CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
  HOME PAGE

Vitalità della cultura medievale

Il pubblico colto del sec. XIII

Aspetti della poesia provenzale

Origine e forme della poesia siciliana

Poesia e prosa delle origini

Il Cantico di S. Francesco

La poesia di Jacopone

I volgarizzamenti del Due e Trecento

Caratteri del "Novellino"

Il "Libro delle meraviglie" di Marco Polo

Lo Stil Novo

L'esperienza poetica di Guido Cavalcanti

La poesia giocosa del Due e Trecento

La poesia di Cecco Angiolieri






 


La poesia giocosa del Due e Trecento
di M. MARTI



La poesia giocosa non va letta - avverte il Marti in queste pagine - come espressione diretta di esperienze e circostanze biografiche, ma come frutto di un «gioco» prevalentemente letterario, che va dal puro gusto dell'espressione plebea e dello scherno al tentativo di rappresentare una realtà quotidiana e corposa, che si discosta o si oppone al mondo stilnovista.

Nel fervido panorama culturale, cosí suggestivo ed avvincente, che offrono allo studioso i primi capitoli della nostra storia letteraria, mentre agli ultimi aneliti di una letteratura in lingua latina s'intrecciano spontaneamente e naturalmente vi si inseriscono le prime voci di una nuova umanità in lingua volgare in una innegabile continuità di ideali e di passioni, un gruppo di poeti chiassosi e scapigliati è facilmente riconoscibile: Rustico, Cecco, Meo, Folgore, Cenne... Hanno una comune visione della vita, godereccia, sensuosa, realistica, antiplatonica; una comune poetica di opposizione allo stile «tragico» e di predilezione dello stile parlato, pedestre, « comico»: sono i poeti che noi abbiamo scelto di chiamar «giocosi», con parola che vuol individuare la loro arte e la loro personalità. «Giocoso», infatti, a noi sembra intensamente comprensivo di tutti gli altri qualificativi con i quali sono stati fin qui indicati quei poeti, essendo termine ricco di un duplice valore psicologico e stilistico; e «giocoso» assorbe in sé anche le precise indicazioni di «realistico» e di «comico», poiché l'antico poeta giocoso, per sua natura, operava sempre in tacita o aperta polemica con l'idealismo letterario di Provenza, di Sicilia, di Toscana, oltre tutto per sazietà e per fastidio; e si ispirava, di conseguenza, ai dettami che le varie Artes dictandi suggerivano per uno stile mezzano o basso, per lo stile «comico», appunto. Del resto, «giocosa» fu sempre chiamata la poesia del Berni, il quale non è il creatore, non il punto di partenza di una poesia «tolta in giuoco» come ben la definì Benedetto Croce, ma un solido punto di arrivo, un rielaboratore (sapiente e litteratissimo rielaboratore!) dei temi e della tecnica giocosi, quali si erano formulati e maturati da Rustico a Cecco, al Burchiello, al Pistoia, al Pulci. Pure di res jocosa e di sermo jocosus sulla scorta della poetica oraziana trattavano le citate Artes, ad illustrare quel particolare genere, quei temi, insomma, d'obbligo, e la tecnica peculiare ad esso piú idonea.

Una simile condizione critica non può, quindi, indulgere ad interpretazioni autobiografiche o di tipo romantico; anzi, estrema cura ed attenzione occorrerà ad evitare, e sarà talvolta oltremodo difficile, i pericoli piú sottili e nascosti di falsare la biografia, o l'autobiografia, la letteratura e la storia: quello, cioè, di scambiare per reale elemento di vita, per verità biografica, un antico tema d'obbligo in siffatta rimeria, e quello di lasciarsi suggestionare dall'andamento apparentemente romantico o addirittura, altre volte, da poeta maledetto o decadente, di questo o quel componimento poetico.

Sembra ingiusto, perciò, accusare i giocosi, poggiandosi soltanto sull'esame tematico e contenutistico delle loro rime, di dissipazione morale, di scarsa interiorità, di mancanza di serietà, di poco coraggio verso i tremendi doveri che c'impone la vita. La loro piú alta serietà consiste nell'onestà e nell'impegno con cui affrontarono praticamente e risolvettero secondo le proprie possibilità e la propria vocazione i loro problemi di cultura, di tecnica, di stile; nella coerenza con cui tennero fede alla loro visione della vita e la espressero secondo i modelli di una decisiva tradizione. Rappresentarono il fastidio e la sazietà che ormai poteva generare la poesia aulica, ricca di aneliti verso l'ideale, ma assai povera, o del tutto priva, del gusto della realtà; si richiamarono alla vivace varietà della vita in contrapposizione all'uniforme immagine platonizzante, che essi potevano sentire indecisa nei contorni e vaga e fumosa nel. suo sottile teologico valore; non accettarono un'arte assai schifiltosa e sprezzante, monotona costituzionalmente per la sua stessa essenzialità, per amore verso la sempre rinnovantesi plasmabilità del parlato e anzi ne beffarono ed irrisero gli ormai consueti luoghi comuni; alle sublimazioni sognate e celestiali vollero opporre i rinnovati ed antichissimi diritti della terra e del senso, mentre batteva alle porte la rivendicazione umanistica e si preannunziava il trionfo naturalistico del Rinascimento. Ma se questa serietà di fabbri del parlar materno nell'unità di intenti e di propositi (unità invero facile a degenerare anch'essa in gioco accademico: accademia contro accademia) è decisiva a riscattare i poeti giocosi dalla ripetuta accusa di incolti e di illetterati, non si dimentichi, d'altra parte, che moltissimi di loro appartenevano a famiglie assai potenti ed illustri d'antica nobiltà, sulle quali gravavano non poche responsabilità della vita del Comune; che altri furono anche «messeri», cavalieri o notari; e che le loro rime politiche, pensose robuste impetuose, testimoniano, infine, la loro appassionata e totale partecipazione agli avvenimenti del tempo, di cui furono talvolta attori, talvolta spettatori, affrontando coraggiosamente le conseguenze non sempre liete delle loro azioni o delle loro particolari convinzioni politiche, nel vivo della lotta. Ricorderemo le sferzanti rime politiche di Rustico di Filippo, quelle violente e beffarde di Folgore da San Gimignano, e le pensose ed impetuose di Pietro dei Faitinelli, per tacere degli altri.

[ ... ] alla tradizione giocosa latina medievale, a quella piú antica dei temi misogini ed anti-uxorii, della variabilità. della fortuna, delle tenzoni, degli foca ecc., e a quella piú recente del goliardismo sensuale e scapigliato, chiassoso e taverniere, s'innesta, sulla scorta dei perentori paragrafi delle Artes dictandi, la nuova tradizione giocosa in volgare. Letteraria anch'essa, dunque; anch'essa accademia, quanto lo stilnovismo e il petrarchismo. E se dello Stilnovo fu detto che è «una scuola creata dai posteri», e però solo riconoscibile «come aura poetica e dottrinale» (Flora), la stessa cosa potrebbe ripetersi per i piú antichi nostri giocosi, concordi nel rivolgersi ad una precisa tradizione letteraria e nell'accettare i suggerimenti della retorica, e riconoscibili nella loro ispirazione terrestre, sensuosa, anti-aulica. Da loro, per via di imitazione e di assimilazione, deriverà il «genere» che da Rustico si prolunga almeno sino al Berni: in esso, a volta a volta, pur tra il vano ripetersi degli antichi temi, come in cera obbediente alle intenzioni dell'artista, si plasmeranno l'estro di un Burchiello, la loquace e facile letterarietà di un Pistoia, il sapiente umoristico gioco di un Pulci.

Balza da questa affollata e rumorosa rimeria un insegnamento storico che ci riporta ad un momento della civiltà e della cultura europee ancora profondamente unitaria, ed una panoramica visione che ci ridona la vita ed il colore di quel tempo. A volerla rievocare simultaneamente, dall'alto e quasi da lontano, essa ci riconduce intero e assai vivo il fervore delle idee e delle lotte, il fitto muoversi degli uomini con le loro debolezze, le loro delusioni, le loro ambizioni. Vi risentiamo le grossolane risate, le empie bestemmie, le violente invettive; il pittoresco e multicolore fluire della vita quotidiana del Comune vi rivive, nelle piazze incorniciate dai palazzi degli Uffici o negli stretti e bui vicoletti dominati dalle lussuose case gentilizie. E se anche molti di quei piccoli ed affannati uomini sono oggi muti e senza fisionomia (un nome scarno e vuoto; null'altro), tuttavia la loro forza è significatíva e suggestiva: eco di pettegolezzi e di risse e di cronaca nera, espressione di una particolare sensibilità, segno della vivacità e dell'impegno di una cultura militante. La rimeria giocosa e «comica», pur rimanendo fenomeno squisitamente letterario e culturale nella sua ispirazione, nei suoi motivi e nella sua tecnica, affonda le proprie radici nella vita e ci riporta il senso ed il colore del tempo in una maniera che la poesia «tragica», per la sua stessa natura, rifiuta e condanna. E perciò sentiamo che quella, piú che questa, è ricca di carica sociale ed affronta, pur nell'alveo della tradizione tematica già - crediamo - a sufficienza messa in rilievo, i problemi della vita quotidiana.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it