CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO MINORE - TASSO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Coscienza letteraria e questione della lingua nel Bembo

Che cosa fu il petrarchismo

Michelangelo scrittore

Tradizione e novità nelle "Rime" del Della Casa

L'ideale del "Cortegiano"

Un nuovo rapporto con la realtà: le novelle del Bandello

Storia e narrazione nel "Vite" del Vasari

Polemica letteraria e realismo nel Berni

Ideale eroico e parodia nel "Baldus"

Le "Lettere" dell'Aretino

La "virtù" del Cellini

Forme e svolgimento del teatro del Cinquecento

La "naturalezza" del Ruzzante

TASSO

Giudizi e testimonianze attraverso i secoli

La pazzia del Tasso

La religiosità del Tasso

Le "Rime" del Tasso

La sensualità della poesia tassiana

Atmosfera e personaggi della "Gerusalemme liberata"

Struttura e poesia nella "Gerusalemme liberata"

Vicende e aspetti di un personaggio: Clorinda

La poesia del Tasso e la pittura del Tintoretto

Caratteri e limiti del "Dialoghi" del Tasso

L'ispirazione religiosa dell'ultimo Tasso


 


GIUDIZI E TESTIMONIANZE ATTRAVERSO I SECOLI



Essendo il Tasso il poeta di un'età di transizione e di gravi inquietudini, la sua opera è stata giudicata in modo vario e contrastante, anche in relazione con quella dell'Ariosto, che costituisce invece l'esempio del poeta sereno e in accordo con la natura. Cosí si passa dalla stroncatura di Galileo, dettata dalla sua posizione di scrittore equilibrato e amante della misura, alla celebrazione del Boccalini, che esprime il nuovo gusto barocco; nel Settecento il Gravina manifesta, ma solo in parte associandovisi, il punto di vista negativo della poetica razionalistica e classicista, mentre nell'età romantica il Leopardi sente congeniale la malinconia tassiana e il Gioberti esalta l'alto valore ideale e la complessa armonia della poesia del Tasso.

Uno tra gli altri difetti è molto familiare al Tasso, nato da una grande strettezza di vena e povertà di concetti, ed è che mancandogli ben spesso la materia è costretto andar rappezzando insieme concetti spezzati e senza dependenza e connessione tra loro, onde la sua narrazione ne riesce più presto una pittura intarsiata che colorita a olio; perché essendo le tarsie un accozzamento di legnetti di diversi colori, i quali non possono già mai accoppiarsi e unirsi cosí dolcemente, che non restino i lor confini taglienti, e dalla diversità de' colori crudamente distinti, rendon per necessità le lor figure secche, crude, senza tondezza e rilievo; dove che nel colorito a olio sfumandosi dolcemente i confini, si passa senza crudezza dall'una all'altra tinta, onde la pittura riesce morbida, tonda, con forza e con rilievo. Sfuma e tondeggia l'Ariosto, come quegli che è abbondantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti; rottamente, seccamente e crudamente conduce le sue opere il Tasso per la povertà di tutti i requisiti al bene oprare. Mi è sempre parso, e pare, che questo Poeta sia nelle sue invenzioni oltre tutti i termini gretto, povero e miserabile, e all'opposto l'Ariosto magnifico, ricco e mirabile. E quando mi volgo a considerare i Cavalieri con le loro azioni e avvenimenti, come anche tutte le altre favolette di questo Poema, parmi giusto penetrare in uno studietto di qualche ometto curioso, che si sia dilettato di adornarlo di cose che abbiano per antichità o per altro del pellegrino, ma che però sieno in effetto coselline, avendovi come saria a dire un granchio pietrificato, un camaleonte secco, una mosca, un ragno in gelatina in un pezzo d'ambra, alcuni di quei fantoccini di terra che dicono trovarsi nei sepolcri antichi di Egitto, e cosí in materia di pittura qualche schizzetto di Baccio Bandinelli o del Parmigiano, o simili altre cosette. Ma all'incontro quando entro nel Furioso, veggo aprirsi una guardaroba, una tribuna, una galleria regia, ornata di cento statue antiche de' più celebri scultori, con infinite storie intere, e le migliori, di pittori illustri, con un numero grande di vasi, di cristalli, d'agate, di lapislazari e d'altre gioie, e finalmente ripiena di cose rare, preziose, maravigliose e di tutta eccellenza.

GALILEO GALILEI

Ogni giorno e nel verso eroico e nel lirico, e nelle prose e ne' versi, e nella poesia e nella filosofia, e insomma in ogni sorte di composizione, riuscendo Torquato Tasso piú ammirabile in Parnaso, invaghito Apollo della soavità del dire, della novità de' concetti, della facilità della vena e dell'amenità dell'ingegno di uomo tanto singolare, l'altra mattina usò verso di lui segni di straordinaria affezione: percioché di proprio moto lo creò prencipe poeta e gran contestabile della poesia italiana; e nella medesima ora con solennità grande gli diede le insegne reali, solite concedersi a' titolati poeti, di poter tenere i pappagalli alle finestre, le scimmie alla porta. t stata cosa ammiranda che il Tasso in quella occorrenza non solo si fece conoscere degno dell'onore che gli aveva fatto Sua Maestà, ma meritevole si mostrò di gradi molto maggiori. Percioché, non come fanno molti, che, dal capriccio della fortuna o dalla bizzarria dei prencipi dalla bassa essendo esaltati alla fortuna delle supreme dignitadi, credono che basti loro vestir la toga pomposa di quel nuovo magistrato, e lasciano l'animo ricoperto dell'antica giubba della viltà fatta di panno dozzinale e tutta stracciata; ma subito dopo il grado di dignità, vesti l'animo di quelle eroiche e reali virtudi che a titolato poeta si convenivano. Onde nel medesimo instante ch'egli per mano di Sua Maestà ricevé l'insegne reali, per quaranta giorni continui tenne nella sua casa corte bandita: ne' quali con tanta abbondanza e lautezza di tutte le più gustose vivande i virtuosi di tutte le professioni furono pasciuti, che letterato alcuno non si è trovato in Parnaso, che anco sopra la forza della sua complessione non abbia crapulati cibi virtuosissimi, che non si sia inebriato di saporitissimi concetti: e il tutto con tanta copia di ogni scienza più esquisita, che Sua Maestà e le stesse serenessime muse grandemente rimasero meravigliate come dalla spensa di quel fecondissimo ingegno abbia potuto cavarsi l'inesausta moltitudine di tanti elegantissimi concetti, conditi con le più eleganti frasi e modi soavissimi di dire.

TRAIANO BOCCALINI

Ma tempo è già che vegniamo alla Gerusalemme Liberata del Tasso, il quale è sollevato da tanta fama, che, per quanto io sudassi intorno a lui, o lodando o riprendendo, nulla di più dare, o in minima parte togliere gli potrei. Poiché sol questo poeta col suo dire florido e pomposo e risonante, e colla vaga raccolta de' luoghi di ogni buono autore, onde quel poema è tessuto, può recar diletto tanto alla maggior parte de' dotti, che godon dell'artifizio e della nobiltà dei sentimenti, de' quali non tutti né sempre cercano o si rammentano l'originale; quanto al resto degli uomini dell'età - presente, i quali trovano, benché con discrezione e verecondia, usati dal Tasso quegli acumi, della cui copia ed eccesso le frequenti scuole sono cosí vaghe. Né può la gloria del Tasso ricevere oltraggio alcuno da pochi, benché eccettuati, e nella greca e latina eloquenza lunga stagione maturati ingegni, che colla famigliarità degli antichi autori diventano troppo ritrosi e poco tolleranti del novello artifizio: e vorrebbero che il Tasso, all'uso de' primi inventori, facesse meno comparire le regole della rettorica e i dogmi della filosofia, ed insegnasse più colla narrazione che co' precetti espressi; e che, al pari dell'Ariosto, togliesse gli esempi de' costumi ed affetti umani più dal mondo vive, in cui quegli era assai versato, che dal mondo morto de' libri, nel quale, più che nel vivo, il Tasso mostra di aver abitato. Vorrebbero anche questi uomini molesti e tetri che il Tasso trattato avesse non solo que' costumi e quelle passioni e fatti che colla frase ornata e col numero rimbombante si possono esprimere, ma ogn'altro affetto o buono o cattivo, ed ogn'altro genio umano, per rappresentare interamente il mondo civile; e che non si fosse contentato di quella sola parte che rendesse di lontano maggior prospetto. Ma di questa mancanza ci dobbiamo consolare, per l'utile che la nostra religione e la cristiana onestà indi raccoglie. E forse il Tasso. che delle platoniche dottrine si pascea, vedendo che Platone scacciava Omero dalla sua Repubblica, per la ragione medesima per la quale lo stimava ottimo poeta, cioè per la viva rassomiglianza di ogni passione e costume; volle egli fuggire ogni riprension del suo maestro, e rendersi sicuro dall'esilio che a lui Platone minacciava. Vorrebbero in fine che si trattenesse meno sul generale, e si assicurasse più spesso di scendere al particolare, ove si discerne più il fino dell'espressione, e si conosce la necessità ed il buon uso delle voci proprie, e l'opportunità del numero non tanto rimbombante, quanto soave e gentile.

GIAN VINCENZO GRAVINA

La poesia malinconica e sentimentale è un respiro dell'anima. L'oppressione del cuore, o venga da qualunque passione, o dallo scoraggiamento della vita, e dal sentimento profondo della nullità delle cose, chiudendolo affatto, non lascia luogo a questo respiro. Gli altri generi di poesia molto meno sono compatibili con questo stato. Ed io credo che le continue sventure del Tasso sieno il motivo per cui egli in merito di originalità e d'invenzione restò inferiore agli altri tre sommi poeti italiani, quando il suo animo per sentimenti, affetti, grandezza, tenerezza ecc. certamente gli uguagliava se non li superava, come apparisce dalle sue lettere e da altre prose. Ma quantunque chi non ha provato la sventura non sappia nulla, è certo che l'immaginazione e anche la sensibilità malinconica non ha forza senza un'aura di prosperità, e senza un vigor d'animo che non può stare senza un crepuscolo un raggio un barlume di allegrezza. (24 Giugno 1820).

GIACOMO LEOPARDI

Il Tasso supera l'Ariosto per la perfezione armonica de' suoi concetti poetici. Nulla v'ha per questa parte che soverchi l'eccellenza della Gerusalemme in tutti i poeti antichi e moderni; il suo contenuto poetico è il più armonioso che si possa immaginare. Ma lo stile, la lingua, e tutti gli ornati poetici sono nel Tasso lungi da tale altezza. L'Ariosto gli è infinitamente superiore nel narrare, e nel pignere; la sua prodigiosa immaginazione addobba tutto splendidamente; e uno stile inarrivabile compie l'eccellenza del suo disegno. Per altra parte gl'ideali del poeta Ferrarese non ponno pareggiare quelli del Tasso dal lato dell'armonia estetica; essi sono piú vari, rozzi ed incolti; sono la natura nel suo primo essere quando non è ancora lavorata per opera d'arte; talvolta non sono quasi ideali, se si risguarda al puro loro concetto, senza por mente alla veste poetica che li abbellisce; infatti quel divino scrittore si compiace bene spesso a mettere in iscena degli oggetti per sé prosaici o bizzarri, che fa poetici colla sola magia degli ornati e della elocuzione. In una parola si può dire, che la fantasia del Tasso avea nel suo concepire il senso più squisito e perfetto dell'armonia; ma che pari non era il suo valore nel quindi esprimere il concetto. Laddove l'immaginazione dell'Ariosto era più fervida, più varia, però meno perfetta nelle invenzioni; ma eccellente quindi in sommo grado nella seconda operazione della mente poetica, che consiste nell'ornare gli obbietti con accessori poetici e nel vestirli poeticamente colle parole. Il Tasso è sommo nello scegliere il più bello della natura; l'Ariosto è sommo nell'esprimere divinamente una natura molteplice, bizzarra, intera, in cui il bello non mai si disgiunge da molte imperfezioni e strane mescolanze.

VINCENZO GIOBERTI.

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