Forza ragazzi, inventiamoci qualcosa
per fare uno scherzetto agli editori

 26 settembre 2000

Se il sogno è quello di un "Porta a porta" dedicato al contratto dei giornalisti, beh, allora è il caso di darci un pizzicotto e tornare sulla terra: non si farà. Ma se si tratta di far passare, durante la trasmissione, notizie sulla vertenza che abbiano il loro "appeal" televisivo, allora sì.

Bruno Vespa, interpellato dal Barbiere della Sera tre ore prima che andasse in onda il "Porta a Porta" che ha aperto il ciclo autunnale (quello della "storica" decisione di Giuliano Amato di farsi da parte per la premiership progressista, in favore di cicciobello Rutelli) ci ha ricordato di essere stato l'unico, la scorsa primavera, a parlare del pullman della Fnsi, che girava per l'Italia a presentare e a discutere il contratto. 

"Non chiedetemi però di fare un "Porta a porta" su questo. L'"audience" crollerebbe al 2 per cento e mi caccerebbero. Quello che posso fare - ha aggiunto Vespa - è dare altri annunci, se e quando sarà il caso". 

Sta a Paolo Serventi & company, adesso, passare il Rubicone, presentando iniziative in grado di destare la sonnacchiosa e perplessa opinione pubblica. L'idea della nostra Rosina, e cioè il funerale del giornalismo celebrato davanti a Montecitorio, è uno dei tanti contributi possibili in questa direzione. 

Il Barbiere ha anche interpellato l'altro principe del "talk show" politico televisivo, Michele Santoro, che tornerà in video tra un mesetto. Stessa gentilezza, stessa disponibilità.

"Io tratto temi generalisti, di grande impatto sociale - ha esordito Michele - E dobbiamo renderci conto che il contratto dei giornalisti interessa solo poche persone. A meno che..." A meno che, Santoro? "A meno che non si riesca a fare una trasmissione su un tema come la libertà di stampa, l'autonomia che viene meno o addirittura non c'è più. Non so, per ora dico solo che possiamo approfondire il discorso. Comunque, quando torneremo in video, si aprirà anche il nostro sito Internet, che ha migliaia di visitatori: fatevi vivi e vi ospiteremo: garantito". 

Il Barbiere lo ha detto e lo ripete: non si può vivere di solo sciopero. C'è un tempo per vincere e uno, questo, per convincere, se ci si passa un'orrenda commistione di linguaggio biblico e calcistico. Aguzzate l'ingegno, amici del sindacato, liberate la fantasia. E fateci sapere, per favore, quando la tv salderà i suoi "debiti di lotta" nei confronti di agenzie, Internet e carta stampata
Bds


26 Settembre 2000 - Lanciamo "Il Grande Contratto"
Caro Figaro, rilancio l'inascoltata idea. Sul sito del "Barbiere" una trasmissione online-nostop dal titolo "Il grande contratto". Oppure "Il gladiatore". 

Soggetto del Grande Contratto: cinque rappresentanti degli editori e cinque dei giornalisti, chiusi per 100 giorni in un appartamento di circa 180 metri quadrati, zona Cinecittà, ripresi 24 ore su 24 sette giorni su sette da decine e decine di webcam. Regia: la lascerei al ministero del Lavoro... ne vedremmo delle belle! 

Regole: ogni dieci giorni il pubblico vota e uno dei protagonisti viene espulso. Divieti: l'utilizzo di tende e divani dietro i quali imboscarsi per copulare. Premio al sopravvissuto: l'accoglimento della propria piattaforma per i rapporti sindacali-industriali. Premi di consolazione per gli espulsi: un biglietto omaggio (o una cassetta Vhs o un Dvd) di "Insider", con Al Pacino e Russell Crowe. 

Il gladiatore. Soggetto: tre rappresentanti degli editori e tre dei giornalisti (in stile Oriazi e Curiazi) si sfidano all'ultimo sangue, sempre ripresi da decine e decine di webcam, con mega diretta sul sito del "Barbiere". All'esterno, l'ospedale da campo di "Emergency" che rabbercia il rabberciabile, con Gino Strada che spiega l'inutilità della guerra ("Perché tanto odio?"), e monsignor Ersilio Tonini che confessa e impartisce l'estrema unzione ai morituri. Regia: Ridley Scott

Regole: ogni cinque minuti, in assenza di caduti, il pubblico vota (con il pollice) e sceglie tra i protagonisti chi deve venire sfracellato. Divieti: l'utilizzo di tende e divani dietro i quali imboscarsi per copulare. Premio al sopravvissuto: l'accoglimento della propria piattaforma per i rapporti sindacali-industriali. Premi alla memoria per i deceduti: un biglietto omaggio (o una cassetta Vhs o un Dvd) di "Gladiator", con Russell Crowe. 
Zioproto


26 Settembre 2000 - E ci dimentichiamo Maurizio Costanzo?
Cavolo, c'ha proprio ragione il Conte d'Almaviva al punto 2 del suo intervento. Tentiamola questa sfida: ora è ricominciata "Porta a porta", che Bruno Vespa non vorrà organizzare una puntata su un "argomento" che lo riguarda da vicino?

E il "Maurizio Costanzo show"? Pure il grande comunicatore "dovrebbe"essere interessato. Sarebbero due bei colpi. Anche se bisogna adeguatamente "prepararli".

Mi spiego. In qualche altro intervento leggo di forme alternative. Giusto, proprio queste servono: sciopero bianco, lavavetri famosi ecc... (per gli anziani - sic! - provate a ricordare gli scioperi bianchi, di qualche anno fa, attuati dai doganieri negli aeroporti). 
 

Io vengo da una esperienza di lavoro in una multinazionale, se gli operai e i sindacati avessero deciso un'applicazione integrale delle regole, la fabbrica si sarebbe fermata. 
Alla bottega, di sicuro, non mancano "clienti" che sono grandi firme: formiamone un gruppo e occupiamo i semafori di qualche incrocio. Per solidarietà, l'incasso sarà dato poi ai "leggittimi" lavavetri... :-) 

Insomma, immaginiamo una mese e più con tutte queste iniziative "non convenzionali", i due amici big (di cui sopra) avrebbero la "notizia" per parlarne! (E ora non mi dite che sono troppo romantico e sognatore...). Buona notte a tutti. 
Remigio Russo


26 Settembre 2000 - Poche righe, parole chiare
Ho visto che solo il cdr del Corriere della Sera ha fatto pubblicare un comunicato con cui spiega ai lettori le ragioni dello sciopero. Perchè a cadenza regolare il sindacato non utilizza questo mezzo in tutti i giornali? Parole chiare, poche righe, per spiegare alla gente le fasi della trattativa, i nostri timori sul futuro della professione. Se gli editori vorranno risponsano ogni volta.

D'accordissimo sulla proposta di una manifestazione sotto Palazzo Chigi, anche senza mascherate. Voglio vedere Lerner se ha il coraggio di non riprenderla. - In tutti i giornali sciopero delle firme . - Tempesta di lettere ai presidenti delle Camere, a Ciampi, ai segretari di partito perchè capiscano che è meglio tenersi buoni i giornalisti che gli editori. - Fare nomi e cognomi- anche solo attraverso il Barbiere- degli editori che più sono reazionari. E chiedere una presa di posizione ai direttori, che se ne stanno tranquilli a godere dei benefici del contratto senza impegnarsi per niente. Richiamarli all'ordine: prima di tutto sono giornalisti. - Vigilanza democratica: cominciare a segnalare all'Ordine e pubblicamente tutti i casi di censure, stranezze, interessi privati dell'editore nella fattura quotidiana del giornale. -I Cdr vadano ogni mattina in riunione e in caso di notizia incompleta o faziosa chiedano di pubblicare un comunicato per ristabilire la completezza e l'indipendenza dell'informazione. 
Mendel


26 Settembre 2000 - E lo sciopero dei free lance?
A quando lo sciopero dei redattori per i collaboratori e freelance? Cari redattori-colleghi rispondete a questa domanda, soprattutto voi della Fnsi.

A prescindere dalla bontà delle motivazioni dello sciopero in corso, quando noi collaboratori (forse qualcuno si dimentica che un giorno di sciopero a noi non lo retribuisce nessuno, anzi, spesso, sono soldi in meno perchè l'indomani ci viene automaticamente tolta la possibilità di uscire con un pezzo) vedremo le nostre di ragioni prese in considerazione anche dal sindacato e dai cdr? Quanti collaboratori e freelance contribuiscono alla realizzazione di un giornale ogni giorno? E a quale prezzo? 

Certe condizioni di lavoro in altri settori non sarebbero affatto tollerate (roba da lotte operaie da inizio secolo!). E non si capisce perchè nell'informazione sia tutto permesso. In fondo non si chiede la luna, semplicemente un pò più di rispetto per il lavoro (e queste condizioni sono spesso condivise sia in redazioni di giornali di destra che di sinistra) e un riconoscimento un tantino più giusto. 
Perchè mai una minima parola da parte di sindacati e cdr per l'universo infinito e, a volte, dolente delle "ultime ruote del carro"? Saluti. 
Ale e Vale


26 Settembre 2000 - Un test attitudinale per gli editori
Caro Barbiere, la prima cosa che si dovrebbero chiedere i sindacalisti è se essi oggi rappresentino effettivamente qualcuno oltre che i colleghi piazzati nei grandi o nei medio grandi giornali.

Poi, se non sia stato un errore permettere che tutta la componente di "destra" del sindacato se ne andasse via per sempre, visto che oggi i giornali in cui lavorano quelle persone sono all'avanguardia del "fai da te" della vertenza sindacale contrattuale.

Infine per fare un po' di casino non è che ci voglia tanta fantasia: per prima cosa si chiede l'abolizione, o meglio la totale riscrittura della legge 416 sull'editoria, a cominciare da quella follia che sono i giornalisti a pagare la cassa integrazione alle aziende tramite l'Inpgi.

Ma ve lo immaginate un eventuale ente privato previdenziale dei metalmeccanici pagare la cassa integrazione agli operai della Fiat?
Per non parlare di tutti i soldi sprecati con scivoli e pensioni a sette, otto, nove zeri che si pagano per uomini della Rai, di Mediaset o di altre grandi testate giornalistiche.

Fatta la dovuta pulizia morale, accantonate "le conquiste ideologiche" dei vari Fienghi degli anni '70, fatta un po' di luce sulle carriere dei vari Ceschia e Cescutti in seguito a contratti giornalistici in cui alla fine degli anni '70 si chiedevano aumenti di 10-20 mila lire al mese, ci si può cominciare a rimboccare le maniche e chiedersi: come posso fare del male agli editori con una qualsivoglia forma di manifestazione, sabotaggio dell'immagine ecc?

Si potrebbe anzitutto chiedere che passi una legge per cui, prima di mettere su un giornale, ogni editore abbia subito un test psico-attitudinale messo a disposizione degli eventuali licenziati "del mese dopo", un bel fondo di garanzia per il pagamento di stipendi per un anno e relative liquidazioni.
Il concetto è che di mettere su una redazione non lo ordina il medico e che un giornale va gestito con altri metodi che un frutta e verdura. Poi si dovrebbe favorire e prediligere, a seconda dei punti di vista, il famigerato articolo 2, così uno si contratta sul campo il proprio valore con l'editore e per i prossimi anni a venire se ne frega dei miseri scatti contrattuali.

Comunque se fossimo una categoria meno servile, meno in cerca di inutili privilegi (vedere per credere la incredibile battaglia per i parcheggi che sta facendo l'associazione della stampa parlamentare in questi giorni) saremmo anche più credibili: oggi non ci sono soldi perchè i giornali vendono poco.

E vendono poco non perchè gli italiani siano ignoranti ma solo perchè non sono degli idioti: a forza di leccare il culo ai potenti ci si è ridotti così. Che credete che la gente non sappia che molti giornlai sono dimezzati e su di essi si leggono le notizie che desiderano vedere in pagina i loro padroni? Basta vedere quello che è successo quando si è trattato di scrivere delle privatizzazioni come quella Telecom.
In questo clima di svalutazione selvaggia del lavoro giornalistico, questi scioperi sono veramente all'insegna del "chissenefrega": soldi non ce ne danno, credibilità neppure, ma chi ce lo fa fare di perdere due giorni in busta paga?
Dimitri Buffa


27 Settembre 2000 - Questo e' uno sciopero giusto
Ciao Figaro, ieri ti stavo scrivendo che mi avevi un po' deluso sulla questione dello sciopero; oggi ho parzialmente cambiato idea. Nel senso che questo il sondaggio su altre forme di "lotta" e' interessante, sperando solo che escano proposte magari meno pittoresche (e divertenti, davvero) ma piu' praticabili rispetto a quella del funerale. 
Comunque: leggo con interesse. Tuttavia, mi sarebbe piaciuto non leggere le solite banalita' sull'immobilita' del sindacato (a cui non si puo' che rispondere altrettanto banalmente: ma perche' qualcuno non va a fare un sindacato piu' dinamico e fantasioso? ma perche' sono sempre i soliti 4 sfigati che si sbattono, e gli altri a dargli dei coglioni?), un po' piu' gravi questa volta visto che nel 2000 ci sono state ben due iniziative decisamente fuori dai soliti schemi: parlo dell'autobus in giro per l'Italia e delle cartoline "nuove tecnologie, vecchi editori". 

Buone o cattive che fossero, pero' erano di sicuro idee alternative. Quello che invece mi ha deluso davvero e' stato NON leggere una frase chiara: questo sciopero e' giusto. Pensiamo a forme diverse di lotta, usiamo la fantasia...ma questo sciopero e' giusto. E non e' uno sciopero per difendere i privilegi di una vecchia categoria, ma per dare un senso (e qualche garanzia, perche' no?) alla carriera di chi inizia oggi a fare questo mestiere. Io credo sarebbe stato giusto dirlo prima di tutto: e' uno sciopero giusto. E poi tutte le critiche, tutti i commenti, tutte le proposte. 

Perche' altrimenti si da' forza anche a posizioni come quella di Kataweb Sport, che ha aderito allo sciopero pur coprendo le Olimpiadi: forse perche' alla fine si e' pensato che lo sciopero forse non era proprio cosi' giusto, ma le Olimpiadi lo erano certamente. Giuste intendo dire. E so benissimo che i colleghi di kw probabilmente erano anche preoccupati dalla concorrenza di siti sportivi non gestiti da giornalisti, che quindi coprivano senza problemi tutte le notizie. Pero' lo sciopero era giusto anche per questo: l'on line e' uno dei temi cruciali. Ho fatto e faccio un po' di attivita' sindacale, ma non mi considero un "sindacalista": pero' vedo tanta gente che si sbatte e mi da' fastidio vederla attaccata con motivazioni, in ultima analisi, sempre un po' banali. E infine: 1) non capisco questa sindrome da televisione, mi sembra davvero esagerata; 2) quante altre categorie di lavoratori hanno trovato forme alternative di lotta? E, curiosita', quali? Ciao.
Marco


27 Settembre 2000 - Ma ci siamo tutti rincoglioniti?
E va bene,amici, non lo facciamo più 'sto sciopero, che tanto gli editori sanno prima di noi quando sarà e magari guadagnano più dal risparmio della carta di quanto non perdano dalla pubblicità che poi recuperano tranquillamente nei giorni successivi. Non lo facciamo più, ma almeno riutilizziamo quei due giorni di "vacanza" per tornare a ragionare e a discutere. 

Forma di lotta alternativa? Perchè, per chi? Perchè i nuovi on-line avranno un contratto da metalmeccanici? E perchè, voi tutti, cari amici che da dieci anni e più buttate almeno la metà del vostro tempo a pestare su quei tastini che vi dicono se il pezzo o il titolo ha una cacca di mosca che va fuori misura, e voi lì a penare su come tagliare, dimenticando intanto le cazzate che avete scritto nel pezzo, voi, noi, cosa crediamo di essere, davvero gli avamposti della democratica libertà di espressione? 

Devono averci rincoglionito davvero parecchio se stiamo ancora qui a dileggiarci con la sacralità di questo mestiere baluardo della democrazia. Non fare sciopero perchè siamo servizio pubblico essenziale? Sublime. E chi l'ha detto? Avete forse consultato il governo o gli altri erogatori di servizi essenziali quando avete contrattato l'integrativo ciascuno con la propria azienda? Smettiamola con questa mirabile contraddizione: stiamo sul mercato quando ci pare a noi e siamo servizio pubblico quando idem. D'altronde sarebbe difficile attendersi di più da un mestiere che pare essere l'unico nell'universo a pretendere di tenere in piedi nello stesso momento le istanze della libera professione con quelle del lavoro dipendente.

Ecco, qualcosa del genere mi piacerebbe sentire dalla federazione, e lo dico non in termini distruttivi. Vogliamo discutere davvero sulla identità di questo lavoro, e possibilmente senza tabù? 

Esempio di tabù. "Vogliono trasformare i quadri in yesmen". Di nuovo chiedo: e perchè, adesso cosa sono? E cosa diamine dovrebbero essere in un sistema in cui i direttori stanno lì per il loro rapporto di fiducia con gli editori (e, aggiungo, per i vantaggi che comunque riescono a strappare dalle vertenze unitarie)? Chi è che fa finta di non sapere che dal redattore capo al vicecaposervizio ormai la giornata se ne va in contatti con le concessionarie di pubblicità, in rovelli per fare i titoli il più possibile lontani dal contenuto del pezzo e nel gioco estetico del disegno di quelle pagine di cui nessuno di loro leggerà mai il contenuto? 

Ebbene sì, voglio far scandalo. Siete proprio sicuri che costoro facciano lo stesso mestiere, siedano sulla stessa professione e indossino lo stesso sindacato del free-lance, del redattore, del metalmeccanico on-line? 
Per carità non tocchiamo l'unità del sindacato, che tanto ci pensano gli altri, dalle parti dei vari Feltri e Donati, ad andarsene loro e a far uscire comunque i loro fogli. E qui si torna al punto di partenza. Ma sì, basta con lo sciopero. Ma basta anche con il resto dello sciocchezzaio. Una firma a pulire i vetri? E chi ci mandiamo, Biagi? Sai come si strappa i capelli la famosa "ggente"! 

Allora ve la do io l'idea: iscriviamoci tutti alla prossima edizione del grande fratello, così almeno (finalmente) i lettori si fanno una risata. Per favore, basta con le sciocchezze. Se proprio volete una forma di lotta alternativa, sappiate che i metalmeccanici, quelli veri, quelli con i cosiddetti, quelli che noi abbiamo liquidato dai nostri paraggi con le tecnologie, le loro vertenze le difendevano coi picchetti davanti al posto di lavoro. Siete disposti, siamo disposti? 

Se no smettiamola col tiro al piccione e facciamo l'unica cosa che si possa: discutere, contestare anche le federazione nei contenuti delle proposte, e aiutare comunque i colleghi che, al di là del linguaggio pomposo, si fanno comunque un mazzo per tenere insieme tutte le nostre mille piccole ipocrisie. 
Il Sofista


27 Settembre 2000 - Eliminiamo la punteggiatura
Proposta per lo sciopero alternativo. Per i colleghi della carta stampata e del Web: astensione totale dall'uso di qualsiasi punteggiatura

Possibile effetto 1: gli articoli escono così, come scioglilingua, sconcerto dei lettori e visibilità garantita. 

Possibile effetto 2: crumiri provvedono al ripristino della punteggiatura, ritardo nell'uscita dei giornali, aumento dei costi per gli editori.
Alternative (valide anche per radio e tv): sciopero degli articoli, sciopero delle declinazioni (verbi soltanto all'infinito)... 
Morale: poca spesa, alta resa. 
Buon lavoro 
Luisa Sandri


27 Settembre 2000 - Io difendo lo sciopero
"... Ho scioperato per difendere i nostri diritti, per difendere il mio sindacato, 
per difendere i nostri diritti, la mia vita e la libertà" (Ivan Della Mea, Cara moglie, 1969)
Caro Barbiere della Sera, io ho fatto sciopero - per tutti e due i giorni - anche se lavoravo per una cooperativa, anche se questa cooperativa è quella che produce il quotidiano Libero di V. Feltri, anche se ho fatto sciopero da solo (e mi sentivo anche un po' scemo), anche se non ho letto tutti i "verbosi e noiosi" comunicati FNSI (ma ne capivo il senso), anche se al posto mio hanno dovuto lavorare altri (e di questo mi sono dispiaciuto assai), anche se c'è chi sostiene che "scioperi contro te stesso, se lavori in una cooperativa" (lo dicono quelli del Manifesto, come se il contratto non valesse anche per loro...), anche se agli editori gli farà un baffo, questo sciopero, e anche se sono state "salvate" le Olimpiadi (in effetti, avrei preferito "salvare" anche qualcos'altro, tra le notizie nobili), anche se non migliorerà da un giorno all'altro la nostra vita (ma quella futura, forse sì).
E sai perché, caro Barbiere? Perché - da quando esistono i padroni ed esistono gli operai (o i contadini o gli impiegati di banca o gli insegnanti o i neoproletari del web), il movimento sociale, sindacale e politico che difende gli interessi dei secondi non ha, a tutt'oggi - nonostante il crollo del Muro, il nuovo Millennio, le nuove Tecnologie - trovato una forma migliore di lotta per rivendicare i propri (sacrosanti) diritti costituiti. 
Quando - da questo dibattito o in altre sedi - ne trovate una che funzioni ben meglio del caro, vecchio, antiquato metodo dell'incrociare le braccia, fatemi pure un fischio. 
Magari un moderato cantabile, stile Barbiere di Siviglia (o Internazionale), vedete voi. 
Un caro saluto,
Ettore Colombo
27 Settembre 2000 - Crumiri in riviera romagnola
E che dire allora, nei giorni del post-sciopero, della situazione in quel di Rimini. Qui ci sono tre quotidiani. Uno nazionale, due locali. Peccato che nei due giorni di sciopero le "civette" fuori dalle edicola gracchiavano ugualmente. Facciamo nomi. Il Corriere di Rimini (esce in panino con La Stampa) c'era. Lecita precisazione: è una cooperativa di giornalisti quella che manda in stampa il giornale. Per cui nulla da eccepire, salvo poi che è pur sempre abbinata (e partecipata) da uno dei principali quotidiani italiani. 

E che dire poi de La Voce di Rimini. Si avvicina a compiere i due anni di vita. E mai, dico mai, in questi anni a fatto un giorno di sciopero. Pardon, un giorno non è uscita in edicola, durante gli ultimi scioperi primaverili. Peccato che a ridosso dell'agosto al direttore responsabile non è stato rinnovato il contratto. Tant'è. Per una volta che non si era attenuto alle regole dell'editore. Pardon degli editori Celli (Rimini, Verucchio) e Donati (quello del Corriere dell'Umbria). E qui mi ricollego al collega (non l'avevo previsto questo giochino di parole) Mauro che il 25 Settembre 2000 - lettera "Facciamoci del male" - denunciava (ops, parola forte) la situazione di Viterbo e di quel Corriere sempre del Donati. Che gusto c'è allora scioperare, su 2/3 della stampa locale è felicemente in edicola a "scippare" copie al primo giornale cittadino, Il Resto del Carlino? Come saranno contenti i colleghi e i professionisti della testata ultecentenaria, sulla piazza dal lontano 1957 (altro che 2 anni - La Voce - o 5/6 - il Corriere di Rimini -) che si vedono "scippati" di notizie... 
Il Krumiro (in un altro senso)


28 Settembre 2000 - Si', finalmente... Il dibattito si'...
Finalmente se ne parla. Del contratto, degli scioperi, dell'identità della nostra professione, dei cambiamenti che vanno di corsa mentre noi arranchiamo, delle nostre mille debolezze, etc, etc. E se ne parla con ironia, con rabbia. Fuori dalle giunte, dalle commissioni, dai tavoli, dalle sale dove si ostinano a rinchiudersi quei pochi colleghi con la fissazione del sindacato. 

Io sono una di loro. Lo ammetto, a furia di discutere tra noi, a volte (o magari spesso) capita che la percezione della realtà finisca per affievolirsi. Cerchiamo però di non perderla del tutto. E dunque, per una volta, evviva il dibattito. 

Figaro esortava alla semplicità. Provo a farlo, a titolo personale. Tra noi convive di tutto. I garantiti, quelli che lo erano e non lo sono più e quelli che forse non lo saranno mai. Ci sono aziende a rischio e quelle che chiudono. E ci sono quelle stabili e che diventano sempre più floride, on line in testa. Quelle che hanno bisogno del nostro lavoro. E quelle che garantiscono i cosiddetti privilegiati e che possono creare anche nuova occupazione. Ma con quali regole?

' vero, il contratto, quello vecchio, si occupa soprattutto dei garantiti. Gli abusivi ci sono sempre stati e il lavoro nero pure. Ma solo da qualche anno, (da quando gli editori hanno messo in campo una vera e propria strategia che punta al turn over completo nelle redazioni), la pattuglia dei free lance, dei nuovi giornalisti on line, dei collaboratori che lavorano a tempo pieno, dei contrattisti a termine per una, due, quattro, dieci volte, è cresciuta a dismisura ed è diventata un esercito. 

Un pezzo importante di realtà, importantissimo. Anche perchè riguarda il futuro. E allora non si può parlare di contratto, di scioperi, di sindacato, senza affrontare il tema del che cosa è la nostra professione. Che riguarda tutti, visto che il nostro prodotto tutti ci riguarda. 

Per questo mi dispiace leggere che il tema dell'informazione, e della sua qualità, in Tv farebbe calare l'audience al due per cento. Se così è, dovremmo cambiare. E in fretta. Ci sono critiche e scontenti. Inevitabile. Il fatto è che questo contratto è il più difficile. Non per i soldi che, è sicuro, saranno pochissimi. Ma perchè, per la prima volta, ci si gioca l'identità professionale. Quella di tutti: dei garantiti e non. 

Gli editori vogliono, per la prima volta, imporre un mutamento di rotta complessivo. Una sfida inaccettabile. Inaccettabile perchè noi produciamo notizie, non oggetti. E la loro qualità dipende innanzi tutto dalla libertà di chi lavora. Tra i giornalisti già ci sono tanti yesmen (anche women), ci sono ipocrisie, opportunismi. Ma almeno abbiamo una sponda, quella delle regole appunto. Che ci dà modo (quando lo si vuole) di resistere, di opporci. Tramite sindacato, o magari perfino tramite le vie legali. Per questo gli editori sono così determinati a cambiarle quelle regole. E a far sì che chi entra da oggi in poi nei giornali, nelle tv, negli on line, lo faccia con regole diverse. Le più favorevoli, per loro naturalmente. Così magari, cambiate le regole, si dice addio anche al potenziale contenzioso nei tribunali. E, quanto ai vecchi, piano piano....andranno in pensione, magari prima del tempo, grazie alla legge 416 e a spese dell'Inpgi, cioè ancora una volta a spese nostre. 

E non è solo una questione di danaro, di risparmio sugli stipendi, o una faccenda di auspicabile pace sociale. E' per tutti chiarissimo quanto più conviene ad un'azienda che produce informazione avere dipendenti che obbediscono e basta. Senza dover alzare la voce, trasferire, contrattare con il sindacato.

Inoltre, il confine tra informazione e pubblicità è sempre più labile. E dunque... E allora ecco lo scenario ideale: qualche firma di prestigio superpagata, free lance retribuiti un po' di più rispetto alla miseria attuale, ma fuori dalle redazioni. Giornalisti al computer senza prospettive di carriera automatica. Una volta assunti alle loro condizioni ( senza più quello scatto fondamentale riconosciuto al redattore con più di trenta mesi di anzianità), fermi al palo. 

A meno che... non si scelga la carriera gerarchica. Anche in questo caso, l'obbedienza e il consenso sarebbero indispensabili. Dal caposervizio in su, sei dentro solo per cinque anni. Poi: o ti sei comportato bene e rimani. oppure, fine della storia. Insomma tutto è affidato alla famosa flessibilità della contrattazione individuale. Peccato però. Un giornalista non è un calciatore. La sua abilità, la sua professionalità non si misura dal numero dei gol che fa, ma dalla qualità dell'informazione che produce, dalle opportunità che gli vengono date per svilupparla e per coltivarla. 

Insomma la sua carriera, il suo mercato (e anche solo la sua possibilità di accesso) dipendono: A) se scrive o va in video, dai servizi che gli vengono affidati e dalla valorizzazione che gli viene data. B) se fa il caposervizio o il caporedattore, dall'autonomia e dallo spazio che gli sono riconosciuti. 

Come conciliare tutto questo con l'esame finestra (inteso proprio nel senso del rischio-defenestrazione) che dovrebbe andare in onda ogni cinque anni? Quanto al guadagno, aboliti gli aumenti per contratto del passato, ora si vorrebbero cancellare o ridurre anche quelli automatici. Tipo gli scatti biennali di anzianità.

Unico modo per incrementare il proprio stipendio rimarrebbe il consenso della direzione, ovvero dell'azienda. Che, va da sè, non premierebbe certo in primo grado l'autonomia del singolo giornalista, nè la sua abilità ed esperienza. Inutile dire che, per mandare in porto tutto questo, è d'obbligo il ridimensionamento del sindacato, un sogno anche questo che gli editori vorrebbero veder realizzato nel prossimo contratto. 

E allora, se dinanzi a questa prospettiva lo sciopero sembra poco ( o troppo), avanti con le proposte. E per una volta al quesito: segue dibattito? La risposta è sì....
Silvana Mazzocchi 
Vicesegretario Associazione stampa romana


28 Settembre 2000 - E se occupassimo la Fieg?
Caro Figaro, scoprire che a "Libero", nel quotidiano diretto dal conservatore Vittorio Feltri, si è scioperato (anche se un solo collega su quaranta) può essere, forse, considerata una vittoria. Ma solo per Serventi Longhi and company. Per me è più gradevole immaginare lo sciopero della punteggiatura o, come proposto da Rosina, il funerale del giornalismo davanti a Montecitorio. 

Tutto okkei perchè è una questione di fantasia, di creatività: è il ritorno a Bologna '77, a Claudio Lolli e tante altre belle cose. Tutto okkei, ma poi che succede? Che accade dopo qualche servizio (novanta secondi al max) sui Tg nazionali e ben confezionati e colorati pezzi sulle cronache nazionali? Succede, scusami se sono un po' pessimista, che la palla ritorna a Serventi Longhi and company ovvero tutto resta come prima. 

I fax delle redazioni continueranno a vomitare verbosi comunicati sindacali (scritti in sindacalese da chi, forse, si dimentica di essere un giornalista) e inviti (da sindacato bulgaro o unico fascista, fate voi) a scioperare. E gli editori? Che faranno i 'nostri'? Beh, non è difficile immaginarlo: Vittorio Feltri editore, Edm (gruppo Alberto Donati - la Stampa), Domenico Bonifaci, Class editori, Paolo Berlusconi e altri continueranno imperterriti a uscire in edicola, dove chi abitualmente compra "il Messaggero" (in sciopero) acquista "il Tempo" (non in sciopero) e chi legge "Corsera" si vede offrire dall'edicolante una copia di "Libero". 

Risultato: uno a zero per gli editori, palla al centro. E il sindacato? Reazioni isteriche contro quei colleghi che non hanno aderito allo sciopero. Ad esempio, mozione d'ordine contro quei colleghi di "Libero" che, nel giorno dello sciopero, hanno sparato a tutta pagina un'inchiesta sulla vicenda Caltagirone - che, detto per inciso, negli altri giornali i giornalisti non scioperanti nemmeno si sognano di proporre ai loro capi, ma questa è un'altra storia -. 

Che voglio dire? Mi sembra che le regole del gioco sono rispettate solo se da una parte c'è questo sindacato e dall'altra questi editori-sfruttatori con nel mezzo (vere vittime) i giornalisti-crumiri. Allora, c'è solo una possibilità: rompere questo schemino, far saltare questo giochino perverso e caro a tanti, sia nel sindacato che nella Fieg. Come? Torniamo ai tempi del liceo, rossi o neri che eravamo. Occupiamo la sede della Fnsi e della Fieg. Pubblichiamo - magari su BdS - i cellulari dei signori sindacalisti e dei signori editori. Ricordiamogli che noi esistiamo nonostante loro. In una parola: diventiamo protagonisti magari perdenti ma protagonisti perché non vogliamo essere 'serv(ent)i' di nessuno. Nessuno. Scusami, caro Figaro, questo sfogo ma la situazione è davvero grigia. Il grigio è davvero un brutto colore. Meglio rosso o nero. Shampoo
shampoo@sroka.zzn.com


28 Settembre 2000 - Non c'e' che lo sciopero a oltranza
Cari amici, volevo anzi intervenire nel dibattito sullo sciopero che, è vero, è molto interessante. Intanto vorrei far notare (nessuno l'ha fatto notare) la comica finale di quell'esponente della Fnsi che ha detto "Successo dello sciopero". 

Ora, io ricordo che fino a pochi anni fa gli scioperi erano veri scioperi. Oggi gli scioperi sono delle graziose promozioni gratuite che la categoria regala al signor Paolo Berlusconi e alla cooperativa di Libero (che tra l'altro molto furbescamente ne approfittà per pubblicare i propri scoop).

Tra l'altro, e questo va ricordato, fu proprio il sindacato a dare il via libera qualche anno fa quando provocò l'orgoglio dei redattori del Giornale costringendoli a scioperare insieme a quelli dell'Unità per sottolineare che lo consideravano un giornale di partito. 

Da quel giorno, rotto il tabù dell'unitarietà dello sciopero l'arma si è decisamente spuntata. E' vero, dicono alcuni, altra arma non è stata inventata neanche dalle altre categorie. E allora? E' una buona ragione per dare capocciate contro un muro? E poi, diciamoci la verità, l'unico sciopero che potrebbe avere un qualche senso sarebbe quello a oltranza, un mese senza giornali, ma siamo disposti a giocarci la partita fino in fondo? Non credo, e quindi credo che lo sciopero ormai rientri in quel frusto gioco delle parti che appartiene a un mondo ormai passato. Con la differenza che noi giochiamo e gli altri stanno fermi in attesa di attendere la nostra inevitabile resa. Idee alternative? Non so, ma se si provasse a fare uno sciopero bianco con il rigido rispetto degli orari? cari saluti.
Andrea Sperelli


28 Settembre 2000 - Ho lavorato e non mi sento crumiro
Caro Barbiere, vorrei riprendere quello che hanno messo sul tavolo della discussione Ale e Vale. 
Federazione e ordini vari dovrebbero rivedere non solo il contratto nazionale dei signori colleghi giornalisti (me compreso) ma anche la posizione dei meno signori ma altrettanto colleghi (spesso con la c maiuscola) giornalisti che il contratto non ce l'hanno e lavorano FULL TIME per i quotidiani nazionali e locali. 

Metto nel calderone i collaboratori che rappresentano oltre il 50% della forza lavoro delle cronache e i corrispondenti (avete idea di quanto guadagni un articolo 2 o un 12? Meno di un collaboratore mediamente produttivo). Qualcuno della federazione (ma anche i colleghi dei cdr che utilizzano e sfruttano al massimo la struttura di un giornale) ha la più pallida idea di quanto costi una redazione casalinga? A volte lo stesso stipendio. 

Ma, si sa, è la "gavetta". Un incubo che, senza la spinta giusta, può durare sei, sette anni (se non in eterno). Per tutti questi dannati, però, nessuno sciopera. Da collaboratore sono stato costretto a scioperare per il rinnovo del contratto dei miei colleghi assunti da tempo. Denaro perso. Durante le successive trattative nessuno del cdr, però, ha parlato della nostra situazione all'editore. 

Questi giorni non ho scioperato. Si, faccio parte di una di quelle testate uscite regolarmente in edicola. Avrei voluto far sciopero per i miei amici che sono ancora fuori e per quelli che, come me, prendono ancora uno stipendio da fame. Se lo avessi fatto avrei solamente sovraccaricato di lavoro i miei colleghi e i capiservizio. 

Non mi sento affatto un crumiro. Credo di aver fatto bene a lavorare: restando a casa avrei soprattutto dato una mano a quanti si battono per un nuovo contratto che non prevede nulla per i free lance. Non è certo una lotta giusta. Poi basta con questi termini: siamo tutti giornalisti ed è ora di eliminare i tesserini verdi e rossi che non significano un cavolo.

Conosco pubblicisti che fanno più scoop in un mese di quanti riescono a trovare i cosiddetti professionisti in un anno o due (se ci riescono). Qual è la differenza, in termini di qualifica, visto che tutti scrivono per arrivare a fine mese? 

Basta anche con i sindacati come quello dei Cronisti Romani per fare un esempio, che ammette solo tesserini rossi. Eppure la maggior parte degli iscritti non sa nemmeno cosa vuol dire fare il cronista, quello vero. Alzarsi dal letto alle 3 del mattino per il morto ammazzato anche se ancora non è stata battuta alcuna agenzia di stampa. Oppure correre dietro a una volante con il rischio di farsi arrestare. Dove sono i diritti di tutti questi fantasmi del giornalismo italiano? Non sono "professionisti" ma si uccidono di lavoro per la pagnotta, fanno i cronisti ma il sindacato omonimo non li vuole. Se dovessero scioperare tutti insieme chi metterebbero nei guai? Gli editori o gli altri redattori, quelli contrattualizzati? La risposta non è difficile. I cdr dovrebbero cominciare a difendere i diritti di tutti i lavoratori. Non sono sicuro che il Barbiere pubblicherà questo intervento. Vorrei trovare almeno un giornalista in grado di smentire quanto affermo.
Gi. Bal.


30 Settembre 2000 - Io, uomo macchina, vi dico che...
Lettera aperta a Gi. Bal. e a tutti i non garantiti, free-lance, abusivi e paria dell'informazione. Avete ragione, naturalmente, dovunque ci sia discrimine e sfruttamento c'è diritto a essere incazzati e persino a sentirsi boicottati dai colleghi garantiti. Sono uno di questi ultimi, e quindi sparatemi pure addosso. Però chiedo anche se è possibile avviare una riflessione che non parta dal presupposto della guerra fra di noi e che, fatto salvo il diritto soggettivo all'incazzatura, possa produrre una linea di ragionamento che poggi su dati oggettivi.

Ci provo. Vero, sempre più i sindacati, non solo quello dei giornalisti, vengono accusati di rimanere ancorati agli interessi dei <vecchi>, di chi c'è già, e di non attrezzarsi alla tutela dei <nuovi>, di chi entra nel mercato delle nuove figure professionali. Piccola domanda. Ma questo nuovo mercato è davvero il Moloch a cui dobbiamo tutti inchinarci o non è piuttosto la semplice riproposizione delle regole e dei comportamenti che fanno comodo ai (posso dirlo) padroni? 

Cari amici free-lance ecc. ecc., è vero, ci sono colleghi che si alzano alle tre di notte e rischiano di essere arrestati per inseguimento alla polizia mentre altri passano la giornata a passare agenzie. Ma, a parte il fatto che anche questi ultimi fanno un lavoro e non si grattano la pancia, ci rendiamo conto che questa divisione è esattamente quella che gli editori vogliono santificare con il nuovo contratto? 

Io che sto alla scrivania e faccio l'uomo macchina valgo un metalmeccanico. Ma tu che te ne vai in giro, naturalmente a spese tue, nel cuore della notte, comunque vali solo quelle righe che produci. 
Cari amici non garantiti, continuate a essere incazzati, fa sempre bene. Ma lasciatemi instillare il dubbio. Che un sistema professionale nel quale il perno principale della discussione diventi la difesa dei non garantiti è già un sistema che si avvicina al collasso. 

Perchè poi vorrei anche chiedere al brillante free-lance: se la sua è la nuova brillante figura professionale, il giornale chi lo fa? Semplice, lui e solo lui. Perchè poi anch'io sono per la meritocrazia, ma se io accetto di venderti un mio pezzo fregandome del fatto che poi tu, tramite service o altro, me lo utilizzi su cinquantotto fogli diversi, è chiaro che io sono un brillante free-lance, ma nel frattempo ho anche sottratto lavoro ad altre 57 persone. O no? 

Non solo, nel frattempo il valore unitario del mio prodotto si è anche deprezzato di 57 volte. O no? Possiamo discutere anche di questo? E già che ci siamo, possiamo anche discutere del fatto che a volte la tutela della professione, del valore professionale, richiederebbe che i sindacati interni fossero più rigidi di quanto sono nel controllo e nella eliminazione del lavoro nero e sottopagato? 

E' mercato, è legge economica anche questa, lo sappiamo vero? So che gioco sulle pelle dei tanti che cercano lavoro, ma è per dire che si deve avere il coraggio di trovare una regola che valga per tutti, anche a costo di pagare qualche prezzo. Perchè se invece accettiamo la logica della composizione a posteriori delle varie esigenze come le ha brutalmente configurate il mercato, allora per definizione il sindacato se ne è già bello che andato. Nel qual caso la conclusione sarebbe purtroppo la stessa: altro che tutela ragazzi, scappate prima che sia troppo tardi, perchè è chiaro che voi non garantiti sarete a vostra volta garantitissimi nei confronti dei vostri figli e nipoti e poi basta, perchè di generazioni (leggi giornalisti) non ce ne saranno più.
Il Sofista


2 Ottobre 2000 -
Caro Gi.Bal, hai lavorato e non ti senti crumiro? E chi mai ha pensato di bollarti come tale? Se la nuova organizzazione del lavoro che vogliono gli editori, l'accesso alla professione senza controllo, la creazione di una stirpe di capi e vicecapi sempre più costretti a fare da zerbino, magari la possibilità di mettere a dirigere il giornale il capo del marketing o del personale ti va bene, perché avresti dovuto scioperare? 

Per favore non tirare in ballo i free lance e non venirci a raccontare che hai lavorato per difenderli, o per non sovraccaricare i tuoi colleghi che avrebbero dovuto lavorare anche per te. L'ha forse ordinato il medico di non scioperare? Se uno vuol andare in redazione lo faccia e se ne assuma le conseguenze. 

Davvero pensi che questa situazione -pochi giornalisti assunti e tanti collaboratori a trottare per la città- sia stata voluta dal sindacato? Davvero credi che la Fnsi si sia fregata le mani mormorando "Che bello, che bello" quando- solo per fare un esempio- in una testata come Il Giorno si sia passati in pochi anni da 180 a 60 giornalisti? Ti chiedi che cosa ha fatto il sindacato per i free lance? Rispondimi invece che cosa hanno fatto i free lance per difendersi, per rispondere agli editori? 

Ho lavorato per due anni in un quotidiano che di collaboratori faceva ampio uso, e che per di più non li pagava o li pagava con scadenze interminabili. Quando noi del Cdr siamo andati a porre la questione all'editore, sono stati proprio i collaboratori a chiederci di non rompere le palle (il termine però era al maschile) a ricordarci che quei pochi soldi che guadagnavano erano meglio di niente. 

Sono d'accordo con te che la distinzione tra tessera verde e rossa sia odiosa, ma, da buon cronista quale sei, sai anche che c'è una parte del sindacato che vuole una distinzione più generale tra chi vive facendo il giornalista e chi no. Tra il redattore assunto, il collaboratore a tempo pieno e il medico o l'avvocato che "PUBBLICANO" per loro diletto o lustro. E mi pare che siano proprio gli editori (che con il tuo non sciopero hai difeso) i primi a non volere - leggi on line e internet- che chi fa informazione debba essere un giornalista, con tutti i diritti e i doveri che questo comporta. Io ho ancora pochi anni di lavoro,mi faccio il mazzo dieci ore davanti ad un computer a correggere, titolare, impaginare i pezzi dei collaboratori e vorrei tanto, ma davvero, poter tornare a correre dietro una volante. Ma non vorrei mai diventare il giornalista che gli editori hanno in mente e contro i quali ovviamente ho scioperato. Se però a te sta bene.... 

Grifo

 

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