CRITICA LETTERARIA: IL SEICENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Il concetto di barocco

Definizioni del barocco

Il barocco come nuova concezione del mondo

Limiti ed equivoci della poetica barocca

La novità del mondo barocco

Il significato della civiltà barocca

Autobiografia e storia nella poesia del Campanella

La poesia dell' "Adone"

Temi e motivi nella poesia dei marinisti

La virtù poetica del Chiabrera

I limiti della "Secchia rapita"

Il teatro barocco del Della Valle

L'azione culturale di Galileo

La prosa galileiana

Vigore intellettuale e passione culturale in Paolo Sarpi

Bartoli e Segneri

Francesco Redi, uomo di scienza e letterato

Lorenzo Magalotti, scrittore "esquisitissimo"





 


LIMITI ED EQUIVOCI DELLA POETICA BAROCCA

di A.  MACHADO



L'autore di queste pagine, uno dei più grandi poeti spagnoli del novecento, con intenzioni fortemente limitative, mette in luce quelli che gli sembrano gli aspetti più negativi e gli equivoci più gravi del gusto e della poetica barocca. Indica nella povertà di esperienza esteriore e interiore, nell'assenza di un'autentica passione intellettuale i segni di una grande povertà di intuizione; nella mancanza di un sentimento del tempo, analizzata attraverso alcune costanti del linguaggio e della metrica barocca, un gusto astratto dell'ingegnosità; nell'esibizione dell'artificioso e del difficile, una volgare identificazione della difficoltà con la bellezza, del virtuosismo con il vigore creativo.

Una grande povertà d'intuizione. - In che senso? Nel senso della esperienza esterna o contatti diretti col mondo sensibile; nel senso dell'esperienza intima o contatti coll'immediato psicologico, unici stati di coscienza; nel senso teorico di un incontro con le idee, essenze, leggi e valori, come oggetti di visione mentale; e in tutte le altre accezioni della parola. «Le immagini del barocco esprimono, mascherano o decorano concetti, ma non contengono intuizioni». «Con esse - dice Mairena - si discorre o si ragiona, seppure in modo superfluo e meccanico, ma per nessun verso si canta. Giacché si può, in effetti, ragionare per mezzo di concetti puramente logici, per mezzo di concetti matematici - numeri e figure - o per mezzo d'immagini, senza che l'atto di ragionare, discorrere entro il definito, cessi di essere il medesimo: cioè una funzione omogenica dell'intelletto che persegue eguaglianze - reali o per convenzione -, eliminando le differenze. L'uso di immagini più o meno corrusche non può mai mutare una funzione essenzialmente logica in funzione estetica, di sensibilità. Se la poesia barocca, coerente con se stessa, giungesse alla sua soluzione perfetta, ci darebbe un'algebra d'immagini, facilmente comprensibile in un trattato alla portata degli studiosi, che avrebbe lo stesso valore estetico dell'algebra propriamente detta, cioè, un valore esteticamente nullo».
Culto dell'artificioso e disprezzo della naturalezza. - «L'arte nelle epoche in cui è realmente creatrice - dice Mairena non volge mai le spalle alla natura, e intendo per natura tutto quel che ancora non è arte, includendovi lo stesso cuore del poeta. Giacché, se l'artista deve creare, ha bisogno di una materia da formare o trasformare, che non deve essere - è chiaro! - la stessa arte. Giacché esiste, invero, una forma di apatia estetica, che pretende sostituire l'arte con la natura stessa, si deduce, molto all'ingrosso, che l'artista può essere creatore prescindendo da essa. Quest'ape, che succhia il miele e non i fiori, è più remota da qualunque lavoro creatore che non un'umile e nuda testimonianza della vita reale; che non il noto specchio del reale, che pretende darci per arte la non necessaria ripetizione di quanto arte non è».
Mancanza di temporalità. - Nell'analizzare il verso barocco, Mairena mette in evidenza il predominio del sostantivo e del suo aggettivo definitorio sulle forme temporali del verbo; l'uso della rima con carattere più ornamentale che melodico e il trascurarne totalmente il valore di commemorazione.
«La rima - dice Mairena - è l'incontro più o meno reiterato, di un suono col ricordo di un altro suono. La sua monotonia è più apparente che reale, perché sensazione e ricordo, che sono gli elementi che si coniugano nella rima, sono distinti, se non proprio eterogenei; con essi siamo dentro e fuori di noi stessi. La rima è un buon artificio, quantunque non il solo, per situare la parola nel tempo. Ma quando la rima si complica con eccessivi incroci e si allontana fino al punto che non riescono sensazione e ricordo a coniugarsi, perché il ricordo s'è dileguato quando si ripete la sensazione, allora la rima è un artificio superfluo. E quelli che aboliscono la rima - questa tardiva invenzione della metrica - giudicandola non necessaria, sogliono dimenticare che l'essenziale in essa è la sua funzione temporale, e che l'assenza di essa li costringe a cercare qualcosa che la sostituisca; che la poesia maneggia molti secoli cavalcando su assonanze e consonanze, non per capriccio dell'incultura medievale, ma perché il sentimento del tempo, che taluni impropriamente denominano sensazione del tempo, non contiene altri elementi all'infuori di quelli indicati nella rima: sensazione e ricordo. Nel verso barocco, invece, la rima ha, propriamente, un carattere ornamentale. Il suo ufficio originario di coniugare sensazione e ricordo, per cosí creare l'emozione del tempo, resta dimenticata. La ragione è che il verso barocco, culterano o concettista, non contiene elementi temporali, poiché concetti e immagini concettuali sono - è sempre Mairena che parla - essenzialmente acroni».
Culto della difficoltà artificiale e ignoranza delle difficoltà reali. - La difficoltà non ha per se stessa valore estetico, né ha valore di altro genere - dice Mairena -. Si fa bene ad applaudire l'atto col quale viene affrontata e rimossa; ma non è lecito crearla artificialmente per farsene una gloria. È classico, veramente, vincerla, eliminarla; è barocco, metterla in mostra. Per il pensiero barocco, essenzialmente plebeo, il difficile è sempre prezioso: un sonetto varrà più di una .canzonetta con assonanze, e l'atto di generare un bambino meno dell'atto di rompere una pietra coi denti.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it