CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO MINORE

 

Luigi De Bellis

 
 
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STORIA E NARRAZIONE NELLE "VITE" DEL VASARI

di ANNA MARIA BRIZIO



Le Vite del Vasari nascono dall'incontro di ragioni e interessi diversi: il gusto dell'aneddoto e del racconto, e l'ammirazione per la « virtú » degli artisti quale si esprime nella loro vita e nelle loro opere. Una linea continua le regge, costituendone la trema viva e grandiosa: il concetto del progresso dell'arte, giunta con Michelangelo alla sua perfezione.

Oltre il brano virtuoso, oltre l'aneddoto, ed anche oltre la singola vita, va colto il valore letterario, artistico, dell'opera vasariana: alle sorgenti, alle origini stesse dell'opera: che nasce da un verace entusiasmo per la «virtú» degli artefici, i quali seppero compiere grandi imprese vincendo la fortuna e la voracità del tempo; nasce da un amore tutto umanistico della gloria, non solo la propria gloria, ma la «gloria dell'arte», l'«onor degli artefici»; ed anche nasce dall'«affezione degli artefici», vivissima nel Vasari ed antica, fin da quando giovinetto sognava di misurarsi con loro e già andava raccogliendo le notizie del loro operare, ne considerava le vestigia. Quante volte ricorrono nel suo libro le parole virtú, perfezione dell'arte, fortuna... Motivi che a volerne precisare il significato concettuale, tradiscono la loro debolezza e approssimazione teorica; ma in un momento felice di ispirazione essi furono fede e sentimento operanti in lui - e sia pure ch'egli ne elevasse il tono con un'ingenua compiacenza retorica -, e gli fecero balenare dinanzi il corso della storia dell'arte come una gloriosa impresa e gli artisti come gli eroici attori di quelle gesta. Il tanto deprecato concetto del progresso dell'arte è per le Vite vasariane ciò ch'è l'unità d'azione in un dramma, lo svolgimento progrediente dell'azione in un poema. Sotto questa luce esso è da considerarsi, e non unicamente come un arido e rigido preconcetto che ingombra il giudizio. Il canovaccio gli era fornito già pronto dalla tradizione fiorentina, che fin dal trecento aveva cominciato a configurare la storia locale secondo le linee di un superamento di Cimabue da parte di Giotto. Il Vasari animò questo canovaccio entro una visione più grandiosa, in un'impresa a cui pare veramente che abbiano posto mano e cielo e terra. Si leggano i proemi alle due vite estreme, che aprono e chiudono l'opera nella prima edizione: s'inizia la Vita di Cimabue: «Erano per l'infinito diluvio dei mali che avevano cacciato al disotto ed affogata la misera Italia, non solamente rovinate quelle che chiamar si potevano fabriche, ma quel che importava assai più, spentone affatto tutto 'l numero degli artefici; quando (come Dío volse) nacque nella città di Fiorenza...». E quella di Michelangelo: «Mentre gl'industriosi ed egregii spiriti, col lume del famosissimo Giotto e de' seguaci suoi si sforzavano di dar saggio al mondo del valore che la benignità delle stelle...». Fra l'uno e l'altro termine si svolge tutta la gloriosa vicenda di tre secoli d'arte italiana.
Proprio alle radici dell'opera sta questo valore di fantasia, la forza di creare un mito; per cui, per secoli, l'immagine dell'arte italiana rimase stampata nelle menti coi lineamenti che le aveva dati il Vasari.
Il valore letterario delle Vite, non che compensare la loro scarsità critica, è anzi in correlazione con il gusto dell'arte nel loro autore; le Vite insomma derivano il loro accento più alto anche letterariamente proprio da quell'amore, e comprensione dell'arte che è tendenza oggi sminuire. Che il Vasari poi colga e s'interessi al momento dell'azione, al momento dell'operare dei singoli artisti piuttosto che alla discussione dell'opera d'arte in sé e dei termini del giudizio, ciò rientra nella concezione essenzialmente umanistica e prammatica della storia ch'egli ha in comune con l'età sua; ma non condivido l'opinione recentemente espressa, che le Vite «fuorché nella struttura che le connette esteriormente, non sono la esemplificazione del perfezionamento dell'arte in cui maestri sarebbero, a rigore, soltanto funzioni, passaggi, relazioni; bensí la narrazione di casi umani compiuti da uomini virtuosi nell'arte». D'accordo sulla prima proposizione negativa: Vasari ha una forma di mente troppo concreta e pratica per vedere la storia dell'arte come un processo astratto di perfezionamento; ma nemmeno intendo le Vite come «la narrazione di casi umani compiuti da uomini virtuosi nell'arte»: piuttosto direi che il Vasari guarda poi, nel corso della sua storia, con un interesse e una simpatia tutta umana a questi artefici, che però da principio ha preso a celebrare unicamente per la loro virtú nell'arte e mirando anzitutto a un grandioso disegno storico.
E dopo ciò possiamo anche ammettere che, da buon fiorentino, egli ama novellare, raccontando i casi degli artisti; e da scrittore che ha la vena fluente e un po' ridondante, si lascia trascinare dalle descrizioni e finisce con l'ubbidire alle necessità di un loro svolgimento rigoglioso e autonomo, perdendo di vista le opere descritte; - il che avviene anche per una sua facilità morale e una certa leggerezza trascorrente un po' frettolosa, e divagata, aliena dalla concentrazione e dal travaglio: ciò non toglie che queste siano fioriture, variazioni, ricchezza d'accompagnamento a quel tema principale della sua opera, da cui scaturisce anche la sua maggior forza di scrittore.
Commentari o Vite? Il titolo - si apprende dall'epistolario - fu discusso, e prevalse quello, in realtà assai più appropriato, di «Vite de' più eccellenti architetti pittori et scultori», sulla traccia di uno molto simile proposto dal Giovio. La forma letteraria della vita era in auge nell'età del Vasari; ed una varietà ne erano gli «Elogia» che stava componendo quello stesso Giovio, da cui venne al Vasari la spinta a scrivere il suo libro. Le Vite vasariane tuttavia non possono riportarsi interamente né alla forma dell'elogio, sebbene ne ritengano qualche accento nel tono celebrativo e nell'uso dei proemi e degli epitafi di chiusa, ricalcati, questi ultimi, appunto sull'esempio del « Museo » del Giovio; né alla forma semplicemente narrativa della biografia, proprio per l'ampiezza del disegno e dello svolgimento storico entro cui le singole vite sono rilegate, e per l'interesse e l'esaltazione dell'arte e la virtú degli artefici, e per i motivi generali, gnomici e moralistici, che vi risuonano dentro.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it