CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Caratteri del "Novellino"
di S. BATTAGLIA



Caratteristica essenziale del Novellino è la brevità che ne stabilisce anche l'efficacia e la grazia: in essa si riconosce la presenza della tradizione medievale della «facezia» e dell'«aneddoto», che si unisce con una prima intenzione di delineare, sia pure sommariamente, personaggi, ambienti, vicende.

Il tipo piú caro alle menti medievali è la piccola sentenza, la breve battuta, la facezia pronta e inattesa. Si tratta d'un atteggiamento istintivo dell'uomo che sa conversare con intelligenza e considera le azioni e le parole del prossimo con sguardo acuto e distaccato, si che ne possa cogliere il tratto piú malizioso. Presuppone una finezza intellettuale lieve e serena: tanto che la «facezia» fu particolarmente cara agli umanisti, che la considerarono, un vero e proprio «genere» letterario, e lo stesso Castiglione la consigliò nella conversazione del suo umanissimo «cortigiano».

Il suo gusto è di particolare derivazione letteraria: richiede una leggera condizione ironica e una sensibilità cerebrale, che meglio s'incontrano presso i «letterati». Nel Medioevo, infatti, la facezia s'è diffusa e mantenuta principalmente nell'ambiente dei «chierici», come aneddoto erudito e libresco.

Essa costituisce per questa cultura uno dei suoi elementi piú sicuri e originali. La sua invadente presenza nella tradizione medievale risponde a una tendenza mentale di portata generale: in realtà, tradisce il tipo enciclopedico, acritico ed episodico della comune cultura, quale si presenta alla vigilia delle grandi letterature romanze. L'aneddoto rappresentava l'aspetto piú palese della letteratura «amena»: finiva col diventare un riposo dello spirito e uno stimolo dell'intelligenza.

Non è sempre possibile, anche rispetto al contenuto e all'intenzione morale, distinguere la facezia dallo exemplum: la prima può considerarsi come una sottospecie di quest'ultimo; e anch'essa era chiamata ad appagare un'esigenza didattica, dimostrativa, parenetica. L'esempio, la facezia, l'arguzia, la sentenza sono tutte forme che si possono comprendere sotto la comune denominazione di «aneddoto». E le fonti a cui il Novellino attinge e che predilige nella sua fondamentale ispirazione, offrivano un contenuto narrativo che è ancora «aneddoto» e non già «novella».

La brevità è quindi essenziale a questo tipo di racconto: la sua efficacia è affidata soprattutto alla rapidità caustica e sapida, e a volte anche salace, della sua sintassi; la parola dev'essere pronta e sicura come un semplice gesto. Tutta la sua vita artistica si esaurisce nell'istante, ma la sua capacità espressiva si continua nel sorriso, come una forza morale che si comunica all'intorno, oltre il suono e l'arco delle parole succinte: un piccolo sasso che fa increspare le acque ferme dello stagno.

Si veda la novella XXVII: «Uno grande moaddo (= uomo saggio) andò ad Alessandria (d'Egitto), ed andava un giorno, per sue bisogne (= per affari) per la terra (= nel paese). Ed un altro li venia di dietro, e dícevali villania e molto lo spregiava: e quelli non faceva niuno motto. Ed uno li si fece dinanzi e disse: «O che non rispondi a colui che tanta villania ti dice?». E quelli, sofferente (= paziente), rispose e disse a colui che li dicea che rispondesse: «Io non rispondo, perch'io non odo cosa che non mi piaccia».

Di solito una parola di cosí felice intelligenza ha bisogno di educarsi e trasmettersi in un ambiente raffinato, come può essere quello delle corti; e perciò spesso sono i «cortigiani» e i «giullari» che ne conoscono il costume. Si veda la novella XLIV che mette in iscena quel Marco Lombardo ricordato con onore da Dante come uno che «seppe del mondo» (Purg. XVI, 25): «Marco Lombardo fu nobile uomo di corte e savio molto. Fu, a uno Natale, a una città dove si donavano molte robe, e non n'ebbe niuna. Trovò un altro uomo di corte, lo quale era nescente appo lui (= ignorante a confronto di Marco), e avea avuto robe. Di questo nacque una bella sentenza, che quello giullare disse a Marco: «Che è ciò, Marco, ch'io ho avuto sette robe, e tu niuna? E sí sei tu troppo migliore e piú savio di me! Quale è la cagione?» E Marco rispose: «Non è per altro se non che tu trovasti piú de' tuoi (= cioè simili a te, ignoranti), ch'io non trovai de' miei ».

A volte è una decisione improvvisa, un'azione imprevista che suscita l'ammirazione: ma la parola l'accompagna e la chiarisce, ed essa vale sempre piú dell'atto. Per esempio, la novella XC: «Lo 'mperadore Federigo andava una volta a falcone (= a caccia con il falcone), e avevane uno molto sovrano ( =eccellente, eccezionale), che l'avea caro piú d'una cittade. Lasciòllo a una grua (= lo lanciò contro una gru). Quella montò alta; il falcone si mise alto molto, sopra di lei. Videsi sotto un'aguglia (=aquila) giovane: percossela a terra e tanto la tenne che l'uccise. Lo 'mperadore corse credendo che fosse una grua: trovò come era. Allora con ira chiamò il giustiziere e comandò ch'al falcone fosse tagliato il capo, perché aveva morto lo suo signore (l'aquila è regina degli uccelli e rappresenta la maestà imperiale)»: Questa stessa novella, ampliata e arricchita di dettagli, è rinarrata dal Bandello: eppure è più efficace nel Novellino, dove appunto la brevità meglio s'addice al «rema». Si noti inoltre che la fonte era di tradizione orientale, come del resto fa capire il tipo dell'aneddoto.

Soltanto in casi rari l'aneddoto giunge alla novella; ma anche allora i termini psicologici, e in genere narrativi, sono appena accennati, e la rapidità espositiva crea un diverso fascino: quello della cosa narrata schiettamente, senza ornamenti retorici, come puro segno della realtà umana. Siamo ancora assai lontani dall'arte dispiegata, costruita, potentemente organica del Decameron; ma c'è già nel Novellino il gusto della «novella» e soprattutto l'ambizione di creare con una serie di piccoli «fatti» e di brevi «aneddoti» un clima morale e sociale, una immagine degli uomini attraverso alla parola facile, adorna, spiritosa.

Questa economia verbale dà al primo contatto l'impressione d'una povertà o elementarità di linguaggio e di stile. Pare che l'autore voglia segnare il semplice schema narrativo, ai fini di aiutare la memoria, anziché tentare il vero e proprio racconto. La prima impressione del lettore comune è quella di trovarsi dinanzi ad appunti, che altri potrebbero sviluppare: abbozzi e non narrazioni organiche. Tanto piú se ci si riaccosta al Novellino con il gusto scaltrito della novella boccaccesca o di quella del Rinascimento. Di fronte all'ampio sviluppo che la novella assume a partire dal Decameron, il racconto del Novellino può sembrare allo stato informe. Ma può anche risultare con la freschezza d'un linguaggio primitivo e ingenuo all'orecchio raffinato del letterato stanco di tanta letteratura troppo adulta e consapevole. In realtà le due impressioni sono entrambe ingannevoli: ché la narrazione del Novellino ha ben poco di comune con '.'arte del Boccaccio, anche laddove lo stesso «spunto» novellistico ci autorizzerebbe al raccostamento e al confronto; e, viceversa, non è affatto vero ch'essa sia ignara o sprovvista di coscienza tecnica e stilistica, ma, al contrario, risponde a un preciso modello «letterario», e, nonché costituire la timida nascita d'un «genere», rappresenta invece il tramonto e l'usura d'una forma narrativa che aveva qualche secolo di storia.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it