Tradizione e
novità nelle "Rime" del Della Casa di
E. BONORA
La poesia del Della Casa si caratterizza, nell'ambito della tradizione lirica cinquecentesca, per un severo distacco da ogni diretto spunto autobiografico, continuamente rivolta, com'è, a un ideale di espressione nobile e sublime. Per giungere a questi risultati il Della Casa opera nel linguaggio
petrarchesco con una ricerca continua di variazioni nel senso della maggiore complessità tecnica e concettuale.
Nel Della Casa la poesia - e nei frammenti e nelle pagine più compiute. - è un immaginare distante in cui le passioni risuonano come sublimate in una meditazione che non è segno di freddezza ma di grandezza solitaria: qualche cosa che va al di là dei sentimenti e dell'amore, anche quando l'amore serve di pretesto e di avviamento. Segni indubbi nei primi trenta sonetti si fanno chiari nelle canzoni per la loro stessa più diffusa tessitura; già nella prima, nella quale il tema che risulta poeticamente vissuto e sofferto è quel senso di stanchezza che si lega a un amore durato oltre il limite naturale della giovinezza:
Arsi; e non pur la verde stagion fresca
di quest'anno mio breve, Amor, ti diedi,
ma del maturo tempo anche gran parte... |
È vero che la trama narrativa denunzia qui la presenza di un Petrarca minore, ma restano tratti in cui tutt'altro che il narrativo si attua, e in accenti di esatto suono poetico:
Qual folta selva in alpe, o scoglio in onda
chiuso fia che m'asconda?
E da quell'armi ch'io pavento e tremo
de la mia vita affidi al men l'estremo?
..........................
Or che la chioma ho varia e 'l fianco infermo,
cercando vo selvaggio loco ed ermo,
ov'io ricovri, fuor de la tua mano,
ché 'l più seguirti è vano;
né fra la turba tua pronta e leggera
zoppo cursore omai vittoria spera.
..........................
Roca è la voce, e quell'ardire è spento;
e agghiacciarsi sento
e pigro farsi ogni mio senso interno,
com'angue suole in fredda piaggia il verno. |
È un'intensità poetica non nuova nel Della Casa che in immagini di paesaggio squallido, invernale, sa trovare il trasparente simbolo di una condizione umana:
Le nubi e 'l gielo e queste nevi sole
de la mia vita...
e questa... bruma. |
E forzando per questa via, di là da Petrarca ancora si trovano gli accenti di Dante delle petrose, con una musica anche spezzata e aspra che sembra una negazione della poetica dominante nel '500, e sempre la poesia si riscatta in immagini che vivono al di sopra dell'occasionale tema d'amore:
Qual dura quercia in selva antica, od elce
frondosa in alto monte ad amar fora,
o l'onda che Caribdi assorbe e mesce;
tal provo io lei, che più s'impetra ogni ora
quanto io più piango, come alpestra selce
che per vento e per pioggia asprezza cresce. |
Le parole dantesche - si ricordi almeno «amara e bruna» in rima con «impruna» nel quinto sonetto - rientrano nel più tipico lessico dellacasiano, un cui registro anche succinto convalida l'idea dello stile forte e sonante.
C'è però un'insidia letteraria anche nelle Rime, reperibile nelle insistenti sollecitazioni che la retorica esercita sulle parole, sulla loro sonante disposizione nel periodo, sulla schematicità stessa dei temi psicologici più assidui, che riescono ad accordarsi tutti e a svolgersi in forma solo apparente di storia nella canzone Errai gran tempo. Ma questa letteratura crea anche la disposizione a un superamento della grezza autobiografia e dello schematismo psicologico. Nulla di ritrovato nella memoria o in una sublimazione del tempo e della realtà sensibile; ma piuttosto un fissare nei suoni di musica ampia e solenne - che nel suo stesso movimento sembra disporre a un'intangibile immobilità - una verità umana collocata come simbolo oltre il trito reale. E i simboli si fanno immagini allora, e la stessa perizia letteraria è segno di aristocratico distacco, di incapacità di compromessi. Il Della Casa resta ancora nei momenti migliori un poeta letterato solo per questo debito che la sua poesia sembra debba sempre pagare alla felice lezione della letteratura. Ma non nelle rime di corrispondenza, non nelle occasionali interpretazioni di fatti e vicende contemporanei sta mai il segno della sua più durevole poesia. Letteratura dunque non estrinsecamente intesa come segno di eleganza e disciplina, ma letteratura come lezione di umanità, qualche cosa che ci allontana tanto dal ciceronismo (la cifra comune degli oratori poeti del '500) quanto da quell'altra poesia letteraria (quella di un Monti per esempio) in cui risuonano gli echi di una passione quasi sensuale dei miti poetici.
Nel Della Casa non c'è l'accomodante facilità dell'improvvisazione, anzi una insoddisfatta ricerca che ben si può riconoscere nella laboriosa ripresa di alcuni spunti poetici, tentati e ritentati per venire ad un limite di sempre più convincente ed armonica purezza. Istruttivi sono i sonetti della chioma e le canzoni; ma più ancora in tutto il canzoniere quell'anfrattuoso ritornare su immagini e parole che sono come altrettante varianti poetíco-letterarie dei temi cui la fantasia si accosta in uno sforzo ininterrotto di approssimazione. Qui riesce più convincente anche l'indicazione del modo nel quale le forme petrarchesche vengono deformate e adattate a significati profondamente discordanti dalle intenzioni del Petrarca. Nei generi pure più caduchi del madrigale e dell'elegia è evidente questo distacco, fortemente segnato dalla diversissima
partitura musicale e dal fatto che la poesia del Petrarca cosí intrisa di motivi sentimentali appena suggeriti nel Della Casa torna con forza di canto aperto, tutto spiegato. Ma non è una diversa ars dictandi, è proprio una diversa esperienza umana, meno approfondita, incapace di variazioni tonali: il Della Casa non è Petrarca e non può essere misurato col metro della grande poesia. E se nel Petrarca domina un tono smorzato che rende più suggestiva la parola e crea intorno ad essa impalpabili vibrazioni - quasi che la parola si perda a poco a poco nella sua eco - nel Della Casa la musica è tutta staccata, martellata.
La virtù migliore del Della Casa sta nel sapere far nascere la sua poesia da una zona di silenzio e nel silenzio rinchiuderla, come alta musica che non ammette in sé variazioni e fuori di sé nessuna eco: non per un puro fatto tecnico ma per questa disposizione a sentire il grande e l'incontaminabile, per questa incapacità a ricavare poesia da quello che sia ancora intriso di materiale peso terreno, sì bene da una materia, portata, ancor prima che la poesia si realizzi, all'altezza di esperienza concettuale, segno di una vita superiore, quintessenza di vita. Estro e ispirazione sono i termini meno adatti a spiegare le genesi e il significato di questa poesia e si capisce come lettori antichi e recenti molto abbiano insistito con diversa consapevolezza sui fattori dello stile, tutti perplessi, al momento di entrare nel vivo di questa poesia, nella sua sostanza
umana.
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