CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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L'esperienza poetica di Guido Cavalcanti
di M. LUZI



Della poesia di Guido il Luzi dà, coerentemente con i caratteri essenziali dello Stil Novo, un'interpretazione insieme psicologica e concettuale. Per un verso vi appare per la prima volta un senso piú concreto dei rapporti tra il poeta e la donna, mentre però l'aspetto celebrativo dell'eccellenza e della virtù della persona amata determina quell'angoscia e quella « paura » di abbandono, che sono nota costante dei piú celebri versi di Guido; per altro verso, come dice concludendo il Luzi, la dolente « voce privata n del poeta nasce da una nozione fondamentale dell'uomo e del suo destino.

Egli ebbe per sé la ventura di incontrarsi d'un tratto con i corpi, con i volti vivi, di sentire nel significato piú vasto del termine il volume e il peso delle figure che avvengono nell'estrema tensione dell'anima e del pensiero. Questo senso della figura che rapidamente si attuava nell'unica figura possibile per un poeta di tanto fervore, faceva che essa, per l'intenso stupore e la meraviglia sempre nuova della scoperta, diveniva assorta e lontana, e pur cosí vitale, si perdeva nella luce eccessiva da cui era investita. Importa ora osservare che quella luce rara e ineffabile nella sua trasparenza, impossibile ad identificarsi ed a ripetersi in qualsiasi ora e in qualsiasi città del mondo, quella luce di cui Guido non parla mai ed è non di meno sempre presente, è la luce interiore di lui che nasce per noi soltanto dalle cadenze chiare, dagli accenti aperti del suo verso. A quell'irraggiungibilità della donna, a quel suo tradursi nell'immagine della sua eccessiva virtú, come controcanto piuttosto che come commento, corrisponde nel poeta un senso per ora nascosto di pericolo, di paura, di perdimento che riflette il posto occupato in lui da quell'immagine che si è addensata unica contro il nulla, la morte.

Lo sconforto che ne deriva al poeta è tanto piú drammatico quanto piú chiaramente egli riesce a sentire che la propria natura spirituale non ha altra via per attuarsi che il possesso definitivo di quella immagine. La paura di cui Guido ci parla che altro significherebbe infatti se non che al di fuori di tale possesso l'anima, mancandole insieme all'oggetto destinato ogni ragione di forza e di vita, finirebbe nel perdimento piú buio ed informe? Avvinto da un desiderio tanto acuito ed esclusivo, egli intende che l'irreversibilità della propria vicenda non ammetterebbe per lui un ritorno alla disposizione interna d'attesa e di perplessità, in cui proprio la figura della donna aveva fra tutte preso rapidamente campo e straordinario rilievo. A questo carattere di irreparabile, a quest'aria di avventura mortale egli vede pervenire ora il significato di quella figura, e tuttavia il motivo della paura interiore appartiene ancora fortemente alla dialettica della sua vita.

Proprietà essenziale di questa alternativa drammatica è di consumarsi tutta quanta nell'intimo e direi nel sangue del poeta fino a che risulti soltanto una particolare accezione nel sentire e nel canto. Egli non ne prospetta i termini in modo da costruire e disporne il calore sotto l'urto interrogativo della mente che accentua e rincalza; ma comincia direttamente dall'effetto lirico. La voce nasce in lui quando il dolore ha già mortificato e pervaso ogni sua facoltà: l'aggettivo «sbigottito» e l'avverbio «sbigottitamente» danno il tono e la misura diretta di questa penetrazione: d'altro canto un verso come «Tu m'ài sí piena di dolor la mente», per quanto si sappia che il termine dugentesco avesse un significato assai piú vasto del nostro, per effetto poetico del linguaggio riesce a suggerirci il gelo, il vuoto e lo sperdimento che avevano reciso alle radici ogni sua possibilità di pensare e di percepire la varietà delle cose della terra. Questa drammatica trasparente ottusità, mentre lasciava che il dolore spaziasse e ricadesse in lui come una cosa inerente al suo sangue e al suo respiro, escludeva, insieme al bisogno di comunicare e all'idea stessa di società, l'eloquenza e la ricerca riflessa. L'ordine e l'armonia interiori, attraverso tante vicende si ricompongono nell'atto chiaro del dire e del confessare. La potente coralità della sua voce compatta che lascia intendere appunto quell'ordine sia pure negativo e cioè come tutte le forze in lui fossero sottoposte ad uno stesso destino, schiacciate da uno stesso peso e animate da un unico umore, non si dirige verso l'esterno, ma ripiega tutta su di lui ed ivi perfettamente esaurita nasce alle sue risonanze. La natura di essa non è pertanto mutata se non di qualche tonalità; ancora le circola intorno quel silenzio assorto e nitido in cui, come prima i fenomeni e le rivelazioni, ora i movimenti interni e le figure traslate avvengono con la medesima sorpresa e miracolo.

E per concludere sull'arte di Guido si ricordi come, portata fuori dei termini del suo quotidiano conflitto, da elementi nuovi - l'esilio e il viaggio a Tolosa - tragga la medesima, l'unica voce ormai connaturata con la sua persona spirituale. E poiché a proposito di questa persona si è parlato di incertezza e di malinconia, mi piace richiamare alla nostra attenzione la sua forza precisa che colloca immediatamente nel suo significato ultimo e decisivo gli avvenimenti; il suo accento grave e lucido di tristezza, ben al di là di un'inclinazione riflessa alla solitudine e di un gusto del proprio isolamento, ci parla di un dolore totale che rimane miracolosamente ancora uno strumento di vita. Assai piú oltre di una voce privata, la sua incide nell'essere intero dell'uomo fino a restituircene una nozione disperata e pure composta. È la prima nozione fondamentale della vita e dell'essere che ci dà - e in quale legittima concreta maniera - la poesia italiana.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it