CRITICA LETTERARIA: IL DUE E IL TRECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Vitalità della cultura medievale

Il pubblico colto del sec. XIII

Aspetti della poesia provenzale

Origine e forme della poesia siciliana

Poesia e prosa delle origini

Il Cantico di S. Francesco

La poesia di Jacopone

I volgarizzamenti del Due e Trecento

Caratteri del "Novellino"

Il "Libro delle meraviglie" di Marco Polo

Lo Stil Novo

L'esperienza poetica di Guido Cavalcanti

La poesia giocosa del Due e Trecento

La poesia di Cecco Angiolieri


 


Lo Stil Novo
di N. SAPEGNO



Lo Stil Novo, definito dal Sapegno come un fatto essenzialmente di poetica, cioè di gusto e cultura artistica, e collocato nella prospettiva della tradizione lirica che lo ha preceduto, è caratterizzato nella sua «novità» prevalentemente da un «approfondimento e raffinamento», sia nei concetti sia nel linguaggio, dell'indagine psicologica.

Lo «stil novo» è il risultato di una evoluzione lenta e progressiva di concetti e d'atteggiamenti, i quali si vengon formando in seno alla letteratura provenzale e trovano le loro radici anche nella vecchia lirica italiana, ovvero è, come fu detto, una «rivoluzione», l'esplosione spontanea e imprevedibile d'un contenuto nuovo con la sua forma singolare? Questione grave che agitò, trent'anni or sono, profondamente le acque sempre poco tranquille della critica.

A dire il vero, se si guarda soltanto alla novità del sentimento e all'originalità dell'espressione di alcuni dei poeti stilnovisti e la si mette a confronto con l'arte troppo piú rozza e inefficace dei lirici precedenti, si propenderà ad ammettere che si tratti proprio d'una «rivoluzione». Senonché la poesia dei singoli, presa in se stessa, è proprio l'argomento meno utile a definire il concetto, in sé, dello «stil novo»: fatto non estetico bensí culturale in largo senso.

E se noi ci volgiamo a considerare, il contenuto concettuale, la materia grezza, quel determinato atteggiamento del gusto, che è poi il vero punto di contatto fra i singoli rímatori, allora riconosceremo senza fatica gli antecedenti dello «stil novo», i quali fan tutt'uno con gli elementi disparati della cultura consapevole od inconscia, diretta o indiretta, dei giovani poeti che a quel movimento collaborarono.

Si dovrà ammettere allora una continuità di svolgimento nella dottrina di amore, dagli ultimi provenzali, attraverso Chiaro Davanzatí, al Guinizelli. Oppure si dovrà constatare, che una canzone del primo Guido riprende concetti e immagini da una canzone di Americo di Peguilhan e da un sonetto di Jacopo da Lentino. E, piú in generale, osserveremo che nelle poesie degli stilnovisti si riecheggia ancora una volta quella discussione sulla natura sui caratteri sugli effetti dell'amore, che percorre tutta la lirica medievale di Francia e d'Italia: e inoltre vi appare la conoscenza minuta di tutti i testi della questione, dai commenti e rifacimenti dell'Ars amatoria d'Ovidio, al trattato d'Andrea Cappellano, a quello d'Enanchet, alle definizioni erotiche dei poeti francesi, provenzali, siciliani e toscani fino a Guittone.

Ricollegheremo perciò lo «stil novo», a tutta la vasta e varia letteratura psicologica che il medio evo ha visto nascere e fiorire: a tutto quel complesso e multiforme travaglio di osservazione e d'interpretazione che culmina nella creazione d'una serie di schemi sottili e di analisi penetranti. Vedremo come, a determinare certi concetti caratteristici dello «stil novo» abbian collaborato le indagini appassionate dei mistici - filosofi asceti lirici - sull'amore divino; riconosceremo l'influsso delle dottrine scolastiche, piú o meno vasto e diretto a seconda della minore o maggiore intelligenza filosofica dei singoli poeti stilnovisti.

Infine la scuola poetica fiorentina ci apparirà, come è giusto, nel quadro generale della cultura contemporanea, non piú che un momento, certo assai notevole, dell'affermarsi d'una nuova coscienza e religiosità laica, che propone ed esalta il valore morale dei sentimenti umani. Cotesta affermazione sorge su per giú nello stesso tempo, e in maniera piú o meno indipendente, ma con forme non dissimili, nella Francia meridionale, con lo sviluppo estremo della poesia cortese, da noi con lo «stil novo», e anche nella nazione germanica con Walther von der Vogelweide. Il «dolce stil novo» ebbe certamente importanza piú larga e profonda che non gli altri movimenti da noi ricordati - non fosse altro perché da esso prese le mosse l'arte luminosa di Dante - ma a quelli, e piú in generale a tutta la lirica psicologica del medio evo, dev'essere senza dubbio riaccostato da chi voglia intenderlo davvero ne' suoi limiti.

Dove dunque sarà da cercare la novità dello «stil novo» cosí solennemente attestata da Dante? In un approfondimento e raffinamento appunto dell'indagine psicologica. Approfondimento di concetti: ovvero, in altre parole, creazione di schemi piú numerosi, piú agili e duttili, che si giova di una piú vasta e attenta cultura quale è quella che si va diffondendo ogni giorno di piú tra i laici. E raffinamento di forme: ritrovamento cioè d'una lingua piú schiva e delicata, piú limpida e piú sensibile, atta ad esprimere in immagini nuove le pieghe piú recondite e meno afferrabili della coscienza.

Alcuni concetti, nati nella poesia degli ultimi Provenzali, ma pochi ancora, sparsi ed incoerenti, s'unificano si coordinano s'arricchiscono nella mente del Guinizelli e de' suoi seguaci, organizzandosi, come mostrò benissimo il Parodi, «in una profonda persuasione sentimentale»: tra essi, essenziali, l'idea dei rapporti di gentilezza con virtú e d'amore con gentilezza, e la concezione d'amore come sorgente di perfezione morale ed elevazione a Dio.

Con il Cavalcanti, e tra i suoi amici ed imitatori, si fa strada anche una piú minuta attenzione alle distinte facoltà od attività dell'organismo: queste acquistano una loro figura individuale, diventano personaggi d'un dramma ideale ed astratto, se pur sostanziato d'umanità. L'anima, la mente, il cuore, gli occhi, gli spiriti (nei quali trovan la loro concretezza le singole potenze morali e sensitive) son gli elementi di questa, talora complicata, sempre convenzionale, mitologia.

La passione d'amore acquista apparenze costanti e definite, sempre le stesse nei diversi poeti dello « stil novo ». È adorazione d'una donna-angelo, per mezzo della quale l'amante acquista perfetta umiltà e somma elevatezza spirituale: ma, al tempo stesso, è distruzione delle energie fisiche, presentimento e, talora desiderio di morte, accasciamento e tremore, battaglia aspra ed angosciosa.

Le qualità della donna si ripetono anch'esse, non senza monotonia: bellezza, gentilezza, umiltà, chiarità. Il suo saluto è mirabile dono. Le donne che stan con lei ne ricevono luce e onore.

Insieme con questi concetti, cosí piú o meno logicamente fissati e chiariti e coordinati, si crea tutta una nuova, piú o men costante, terminologia. «Virtú», «valore», «pietà», «mercede», «gentilezza», «umiltà», «ira», «superbia»: ecco altrettante parole che acquistano un significato nuovo e singolare, quasi, direi, scientifico.

E, accanto ad esse, tutta una serie d'atteggiamenti, nuovi o rinnovati, che si ripetono ne' vari canzonieri del «dolce stile». Se per il Cavalcanti, ad esempio, l'amore è inquietudine e tormento («Non sentí pace né rimorso alquanto / poscia ch'amore e madonna trovai») lo stesso è anche per Cino:

                       Senza tormento di sospir non vissi, 
                       né senza veder morte un'ora stando 
                       fui, poscia che i miei occhi riguardando 
                       e la bieltate di madonna fissi.


Se l'Amore «assale» il Guinizelli con «fiera battaglia di sospiri» e lo abbatte a terra, «battaglia» è l'incontro con la sua donna anche per il Cavalcanti e per Dante della Vita Nuova: e Lapo raffigura Amore «infaretrato com'arciero» o come «scherano» che sta al varco «rubando i cori e saettando strali», e Cino lo definisce «uno spirito ch'ancide». Se il secondo Guido afferma che «amore ruppe tutti i suoi spiriti a fuggire», anche Dante dice che esso

                        prende baldanza e tanta securtate 
                        che fere tra' miei spiriti paurosi 
                        e quale ancide, e qual pinge di fore.


Se gli occhi del Cavalcanti, che han guardato alla bellezza della sua donna, son dal poeta chiamati «folli», cosí definisce i suoi anche Cino. Alle donne che circondano l'amata si rivolgono, invitandole a rispecchiare in sé la bellezza di lei e ad onorarla a gara, Guido e Dante, Gianni Alfani e Cino. Alla Morte indirizzano i loro versi; invocandola, se pur con tono diversamente intenso, il Cavalcanti, l'Alighieri, Dino Frescobaldi.

Anche le immagini e i modi dell'espressione si ripetono non dissimili. La donna amata «par lucente sole» al Guinizelli, «risplende piú che sole» per l'altro Guido: e per Lapo gli occhi di lei sono «lucenti ceme stella». Il Guinizelli non crede «che nel mondo sia cristiana / sí piena di beltade e di valore», il Cavalcanti afferma che «in questo mondo non à creatura / sí piena di bieltà né di piacere» . Il Guinizelli innamorato rimane «como statua d'ottono, / ove vita né spírto non ricorre, / se non che la figura d'uomo rende», il Cavalcanti va «come colui ch'è fuor di vita, / che pare, a chi lo sguarda, come sia / fatto o di rame o di pietra o di legno / che sé conduca sol per maestria».

L'elenco potrebbe essere, senza fatica, continuato. Senonché non riuscirebbe mai ad esaurire la novità e la peculiarità vere della lingua dello «stil novo» e ce ne darebbe solo le caratteristiche piú esteriori e convenzionali. La novità è piuttosto in quella voluta ricerca di levità fantastica e di rarefazione spirituale per cui ogni immagine e ogni parola ci trasportano in un mondo ideale e raffinato, nel quale i sentimenti si sviluppano nella purezza incontrastata della loro linea e nulla di corporeo viene mai a toccarli e sminuirli. Allo stesso modo, l'elenco, che prima abbiamo tentato, di alcuni concetti piú generalmente accettati e ripetuti dagli stilnovisti, non potrà mai darci la sostanza viva di quel movimento intellettuale.

Il vero è che a quell'insieme di concetti e a quello speciale linguaggio s'accompagna, nei singoli rimatori, la persuasione di possedere meglio e piú intimamente la realtà della vita amorosa, e in genere spirituale, e di saperne dare una rappresentazione piú adeguata. Qui è là novità affermata da Dante: in questa coscienza di seguir piú da vicino le parole del «dettatore»; in questa consapevolezza d'una cultura privilegiata e fiducia della sua verità ed efficacia. Vi è in tutto ciò alcunché di giovanile, e comunque di ingenuo: una superbia, come spesso accade, non scevra da pedanteria. Ma vi è anche una forza vera: il culto del sentimento, che, nella sua purezza spirituale, eleva l'uomo al di sopra della mentalità volgare, non è solo ostentato come un privilegio, ma vissuto dagli stilnovisti con sincerità: e nella rappresentazione della vita psicologica la loro arte è veramente, se pur píú povera di colore e di concretezza, piú intima anche e piú sottile.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it