Trenta righe
Sapete com'e', non
sapevamo come piazzare in pagina alcuni pezzetti che ci arrivano. Non sono
notizie secche secche. Quelle le mettiamo nel
notiziario del mese. Non sono nemmeno lettere. E neanche articoli veri e
propri. Sono proprio pezzetti brevi. Quindi e' nata questa nuova pagina.
Trentarighe. Se poi sono trentuno o ventinove, fa niente. Scrivete,
gente, scrivete. |
Il
Barbiere della sera è stato quest’oggi accreditato, a fianco del
Corriere, di Repubblica, Gazzetta dello Sport e un’altra settantina di
testate, per seguire a Trieste la Barcolana 2001, la regata velica col
maggior numero di partecipanti nel Mediterraneo. E’ il nostro primo
accredito, tappa storica della nostra testata. A
me, umile ragazzotta del bar, è stato consegnato un regolare pass
con tanto di foto (rifatta un paio di volte per non sottolineare
eccessivamente la mia somiglianza con bin Laden senza barba), una
cassettina postale a fianco dei massimi esperti di vela del mondo e una
postazione computer. Il
primo appuntamento è per sabato, con la consegna dei gadget: una maglietta
grigia e una sacca. Molto apprezzato comunque, già al momento
dell’accredito, il portapass blu elasticizzato con annesso
marchingegno portacellulare. Si
prega inoltre il collega Mentana, che sappiamo ci legge con attenzione
(gli hanno appena collegato l’ Asdl e finalmente può permettersi
collegamenti alla rete da casa senza intaccare il suo modesto reddito), a
dare ampio spazio su Canale 5 alla manifestazione sia nella parte
sportiva, che in quella mondana.
Domandine/1. Ma questo Gino
Strada, il medico buono, l’Albert Schweitzer del Nuovo
Millennio, il fustigatore dei costumi corrotti e delle politiche
guerrafondaie dell’imperialismo yankee, il salvatore dei
poveri e degli oppressi del mondo, in particolare di quelli islamici,
quando riesce a curarli, tutti quei poveri e martoriati bambini afghani,
se tutti i giorni – tutti i giorni – si collega via satellite con un
paio di talk show (Porta a Porta e Maurizio Costanzo show su tutti, ma
anche con Santoro, quando va in onda), diversi telegiornali (Rai o
Mediaset poco importa), un numero illimitato di radio (di Stato e private)
e scrive o viene intervistato o parlano di lui tutti i principali e più
influenti media della Repubblica? No, così, tanto per sapere. Domandine/2. Ma a questo povero Furio
Colombo – nel senso del direttore dell’Unità, non
dell’ex uomo di Agnelli - che ogni giorno – ogni giorno – attacca la
maggioranza parlamentare del Polo guidata dal leader Silvio Berlusconi, il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, i ministri del governo
Berlusconi, le reti televisive e i giornali ancora nelle mani del tycoon
mediatico Berlusconi, gli amici d’affari e le amicizie pericolose del
costruttore (forse in odore di mafia, di certo ex piduista) Berlusconi,
l’imbarbarimento della vita pubblica, il decadimento della morale e la
corruzione dilagante figlia del clima politico e storico, economico e
sociale che porta inevitabilmente con sé l’era Berlusconi, non è che
qualcheduno dei suoi lettori, per non dire dei suoi redattori, per non
dire dei suoi amici e sodali, gli vuole gentilmente spiegare che c’è
una guerra mondiale - e forse uno scontro di civiltà - in corso e che,
magari, il caso Berlusconi che angoscia tanto la sua vita e la sua
penna andrebbe riconsiderato alla luce degli attentati alle Torri
Gemelle, dei bombardamenti sull’Afghanistan e di quanto ancora
seguirà? No, così, tanto per sapere. Ps. L’Unità
ha scritto – in un trafiletto, per carità, di una pagina interna,
certo, però l’ha scritto, ecco - che il direttore di Micromega
è... Lucio Caracciolo. Apriti cielo. Chissà la telefonata di
fuoco che avrà fatto partire un indemoniato (nel senso letterale di
posseduto dal demonio, berlusconiano, non islamico, s’intende) Paolo
Flores d’Arcais, il "vero" direttore di Micromega. Domandine/3. Ma tutti questi soloni
– giornalisti, commentatori, intellettuali, politici, artisti, leaderini
in erba e simili - che pontificano contro l’intervento armato americano,
che si lamentano per l’eccidio di civili inermi, che sentono sulla loro
pelle e sulle loro spalle le sorti del mondo, in particolare di quello
musulmano, che inorridiscono al solo pensiero che possa essere in atto uno
"scontro di civiltà", dov’erano quando i fanatici islamici
del Gis algerino sgozzavano i laici berberi nella loro terra,
dov’erano quando i figli e i fratelli di Allah trucidavano interi
villaggi di cristiani animisti in Sudan, colpevoli solo della loro
fede, dov’erano quando Massud, il "leone del Panshir",
venne col cappello (pardon, col turbante) in mano in Europa,
sottoponendosi ad una umiliante questua presso tutte le cancellerie e i
media del continente, chiedendo, implorando, di sostenerlo economicamente,
militarmente e moralmente e chiedendo, implorando, di denunciare e
informare il mondo sugli eccidi e le aberrazioni dei Taliban? No,
così, tanto per sapere. Tersite
Non
so se si può riportare qualcosa apparsa su un forum. Da quello
dell'Unità, copio e incollo un pezzo di giornalismo vero. Si parte
dall’aeroporto di Lamezia Terme, il clima nell’aerostazione è
abbastanza tranquillo, polizia, carabinieri e uomini della guardia di
finanza vigilano con competenza.
Cari amici del Barbiere,
e redattori del sito RaiNet
news, vi sottopongo un quesito: che faccia fare
di fronte a questo pezzo di apertura stilato
come fosse un bollettino, senza trascurare gli svolazzi
poetici,
quale questo che vi mando, preso dal sito alle
sette di sera? Gli
Usa avvertono l'Onu: altri paesi nel mirino Il gioco si fa duro e, per la prima volta,
si parla chiaramente della possibilità di attacchi ad altri paesi, oltre
all’Afghanistan del regime compiacente dei talebani e sede di Al Quaida
guidata da Bin Laden. Il pezzo continua con un altro paragrafo dove si enumerano le
bombe sganciate e gli obiettivi dichiarati, tutti, è opportunamente
specificato, civili. Forse l’aver bombardato la sede di
un’agenzia Onu non è un particolare così trascurabile, e quel tono
possibilista stona se non altro con quello del lancio televideo
(Rai) delle 8.03. A quest'ora, alle sette, gli Usa hanno già rivendicato
e motivato la bomba, comunque. Curiosa
Ritorno a voi per
segnalarvi un nuovo ed efficace farmaco per la cura
dell’impotenza giornalistica. A differenza del Viagra non occorre
nemmeno la ricetta medica ed è di facile somministrazione. Basta
pronunciare la parola magica: ‘guerra’. Di
fronte a ‘piogge di missili’ il bravo giornalista –solitamente scartato
alla leva per insufficienza toracica- prova una strana sensazione di
calore nelle parti basse che si manifesta con una preoccupante
eiaculazione di parole, di cui guerra finisce per essere la più
ricorrente perché stimola orgasmi ripetuti. Ciò
instaura una reazione a catena per cui l’eccitazione nelle redazioni
raggiunge livelli orgiastici. Tutto
ciò fa molta tenerezza. E’ bello vedere il fanciullino
che è in noi liberarsi e volare felice nel mondo della fantasia e
dell’infanzia, quando garruli sterminavamo un’intera confezione
regalo di indiani o disponevamo sotto il tavolo di cucina ben tre carri
armati di plastica (più una 500 miniaturizzata, facente funzioni di).
E’ bello rivederci tutti fare con le labbra il rumore dell’aereo in
fase di decollo, vederci sobbalzare a ogni cascar di bomba… Pongo
però una questione. Guerra (dal Palazzi): sf. Contesa tra due o più
popoli che si definisce per via delle armi. Chiedo scusa se sembro pignolo,
ma gradirei sapere chi sono i due o più popoli coinvolti e quali sono le
armi con cui è in corso di definizione. Stando
ai fatti so che: Continuo
ad essere pignolissimo, ma non vedo al momento due o più popoli
schierati a definire questioni con le armi. Cioè non vedo guerra.
Vedo caso mai che si è arrivati a un punto in cui si fatica a trovare una
via d’uscita non violenta. Ma ancora non è guerra. Un
certo Antonio, in difesa di Oriana Fallaci, parla su questo sito
dell’orrore della guerra. Non essendo l’unico ad averne vista una, sa
che la cosa più orribile di una guerra (quella che vede due o più popoli
in armi l’uno contro l’altro) è la sua atroce normalità. E
allora chiedo: c’è oggi questa normalità? Chi odiamo? Gli afghani?
A nessuno di noi gli afghani han fatto nulla. Vivono sotto un giogo per
noi inimmaginabile, ma anche fare la ‘rivoluzione’ non è propriamente
schierare a tavolino le Brigate Garibaldi contro i nazifascisti… Ho
una risposta. Noi tutti. Ci odiamo. Non avendo fatto nulla o
avendo fatto ben poco per difenderci adesso, in preda all’irrazionalità
e al panico, buttiamo le basi per una guerra. Questa volta sul serio. Sono
sempre le parole che pesano: Islam e occidente, per connotare nemici,
terrorismo e eserciti, per contrapporre le armi. Risultato finale: il
terrore prossimo venturo. La guerra, quella vera. Beh,
cerchiamo di fermarci in tempo. Non ho nessuna voglia, da pignolo, di
adeguare la mia normalità a una normalità bellica. Non ho voglia di
odiare lo sciita che frequenta mia figlia e nemmeno la sua amica
israeliana. Anche
la guerra, nelle democrazie, ha avuto regole ferree (e chi ne ha
vista una sa che gli eserciti regolari han sempre tributato il massimo
rispetto ai nemici, se di altrettanti eserciti regolari). Un
giornalista può partecipare, nel frattempo, calibrando le parole
(del resto chiedetevi: come cavolo titolerete se, dio non voglia, in un
domani Iraq o Iran decidessero di scendere in campo in difesa
dell’Afghanistan? Che cavolo scoppierà? Qualcuno potrebbe titolare Apocalisse,
non fosse già stato fatto….).
Ciao Figaro, ti scrivo con una rabbia enorme dentro.
Ti prego quindi di comprendermi se non sarò lucido né sintetico.
Caro Barbiere, ho letto Oriana Fallaci sul Corriere, mi ha commosso
e mi è piaciuta, molto. Ho letto Angelo Panebianco e mi sono trovato
d’accordo con lui. Infine ho scoperto, qui su "30 righe", la
segnalazione di un altro pezzo da non perdersi. Ho letto anche quello. E ho capito le seguenti cose: Jacopo Loredan
Cosa fa un giornalista che, arso dal sacro fuoco
della penna, decide di aprire un giornale? I due buttano giù un progettino, creano le
pagine, la grafica (sono pur sempre due studenti, giornalisti sì, ma
ancora studentelli laureandi e con poche lire in tasca),
definiscono i contenuti, pensano alla distribuzione, fanno due conti.
Certi libri non spariscono. Fanno solo giri immensi, e poi
ritornano. Anche a voi sarà accaduto, cari clienti della bottega, di
acquistare un volume in libreria, perché il titolo vi ispirava o per
altre ragioni, e di depositarlo illibato nella vostra biblioteca, avendo
solo cura di spostarlo periodicamente da uno scaffale all'altro, in attesa
del momento giusto, che generalmente non arriva mai. Generalmente. Ma cosa sostiene, anzitutto, quel Devil di Guido Rossi, nel
suo editoriale "Il mercato sta meglio con lo Stato"? Che non
è vero che lo Stato via via sparisca
di fronte alla globalizzazione, come tutti proclamano. Che al
contrario nel 2000, dunque in pieno periodo di globalizzazione, sono
state raccolte più imposte e tasse di dieci anni prima, in tutti i
paesi del G7 e anche in quelli dell'Ocse, l'organizzazione delle nazioni
più sviluppate. Così rischia di essere anche in futuro, perché la
globalizzazione non considera i settori della sicurezza, della sanità e
dell'educazione, di cui gli Stati dovranno invece prendersi cura. E' questa tesi che mi ha fatto scattare la lampadina della
memoria, portandomi a Paul Krugman. Per darvi un'idea di quanto sia
concreta e accattivante la sua scrittura, eccovi come attacca la sua
fatica: "Questo libro non è un romanzo poliziesco, per cui
lasciatemi dire subito come va a finire. Parole profetiche, perché non nel lungo, ma nel brevissimo
periodo l'attentato alle Twin
Towers ha sconvolto il quadro, determinando una maggior
spesa pubblica per la sicurezza in genere, per la Difesa in
particolare (che già adesso si ritaglia il 20 per cento del bilancio
federale) e quasi sicuramente, come Bush ha già annunciato, anche per
l'assistenza a paesi stranieri, dall'Afganistan al Pakistan all'India (gli
Usa danno in aiuti appena lo 0,6 per cento del Prodotto interno lordo,
anche se il cittadino comune è convinto che si sborsi molto di più).
Insomma, più spesa pubblica e, quindi, niente
riduzione delle tasse. Anzi, forse il contrario. Ma, a prescindere dalla guerra contro Osama Bin Laden e i
fiancheggiatori del terrorismo, il piano fiscale di Bush, con riduzioni per
2.500 miliardi dollari in dieci anni, appariva "irresponsabilmente
ampio" (pagina 119) "in quanto impedisce al governo federale
di accantonare sufficienti riserve per affrontare il ritiro dall'attività
lavorativa de baby boomers". Seconda critica, "è fortemente
distorto a favore dei ricchi" dal momento che "circa il 40
per cento dei benfici andranno all'1 per cento più ricco dei
contribuenti". A questo punto, affezionati clienti, qualche affinità e
qualche sospetto vi solleticherà il cervello.
Che il libro di Krugman (editorialista del New York Times, oltreché
economista) possa essere letto anche in chiave italiana? V'è un punto in cui il legame fra Bush e Berlusconi è
sbalorditivo. Ed è la storia
dell'imposta di successione da abolire. Anche in America, come in
Italia, questa gabella aveva un peso assai limitato (35 miliardi di
dollari nel 2000, rispetto ai 1000 dell'imposta sui reddti). Anche negli
Stati Uniti era già stata abbondantemente
riformata, come nel nostro paese, tanto che i patrimoni al di sotto
dei 675 mila dollari (1 miliardo e trecento milioni italiani) non si
pagava nulla, limite che sale al doppio per le coppie sposate. Come ha potuto Bush sbandierare alla popolazione degli
Stati Uniti questo programma elettorale con motivazioni che a Krugman
risultano "stupefacenti per
disonestà intellettuale"? Che doccia fredda cari amici, che brusco risveglio per chi,
come noi e voi, è alle prese con i quotidiani condizionamenti imposti
dalle lobbies economiche che detengono i nostri media, con l'immancabile
balzo di gruppo sul carro del vincitore e con il silenzio, giustamente
denunciato da Costanza, dei
direttori indipendenti su un caso scandaloso come quello delle
"rogatorie internazionali" (oltre che sulla pratica "falso
in bilancio"). Adesso non possiamo più nemmeno sognare un atteraggio
professionale negli Usa. Ci hanno tolto l'ultimo modello, quello del
mitico giornalismo a stelle e strisce.
Rischia di inserirsi d’autorità tra i primi dieci mensili
italiani più letti. Ma non tra i più acquistati. Perché Urban il primo
esperimento italiano di free press lanciato nei giorni scorsi in
quattro città italiane si inserisce nel nuovo business della stampa
gratuita con una formula sicuramente innovativa: formato tabloid, 72
pagine a 4 colori stampate su carta da quotidiano, 330mila copie di
tiratura per i primi due numeri, ma con ambizioni dichiarate di
raggiungere le 500mila in pochi mesi. Ideato e confezionato
in gran segreto a Milano durante l’estate dal suo direttore
Alessandro Robecchi e da una piccola, ma agguerrita redazione di
quattro persone, Urban è un’iniziativa di Per e Simona Tegelof editori
svedesi pronti ad allargarsi in Svizzera, Spagna e Francia se l’edizione
italiana avrà successo. Robecchi, 41 anni, milanese, si è fatto le ossa
in diversi giornali: da Costruire a Cuore, da L’Unità al Manifesto
passando per Gente Viaggi, Diario e Radio Poloplare di Milano dove ha
curato per anni Piovono Pietre, striscia mattutina cult di satira politica
e di costume. “Urban – dice Robecchi – è una mappa di cose
nuove e interessanti che consentono a un lettore curioso di
“perdersi” nella sua città. Seguendo percorsi, fisici e culturali,
che devono essere sorprendenti e raccontati con linguaggio leggero,
quello insomma usato da chi non si prende mai troppo sul serio”. Nel primo numero di Urban così, Milano è vista dalla dj
Kleopatra, Torino è raccontata nelle sue contraddizioni etniche,
Bologna è scrutata dal musicista e scrittore Emidio Clementi e Roma viene
scoperta, in Vespa, da Jasmine Trinca, la giovane rivelazione morettiana
de La Stanza del figlio. La moda
è risolta con un servizio in cui lui e lei posano nudi “sicuramente
meno volgare delle tette in copertina dei newsmagazine – dice
Robecchi.”. Le rubriche, tante, hanno sempre un fil rouge che
suggerisce con una selezione un po’ severa, percorsi mai
banali. Il target non è né maschile né femminile: la trasversalità
è totale anche se i confini dicono di un giovane metropolitano dai
20 ai 40 anni con buona capacità di spesa. “Un posizionamento ideale
– precisa Robecchi – che di questi tempi fa arrapare i
pubblicitari”. Il giornale, per ora, è distribuito a Milano, Roma, Torino
e Bologna, ma presto arriverà anche a Firenze e Napoli. La distribuzione
è organizzata in luoghi “sensibili”: cinema, ristoranti
e bar selezionati, negozi trendy. Il sottotitolo di Urban è “la città come non
l’avete mai vista”, proposizione neppure tanto ambiziosa se
consideriamo il nostro modo di consumarla: di fretta e senza mai
alzare il naso dal marciapiede. Per questo il giornale sii affida a chi sa
raccontare bene e con leggerezza, luoghi e personaggi che sfioriamo
tutti i giorni senza accorgercene. “In questo paese – dice Robecchi – ci sono molti
scrittori e giornalisti della mia generazione che non hanno molti posti
per scrivere. Il giornale diventerà il territorio su cui misurarsi.
Caro
collega (adesso sì che te lo posso dire), Grazie, grazie, grazie
mille per il prezioso tempo che mi hai dedicato, grazie per avermi dato
fiducia, grazie per avermi aperto gli occhi su
quello che significa veramente essere giornalisti. Già, come puoi
ben immaginare mi hanno
promosso ed è grazie a te e al Barbiere. Commissione
d’esame di idoneità professionale-Sessione
primaverile 2001 – Esame orale il 3 ottobre 2001
- Tesina di Michelle Marie
Berard Una
piazza telematica per fare “informazione sull’informazione” Il
Barbiere della Sera: “una voce senza editore” Un’idea, pochi mezzi e Internet. Un sito nato da poco più di un anno, sembra aver realizzato il sogno di ogni giornalista. Ma cosa c'è dietro? Secondo Figaro, un po’ di ognuno di noi.
Ciò,
però, non è onesto nei confronti dei lettori, i veri destinatari del
giornale. Da questa considerazione e da una chiacchierata tra amici in
vacanza, dice Figaro, è nata l’idea di realizzare il sogno di ogni
giornalista: una testata senza compromessi, ma rispettosa di tutte le
regole della professione: diritto di replica, fondatezza della notizia e
garanzia della riservatezza delle fonti. Ma
per farlo veramente, bisognava diventare un vero e proprio editore, avere
doti manageriali e, soprattutto, un capitale cospicuo da investire. Un
gioco di parole sul nome del più grosso quotidiano italiano e una famosa
opera di Rossini e il gioco è fatto: nasce
Il Barbiere della Sera. Chi ci sia dietro rimane un mistero.
Per proteggere la propria identità i giornalisti che curano il sito
utilizzano pseudonimi presi in prestito proprio dal rossiniano Barbiere di
Siviglia come Figaro e il Conte d’Almaviva. Se
si gioca, bisogna rispettare le regole Sono
diverse le sezioni del giornale online dove compaiono le notizie neglette,
quelle che ‘non trovano spazio’ perché antipatiche a qualcuno. A
proposito delle notizie, però, i principi fondamentali sui quali si basa
Il Barbiere della Sera sono ben chiari: la loro veridicità e la piena
applicazione della Legge sulla stampa. L’articolo due della legge n. 69
del 3 febbraio 1963 sulla professione giornalistica e sull’Ordine che
cita, infatti, che: “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà
di informazione e di critica, limitata all’osservanza delle norme di
legge dettate a tutela della personalità altrui ed è obbligo
inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati
sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.
Dopo il voto favorevole del Senato quella sulle rogatorie
è legge dello Stato. Benché in passato vi siano state leggi che
l’inquilino del Quirinale ha rispedito al mittente si è quasi sempre
trattato di provvedimenti che non garantivano un’adeguata copertura
finanziaria. Un fatto tecnico insomma. E infatti Ciampi ha controfirmato
la legge. In questo caso la mancata firma di Carlo Azeglio Ciampi
(che ricordiamo – particolare non insignificante – è anche presidente
del Consiglio Superiore della Magistratura) avrebbe bollato la legge
come incostituzionale se non addirittura come eversiva con conseguenze
politico istituzionali devastanti. Legge e’ passata con un muro contro muro di inaudita
durezza fra maggioranza ed opposizione. Alla Camera si è rimasti
nell’ambito della decenza (forse perché, come ha fatto acutamente
notare Sebastiano Messina su la Repubblica, Pierferdinando Casini
avrà forse letto con meno attenzione del suo omologo Marcello Pera
i testi di Popper e di Heidegger ma ha certamente appreso da
Toni Bisaglia e da Arnaldo Forlani come districarsi in
situazioni politiche spinose). Nessuna persona sana di mente può lontanamente ritenere
che la maggioranza voglia proteggere spacciatori, riciclatori,
assassini, terroristi anche se tutti costoro ne trarranno benefici in
termini processuali. Processo Imi Sir. Sulle presunte tangenti (70
miliardi) pagate dagli eredi di Nino Rovelli. Imputati gli avvocati Previti,
Pacifico e Acampora e i magistrati Squillante, Verde e Metta. Processo Sme. Su presunti fenomeni di
corruzione connessi alla vicenda Sme Buitoni. Indagati Silvio
Berlusconi, Previti, Pacifico, Verde e Squillante. Lodo Mondadori. Presunte tangenti per
aggiustare la sentenza sul passaggio della proprietà della Mondadori.
Imputati Berlusconi, Pacifico, Previti, Acampora e Metta. Altri processi minori vedono come imputati o indagati Marcello
Dell’Utri, Paolo Berlusconi e alcuni alti dirigenti
Mediaset. C’è da aggiungere che, pur di far passare la legge, la
maggioranza si è dichiarata disponibile ad allungare – e questo sì che
è un obbrobrio giuridico – quei vergognosi tempi di custodia
cautelare per la lunghezza dei quali siamo stati più volte rampognati
in sede europea. Proroga che non sfiorerebbe in alcun modo i
personaggi sopra descritti essendo tutti a piede libero o,
comunque, sotto l’ombrello dell’immunità parlamentare. Inquietante la decisione - che sa tanto di epurazione -
del ministro della Giustizia Roberto Castelli (i cui
occhialini tondi senza montatura mi ricordano, chissà perché, quelli di Lavrenti
Beria) di rimuovere - eufemismo al posto del più rude licenziare - cinque
magistrati dell’ufficio legislativo di via Arenula il cui solo torto è
stato quello di avere stilato un documento di critica (tecnica si badi
bene e non politica) sulla legge in questione. I cinque neo disoccupati
sono Antonio Patrono, Antonietta Carestia, Elisabetta Rosi,
Giuseppe Cascini e Vittoria Stevanelli. Boris Vishinski non avrebbe saputo fare di
meglio. Durissimi i giudizi che vengono dall’estero. Quello del
procuratore generale di Ginevra Bernard Bertossa secondo il
quale “il provvedimento non ha nulla a che fare col diritto ma è di
chiara natura politica ed è destinato a salvare determinate
persone vicine al governo italiano.
Invito tutti i colleghi a segnalare articoli seri sulla situazione attuale che non siano pastoni d'agenzia con commenti personali o, peggio, commenti personali basati su pastoni d'agenzia (meglio noti come editoriali). Corriamo il rischio di subissare Pennina di un numero immenso di mail inutili, ma forse riusciamo a salvare qualcosa nello squallore sconfortante di questo presente per nulla allegro. Io -nonostante
la pervicacia che lo porta con impietoso masochismo ad affiancare
quotidianamente a otto pagine la parola 'Apocalisse' - difendo il
manifesto. Per cui: avete letto Manlio Dinucci? AFFARI&POLITICA
Ci siamo rotti le palle! Non sarà elegante
dirlo, ma esprime bene il concetto. E se una missione devono avere i
giornalisti è proprio quella di esprimersi in maniera chiara.
Dunque ci siamo rotti le palle. Il Barbiere sta diventando il sito... del
pianto, uno sfogatoio telematico, un confessionale virtuale
di nefandezze più o meno gravi. Lungi dal rifiutare le preziose segnalazioni
dei lettori, quello che chiediamo è di scrivere nelle e-mail che mandate
riferimenti con nomi e numeri di telefono, che, naturalmente, assicuriamo
non verranno resi pubblici, ma che a noi servono per verificare (di
far questo non ci siamo ancora rotti) la fondatezza di quanto ci
scrivete. Dateci anche qualche esempio di virtù
giornalistiche miracolosamente sopravvissute al cinismo ed alla
superficialità dilaganti. E' di esempi positivi che abbiamo bisogno, non
di lagne. Abbiate pietà dei giovinastri che stanno imparando 'sto
mestiere... ci vuol davvero coraggio a volerlo fare ancora nonostante
quello che si sente in giro e si legge pure su questo sito. Siamo convinti che ognuno di voi è in grado di
offrire esperienze felici: dal redattore anonimo che fa coscienziosamente
il suo lavoro, all'editore illuminato, al direttore democratico...
Non siate scandalizzati. Non è di utopie che parlo, ma di quotidianità
vissuta senza dimenticare gli ideali degli inizi. In bottega cambiamo l'aria, abbiamo bisogno di
una ventata di ottimismo. Quindi finitela di criticare come
vecchie ed acide zie tutti gli errori degli altri. Solo chi non fa nulla
non sbaglia. E in questo mestiere la fretta rende tutti
vulnerabili. Tutti. Nessuno escluso. Badare bene: non ci sono correnti buoniste
sotterranee in bottega, né abbiamo fatto endovene di nutella
per addolcirci un po’. Tanto meno è un' invito a chiudere gli occhi
davanti ad ingiustizie e scorrettezze. Solo fate caso anche al
buono che c'è e sopravvive senza che nessuno lo noti e se ne ricordi.
Rilevarlo di solito fa bene all'umore. Un'altra cosa che fa molto bene all'umore del
Barbiere è seguire le regole che trovate appese all'entrata
e che in pochi rispettano: mandate i pezzi divisi in blocchi di testo, con
i neretti e possibilmente con un titolo. Siete tanti e di più, una mano
dovete darla nell'editing. Un'ultima raccomandazione e non snobbatela
perché arriva dalla punta di una pennina. Siate giornalisti: mandate
pezzi e non
comunicati stampa pallosissimi. Anzi, raccomando una cosa
pure a questi ultimi: scrivete diei righe e non di piu'. Sul Barbiere il
vostro comunicato verrà
pubblicato sicuramente con maggior piacere (e siamo pronti a scommettere
che sarà letto di piu'). Ok, basta pontificare che non
si addice ad una Pennina. Posso ritornare al frenetico da fare
della bottega.
È stata sempre una roccaforte maschile. Da qualche anno
però la valanga rosa ha infranto le ultime difese ed è entrata di
prepotenza nella cittadella fortificata delle redazioni sportive. E
nella maggior parte si tratta di colleghe brave, molto brave. “Mi occupo di sport da diciotto anni” dice Enrica
Speroni, vice capo redattore de La Gazzetta dello sport. “Ma perché ci sono molte più donne che si occupano di
sport che di uomini, ad esempio, di moda?” Nell’albo delle veterane, capo servizio sempre della rosea, Gabriella Mancini. Per carità, non confondetela con la Gabriella Mancini che tiene (o teneva) una melensa rubrica del cuore sul sito della Adn Kronos. “So di avere un’omonima” ha detto Gabriella (quella
vera) senza commentare. Ma dal tono ho capito che la possibile confusione
non la rendeva particolarmente entusiasta. Di tutto rispetto il suo
palmarès. Mancini cura una seguitissima rubrica su
quanto appare sui media. “Occuparsi di sport per una donna oggi è normale. Quando
cominciai, nel 1976, lo era un po’ meno” dice Emanuela Audisio,
inviata de la Repubblica. Ricordo che negli anni ’80 ero a
Forio d’Ischia per il mondiale di pugilato vinto da Oliva. Ero
l’ultima della fila fra i molti colleghi che stavano prendendo posto
nello spazio riservato alla stampa quando venni fermata da un carabiniere;
gli mostrai tesserino e accredito ma lui replicò che era impossibile che
una donna si occupasse di sport; ergo i documenti dovevano essere falsi
o rubati. Numerosissime le colleghe del video e mi scuso sin d’ora
per i peccati d’omissione in cui incorrerò citandone alcune e
dimenticandone altre. Sempre puntuali e pertinenti le analisi tecniche
(calcistiche) di Francesca Sanipoli, Cinzia Maltese e della
garbata e gradevolissima Paola Arcaro, mentre l’automobilismo è
territorio esclusivo di Federica Balestrieri che, è il caso di
dire, sull’argomento ha una marcia in più. Sulle spalle di Donatella Scarnati (e onor del vero
anche di Fedele La Sorsa) tutto il fardello sportivo del Tg 1. Con
ottimi risultati; e non è da poco. Molte le colleghe della redazione sportiva di TMC.
Cito per tutte Marina Sbardella (che se la memoria non mi inganna
è stata anche presidente della Federazione Gioco Calcio Femminile) e
soprattutto Pina Debbi che per la sua competenza calcistica
potrebbe candidarsi alla successione di Giovanni Trapattoni alla
guida della nazionale maggiore. Il fatto di possedere una parabola mi consente di vivere
perennemente in stato di overdose calcistica ma anche di apprezzare su Tele+
i collegamenti da bordo campo di Alessandra Ferrari e di Martina
Maestri. Anche nelle interviste post partita le due se la cavano mica
male: difficile che esca loro di bocca una domanda banale o scontata. Benché parlando di colleghe
le classifiche siano sgradevoli corro il rischio citando quella che, a mio
personalissimo e sindacabile giudizio, considero la numero uno: Nicoletta
Grifoni (alla quale mando un gigantesco in bocca al lupo,
lei sa perché, ndr) della redazione Rai di Ancona. “Non ho subito “dice Grifoni “ostracismo o
discriminazioni per il fatto di essere donna in un mondo sostanzialmente
maschile” “Mai?”
Carissimo
Bds, sono due giorni che vengo bersagliata dalla domanda 'Hai letto la Fallaci
sul Corriere?'. L'iniziativa è partita da un mio vicino di quartiere, è
passata attraverso il mio edicolante, poi mi ha raggiunto in panetteria,
quindi dal verduraio, poi al baretto dove gioco il Superenalotto. Niente contro la Fallaci, a parte inessenziali opinioni personali divergenti da quelle della Fallaci. Quello che mi infastidisce cerco di spiegarlo con due articoli che recupero col copia-incolla dal Manifesto. 'Avete letto Piccioni e Aldo Busi?' Se no,
per favore, fatelo. Grazie.Comunque non sarà tempo perso. da
il manifesto di martedì scorso.... Bush
e Bin Laden, soci d'affari e amici per la pelle La saga infinita dei
rapporti tra le due famiglie, in cui sono i bin Laden a perdere. Decine di
news su Internet Lui che negli anni '30 - e nei primi '40 - trafficava con la Luftwaffe fino a vedere tre società di cui era azionista importante sanzionate per aver commerciato col nemico (violando il Trading with Enemy Act). Lui che pranzava quotidianamente con Allen e Foster Dulles (capo della Cia al momento dell'assassinio di John Kennedy) e che aveva convocato il capo della nazione Apache per una cerimonia di restituzione del teschio di Geronimo; finita male, perché provò ad affibbiargli un teschio qualsiasi, offendendolo a morte. Era certamente contento del primogenito George Herbert, petroliere di scarsa fortuna ma agente della Cia in grado di scalarne la vetta (fu nominato direttore nel '76) nonostante il non esaltante risultato dello sbarco nella Baia dei Porci, a Cuba, di cui era il coordinatore. Però dimostrò di tenere alle radici texane, al petrolio e alla famiglia, chiamando le tre navi da sbarco Houston, Zapata (la sua prima e scalognata società petrolifera) e Barbara (la moglie). Deve aver sorvolato su quella strana liason del figlio, negli anni '60, con un costruttore arabo che ogni tanto veniva in Texas e cercava di introdursi nell'alta società locale. In fondo, quel Muhammad Bin Laden lì, non durò poi molto: cadde col suo aereo mentre attraversava il cielo sopra i pozzi che così poca soddisfazione davano al suo prediletto. Era il '68, il mondo pensava ad altro. George W., all'inizio, deve avergli dato parecchi grattacapi. Un asino a scuola (la media del "C", a un passo dalla bocciatura), ultimo all'esame di ammissione alle forze aeree della Guardia Nazionale (giusto per schivare il Vietnam), assiduo frequentatore di bottiglie di bourbon e piste di cocaina. Ma finalmente, anche lui, si lanciava nel business del petrolio. A metà degli anni '70 fonda la Arbusto (bush, in spagnolo) Energy, raccogliendo come soci un po' di amici paterni (la Cia ha molti amici). Il suo compagno di scuola e di servizio militare, James Bath, gli procura investimenti da parte di Khaled Bin Mafouz e Salem Bin Laden, il figlio maggiore di Muhammad e nuovo capo della famiglia. Personaggio notevole, il Mafouz. Banchiere della famiglia reale saudita, sposo felice di una sorella di Salem e Osama, gran capo di Relief e Blessed Relief, le due "ong" arabe accusate di essere una copertura per l'organizzazione di Osama. George, negli affari, è sfortunato. La Arbusto fallisce, si trasforma in Bush Exploration, poi in Spectrum 7. Immancabile arriva sempre la bancarotta. Ma Salem non gli fa mai mancare il suo generoso appoggio. Il successo pare arridergli quando la Harken Energy rileva la Spectrum pagando la sua quota azionaria ben 600.000 dollari. Che corrobora con un contratto di consulenza da 120.000 dollari l'anno. In breve si mette in tasca un milione, mentre la Harken ne perde decine. Ma procura un contratto di trivellazione in mare da parte del Bahrein, battendo Amoco e Esso. E' il '91, la guerra del Golfo sta per scoppiare, Bush padre è il presidente; e lo sceicco locale, Khalifa, preferisce non rischiare. Del resto sono anche vecchi amici di famiglia. Khalifa, Bin Mafouz, Salem Bin Laden erano nel board della Bcci quando passavano immensi movimenti di denaro per l'affare Iran-Contra. Del resto quando, alla fine dell'80, i repubblicani si incontrano segretamente a Parigi con i khomeinisti moderati per ritardare il rilascio degli ostaggi americani a Teheran e fregare così Jimmy Carter alle elezioni, George padre raggiunge di corsa il summit a bordo dell'aereo di Salem Bin Laden. George W. è sfortunato, con i suoi soci. Su quello stesso aereo, nell''88, Salem trova la morte (anche lui) mentre attraversa il cielo sopra i pozzi del Texas. La coincidenza sembra a molti eccessiva, ma l'inchiesta fu molto accurata. Le conclusioni, infatti, non furono mai rese note. Nel frattempo un altro protagonista dell'incontro di Parigi, Amiram Nir - agente del Mossad - muore in un incidente aereo. Nessun sospetto, però: cade in Messico, mica in Texas. La sfortuna perseguita anche i giornalisti che si occupano dei Bush. Danny Casolaro sta lavorando a un libro ("Untanglig the Octopus") che ricostruisce la rete degli scandali grandi e piccoli della presidenza paterna. Prima di finirlo, però, decide di suicidarsi "come un incapace", racconta Steve Mizrach. Stessa sorte per James H. Hatfield, 43 anni, che è riuscito a pubblicare "A fortunate Son: George W. Bush and the making of an American President". Una biografia non autorizzata che, nel '99, rivela come George abbia tenuto nascoste le sue frequentazioni con la cocaina. Per la legge del contrappasso, viene trovato morto per overdose in un albergo di Springdale, Arkansas, il 18 luglio di quest'anno. Ora tocca a Osama, naturalmente. Sodale non d'affari, ma di operazioni targate Cia. Forse gli altri 52 fratelli avranno qualcosa da obiettare. Ma, direbbe Prescott, in una guerra mondiale c'è spazio a sufficienza per risolvere le beghe tra vecchi soci.
Lettera di Aldo Busi al Manifesto
Bush
l'aveva detto quasi subito :"non vi diremo nulla che possa mettere in
pericolo anche soltanto la vita di un soldato americano". E sta
mantenendo la promessa:da qualche giorno non arrivano più notizie dal
fronte. La CNN va in
onda con la scritta “war against terror”, la BBC, con scarsa fantasa
con “war on terrorist”.
“Questo giornale va avanti anche senza di voi”. E finimmo tutti a casa per aver chiesto le 8 lire a battuta che l'Editore ci aveva promesso. Dopo mesi di lavoro gratis abbiamo chiesto all'editore di essere pagati. Caro Danilo, volevamo SOLO quello che ci avevi promesso,
mica ti chiedevamo di pagarci i pezzi secondo tariffe dell'Ordine (ma
qualcuno le rispetta davvero?), ma tu, dietro quel colorito marroncino
(nonnò, non è lampada, è proprio made in Tropici, amici miei) e
quegli occhioni blu, non hai fatto una piega, e ci hai buttati nel water (
ma con grazia) e ci hai detto: "passa in amministrazione per il
saldo". Ecco, è proprio quello che succede in questa casa editrice di un periodico dedicato ai concorsi e di altri periodici sullo stesso argomento (per azzerare la concorrenza ha invaso il mercato di sue pubblicazioni, così, quando credi di "sentire un'altra campana", senti sempre la stessa e non lo sai). La stessa casa editrice, un identico settimanale venduto in tutta Italia al prezzo di £ 1.800, infarcito per altro di remunerativa pubblicità. Bene, la ex redazione combatte da oltre un anno per essere pagata. Senza successo. Dopo l'esodo scaglionato dei collaboratori, che man mano recuperavano la ragione, al momento il giornale si avvale di una redazione tutta nuova (leggi: ragazzi di belle speranze che credono di aver svoltato scrivendo per un settimanale nazionale, e che accetteranno di essere pagati oltre ogni tempo massimo e a prezzi sotto ogni decenza umana per questo motivo, e che saranno brutalmente disillusi quando gli arretrati arriveranno a tal punto da spingerli a chiedere il saldo...e lì passeranno in un sol colpo dall'infanzia all'età adulta, e non sarà bello). Il nostro sbaglio è stato quello di credere che l''Editore, nonchè unico amministratore e rappresentante legale (in effetti noi siamo i Fantozzi della situazione, lui, già sapendolo, si è assimilato al Gran Cap Figl Di...ecc. del povero ragioniere) fosse una persona onesta. AHAHAHAH! Così lui prometteva che presto avrebbe pagato, e intanto il tempo passava. Io, come tutti i miei colleghi, vorremmo solo i NOSTRI soldi. Tra l'altro, il Grande Editore, ci pagava 10 lire LORDE a battuta, dunque non ci deve certo miliardi, a tirar le somme di 10-15 redattori. Eppure, al meglio che ci andrà, dopo aver portato a termine la causa legale che, ciascuno di noi in tempi diversi (chi si è svegliato prima, chi dopo) ha avviato o sta avviando, TRA CINQUE - SEI ANNI (i tempi rapidi della Giustizia) riusciremo ad avere chi i suoi 5, chi i suoi 10, chi i suoi 3 milioni. Oltre ad una serie di ulcere perforanti, ictus e trombosi da arrabbiature che nessuno ci ripagherà. Vi racconto questa storia perchè è grave che un Editore di questa portata venga lasciato libero di sottopagare i giornalisti (pardon: di illudere di sottopagare eppoi di non pagare affatto); di fare tariffari a suo piacimento (o si intende questo quando si parla di flessibilità del mondo del lavoro?); di continuare ad uscire REGOLARMENTE con tutti i suoi giornali quando ci sono in corso VERTENZE, DENUNCE e simili? Qualcosa non funziona, nel nostro dorato mondo dell'informazione, se l'Editore è tanto sicuro di averla vinta da ignorare convocazioni ufficiali, perchè sa che un avvocato costa L'IRA DI DIO e un poveraccio qualunque NON SE LO PUò PERMETTERE a cuor leggero. Sicuro almeno sui lunghi tempi della Giustizia (perchè a costo di vendermi casa i miei soldi non rimarranno sul SUO conto in banca) In fondo da qui a cinque anni qualcuno di quelli che gli sta facendo causa potrebbe precipitare da una scarpata mentre fa trekking, possibilmente quello a cui deve di più, e gli altri magari molleranno, la guerra di logoramento non l'ho inventata io. Vi scrivo perchè spero che qualcuno che sta pensando di collaborare con i giornali pubblicati da questo editore, leggendomi, ci ripensi e non si illuda di essere pagato; se vuole ingrossare il curriculum ok, ma sappia SIN DALL'INIZIO che lo farà gratis...ma poi, tra parentesi, non esistono forme LEGALI di volontariato di questo tipo, dunque gradirei che, qualcuno che ha la facoltà, faccia qualcosa, visto che pago la mia brava iscrizione annuale a Ordine dei Giornalisti, Associazione Sindacale di categoria e INPGI. Insomma, non mi va molto di mantenere chi collude con i ladri. Perchè se non si fa nulla per impedire a chi ruba di rubare, si aiuta l'illegalità, non sono un avvocato ma questa cosa la so anch'io. E mi sento TRADITA da chi DEVE proteggermi, perchè sa e, pur sapendo, permette all'Editore di farsi i soggiorni in Sardegna, girare con il suo parco macchine (ma la mattina sarà dura, poverino, decidere quale tirare fuori...secondo me la sceglie intonata ai calzini) e rifiutarsi, allo stesso tempo, di "pagare" i suoi collaboratori. Noi, ex redattori proseguiamo nella lotta, ma segnaliamo alle autorita' competenti, da questa tribuna (in tutte le altre siamo presenti con nomi e cognomi e facce afflitte&inferocite), quello che sta accadendo. Speriamo che non si debba essere costretti a scrivere al Gabibbo per veder smuovere la situazione. Grazie. Giovanna d'Arco
Non
arriva dal Ministero la nomina del coordinatore tecnico amministrativo: il
30 di settembre si blocca l’attività dell’Ente Tira
aria di crisi nei Parchi nazionali. Nell’Arcipelago Toscano l’Ente si
prepara a chiudere ogni tipo di attività. Senza direttore dal 1° di
giugno, ieri pomeriggio ha ricevuto dal Ministero dell’Ambiente
l’ennesima doccia fredda. Il
Servizio Conservazione Natura ha, infatti, dichiarato illegittima la
delibera con la quale il Consiglio Direttivo del Parco individuava un
Coordinatore tecnico amministrativo che avrebbe dovuto sostituire, pro
tempore, il Direttore non ancora nominato. Una figura che poteva
consentire all’Ente almeno l’attività di ordinaria amministrazione. E
il Ministero vigilante che ha ritenuto la delibera illegittima non ha
indicato una procedura alternativa se non un riferimento ad un elenco di
Direttori di Parco, ragionevolmente datato 1994, nel quale non si ritrova
altro riferimento se non una serie di nomi senza curricola né indirizzi. Nell’attesa
quindi della nomina del nuovo Direttore che dovrà arrivare dal Ministero
il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano il Parco potrà sopravvivere
solo fino al 30 di settembre. In quella data, infatti, scadranno tutti i contratti di collaborazione delle persone che in quattro anni avevano permesso all’Ente di strutturarsi e di svolgere regolarmente le proprie attività. Il Parco, infatti, non ha ancora personale dipendente (i concorsi per ricoprire la pianta organica sono in atto proprio in questi giorni) e dalla data della sua istituzione aveva attivato una serie di contratti di collaborazione. Così,
dal 1 di ottobre gli uffici
del Parco resteranno vuoti e le attività si bloccheranno. Ci
si chiede, a questo punto, cosa sarà dei concorsi in atto, dei numerosi
cantieri aperti nell’Arcipelago per i quali esistono precise scadenze ed
impegni economici che, in caso di inadempienza, prevedono precise
responsabilità di ordine patrimoniale, del Piano del Parco e del Piano di
sviluppo economico e sociale in allestimento che avevano portato il Parco
nazionale dell’arcipelago toscano fra gli enti parco che nei primi
cinque anni di attività potevano riuscire a concludere la fase di
strutturazione. Sarebbe
anche importante, in questa situazione,
riuscire a capire quale sarà l’esito di alcune pendenze presso i
Tribunali Amministrativi che vedono l’Ente impegnato a contrastare
pesanti interventi cementificatori. In questo momento si stanno inoltrando all’Ente i nuovi
strumenti urbanistici per i quali, come prevede la 394 e il D.P.R. 22
luglio ’96, si rende necessaria nelle aree di competenza il nulla osta
del Parco da emanare entro i tempi previsti dal D.P.R. E
poi Pianosa, che proprio in questi giorni vede avvicinarsi la conclusione
del complesso iter amministrativo per la tutela e la valorizzazione
dell’isola. Un patrimonio naturale e culturale, per la cui salvaguardia
il Parco, la Regione e gli Enti locali sono da anni fortemente impegnati
al fine di evitare utilizzazioni improprie del territorio. Forse il Parco
non è ancora nella bufera, sono solo nuvole di speculatori. Intanto
il Presidente del Parco ha spiegato la gravità della situazione in
un’articolata lettera inviata al Ministro e ha convocato un Consiglio
Direttivo straordinario per il 21 settembre. Tutti
gli atti relativi alla vicenda possono essere consultati nelle News del
sito internet del Parco (www.islepark.it).
Caro
Barbiere, anch'io ho risposto (con foto)all'inserzione di Hse, e
anch'io ho ricevuto un messaggio di rifiuto che mi è sembrato un po'
strano, in quanto sembra non prendere in considerazione l'ipotesi che io,
che sono milanese, possa e magari voglia trasferirmi a Roma.
Caro Barbiere, non ci crederai ma qualcuno mi ha chiamata dopo aver letto il curriculum sul tuo sito. Il colloquio è per giove, non so come andrà ma già la telefonata la considererei un successo del Siviglia. No? Comunque,
per evitare che, dopo il mio "immenso impegno" in materia, ci
sia ancora chi mi chiama "pubblicista", ti aggiorno il
curriculum, così di certo non mi chiama più nessuno (lo sai, no, che un
professionista a colloquio è peggio di un marchigiano fuori la porta).
Non
pensavo sarei mai arrivata a farlo…ma se lo faccio vuol dire che la
situazione è critica…anche
di più. Fino a oggi sono riuscita a mantenermi, e a mantenere la mia
famiglia, facendo la giornalista free lance
dalla provincia più a est d’Italia. Chiudo definitivamente i battenti,
saluto questa professione e mi offro come barista o tutto fare
…redazioni o no…porto cornetti, svuoto cestini, lustro video… La crisi (che non è solo mia, ma più in
generale di molti che come me, giornalisti professionisti, si sono
mantenuti con corrispondenze da mezza Italia e non solo) s’è fatta
sentire a giugno, ma ora è diventata insostenibile. Ho provato ad analizzare le cause (collaboro con circa una decina di testate): 1) Giornali monotematici: luglio e agosto sono stati completamente dedicati al G8. Ora tutto si concentra sugli Stati Uniti e la guerra. In materia ho un minimo di competenza, ma riuscire a spiegare a colleghi al desk, oberati di lavoro, che ce l’ho è impresa tanto cosmica quanto inutile. Inutile perché…passate al punto due… 2) Le collaborazioni costano, sempre meno, ma costano…quindi meno ce ne sono (possibilmente solo di firme essenziali del giornalismo mondiale, che paghi molto, ma in teoria fanno vendere), meglio è…che te ne fai di un/una giornalista che tutt’al più ti elenca, su dati certi, tutti gli articoli dei trattati internazionali o va, ormai a memoria, sulla funzione bellica degli F16, sulla loro struttura, sulla struttura del 31° stormo, sugli accordi che regolamentano l’uso delle basi Usaf e Nato in territorio italiano, ecc.? C’è l’esperto, e il collega al desk che assembla, copia, incolla, riporta, titola, sottotitola… 3)
Giornali specializzati: collaboro con alcuni giornali
specializzati, da sempre interessati a quanto accade nella mia area. Il
cambio d’amministrazione è riuscita a far sì che, a parte la satira,
nella mia area non accada più nulla. Anche a voler scrivere è
impossibile. 4) Giornali aperti e chiusi. No comment. Giornali aperti, ma che non pagano. No comment. E’ un classico del giornalismo nazionale. 5) Accorpamenti editoriali. Per chi vive e lavora in provincia questa è stata una vera e propria jattura. L’osmosi con l’agenzia e le testate del gruppo è totale. 6) Assunzione o sostituzione in provincia: suppongo si stia scherzando, caso mai si prepensiona, almeno finchè non sarà possibile licenziare. 7)
Assunzione o sostituzione fuori provincia (trasferirsi in
questo caso è un piacere): campa cavallo!!! Io poi non ho nemmeno quel
bell’aspetto necessario per rispondere alle inserzioni del Barbiere!!!! E così, aiutata anche da alcuni episodi
di encomiabile idiozia facenti capo alla categoria, ho deciso. La
barca sta affondando e, da topo, mi cerco un lavoro. Ps: Così facendo non guadagnerò molto, ma almeno risparmierò in telefono, Ordine, Inpgi e Casagit. Questo mese ho incassato 160.000 lire lorde…l’Inpgi 2 mi costa più di 200 mila….A proposito, come si fa a dimettersi?
Dopo aver rischiato di essere "messa al rogo" come la tipa alla quale ho scippato il nome, vorrei puntualizzare delle parole che ho scritto nel pezzo di ieri "Il business delle mostruosita'" e che qualcuno non ha forse ben compreso. Mi riferisco a queste parole: " previsioni che nemmeno il Mago Oronzo azzarderebbe ( terza guerra mondiale, guerra atomica ) che suscitano altrettanto assurde paure (mio figlio partirà per la guerra? Dovrò fare scorta di alimenti? )." Insomma, pare che i miei colleghi che mi
leggono non abbiano gradito la parola "assurda" messa accanto
alla "paura" di un figlio in guerra o alla penuria di cibo;
inoltre mi è stato contestato il fatto di ritenere
"azzardi" la terza guerra mondiale o la guerra atomica. Assurda è la paura di chi si sveglia
dal letargo e scopre che esiste la guerra. L'insostenibile indifferenza dell'essere: il cinismo di chi, anche ora, continua solo a pensare agli affari propri. In effetti chi entra nelle Forze Armate trascorre, in genere, la vita a giocare alla guerra, svolgendo certo un duro lavoro, ma in fondo a che servono le Forze Armate, oltre a fare le sfilate, se non a fare la guerra, quando serve? Allora perché mai ci si dovrebbe stupire se "i nostri" partiranno? Lo hanno scelto, come chi fa il poliziotto mette in conto le sue piccole guerre quotidiane. Quando siamo entrati nella NATO ci ha
fatto comodo, ora vorremmo ingoiare quel trattato. Questa guerra ci mette tutti in gioco, non potremo farla combattere solo ai militari, perché il terrorismo non è Saddam Hussein, il mondo oggi è unito sì, ma contro una degenerazione di se stesso. Tutti siamo chiamati a difendere la civiltà, a ripensarla in termini più equi, perché gli eccessi generano sempre schegge impazzite. È contro noi stessi che combattiamo, contro il nostro peccato originale: l'attitudine all'evangelizzazione. Perché non è pensabile imporre il
nostro modo di vivere presentandolo come il migliore dei mondi possibili.
Questo terrore ci ricorda che ci sarà sempre chi la pensa diversamente da
noi, e che tentando di schiacciarlo ne eccitiamo il desiderio di
rivalsa. Proprio ciò che, questa volta, sta succedendo a noi. Dopo
decenni qualcuno sta tentando di schiacciarci. E ci scopriamo feriti. E
non ci va affatto bene.
Pronto, Giulietto? Chiesa? Lo storico ex corrispondente
dell'Unita' da Mosca, ora articolista della Stampa? Veniamo subito al punto. Qualche sera
fa alla trasmissione di Michele Santoro dedicata alla tragedia americana
avevi cominciato a fare un discorsetto interessante sui soldi dei Taliban.
Poi ti sei appiccicato con Gustavo Selva e la storia e' rimasta appesa a
mezz'aria. A noi sembrava interessante. Ti dispiacerebbe riprendere da
dove ti sei interrotto?
Mi dispiace deludere la "Ragazza del bar",
ma l'articolo 5 del trattato della Nato
è stato modificato nel 1999 (a capo del governo italiano
c'era il compagno D'Alema, dal quale abbiamo
ascoltato sagge e acute parole, nel corso del dibattito alla Camera dei
deputati sugli attentati terroristici di NY e Washington), con il consenso
di tutti gli Stati membri e proprio al fine di perseguire questa
"internazionale" di mattacchioni (che a qualcuno/a della
sinistra italiana stanno, alla fine della fiera e neanche troppo sotto
pelle,abbastanza simpatici in quanto hanno dato una "lezione"
agli odiati porci yankeee... e mi dispiace che lo scrivano a caratteri
cubitali solo "i giornali con l'elmetto" di
Belpietro e di Feltri, ma - ahinoi - è vero) che fanno da troppo tempo
danni (e vittime, innocenti o meno, sempre di vittime si tratta) in giro
per il mondo... Ora, capisco bene che il divo Giulio è
sempre stato simpatico a molti, all'interno della sinistra,
per la sua nota politica filoaraba e "a-americana" (che non vuol
dire anti, ma insomma, siamo lì lì...), a differenza del matto
sardo (una volta detto Kossiga con la K), che abbiamo sempre
odiato perché faceva mettere le bombe per conto della Cia
(insomma, se non lui, i suoi...), simpatia che conduce pericolosamente
certa sinistra a essere più vicina - oggi come ieri - a Cl,
Compagnia della opere e via belinando che ai "lacché"
dell'imperialismo Usa che avallano le loro sporche guerre, ma vorrei che la
Ragazza del bar (e altri/e con lei) riflettessero almeno su un punto.
Meglio discutere - e "scazzarsi" - con i
generaloni stelle e strisce per avere ragione (e le giuste riparazioni) su
tragedie come quelle del Cermis (o di piazza Fontana...) oppure
continuare a trafficare con "Stati canaglietta"
come Libia, Iraq e tanti altri (sull'Iran lascerei aperte le porte al
dubbio), magari con il rischio che poi salta fuori un'altra Ustica
o Bologna? No, dico, alla luce di cinque-dieci-venti mila morti,
s'intende... Ps. Cl (sul glorioso Sabato di
tanti anni fa), imbeccata dal divo Giulio, sosteneva che Mani
Pulite fosse stata opera della Cia... E già, magari anche le
Twins Towers le hanno tirato giù Cia e Fbi... in nome del complotto
giudo-pluto-massonico delle multinazionali (c'è poco da sorridere. "A
sinistra" si sente dire anche questo...).
Ad una settimana esatta dall'Attacco, sento il dovere di
fare un bilancio. Anche perchè lo ha fatto anche Cucuzza ieri,
coadiuvato dalle Cucuzza's girls (qualcuno ha detto alla
Cancellieri che era in diretta dalla devastata New York mentre parlava di
estasianti gospel e miracoli?) dunque mi sento in diritto di farlo
anch'io. Encomiabile il lavoro svolto nel primo giorno, quando
abbiamo vissuto in diretta l'attacco, quando il mondo si è
indignato come non succedeva da tanto. Ma tutto il resto è Vergogna e
Oltraggio. Centinaia di trasmissioni, palinsesti sconvolti per
ripresentare SEMPRE le stesse immagini, ma da angolazioni diverse
(ah 'mbè allora); dibattiti e talk show per diffondere nell'etere il
clima bellico tra diktat di stampo mussoliniano ("Vinceremo!"
"Il Bene trionferà!") e previsioni che nemmeno il Mago Oronzo
azzarderebbe ( terza guerra mondiale, guerra atomica ) che suscitano
altrettanto assurde paure (mio figlio partirà per la guerra? Dovrò
fare scorta di alimenti? ). E sì, siamo tutti americani, se gli americani stessi hanno
già inventato il business delle mostruosità, tra gadget e
cappellini che ritraggono le due torri distrutte, sul modello napoletano
dell'"Adda passà a nuttata...e intanto io faccio due lire prima che
passi". Ma che è? Nessuno sembra capire che sono morte migliaia di
Persone. E solo il silenzio sarebbe degno di onorare quelle
Persone, non tutta questa girandola delirante che stiamo vivendo. Giovanna d'Arco
Il terrorismo non è mai giustificabile. Ma SOLO il
terrorismo è stato in grado di portare sulle nostre tavole, tra
lasagne e pasticcini, la questione palestinese. E' dura da mandar gù,
ma prima di questo attacco ben pochi si sono indignati per la guerra mai
finita tra Israele e Palestinesi. Oggi è tutto un corri-corri di notizie,
in cui i palestinesi sono gli animali barbari e gli israeliani gli angeli
scesi in terra. Voglio essere chiara ancora una volta. Il terrorismo è la
forma più inumana di "lotta", se ce ne fossero di umane,
ma non condivido l'odio incondizionato verso i musulmani e l'amore
incondizionato verso gli israeliani che permea l'attuale quotidianità. Ma perchè nessuno dice che i palestinesi ebbero l'unica
colpa di aver occupato un territorio che non era di nessuno, ma che prima
della diaspora era degli israeliani, e che poi furono costretti
dall'America a restituirlo ai legittimi proprietari poco più di 50 anni
fa? Mi piacerebbe che si abbandonasse questo senso di onnipotenza
che, equiparandoci a Dio, ci fa dire con tanta certezza che è buono e chi
è cattivo. I tempi della scuola sono finiti, forse è il caso di capire
che non è più tempo del primo della classe che segna alla lavagna i
nomi degli eletti e dei dannati.
L’aria sta cambiando e gia’ non siamo
piu’ “tutti americani”. Se mercoledi’ 12 settembre, a
ventiquattrore dal terribile schianto delle Twin Towers gli Stati Uniti
avessero raso al suolo Kabul e l’Afghanistan intero,
dall’Occidente, culla di civilta’ e diritto,
probabilmente si sarebbe levata solo qualche flebile voce di protesta. Travolti dal cuore e dall’orrore,
diciamo la verita’, poche ore dopo il massacro avremmo probabilmente
applaudito l’immagine di un Osama bin Laden appeso per i piedi.
La vendetta ha sempre un buon sapore. Sono i popoli che hanno fatto nascere gli Osama bin Laden che “ringraziano Allah” per l’accaduto. Sono le genti di cui ci racconta Bernardo Valli nel suo articolo sulla Repubblica di oggi, quando ci dice che i suoi amici arabi “pur indignati per l’accaduto, sono mossi da emozioni contrastanti, pensando che finalmente anche gli americani vivono esperienze come quelle gia’ vissute da decenni da molti popoli arabi”. Ora dobbiamo chiederci non tanto (o solo) con chi dobbiamo combattere, ma piuttosto con chi (e se e’ possibile) dobbiamo parlare. Poiche’ non e’ possibile parlare con coloro che uccidono in nome di Dio, questi sono i nostri nemici. Con essi non c’e’ trattativa percorribile. Per me, un Osama bin Laden che “ringrazia Allah” invece di maledire il Dio che ha permesso la strage di New York, e’ e rimarra’ sempre un nemico mortale di cui non posso che desiderare l’eliminazione. Ma parlare dobbiamo con chi, sempre per dirla con Bernardo Valli “prova emozioni contrastanti”. O con coloro che buttano li’ con noncuranza parole nucleari come: “gli americani se la sono cercata”. Per spiegar loro che se l’America (e l’Occidente) ha sbagliato, dove ha sbagliato e quando ha sbagliato, questo e’ accaduto anche per la spaventosa responsabilità che gli Stati Uniti portano sulle loro spalle come potenza regolatrice del pianeta e non solo per la loro arroganza (che pur c’e’ e c’e’ stata), per il loro cinismo (che pur c’e’ e c’e’ stato). Perche’ anche fra chi uccide e affama c’e’ differenza. Chi lo fa nel nome di un Dio non lascia speranza alcuna. Chi lo fa in nome degli uomini, dei loro interessi e della loro crudelta’ o stupidità, per quanto orrendo possa essere il suo crimine, lascia aperta la porta alla via del ritorno. Ariel
In teoria si fa una guerra per vincerla.
In pratica ultimamente gli Usa (e la Nato) non ne hanno vinta una. Nè si
può dire che siano riusciti a imporre una pace. Dayton è stato solo il
prologo della guerra in Kosovo (il solo cessate il fuoco per la Bosnia),
così come dal Kosovo s'è passati alla Macedonia e dalla Macedonia si
passerà probabilmente ad altro (il vero bubbone della questione balcanica). L’impreparazione
militare degli Stati Uniti è stupefacente. Non hanno imparato nulla dal
Vietnam, nulla dall'Iraq, nulla dai Balcani, quasi che le guerre per loro
fossero (e paradossalmente non sono nemmeno questo) solo un modo per
buttar via armamenti obsoleti e riprodurne nuovi, occupare gran parte del
sottoproletariato che altrimenti morirebbe di fame, passerella di una
forza che non va oltre gli attacchi aerei (spesso per nulla intelligenti e
sovente nemmeno chirurgici) cui seguono altrettanto improponibili embarghi
(che affamano la gente e arricchiscono i dittatori). Nel
frattempo, mentre Usa e Nato s'allenano a trasformare ultras di calcio in
soldati e a rinominare eserciti e operazioni belliche con i nomi più
pittoreschi, bande paramilitari (provenienti dalle frange terroriste
interne ai paesi…e, perché non Eta o Ira?) si armano, si preparano, si
organizzano –alcuni con l’aiuto delle stesse vittime, vedi talebani e
Uck- con regole loro, che nulla hanno a che vedere con le vecchie e
secolari regole militari. La (mancata o quanto meno incompiuta)
trasformazione degli eserciti in polizia (del mondo) è stata accompagnata
di pari passo dalla crescita di associazioni criminali intrecciate tra
loro. Questa
lunga premessa mi porta a ipotizzare uno scenario futuro allucinante (già
preannunciato da Bush) per cui si finirà per combattere i criminali con
gli strumenti delle vecchie guerre (utili solo nel caso la Cina decidesse
di dichiarare guerra a Usa e Europa). Motivati dal comprensibile desiderio
di vendetta di un paese, gli Stati Uniti, e dalla demenza inaccettabile di
altri (l’Italia?). Ulteriori morti, ulteriori embarghi e ulteriori
risultati zero (o peggio…). Israele è l’unico paese che non ha ceduto al buonismo dilagante, che ha finanziato l’intelligence, che se ne frega delle condanne del mondo. Sul piano politico ha saputo rispondere con la ricerca reale di una politica di pace- ricordare, sempre, Rabin- o con la belluina volontà sanguinaria di Sharon. Il giudizio sull’operato di entrambi, in democrazia, è ovviamente libero (e, personalmente, ritengo che l’attuale desautoramento di Arafath sia suicida). Ma i servizi, sotto un governo o un regime, hanno continuato a funzionare, in collegamento con l’esercito. Se proprio si decide, sull’onda dell’emozione e non della ragione, di andare in guerra …beh, almeno s’affidi a Israele il coordinamento delle operazioni…non vinceremo ugualmente, ma almeno si limiteranno i danni... Von Klausewitz
Quando scrissi il manuale che mi rese ricco e famoso, le
torri del World Trade Center di New York erano ancora in piedi. Non avevo
avuto modo, dunque, di analizzare compiutamente il dilagare del virus che
in questi giorni ha colpito l’informazione italiana, meglio noto agli
scienziati come ‘Morbo di Nostradamus’. Il Morbo di Nostradamus si manifesta annullando nel
soggetto colpito qualsiasi coscienza di essere al servizio del lettore e
non di una classe politica, nazionale o internazionale. Al malato si
paralizzano i bulbi oculari di fronte a notizie di stampo anglosassone
(chi, dove, come, quando, perché) e, per far fronte al conseguente
attacco di panico, mette in moto un meccanismo d’onnipotenza che lo
porta ad analisi personali tanto inutili, quanto infondate. Il contagio è
favorito dal sistema editoriale italiano che prevede l’omologazione di
tutte le testate. Se diamo un’occhiata a tutti i quotidiani nazionali, da
mercoledì 12 settembre, o ripercorriamo Tg e speciali televisivi a
partire dall’11 settembre ci accorgeremo che il Morbo di Nostradamus ha
colpito tutti, senza distinzione, aggravando lo status di pazienti che,
come Fede o Vespa, ne soffrivano da tempo. I danni sui lettori sono evidenti: nessuno sa bene cosa è
successo (a parte quanto i cineoperatori sono riusciti a riportare), ma
tutti sono a conoscenza di cosa pensa Alan Friedman o Furio Colombo o
Paolo Mieli o Maria Giovanna Maglie. Prendiamo il ‘caso Pentagono’. Per quattro giorni
un’area pari a quella dell’intera superficie dell’Empire States
Building è andata a fuoco. 189 morti, compresi quelli dell’aereo
kamikaze, un miliardo di dollari di danni. Se ne è parlato? Nei pastoni,
solo nei pastoni. Siamo generosi, ammettiamo pure che il meglio degli inviati
è stato costretto dagli eventi a restare in Italia e che quindi la
notizia non poteva venir ‘coperta’ adeguatamente. Ma c’erano, ci
sono comunque le agenzie, i collaboratori e c’è quella Cnn che in
questi giorni è stata saccheggiata a man bassa da tutti, televisioni
private incluse. Contro il Morbo la scienza sta mettendo a punto un vaccino:
collegamento con le agenzie per tutti e satellitare per collegamento in
diretta con la Cnn. Parlano inglese, ma le immagini spesso valgono più di
centinaia di parole. Sopravviveranno solo i colleghi delle agenzie, i
cineoperatori e i fotografi ossia tutti i giornalisti abituati
all’anonimato. Oltre, a onor del vero, a quelli che seguono le orme di
Giulietto Chiesa e Ettore Mo. Gente che, come i colleghi della Cnn, si
ostina a informare. Vaccinati alla nascita…
“La situazione è grave ma non è seria”. La
frase non è mia ma del mai troppo compianto Ennio Flaiano.
Credo si adatti però a questa mia riflessione. Venerdì sera, Rai Uno,
prima serata, Porta a Porta. Come milioni di italiani sono incollata al
televisore. Argomento obbligato l’attentato alle Twins. Ospiti di tutto rispetto quelli del Vespone nazionale.
Due grandi inviati di politica estera (Ettore Mo del Corsera e Wolfgang
Achtner, noto in Italia per essere stato fra l’altro vice presidente
dell’Associazione della Stampa estera), il ministro della Difesa Antonio
Martino, un leader del maggiore partito di opposizione (Valter
Veltroni) e padre Jean Marie Bénjamin – un equivoco sacerdote filo
iracheno – che ha rilasciato dichiarazioni quanto meno inquietanti e che
forse qualche magistrato avrebbe il dovere di approfondire. In mezzo a questo parterre de roi spiccava la lunga
chioma bionda (finta) di Donatella Versace. Non voglio entrare nel
merito del personaggio che considero quanto di più trash possa
esprimere il cosiddetto jet set. Non so se il Barbiere della Sera
annovera Bruno Vespa fra i suoi lettori. Probabilmente no ma forse
qualcuno del suo staff (so che dispone di un efficientissimo ufficio
stampa) sì. E lo pregherei di sottoporgli queste mie poche righe. Mi piacerebbe chiedergli le ragioni (giornalistiche
ovviamente) alla base della sua scelta di invitare la Versace; quale
contributo al dibattito e alla riflessione si aspettava; quale profonda
analisi politica e sociologica auspicava che la nostra ci regalasse.
Chiedergli, insomma, dipietramente: “Ma la Versace cosa ci azzeccava?” Mi chiedo – cazzo – e prego Figaro di non
togliere né il sostantivo né il neretto, è possibile che non si possa
assistere ad una trasmissione, soprattutto se incentrata su argomenti così
drammatici senza avere in mezzo ai piedi veline, letterine, bionde
finte, soubrettine sculettanti, tette più o meno siliconate
e via andare? Giro la domanda ai colleghi che avranno la bontà di
leggermi e qualche minuto di tempo, se vogliono, per dirmi la loro. Mata
Hari
|
4 Settembre 2001 - La signorina Tim mi dice: "Ma lei e' una troglodita" |
Carissimo
Bettanini, mi rivolgo a te, in qualità di esperto della
comunicazione, per approfondire alcuni meccanismi che a me paiono
demenziali, non fosse che, alla resa dei conti, la demente sono io. Il
caso che ti esporrò è relativo a Tim, ma può essere esteso
tranquillamente a tutte quelle aziende private che forniscono servizi o
para-obbligatori (vedi assicurazioni) o già pubblici (telefonia,
ferrovie, luce, acqua e gas, ecc).
Premetto
che non sono una fanatica dei cellulari, strumento di tortura che uso
esclusivamente quando sono fuori casa e solo perché ormai sono scomparse
le cabine telefoniche.
Tant’è, ormai ne ho uno anch’io…Per una serie di ragioni
inessenziali (non ultimo il fatto che avevo un po’ di tempo da perdere)
decido di appurare qual è il farraginoso sistema alla base degli scatti,
ossia come ho fatto a consumare 50.000 lire di scheda in due giorni
tenendo il cellulare quasi sempre spento, e telefono al 119.
Incappo nell’ormai consueta segreteria digitale (sempre più gradevole
di quella metallizzata ‘se vuole …dica 33’), digito una buona mezza
dozzina di numeri e finalmente arrivo alla solerte impiegata, che mi
saluta con il consueto ‘Sono bzzbzzbzz. Posso esserle utile?’. Mi
rimangio per la milionesima volta la frase che mi verrebbe spontaneo
pronunciare (‘No, volevo solo parlare con qualcuno…’ et similia) ed
espongo il mio problema.
L’impiegata
è di quelle più che efficienti: mi elenca ogni dettaglio, mi spiega il
funzionamento degli aggiornamenti sulle telefonate lunghe, mi ricorda che
ho appena ricaricato la scheda e in finale mi pone la fatidica domanda
‘Posso farle un paio di domande? Lei è contenta del servizio Tim?’.
Risposta ‘No’.
Caro
Bettanini, per motivi inessenziali, la mia vita trasuda domande e risposte
di questo tipo. Chiudere bruscamente una telefonata di lavoro perché il
telefono squilla sull’altra linea e incappare nella soave voce di
un’impiegata Telecom, che vuole sapere se sono soddisfatta del servizio,
è ormai parte integrante della mia quotidianità.
L’ex municipalizzata luce- acqua – gas m’invia bollette ogni
quindici giorni (più o meno attendibili), spesso corredate da richieste
di suggerimenti per migliorare il servizio (una bolletta alla settimana?).
Le assicurazioni, ad ogni rinnovo polizza, me la riaggiornano ‘certi di
fare cosa gradita’, invitandomi, in caso non fossi soddisfatta, a
recarmi all’agenzia dove il loro esperto m’attende con ansia per
studiare soluzioni ottimali (ossia riconsegnarmi il vecchio contratto con
bollettino annesso). La stessa Tim mi blocca sul più bello una chiamata
(magari urgente) con un garbato Sms che magnifica nuovi prodotti.
Vedi
Bettanini, per una questione d’età e forse d’educazione, faccio parte
di quella categoria di consumatori che: 1) Ignorano l’esistenza della
pubblicità, degli spot, dei gadget, delle promozioni, dei testimonial e
di quant’altro. 2) Comprano e pagano in contanti quanto serve (o anche
no) sulla base delle situazioni contingenti, partendo dal presupposto che
anche il tempo è denaro.
Dalla
gentilissima signorina Tim ho appreso di essere quanto meno un reperto
giurassico. ‘Lo sa che Tim le offre 10 Sms gratis per un mese?’. Lo
so, stavo per chiamare una persona per motivi di lavoro e ho dovuto
cancellare l’Sms e ridigitare il numero.
Rispondo sinteticamente: ‘Lo so, ma non mando Sms, anzi li
detesto…’. ‘Non manda Sms? Forse non ne conosce i vantaggi…’
Affermativo, non interrogativo, dal momento che la fanciulla tenta di
spalancarmi le porte di questo nuovo tipo di comunicazione (che consento a
mia figlia, la minore, solo per non farla sentire una disadattata).
Concordiamo sul fatto (bontà sua) che sono troppo vecchia e con problemi
di vista per picchiettare sui tasti di un cellulare. Quale? Leggo la marca
e la sigla. ‘Ma è un rottame…per forza che non è soddisfatta dei
servizi…’
Rispondo (anche se non era una domanda) che mi va a pennello, essendo
l’unico compatibile col computer portatile, ossia, per me, l’unico al
momento che mi consente di collegarmi in Internet anche in viaggio.
La mia idiozia pare basirla per una frazione di secondo. Poi, basita ma
non domata, la ragazza riprende: ‘Lei non può incolpare Tim di problemi
esterni’. Io non incolpo Tim di nulla, sta di fatto che s’è ciucciata
50.000 lire in due giorni e in massimo dieci telefonate, che ogni dieci
parole casca la linea o sono costretta a urlare ‘Scusa, puoi
ripetere…’, che ricaricare la scheda dal Bancomat in alcune zone
d’Italia (quelle di villeggiatura, in particolare) è impresa ciclopica.
Ignoro
chi abbia tenuto i corsi di formazione, ignoro se la signorina Tim in
questione abbia sembianze umane o sia un modello sofisticato di segreteria
telefonica dell’ultima generazione.
Sta di fatto che in un’ora mi ha spiegato che: 1) Sono colpevole per non
aver mai dato, neanche per sbaglio, un’occhiata a tutta la pubblicità
che Tim sta facendo anche per gente come me (quelli, per capirsi, con
tariffe obsolete), né di aver telefonato prima al 119 (‘aperto 24 ore
su 24’) al fine di ottenere una tariffa adeguata alle mie necessità.
Ne abbiamo concordata una nuova (10.000 lire di spesa e passa la paura)-
ma sono rimasta irremovibile sul contratto carta di credito/banca (perché
ne ho abbastanza anche delle loro ‘promozioni’)- e abbiamo convenuto
che è necessario aggiornarsi ogni tre mesi ‘Perché siamo nel libero
mercato, c’è la concorrenza e Tim è all’avanguardia…’
2) Se mi casca la linea è perché ho un telefonino obsoleto e vivo e
frequento località che storicamente danno problemi (città di confine,
località montane, o Roma, dove pare che la concorrenza spopoli nei
ristoranti…). E, chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Se telefono da Milano per sapere a che ora buttare la pasta o se lui mi
ama, tutto funziona a meraviglia.
3) Perla finale, mi legge l’elenco delle banche-Bancomat munite a cui
posso far riferimento per le ricariche, nel caso escludessi
definitivamente la possibilità di stipulare –solo altre 100.000 lire-
il contrattino di cui sopra.
Con la mia obiezione –‘Non ho visto nessuna indicazione sul servizio
nelle filiali delle banche che mi cita, né nella mia città, né in
villeggiatura’- vengo seduta stante incaricata di denunciare tali
anomalie con particolari precisi, ora, luogo e quant’altro.
3 Settembre 2001 - Che bello lavorare in un service |
Caro
Barbiere, sono un giornalista e lavoro in un service, oltre a collaborare
con chiunque capiti, anche la giustizia.
Che bello lavorare in un service. I grandi giornali spendono miliardi per
mettere in piedi una sorta di redazione, mentre un service con due lire é
capace di confezionare più di cento pagine al mese. Tanto chi nota la
differenza?
Per fare un bel giornale basta prendere qualche scribacchino, un buon
grafico e un archivio fotografico porno-soft. Metti insieme la squadra,
prendi qualche Mac, e la redazione è fatta.
Poi proponi a tutti un contrattino di un anno o sei mesi (se c'é qualcuno
che la beve), illustri il progetto del giornale ("per ora duriamo un
anno, ma se le vendite vanno bene e la pubblicità ci sostiene, c'è
trippa per tutti"), e abbozzi una sorta di linea editoriale.
"Siamo una rivista di settore ma dobbiamo farci capire da tutti"
che tradotto in italiano vuol dire "so che di queste cose non ci
capisce un cazzo nessuno, ma con una buona enciclopedia e l'aiuto di
internet non sarà difficile scrivere un pezzo da 2000 battute".
Tanto - diciamocelo pure - chi è che va ad esaminare i contenuti? I
mensili e i settimanali sono fatti a colori proprio perché alla gente
piace guardare le foto, sfogliare le pagine di carta lucida e sentire quel
buon profumo di colla che si sprigiona dalla rilegatura, poi, se ci sono
un paio di tette o qualche posa allusiva, mica si volta pagina, anzi.
Così, con un pizzico di fantasia e qualche foto "d'autore", un
buon service riesce a confezionare per le grandi case editrici fior fior
di riviste specializzate. Che si tratti di cucina, computer, vacanze, moda
viaggi, creme di bellezza, fitness, tutto fa brodo, l'importante è
sapersi riciclare: se dovesse andare male il mensile di fitness si chiude
tutto e ci si trasferisce a quello di scienze biologiche.
La differenza fra un bicipite e una molecola mica sarà fondamentale, poi
non è un furto farsi pagare due lire per scrivere di argomenti che non si
conoscono. L'unico fastidio è che quando un giornale va male o il
direttore del service ha deciso che ci sono nuovi campi dello scibile
umano da esplorare, cominciano i tagli e i riassetti.
"Quand'è che ti scade il contratto?" "Hai voglia di
occuparti di viaggi esotici?". Non c'è problema, è tutto regolare,
e poi nei service per fortuna non ci sono quei rompicoglioni del Cdr che
la menano con il riassorbimento, il ricollocamento, i diritti dei
giornalisti.
Ma quali diritti? I giornalisti mica ci mettono i loro soldi nel giornale,
al massimo perdono qualche mese di stipendio. Già, perché quando il
giornale va male i soldi non arrivano, come ai bei tempi del cottimo. Se
si vende ti puoi pagare l'affitto, altrimenti vai a dormire da un amico/a.
Se consideri che il pagamento è a 90 giorni, che poi diventano 120 perché
si calcola il mese della pubblicazione e non quello in cui hai consegnato
il pezzo, che poi diventano 180 perché il ragioniere è in vacanze e le
notule sono nel suo ufficio, non è mica un problema se alla fine i tuoi
soldi non li vedi proprio.
Già, che bello lavorare in un service. Questo è il futuro. Niente costi
fissi, niente redattori, niente sindacato. Solo collaboratori pagati a
pezzo e un redattore che passa il giorno al telefono per raccogliere gli
articoli. Qualche copertina spiritosa, magari una firma prestigiosa e una
serie di allegati studiati da quei geni del marketing.
D'estate c'é l'inserto sul sesso, d'inverno quello sulle diete, a Natale
lo speciale regali. Magari, se si è in buona con le case discografiche,
un Cd sui ritmi caraibici o la favolosa musica degli Anni 70, tanto
Battisti e Mina tirano sempre e fanno molto "nostalgia
canaglia".
Poi basta lamentarsi dei service o dei siti internet, con tutti i
disoccupati che ci sono in giro. Per un redattore deluso ce ne sono altri
mille pronti a scrivere al Barbiere per dire che chi si lamenta è un
represso, non sa fare il proprio lavoro, come dimostra la sua lettera
piena di errori grammaticali.
Se uno scrive che nei portali si lavora giorno e notte senza staccarsi
dalla sedia e senza crescere dal punto di vista professionale, arriva
subito la risposta "vorrei dire al collega (posso chiamarlo così)...",
tanto per far capire che quella dei giornalisti è una casta solidale. Che
bello lavorare in un service. Se non fosse che il giornale per cui
scrivevo non esiste più, ci resterei per tutta la vita.
Lavoratore di un service
3 Settembre 2001 - Bruno Socillo e la sua bionda |
Siate
bipartisan. È il ragionevole appello lanciato dal Capo dello
Stato e dalle colombe dei due schieramenti politici. Ma ciò
non vale nel mondo del giornalismo, soprattutto se targato Rai.
Se volete far carriera a Saxa Rubra prima di flirtare con un (-a) collega
verificate che appartenga ad un partito che conta. Infatti, nell’ultimo
numero di Sette, in un boxino dedicato ai media, leggo un pezzo a
firma Valeria Paniccia che dopo aver dato alcune
“anticipazioni” molte delle quali già note persino alle piante
della cittadella dell’informazione, altre – credetemi – assolutamente
infondate conclude con questa chicca che riporto testualmente: “Bruno
Socillo (vice direttore del Tg 2 e che non fa mistero delle sue
propensioni politiche per An, ndr) punta a Rai International ma le sue
simpatie per una bionda giornalista di sinistra potrebbero
bloccarne l’ascesa”.
Una
delle regole che dovrebbe regolare qualunque consesso di persone civili
sarebbe quella di glissare su faccende strettamente personali: soldi,
letto et similia. Tale norma, che mi risulti, viene rispettata
anche dalle pescivendole della Vucciria.
Lungi da me impressionarmi se notizie del genere appaiono su Eva
Express o Novella 2000, ma che il primo quotidiano
d’Italia si presti a fare da pattumiera a porcherie di
questo genere lo ritengo ignobile.
Non
trovo nel tamburino il nome di Valeria Paniccia e ne deduco si
tratti di una delle tante collaboratrici alla ricerca del sospirato scoop
che dia loro quei quindici minuti di celebrità ai quali – secondo Andy
Warhol – ognuno di noi ha diritto.
Curiosa per natura mi viene voglia di saperne qualcosa di più sulla (si
fa per dire) signora e mi affido come sempre a google – se
avete altri motori di ricerca abbandonateli, google è eccezionale
– e voila, sono fortunata: la nostra, come tutte le persone che
veramente contano, ha nientepopodimenoche un suo sito personale
all’indirizzo www.diginet/valeriapaniccia/home.htm.
Dove,
oltre alla sua foto con lungo capello sciolto, capino inclinato e sorriso
suadente fa sfoggio della sua dote principale: l’umiltà. Ci
rende noto che il suo sito offre “servizio unico in Italia”,
la mappa delle migliori scuole per attori e di essere l’autrice di Eros
italiano, da lei stessa modestamente definito “un’antologia
unica al mondo”.
Ma
come mai è approdata al giornalismo? Troppo buona per lasciare che questo
dubbio renda insonni le nostri notti, ci confida di “avere cominciato
a scrivere in cambio di un abbonamento gratis al teatro della sua città”.
Risolto un dilemma ne nasce però un altro non meno angoscioso: perché,
ottenuto l’abbonamento, non abbia smesso. Vi prego, chi sa parli,
voglio ricominciare a dormire.
Mata Hari
mata_hari@katamail.com
3 Settembre 2001 - Anche le spie nel loro piccolo dissentono |
Anche
le spie nel loro piccolo talvolta dissentono per cui mi trovo in totale
disaccordo con quanto ha scritto la Ragazza del Bar (che resta comunque la
mia barista preferita) circa il nuovo movimento virtuale il Mo’
Basta ekkekkazz. Finalmente, dico fra me e me, qualcosa si muove nella
morta gora della politica italiana. Leggo che è “divertente e
interessante” e mi fiondo sul sito dei mobbastisti,
www.lonelyplanet.it.
La
prima impressione è quella di essere capitata a casa della Famiglia
Addams ma poiché sono abituata a trovare del buono in ogni cosa
finalmente capisco cosa si vede dopo che ci si è impasticcati di LSD.
Già qualcosa; è una delle (poche) esperienze che mi mancava.
Ma
sarebbe ingeneroso fermarsi al puro giudizio estetico. Entro nel forum e
le sorprese non mancano. Oltre al totale disprezzo per la lingua ufficiale
della Repubblica mi colpisce la pochezza delle idee e immagino i
partecipanti come una via di mezzo fra gli Indiani Metropolitani
anni ’70 (quello di Cavallo Pazzo, ricordate?) e i Figli dei Fiori
anni ’60. Niente di male però, ognuno ha il diritto di divertirsi come
crede. Qui, però, si ha la pretesa di fare politica.
Non
ci sto. Il discorso diventa serio, perché seria è la politica.
L’autrice del pezzo parla del “duri e puri dei Ds”. Non so se
posso ritenermi una dura; quanto alla purezza per trovarne tracce bisogna
risalire al pleistocene; diessina sì. Come sono stata figiciotta in
gioventù, elettrice del Pci prima, dei Pds poi, dei Ds adesso; tutte cose
di cui meno vanto. Dire che la sinistra è in crisi equivale a scoprire
l’acqua calda e la crisi coincide con quella dei Ds, che della
sinistra sono (ancora) la formazione numericamente più consistente.
Ma escludo che si possa uscire da questo avvitamento con iniziative velleitarie,
goliardiche e folkloristiche come quelle veicolate dai mobbastisti o
da caravanserragli similari. La via d’uscita è nella riscoperta del
senso dei nostri valori, delle nostre radici. Senza la
memoria del proprio passato c’è solo spazio per la barbarie e la
violenza. Cerchiamo di portare avanti un discorso serio che vada un oltre
le incursioni da commandos nel sito de L’Unità.
Le
proteste abbondano ma è al di sopra delle mie capacità fare intendere ai
partecipanti al forum che la protesta, senza una proposta alternativa,
è solo flatus vocis. Ci si lamenta dell’oscuramento di Agnoletto
e Casarini; per me invece ignorarli sarebbe un fatto di igiene
pubblica, una Zucchet mediatica.
Siete contro la globalizzazione? Bene è un vostro diritto. Ma basterebbe
avere un minimo di senso della storia (sì, lo so, parlare di storia in un
sito del genere è come invitare un vampiro ad una cena a base di aglio)
per capire che si tratta di un fenomeno irreversibile.
Cerchiamo piuttosto di gestirla, di controllarla e non credo
che il metodo migliore sia andando a fare casino a Genova, Napoli o che so
io esponendo striscioni i cui contenuti erano già stantii trent’anni
fa. Il tutto però con le mani dipinte di bianco, con le Nike ai
piedi e dissetandosi fra uno slogan e l’altro con una bella lattina di Coca
Cola.
Mi
soffermo sul manifesto programmatico del sito e poiché credo di
sapere leggere fra righe intuisco che un buon ottanta per cento
degli adepti alle ultime elezioni non ha votato facendo più o meno
un ragionamento similare: “Sono di sinistra ma poiché in questa
sinistra non mi riconosco, mi astengo”.
Ancora al di sopra delle mie capacità spiegare quanto sia politicamente
sterile ed autolesionistico questo ragionamento poiché la sensibilità
politica dei mobbastisti e dei loro sodali è più o meno pari a quella di
un dado da brodo. Di questo astensionismo, della smania di protagonismo e
della ninfomania da telecamera di Fausto Bertinotti, Berlusconi
e Fini sentitamente ringraziano.
La
sinistra è alla frutta, ma se speriamo di risalire la china con
questi sistemi vuol dire che la canna del gas è lì, pronta
per l’uso. Ekkekkazz, ma stavolta lo dico io.
Mata
Hari
mata_hari@katamail.com
3 Settembre 2001 - Emilio, non sparire nell'etere |
Leggo
con orrore la notizia riportata da un noto settimanale, tanto noto che non
mi pare il caso di farlo "notare" ancora di più citandolo, che
dal 2003 Rete 4 verrà trasmessa "in nero", cioè potrà essere
seguita solo pagando un abbonamento, tipo Tele + per capirci.
E' solo una proposta, ma il sangue si è gelato nelle vene. Ed Emilio
Fido? Cos'è, alla fine per mettere a tacere quelli che chiedono di
risolvere la questione del conflitto di interessi del Cavaliere - ma
quanti Paesi possono vantare un premier Cavaliere? - si decide di oscurare
il giornalista - show man?
Ma come, proprio ora che si era rifatto gli occhi - proprio nel vero senso
della parola - e aveva assunto quell'aria da satiro? Proprio ora che stavo
imparando ad apprezzarne coerenza e temerarietà?
Sì, perché Emilio Fido, nonostante ad uno primo sguardo passi per
venduto e galoppino, è un esempio di giornalismo impegnato. Non si
contano i giornalisti che, con la vittoria della Casa delle Libertà,
hanno cercato di ingraziarsi i nuovi governanti - ma insomma è vero che
Lasorella si è umiliata con Gasparri per ritornare in video, ditemi che
non è scesa così in basso! - e i numerosi cambi di bandiera di cui devo
leggere con tanta pena.
Ma Emilio no, lui sono anni che si sa per chi tiene! Gli altri salgono sul
carro del vincitore? Lui già c'è, e almeno c'è salito in tempi non
sospetti. Quanti giornalisti si legherebbero così ostinatamente e
indissolubilmente ad un politico, precludendosi ogni via di migrazione
verso nuovi eroi in caso di cambiamento del vento?
Nessuno crederebbe mai ad Emilio se dicesse: "voto Rutelli”. Emilio
"in nero" no, vi prego, trovate un'altra soluzione, non posso
pensare che ci verrà tolta l'unica voce del giornalismo trasparente.se
mettete Emilio in controluce si vede il Cavaliere, potreste fare lo stesso
con un altro giornalista?
Ma non vorrei venire fraintesa. Io ammiro Emilio, proprio perché è Fido.
Quanti Fidi ci sono che si celano sotto tante pelli da non riuscire a
capire cosa pensano veramente? Schierarsi politicamente è un rischio
immenso, cioè, farlo apertamente, alla luce del sole; è più facile
dichiararsi indipendenti eppoi lavorare sottobanco.
Tra il giornalista-che-lavora-negli-antri muscosi preferisco colui che
sposa una bandiera e con essa cadrà e risorgerà. Un altro dolore, anche
se un po' più piccolo del precedente, mi rende amara la notizia.
Francesca Senette. Una Bambina Inviata qualche mese fa - forse era la sua
prima volta - ad accogliere la Regina inglese al suo viaggio in Italia, su
cui Fido infieriva in ogni modo, riprendendola come se fosse un po' dura
di comprendonio, mettendola in imbarazzo in maniera quasi dolorosa per chi
guardava.
Un Bocciolo Timido che invece è sbocciato al sole dell'Emilio nazionale,
che, contrariamente alla prima impressione, quella bambina l'aveva presa
sotto la sua ala, nonostante in video evocasse un po' Flavia Vento, e
questo non giocava a suo favore.
Oggi Francesca ha la scrivania alla Destra del Padre; Emilio la chiama in
causa a leggere le agenzie nel tg serale, e lei è talmente diligente e
succube dell'Emilio che i suoi occhioni adoranti hanno tolto in me ogni
briciolo di antipatia per la "Paola Barale del Tg4".
Quante avrebbero resistito agli insulti in diretta del Direttore?
Francesca conduce il Tg4 all'ora di pranzo, vi prego, guardatela, è
meravigliosa, la sua somiglianza con Fido è inquietante. Quando il
Direttore la lascia sola alla conduzione del Tg, lei dà il meglio di sé.
Gesticola, mima, usa il linguaggio dei sordomuti, poggia il gomito e
stende l'altro braccio in maniera perfettamente speculare ad Emilio; legge
le notizie interpretandole magnificamente, accompagna la lettura con le
mani traducendo le parole in musica; è la prova che qualcuno, mentre
Antinori getta fumo negli occhi dalle tribune dei convegni ai politici
scandalizzati, nell'ombra, sta già clonando gli esseri umani.
Lasciare che solo i ricchi possano accedere a tali perle è ingiusto,
Rete4 deve rimanere accessibile a tutti, in uno Stato democratico non si
può lasciare che l'unica voce trasparente e annesso clone in versione
femminile diventino beni di lusso.
Giovanna d'Arco
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