CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO MINORE

 

Luigi De Bellis

 
 
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IDEALE EROICO E PARODIA NEL "BALDUS"

di ETTORE  BONORA



Nel poema del Folengo non agisce un esclusivo intento caricaturale nei confronti della materia cavalleresca o della lingua umanistica, ma è presente l'ambizione di unire, nel «maccheronico», la raffinatezza e la regolarità del latino e della cultura rinascimentale con la forza realistica del dialetto. Il fatto è che un ideale eroico è a fondamento del Baldus: il protagonista opera contro l'ingiustizia, a favore dei deboli e degli oppressi, e alla fine anche contro i demoni dell'ignoranza, attuando così i principi della cavalleria. Ma ciò avviene entro una realtà estremamente plebea e corposa, quella della campagna mantovana, dei piccoli intrighi di paese; la corrosione dell'ideale cavalleresco avviene, allora; proprio in questo scontro dell'eroe con le vicende e i problemi e le miserie di ogni giorno.

Per chiarirsi il significato della struttura del Baldus occorre una lettura spregiudicata, attenta ai particolari ma al tempo stesso difesa contro il gusto dispersivo e divagante di Merlino, una lettura che non sopravvaluti gli elementi oratori e gli sfoghi d'umore quasi fossero filoni conduttori del romanzo, ma non per questo distacchi il singolare poema dalla cultura del suo tempo né d'altra parte dei rapporti con quella cultura dia una meccanica semplificazione: Non sapremmo certo immaginare l'opus macaronicum senza la vita spirituale del Cinquecento e senza la raffinatezza letteraria dell'umanesimo; eppure (e ci sembra d'averlo sufficientemente dimostrato) la poesia di Merlino si pone polemicamente fuori dalla grande linea della letteratura cinquecentesca, e, precisiamo ora, non solo fuori dall'aristocratica decantazione di temi psicologici e di usi linguistici propria della maniera pretrarchesca, si bene da quell'ideale di medietas e di armonia la cui più alta espressione si ha nell'Orlando furioso. Tuttavia la singolarità e la vitalità artistica del Folengo non consistono in un atteggiamento meramente polemico che porrebbe il nostro scrittore al livello dei poeti giocosi, degli antipetrarchisti, degli oppositori della letteratura; la polemica de( Folengo implica non una negazione ma una interpretazione personale della cultura e della poetica dell'umanesimo, tanto che la simpatia stessa verso la materia dialettale e popolare non poté tradursi in originali forme artistiche senza quell'assimilazione della retorica degli umanisti, grazie alla quale il maccheronico acquistava piena coscienza della sua forza espressiva e nella tensione della smorfia caricaturale riusciva a far nuova una materia letteraria che per l'eccesso stesso di perfezione e di misura già scopriva segni di esaurimento.
Non occorre ripercorrere ad una ad una le dichiarazioni serie o facete dello scrittore per dimostrare come il Baldus si colleghi alla fiorente tradizione della narrativa rinascimentale; ma occorre osservare come nello schema stesso del romanzo si trasformi quell'amore delle ambages pulcherrimae che, pur nel variare d'intonazione da poema a poema, si risolveva nei narratori del Rinascimento nel vagheggiamento di un mondo diverso da quello reale, quasi in un trasognato piacere del narrare, sensibile non meno dove si dava una comica contaminazione dell'ideale e del prosaico che dove risuonava il rimpianto di bellezze e virtú d'altri tempi. Proprio perché concepito come storia della vita d'un eroe, dalla sua nascita alle avventure che lo portano fuori dal nostro mondo di uomini sino a un fantastico inferno né pagano né cristiano, il Baldus si staccava prima che nello spirito nella forma dalla tradizione della poesia cavalleresca del Rinascimento. Certo si è che, lasciando da parte intenzioni recondite e precisi addentellati a una reale biografia, il personaggio di cui si narra la storia nel poema non solo fu concepito con un atto di simpatia ma con l'intenzione d'impersonare in lui le virtù per cui l'ideale cavalleresco non aveva solo il fascino di cosa remota ma era sentito come una forza capace di agire in una società peggio che imperfetta, perduta nell'ignoranza, nell'egoismo, nella grettezza. E, concepito come espressione dell'ideale cavalleresco, Baldo non sarebbe un personaggio ma un'astrazione se non gli si contrapponesse un mondo nel quale agisce e per il quale deve dare la misura della sua personalità e dimostrare la validità dell'idea che incarna. Perciò nella sua anima non si danno vere e proprie contraddizioni. Non è nemmeno inatteso il discorso che come viatico gli rivolge Guidone quando stanno per iniziare le ultime site imprese:

rationis campio fies,
iustitiae, fidei, patriae, tavolaeque rotondae. 
Qui melius brando guastabis regna stryarum
quam inquisitorum sex millia, quamque magistri
sacri palazzi cum centum mille casottis.
Eya age, ne timeas caput obiectare periclis,
perque ignem, perque arma rue, virtutis amore.


Il tono è enfatico, ma i propositi non sono nuovi per chi ripensi agli spunti disseminati nella prima parte del poema, a cominciare dai gesti di Baldo appena venuto alla luce che «nihil plorat, sed vultu grignat alegro» come colui al quale dal cielo benigno è stata subito infusa «cognitio rerum multa». Mutato profondamente è il tono, e se dalla ricchezza di suggestioni della poesia il medesimo tema passa alla univoca rigidità dell'eloquenza, ciò non avviene perché muti la disposizione sentimentale del poeta verso il suo eroe, ma perché diversa è la consistenza dello sfondo sul quale egli lo vede. C'è coerenza ideologica tra il fanciullo che si tempra nelle lotte contro i soprusi dei ragazzi di Mantova, il giovane spavaldo che cade vittima delle brighe di barba Tognazzo e del pretore Gaioffo, e l'uomo che conclude il suo destino combattendo contro i mostri dell'ignoranza e della superstizione, perché la stessa coerenza era nel poeta che nella solitudine della cella e tra le esperienze della vita mondana ripensava all'ideale cavalleresco non come a un geniale abbandono alla sete d'avventure ma come all'esaltazione dello spirito eroico in lotta con le varie forme in cui s'incarnano l'ingiustizia e l'errore.
La storia di Baldo è altra cosa che irrisione del mondo cavalleresco e dello spirito eroico. Forse non s'è abbastanza osservato che Baldo è un eroe sfortunato, che non riesce a trionfare a pieno sui suoi nemici né a Mantova prima né poi nelle avventure infernali. Non per questo egli ricalca le orme del troiano Ettore - del quale tuttavia non a caso, dopo lungo volgere di secoli, egli solo sarà degno di rivestire le armi -, ma nella sua vicenda da Cipada all'Inferno egli afferma tuttavia la sua virtú di cambattente contro tutto ciò che sembra negare la dignità dell'uomo. La corrosione, o meglio la trasformazione della cavalleria avviene per altro verso, in una direzione che in certo senso lascia prevedere la più complessa e profonda invenzione del Cervantes e che è buon indizio della modernità della poesia folenghiana: l'eroe dell'ideale per essere vivo ha bisogno non d'un mondo di finzioni e d'allegorie, ma la meschina società in cui comandano Tognazzo e Gaioffo, ha bisogno di misurarsi con la prosa della vita e di confondersi nella grossa commedia dei contadini, dei birri, dei birbanti. Cosí si spiega quale sia veramente il senso del realismo comico del Folengo, e perché, non ostante la coerenza ideologica, il Baldus rechi il segno di una frattura irreparabile tra il racconto delle avventure cipadensi e mantovane e quello delle avventure fantastiche che avranno come meta la

Zucca levis, sbusata intus similisque sonaio,
in qua sicca sonant huc illuc semina dentrum.


2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it