CRITICA LETTERARIA: IL QUATTROCENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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L'Umanesimo e la filologia

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Il volgare italiano dopo la crisi dell'Umanesimo

La pacata prosa dell'Alberti

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LA PACATA PROSA DELL'ALBERTI

di
RAFFAELE SPONGANO



Lo Spongano rileva come l'Alberti, ricostituendo la prosa d'arte volgare, venga a determinare una situazione linguistica che pare addirittura anteriore a quella di Dante, perché è interamente legata a costruzioni e forme latine, ma anche a elementi dialettali. Ne risulta, tuttavia, una prosa che non ha nulla di arcaico, ma presenta una freschezza e un'armonia nuove, in grazia dello svolgersi calmo e pacato dei periodi e della proprietà ed esattezza dell'espressione.

Come nell'architettura, l'Alberti impostò anche nella prosa il nuovo arco edificatorio, e s'ispirò più ai modelli antichi che a quelli recenti. Ricercò la leggiadria e la grazia non per via di strutture esili, alle quali non avevano mancato di far ricorso scrittori come Dante e l'autore dei Fioretti, ma attraverso membrature solide, e tuttavia gentili, del discorso. Il suo ideale, anche in prosa, è l'immagine che gli viene dal duomo di Firenze, contemplando il quale lo attira quella « grazia » giunta a «maestà», quella « gracilità vezzosa » congiunta insieme con una sodezza robusta e piena».
Si capisce come i latini, piuttosto che Dante e il Boccaccio, gli servissero di modelli. L'Alberti non scrisse che trattati, eppure non ricorse al Convivio di Dante per apprenderne le forme, né alla sua prosa - solidamente costruita ma di accento ancora poetico - per apprenderne lo stile. Dante coronava gli sforzi di un secolare tirocinio, ma con un ideale stilistico ancora tutto passione e tensione; l'Alberti ripeté gli sforzi ma con un ideale stilistico tutto misura e riposo. Come è strano trovare nell'Alberti, scrittore di più d'un secolo dopo, una sintassi più incerta che in Dante! trovare indebolite e scosse le leggi italiane dell'uso dei tempi per un tirannico riflesso di quelle latine, quando dalle origini a Dante era accaduto esattamente l'inverso! Eppure dover riconoscere che tutto ha la vitalità di una nuova esperienza, nulla indica il corrompersi di una vecchia forma, lo sfasciarsi di un antico assetto.
Né diversamente accadde nei confronti del Boccaccio. Anche da lui l'Alberti imparò poco, quasi niente: non la mirabile modulazione della fonetica, non l'eleganza abilissima dei costrutti, non la straordinaria varietà e duttilità dello stile, icastico non meno quando è paludato che quando è nudo e plebeo. Ma costruì un edificio diverso, rispondente a una tutt'altra armonia, col prospetto a meriggio, e l'aria intorno d'un soffio ugualmente ventilato. Questa calma, questo uguale respiro, questa luce senza mutamenti è una legge intima della prosa dell'Alberti, è il segno della sua persona.
La pacatezza non è una grande virtú, ma praticata con quella forza, con quella costanza, con quella inesausta disposizione d'animo con cui la pratica l'Alberti, diventa ammirevole, produce gli effetti delle grandi virtú: ti tiene elevato lo spirito, ti fa curioso della parte nobile di te, ti ritrae la vita sotto un aspetto unico. Quel terzo libro della Famiglia che, pur raffazzonato, corse le mani dei lettori come opera bella e in sé compiuta, e, staccatosi dal vero padrone, corse rischio di restare adespota - tanta era la sua uguaglianza intima - è la più bella immagine di questo fascino della calma, la misura più esatta dell'ideale di equilibrio che la informava. Una venustà quasi pura di inquinamenti, una gentilezza di linguaggio che ritrae a meraviglia quel ragionare riposato di cose e fra persone tranquille, senza più sforzi . e guasti del periodo, additano il nuovo olimpo della prosa, quell'orizzonte quasi poetico a cui la saggezza e i ragionamenti della saggezza si possono innalzare. Quanto è più viva qui la proprietà e l'esattezza dei termini, quanto delicata l'assunzione del volgare e delle grazie del volgare che altrove non eran grazie! Né il latinismo ti offende più, né il dialetto rimane grezzo, ma un felice contemperamento di quanto l'uno ha di nobiltà con quanto l'altro reca in sé di vivo e proprio dà nuova immagine al discorso, e indica il nuovo ideale della prosa futura, la sicurezza di un nuovo gusto.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it