CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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La poesia di Jacopone
di F. BRAMBILLA AGENO



Prendendo a fondamento l'esame del lessico e della sintassi di Jacopone, queste pagine mettono in luce la violenta tensione morale; la polemica contro il mondo e il male, il traboccare del sentimento al di là di ogni limite, che si esprimono nel disdegno per la bella forma e nel ricorso a un linguaggio gridato e acceso.

La poesia di Jacopone è tutta dominata da interessi e problemi psicologici: lo attesta il linguaggio, spesso assai ricco di termini astratti, di natura appunto psicologica e riferentesi alla vita dello spirito, e povero invece di termini concreti e riguardanti le cose materiali. Certe espressioni hanno un significato pregnante, nascono da un complesso lavorio interno e ne sono il segno e il risultato. Un linguaggio cosiffatto è quello di uno spirito librato in un'atmosfera rarefatta, preoccupato del problema della propria perfezione, continuamente tendente verso l'alto, e insieme attento ai propri movimenti, non in modo riflesso e non con l'interesse distaccato e prevalentemente estetico dello psicologo moderno, ma con un senso vigile, direi quasi esasperato, della responsabilità morale che accompagna quei movimenti. Ciò risulta evidente dal comparire di termini e frasi di una concretezza talvolta brutale: sono espressioni di dispregio per sé medesimo, o di aborrimento per il, peccato, che rivelano quale acuto senso Jacopone abbia del contrasto tra la perfezione a cui aspira e la realtà della sua vita e del mondo. Il termine energico, grossolano, plebeo è cercato con l'evidente scopo di dar forza all'espressione, e ciò accade sopra tutto nella prima sezione del laudario iacoponico, che contiene, come si è detto, riflessioni sul peccato, sulla vanità delle cose terrene, sulla morte. Nell'insistenza sul tono violento e sui termini spregiativi si coglie l'odio e direi quasi il rancore contro il mondo e le sue brutture. A volte, per es. nello sviluppo dato al tema, pure tradizionale, della contemplazione della morte, il particolare orrendo è rilevato con grossolana ironia, e sono usate espressioni di immediata efficacia rappresentativa.
Il desiderio di mettere in evidenza il lato vergognoso od orribile, sia materialmente, sia moralmente, crea immagini e paragoni rapidi e inaspettati.

Il senso dei contrasti fra la realtà e l'ideale morale, e l'atteggiamento di lotta contro il male si traduce anche in una tendenza drammatica, che continuamente crea dialoghi e dibattiti, fra il peccatore e la Vergine, fra l'anima e il corpo, fra i cinque sensi, e cosí via. Anche nei componimenti inizialmente lirici interviene talvolta un interlocutore, un oppositore, che solleva obbiezioni, quasi portavoce di una coscienza attenta, guardinga, sospettosa. Sentimenti, facoltà, concetti astratti si configurano concretamente in personificazioni, presentate pittorescamente di scorcio, con efficace brevità.

Il movimento drammatico è accresciuto dalle frequenti apostrofi, spesso unite all'esclamazione, che non sono un espediente retorico, a cui Jacopone ricorra con coscienza riflessa di artista, ma il frutto di un atteggiamento spontaneo della sua fantasia, che continuamente crea di fronte a sé figure concrete da esortare e persuadere, o con cui discutere o combattere.

Il senso del contrasto morale atteggia tutto per antitesi e contraddizioni, che sono cosí accostamenti di espressioni contrastanti per tono, come di termini di significato contrario.

La stessa sintassi jacoponica, che costituisce indubbiamente una delle maggiori difficoltà del testo, è prova di una psicologia inquieta e combattuta: la prevalenza della coordinazione asindetica sulla subordinazione, che dà un andamento spezzato all'espressione e i cambiamenti di costruzione denunciano la continua reazione morale del poeta di fronte al suo oggetto: è mescolato sempre alla visione un giudizio che modifica e altera l'espressione; biasimo, indignazione, disprezzo sono palesi nello stesso atteggiarsi della frase.

Un fattore morale entra anche nell'atteggiamento di Jacopone di fronte alla propria cultura. Poeta indubbiamente colto ed esperto della tecnica poetica, possiede lo strumento necessario per esprimere le riposte esperienze del suo spirito, per- cercare nella tradizione, in un ritorno volontario su tali esperienze, la sistemazione razionale di ciò che ha provato, per tentare l'esposizione dei dogmi della fede. Come uomo del Medio Evo, apprezza la dottrina, ma solo in quanto sia rivolta a fini morali e pratici; la cultura che abbia valore soltanto umano e terreno gli sembra, come ad altri Spirituali, colpevole e peccaminosa, ed egli va oltre gli uomini del suo tempo, non per quello che è espresso, ma per quello che è sottinteso nel suo atteggiamento: perché non ricerca neppure la bella veste, che, adornando la dottrina, la renda accetta. Donde, di fronte agli schemi elaborati di certi suoi componimenti, alle forme culte delle rime che ricalcano tipi latini, alle espressioni latineggianti di passi di contenuto teologico, o elevate e astratte delle laudi mistiche, alle reminiscenze e citazioni bibliche dei passi di tono solenne, o di contenuto. apocalittico e profetico, ecco certe sprezzature del linguaggio, certi atteggiamenti giullareschi, gli schemi semplicissimi di certe laudi, e in generale le forme grossolane e volgari già accennate, che dicono, a chi studi Jacopone da un punto di vista stilistico, la stessa cosa che talune affermazioni esplicite di disprezzo per la cultura. Il suono aspro e spezzato dei versi iacoponici denuncia la noncuranza ed anche l'ostilità per la bella forma, che è inutile e colpevole ornamento, perché a piú profonde e importanti cose si devono rivolgere tutte le forze dell'uomo. L'accasa di rozzezza spesso fatta a Jacopone ha forse la sua radice piú che altro nella constatazione di tale asprezza di forma, in parte voluta, in parte ottenuta inconsciamente.

Uno degli aspetti piú evidenti delle poesie mistiche di Jacopone, è la ridondanza dell'espressione. La pienezza e la violenza sentimentale proprie del mistico sembrano rompere gli argini dell'espressione comune e riversarsi in gridi, in esclamazioni, in ripetizioni, in immagini eccessive e accese.

La mancanza di misura, sia nel senso dell'equilibrio della composizione, sia in quello della calma e limpidezza dell'espressione, l'eccesso del sentimento non domato e purificato, sono difetti essenziali di Jacopone, che appunto per essi è stato piú volte condannato come poeta mancato, senza tuttavia che vengano meno l'interessamento che suscita la sua singolare personalità, e il valore reale, che l'espressione, sia pure difettosa e incompleta di essa, possiede. Hanno la stessa origine profonda gli aspetti diversi ed opposti che la poesia íacoponica presenta, e proprio per questo compenetrarsi di pregi e difetti essa lascia perplessi ed incerti ed è cosí diversamente. valutata: la ridondanza è qualità insieme negativa e positiva, segno cioè di equilibrio artistico non raggiunto, di mancanza di disciplina formale, e nello stesso tempo di una ricchezza sentimentale rara. La violenza dell'espressione, tolta al linguaggio amoroso profano, ma con una libertà e crudezza ed anche sincerità passionale singolari, è un fenomeno che, pur ripetendosi in tutti i mistici, assume in ciascuno qualche carattere speciale. In Jacopone l'impeto prevale sul languore proprio di diversi temperamenti. Con il linguaggio carnale e acceso di certe laudi siamo già nel campo della metafora, che è un mezzo, in questo caso, per esprimere l'inesprimibile.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it