lavoratori
dipendenti, il che non è vero, ma perché estende il monopolio:
una dinastia di sindacalisti è padrona del sindacato unico, dell'assistenza
sanitaria, decide a chi dare le case, ora è padrona anche delle
pensioni degli autonomi. E se avete la pazienza di leggere le letterine
buoniste e solidariste dei padroni dell'Inpgi2, e riuscite a confrontarle
con le condizioni praticate all'Inps, scoprite che l'Inps ci costava meno.
Pensate che quel 2% che costituisce il "vantaggio" presunto, essendo la
quota versata dall'editore, non va ad irrobustire il vostro castelletto
individuale, ma viene requisito dai Signori dell'Inpgi2 a copertura delle
spese di amministrazione e per imprecisate iniziative solidaristiche. Siccome
il versamento totale è del 12%, il 2% rappresenta un sesto dell'intero
versamento: credo non esista al mondo un ente previdenziale tanto rapace
da rubare UN SESTO delle somme accantonate per le proprie spese
di funzionamento e per altre spese, comunque discrezionali del consiglio
d'amministrazione e comunque sottratte al castelletto individuale.
Ulteriore ruberia, e vera tassa impropria a favore dell'Inpgi2, sta nel fatto che i giornalisti, sol per il fatto d'essere iscritti all'Ordine, siano tenuti ad aprire una posizione Inpgi2, a compilare burocrazie peggiori di quelle del fisco nazionale, a pagare denari su collaborazioni del tutto occasionali, che non faranno mai maturare una pensione. Capisco che chi fa di mestiere il free lance, o comunque ricava una fetta importante del proprio reddito dalle collaborazioni giornalistiche possa essere obbligato ad accantonare somme per la pensione. Ma le migliaia di colleghi che come me ricavano il 99 per cento
del proprio reddito dal lavoro dipendente, e occasionalmente, magari una
volta sola, hanno prestato collaborazione autonoma, perché debbono
venir espropriati, oltre che delle tasse, anche del 10 per cento, e accantonarlo
all'Inpgi2 per decenni? Chi versa, come me, il minimo o poco più,
e magari per un anno solo, o non avrà la pensione o avrà
una pensione che non basterà per le sigarette: quel 10 per cento
è dunque una tassa, e basta.
Ma vi è un'altra pensione Inpgi: quella integrativa. I famosi
fondi pensione, ricordate? Quelli che dovevano fondarsi sulla "volontaria
adesione" e dovevano essere in competizione tra loro. Bene: noi giornalisti
con qualche anno di anzianità siamo stati automaticamente iscritti
al fondo pensione Inpgi, ci è proibito di optare per un altro fondo.
A tutt'oggi, in barba a precise ed esplicite garanzie di legge, non sappiamo
neppure a quanto ammontano le somme che dovrebbero essere state accreditate
sulle nostre posizioni individuali negli anni di precedente funzionamento
del fondo. Non sappiamo né quando, né se, né come,
né a quale prezzo potremmo, volendo, svincolarci da questa dittatura
e iscriverci ad altro fondo. I prelievi in busta paga invece, sono iniziati
puntualissimi. Anche qui, se le condizioni fossero così favorevoli,
perché ci obbligano a iscriverci e a restare iscritti, quando invece,
avendo la pensione principale all'Inpgi, sarebbe saggio, se non altro per
diversificare il portafoglio, fondare la pensione integrativa su un fondo
pensione che con l'Inpgi non abbia nulla a che fare?
E infine, la Casagit. Ci costa parecchi milioni all'anno.
Basta avere una famiglia e un reddito giornalistico medio per dover pagare
somme vicinissime ai dieci milioni l'anno. Ho fatto una verifica presso
un broker e ritengo che con la metà delle somme che pago alla Casagit
sarebbe possibile sottoscrivere polizze assicurative collettive che forniscono
pari o migliori prestazioni. Poco tempo fa, poi, tanto per favorire la
famiglia, la Casagit ha raddoppiato di soppiatto la quota-coniuge. Raddoppiato,
capite? Ed esteso la copertura al "coniuge" omosex, perché così
tira il vento. Ad ogni lettera dalla Casagit, mi aspetto prelievi aggiuntivi.
E mi piacerebbe fare un'inchiestina di ispirazione leghista, perché
ho l'impressione che in certe parti di questo paese i giornalisti abbiano
in media almeno 80 denti in bocca. Chissà se la Casagit mi fornirebbe
i dati disaggregati per Regioni...
Uno: eccepisco intorno al fatto che gli interessi rappresentati siano quelli di tutti, e ne fa fede la storia recente del sindacato, che - legittimissimamente - rappresenta i legittimi interessi di chi ha un legittimo lavoro a tempo indeterminato in una legittima testata. Mi va bene, mi va benone: ma non stiamo a raccontarcela, per favore. Due: io sono una che a impegnarsi nel sindacato ha provato, con
passione, partecipazione ed entusiasmo. Ebbene: è andata a finire
che sono stata estromessa (e che, naturalmente, ho preferito lasciarmi
estromettere perché la mia vita ha altre battaglie da fare, per
le quali mi occorre conservare energie). Nessun vittimismo, ci mancherebbe
altro: è perfettamente giusto che chi politicamente non "vince"
resti minoranza, e magari anche isolato. E' normale che chi porta idee
diverse da quelle della maggioranza debba misurarsi con le cifre che ne
attestano la "minorità". Ma per favore, non invitateci più
a fare attività sindacale. Fate voi, fate voi: avete voluto fare,
da soli, per tutti gli altri? Adesso, per favore, fate! Ma lasciateci in
pace. Grazie
Il primo lo rivolgerei ad Alvise, ma solo perche' nell'impaginazione del Barbiere e' arrivato per primo. Allora, tu dici che le istituzioni della categoria (oltre al sindacato), e cioe' Casagit e Inpgi, sono monopolizzate da una dinastia di sindacalisti. Vero. Per statuto i giornalisti in entrambi gli istituti fanno parte degli organismi amministrativi. Naturalmente il motivo e' che visto che paghiamo (come categoria) per questi istituti, non si vede perche' ad amministrarli debbano essere altri. Ma tant'e'. Quello che pero' non dici, e' che queste cariche sono ELETTIVE, gli iscritti alla Casagit votano i nomi dei loro amministratori e se non piacciono, visto che siamo in uno stato democratico, si possono cambiare: alle prossime elezioni basta non votarli piu', o votarne altri. Lo stesso vale per l'Inpgi (l'Uno e il Due). Ti pare? Per quanto riguarda il presunto "furto" di un sesto dei versamenti che i colleghi fanno alla gestione separata, ti invito a leggere la relazione al bilancio consuntivo '99 approvato dal Comitato amministratore e fatta dal presidente Cescutti (nel sito dell'Inpgi alla voce Archivio circolari). E' vero poi quando dici che nessuna gestione patrimoniale si trattiene
un sesto di quanto versano i risparmiatori. Peccato che la legge (Decreto
legislativo 103/96) l'abbia fatta il Parlamento e non l'Inpgi.
Come amministratori lo sappiamo bene e il nostro impegno a batterci per
una modifica della legge riguarda questo e altri delicati punti cui ho
gia' accennato nel mio precedente intervento. Ma di questo dobbiamo davvero
continuare a parlare perche' ci sia possibile, come amministratori, fare
tutte le dovute pressioni presso i ministeri vigilanti (Lavoro e Tesoro)
per "correggere" tutto quello che dell'Inpgi2 non funziona. Una "correzione"
che purtroppo non dipende dalla buona volonta' ne' del Presidente, ne'degli
amministratori, ne' del Direttore generale. Infine, per dovere di cronaca,
aggiungo che anche l'obbligo per i lavoratori dipendenti, di versare sulle
collaborazioni occasionali il 12%, dipende dalla legge istitutiva della
gestione separata.
A Federica, invece, vorrei dire: personalmente non ho un
legittimo lavoro a tempo indeterminato, ne' pretendo di rappresentare i
diritti di tutti cui avevo accennato. Ma, cara Federica, l'impegno, le
proposte, la disponibilita' ad esserci sono indispensabili se si vuole
contare, se vogliamo che queste idee e proposte trovino interlocutori e
consensi. Certo, non e' facile essere "minoranza", ma ti invito ad esserci,
a recuperare la tua passione per la battaglia sindacale, perche' questo
sindacato di passione ne ha davvero bisogno.
1. Leggo che Vera Paggi, nostra rappresentante sindacale, scrive: «Dal 1996 a oggi, gli iscritti hanno versato complessivamente all'Inpgi2, 45 miliardi di lire. Questi soldi non servono per pagare le pensioni dei giornalisti dipendenti, come qualcuno ha erroneamente scritto, ma alimentano conti individuali. Piu' verso, piu' metto via, piu' soldi avro' alla fine dell'eta' lavorativa». Dando un'occhiata ai bollettini che io, freelance, pago ogni anno all'INPGI 2, noto tre voci, di cui la terza suona come "contributo maternita'". Ora, se e' vero che i miei soldi alimentano un "conto individuale" e non un calderone unico in cui si mescolerebbero con i contributi dei miei compagni di sventura, mi chiedo quando mai potro' usufruire di questo contributo. Resteranno quei soldi nelle casse dell'ente, o cosa? 2. checche' se ne dica, l'INPGI 2 e' nata male e cresciuta peggio: lo dice uno che l'ha vissuta in prima persona. Non mi dilungo sul come nel 1996 il numero verde appositamente istituito dall'INPGI non sapeva dirci con certezza se dovevamo iscriverci all'INPS o aspettare il protocollo d'intesa con il nostro ente prima di versare il dovuto 10% (particolare: la direttiva ministeriale era stata emanata ormai da settimane). Non mi dilungo nemmeno sul fatto che oggi, a causa di questa assenza di assistenza, mi ritrovo a pagare per la seconda volta i miei contributi, stavolta *tutti* di tasca mia, visto che gli editori non pagano di certo un secondo dazio, specie a distanza di quattro anni, rischiando di crearsi tutta una serie di problemi fiscali e amministrativi. Quel che mi preme chiedere e': perche', dopo quattro anni, non c'e' ancora uno straccio di certezza? Nel 1997 mi si disse "paga l'INPS", nel 1998 "non occorreva che
pagassi", nel 1999 "paga anche l'INPGI e l'INPS verra' restituita, anche
se e' ancora da decidere a chi" (giornalista o azienda); oggi, nel 2000,
l'INPGI mi informa non solo che non si sa ancora se questa benedetta INPS
verra' restituita a noi o alle aziende (soluzione, quest'ultima, ignobile:
figurarsi se un'azienda ci girera' mai questi soldi, una volta ricevutili),
ma addirittura che c'e' una terza opzione: che i soldi vengano girati dall'INPS
dritti dritti alle casse dell'INPGI. Insomma, io che ho fatto il classico
perche' di matematica ne capivo poco, sono confuso. Ho perso giornate tra
scartoffie, telefonate a Roma, ragionamenti, ricalcoli, fax e telefonate
alle aziende; e oggi non so piu' nemmeno cosa chiedere agli editori in
questione, perche' manca una pur minima parvenza di certezza del diritto.
Gentile signora Paggi, mi illumini lei, se sa e se puo'. Gliene
saro' grato. Cordialmente,
1) Per fare i free lance non basta essere bravi giornalisti. La professionalità è importante, certo (e tutti sanno, anche se fanno finta di non saperlo, quanta ne manca all'interno di una categoria approssimativa e rapace come la nostra), ma per vivere da "autonomi" ci vuole ben altro: determinazione non comune, capacità di riciclarsi, prontezza d'intuito, forte senso della deontologia, cultura generale elevata, fiuto nell'interpretare i fatti e le notizie, capacità di relazionarsi e così via. Ne deriva che NON tutti i pur bravi giornalisti hanno la pelle sufficientemente dura per fare i free lance. E' una constatazione difficile da accettare, ma crudelmente e assolutamente vera. 2) Il punto di cui sopra è tanto più pregnante quanto più di consideri che, di contro e viceversa, anche grazie all'atteggiamento dell’O.d.g. l'Italia è divenuta oggi un formidabile "giornalistificio". Praticamente chiunque può iscriversi all'albo senza il minimo sforzo. Ed essere iscritto non garantisce ormai, viceversa, l'acquisizione di alcuna minima soglia di capacità professionale. Poiché dunque per fare i free lance a tempo pieno (e quindi anche per esercitare l'attività in forma esclusiva e professionistica) è sufficiente essere pubblicisti e per diventare pubblicisti bastano un paio d'anni di collaborazioni esterne formalmente "retribuite" (intendendo per tali anche le 5mila lire a pezzo, "spese incluse", di certi quotidiani di provincia), il risultato è che ogni anno il (ristretto) mercato del giornalismo free lance si trova ingolfato di migliaia di (incolpevoli) giovani di belle speranze, convinti di essere e di saper fare i giornalisti, pronti a immolare sull'altare dell'informazione studi universitari, fidanzamenti, onesti lavori. Quanto, anni dopo, costoro si renderanno conto dell'imperdonabile errore commesso nel gettarsi in un mondo più grande di loro, sarà tardi: oltre alla qualifica di disoccupati o di precari cronici (le eccezioni non faranno che confermare la regola), avranno perduto i classici "treni" del lavoro "normale" e non potranno far altro che continuare a farsi concorrenza tra poveri, subendo ogni anni l'assalto di nuove, fameliche, sempre più illuse generazioni di neogiornalisti. Questa è la realtà ed è sotto gli occhi di tutti. Le conseguenze dell'esistenza di questa pletora di affamati si vedono subito anche sotto il profilo deontologico: chi ha bisogno di lavorare è disposto (come dargli torto?) anche alle più miserabili marchette, ai più vergognosi compromessi, ai più umilianti sottocompensi e ai più inaccettabili precariati. 3) Questo generico "basso profilo" del free lance si riscontra poi inevitabilmente anche nella scarsa consapevolezza della categoria della propria consistenza professionale: sia sul piano delle strette capacità, sia su quello, più ampio, della generale posizione del giornalista come soggetto fiscale. Ed ecco l'ingenuo sconcerto di fronte ai prelievi dell'Inpgi 2 e all'inesistenza di qualsiasi tutela sindacale. Il giornalista libero professionista è oggi, ammettiamolo, quasi sempre un ignorante e un impreparato, anche sulle questioni che lo riguarderebbero più da vicino (molte delle lettere sul forum lo dimostrano). Pressato, sottopagato, frustrato, intimidito, inquieto, il free lance si scaglia quindi contro tutto ciò che sappia di "gabella". Non comprende invece che proprio l'esistenza di un forte "prelievo" (previdenziale, fiscale, eccetera) costituisce la migliore prova della sua "esistenza" di figura professionale e del suo riconoscimento come "cittadino" della comunità "normale" dei giornalisti. Strepita, toccato nell'esangue portafogli, contro il famigerato 10%, senza rendersi conto che questo pur doloroso adempimento costituisce invece la sua prima opportunità di affacciarsi al mondo del giornalismo "riconosciuto" ed "emerso", ovvero sanzionato, tutelato, regolamentato. In due parole: vero. 4) E veniamo al cuore del problema: con buona pace di O.d.G., Fsni, Inpgi, eccetera, infatti, il giornalista free lance è, di fatto, un non-soggetto, una figura inesistente, un fantasma, un simulacro. Un ottimo argomento se c'è da fare cassetta (le quote annue di 30mila pubblicisti "buttano" più di quelle di 7mila professionisti) o propaganda (da un paio d'anni l'argomento è i fra i "titoli" di tutte le rivendicazioni sindacali fin qui condotte, peccato con esiti modestissimi), ma in buona sostanza un signor nessuno. I più buoni lo chiamano "atipico", tanto per sottolineare che questo operatore dell'informazione non ha appunto nulla in comune con il "tipico", cioè il contrattualizzato. Ne deriva che, in quanto tale, il giornalista libero professionista è "altro" rispetto al giornalista "tipo" tutelato dalla Fnsi. Risultato: nonostante i proclami, la Federazione NON è il sindacato dei free lance e quindi NON è in grado di fare nulla per loro. Migliaia di controversie stanno lì a provarlo. Checché ne dicano Serventi Longhi e compagnia, la FNSI sta al free lance come il sindacato dei ferrovieri sta al camionista: non hanno nulla o quasi in comune. 5) Per tutta questa serie di ragioni, il giornalista libero professionista in Italia è costretto a vivere in uno stato di inferiorità assoluta e di servaggio latente nei confronti dell'editore. Il quale forse non sarà un santo, ma fa semplicemente ciò che la mancanza totale di regole nel settore dei free lance gli consente di fare: approfittare di un mercato professionale assolutamente libero. Non solo quindi - si badi bene - per ciò che riguarda i minimi compensi e le garanzie contrattuali da riconoscere alla controparte (cioè noi giornalisti), bensì anche per quanto concerne lo spessore e le capacità professionali da pretendere dall’interlocutore. In questo mare magno del giornalismo free lance sguazza infatti di tutto: dilettanti, hobbisti, dopolavoristi, pensionati. Gente disposta ad accettare decurtazioni del 50% sui compensi, o perfino a lavorare gratis, pur di vedere il proprio nome stampato sul giornale. O ancora: gente che, avendo altri redditi, si può permettere di fare il giornalista nei ritagli di tempo, o magari (peggio!) di lucrare sulle opportunità offerte dal fatto di svolgere attività di Pr e ufficio stampa conto terzi. In questo quadro, come è pensabile che possa esserci uno spazio tranquillo per il free lance "professionale", che deve campare del proprio lavoro? Ecco quindi che il settore finisce per dividersi drasticamente in due: da una parte una ristretta cerchia di professionisti effettivi (scafati, battaglieri, determinati oltre che - perché no? - bravi), dall'altra una corte dei miracoli fatta di bravi ma deboli, di forti ma incapaci, di illusi, aspiranti, disoccupati, eccetera. 6) E veniamo ai rimedi possibili, prima di terminare questo sproloquio (per il quale mi scuso). Io ne vedo uno solo, composto di due elementi: -la fissazione, sotto forma di contrattazione collettiva sottoscritta con la Fieg dalla Fnsi o da altri, di un minimo tariffario inderogabile, che sposti sulla qualità del prodotto giornalistico fornito, anziché sull'entità del compenso, il fulcro del rapporto giornalista-editore (se obbligato comunque a spendere lire x per la realizzazione di un certo servizio, io editore sceglierò il più bravo, e non il meno costoso, dei miei collaboratori); -una riforma dell'ordine che cancelli l'anacronistica divisione tra professionisti (ovvero assunti) e pubblicisti per introdurre quella (già acquisita dal nuovo statuto della Fnsi) tra giornalisti professionali e non. Laddove professionali saranno da intendersi non solo coloro che traggano dall'attività giornalistica un volume di reddito tale da garantire una soglia dignitosa di effettiva sopravvivenza, ma anche che abbiano dimostrato di essere in possesso di una effettiva professionalità e consapevolezza del loro ruolo di operatori dell'informazione. Va da sé che io sono il primo a rendersi conto di quanto utopica sia oggi un'aspirazione del genere. In gioco, del resto, c'è il futuro della professione giornalistica. Altro che Inpgi 2... Grazie dell'attenzione e scusate la prolissità. Et de hoc satis. Stefano Tesi |