CRITICA LETTERARIA: IL SEICENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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LA POESIA DELL' "ADONE"

di G.  GETTO



L'Adone si presenta come una specie di enciclopedia poetica, in cui il Marino tenta di raccogliere tutti gli aspetti e gli oggetti del mondo fisico e le più varie reminiscenze letterarie, con un desiderio di esaurire tutto ciò che si può dire in poesia. Questo atteggiamento determina quel senso di meraviglia continuamente rinnovato, con cui il poeta elenca i suoi oggetti, tanto più che si tratta delle forme più preziose e più ricche che il mordo possa offrire. Non l'interiorità interessa al Marino, se l'unico sentimento che appare con continuità nel poema è quello amoroso, ma ridotto alla pura sensualità. In questa poesia delle cose e dei sensi è inevitabilmente presente la coscienza del tempo che rapisce le gioie e le liete parvenze della vita: non è il solo elemento che il Marino ha in comune col Tasso, il poeta che tanta parte ha nella formazione della sensibilità barocca.

Alla base dell'esperienza artistica dell'Adone (al di là naturalmente delle generiche intenzioni compositive pratiche e letterarie di successo e di cultura: che vanno da una volontà di affermazione personale e di gloria ad un inevitabile impulso a ripercorrere la strada dei grandi poeti precedenti e a misurarsi con essi), alla base di questo singolare lavoro si deve considerare, come disposizione dinamica fondamentale dell'esercizio compositivo, un proposito, di nuovo (come per la restante attività poetica), di inventariare, di raccogliere le voci più diverse della realtà, di adunare una specie di ideale museo, di creare una preziosa e stupenda galleria. Ed è essenzialmente, questo contegno fantastico, un'esplicazione della poetica mariniana della meraviglia. Un'intenzione di meraviglia è in questo disegno di raccolta di tutto il poeticamente dicibile, in questa raccolta che si estende dal mondo esterno sensibile al mondo interno della memoria, che va dalla natura alla cultura. Sono queste invero le due grandi presenze su cui è impostata la prospettiva dell'Adone, la realtà fisica e la realtà delle lettere, il mondo delle cose visibili e il mondo delle cose leggibili. Le sostanze che la vista ha osservato e le parole che la lettura ha fissato sono i veri personaggi, i protagonisti autentici del poema. Se nell'Adone manca un intreccio di sentimenti e di passioni, in compenso vi interviene una vera profusione di cose e di parole, di realtà naturali e di testi letterari, di cose viste e di reminiscenze poetiche. L'interesse del poeta, mentre è indifferente per il mondo interiore dell'uomo, è tutto proiettato verso quel che è esterno all'uomo. Del mondo umano lo stimola la sola poesia, intesa come un lussuoso ornamento, un oggetto squisito, più che come una realtà soggettiva dell'anima e della coscienza. Del mondo umano ancora, bisogna aggiungere, lo attrae l'amore, ma avvertito nel suo lato più disumano, di fisicità pura.
Le presenze fisiche adunate dal Marino nel suo poema rispondono ad una legge di quantità, tesa verso l'innumerevole, e ad una legge di qualità, rivolta verso il bello, sentito, questo, come meraviglioso. Sarebbe impossibile seguire il Marino nella sua ricognizione nel mondo delle cose, ripetere i suoi elenchi di sostanze, tenergli dietro nelle frequentissime descrizioni di luoghi e di oggetti, di animali e di piante, di aspetti del cielo e di figure allegoriche, di giochi e di azioni, che si accampano con autonomia figurativa e invadono gli stessi confini dei paragoni. Sotto questo aspetto l'Adone è una vera e propria enciclopedia, che vuole esaurire tutto il conoscibile, tutto quello che può essere nominato (e, entro questi limiti, anche il mondo interiore dei vizi e delle virtù, che compaiono però spogliati di interiorità e ridotti a colorite figure, quasi statue allegoriche o pitture simboliche). Una sfilata di alberi e frutti e una moltitudine di fiori allietano le pagine del poema in una ilare festa di linee e di colori. E il gusto del poeta si compiace della folta varietà di queste sostanze, e altresì si diletta, affermatasi un'inclinazione di preferenza per una di esse, della moltitudine fitta di quel singolo esemplare.
Un poema dunque, si potrebbe definire l'Adone, di lusso e di lussuria: in cui il lusso degenera per fastosa opulenza in sensualità, e la lussuria si tempera per lisciatura di morbidi toni in voluttuosa raffinatezza; un lusso e una lussuria che si modificano, esaltandosi e smorzandosi, a vicenda. E proprio in quanto epopea del lusso, l'Adone, ma solo in questi limiti, potrà anche essere un'epopea di pace, un «poème de paix» secondo, ma tuttavia in senso diverso, lo definiva Chapelain. Un poema in cui non si verifica già un'assenza di sentimento, ma dove interviene una presenza ben definita di umanità, e vi si celebra il senso di una vita colma, la gioia, talora fresca di meraviglia, di una realtà deliziosa, raccolta con gusto ammanierato e posseduta con ebbrezza, su cui infine passa come un'ombra fuggevole di malinconia e di morte; la coscienza del tempo che trascorre e distrugge:


Un lampo è la beltà, l'etate è un'ombra,
né sa fermar l'irreparabil fuga.
Tosto le pompe di natura ingombra
invida piuma, ingiuriosa ruga.
Rapido il tempo si dilegua e sgombra,
cangia il pel, gli occhi oscura, il sangue asciuga,
amor non men di lui veloci ha i vanni,
fugge co' fior del volto il fior de gli anni.


Dove il grande esemplare suggestivo è ancora il Tasso (Tasso e non Ariosto, come qualcuno ha proposto, è il costante punto di richiamo del Marino). Ma senza la risonanza religiosa del Tasso. Per il poeta della Gerusalemme la vita è un perpetuo fiorire di illusioni che subito sfioriscono in delusioni, è un sogno instabile che rimanda ad un'altra vita, la vera vita. Per l'autore dell'Adone invece le cose offrono una resistenza maggiore: anche se rapite dal tempo e destinate alla morte, nel tempo si accampano con una loro realtà, una loro durata. Entro il tempo si apre dunque, concreto se pur breve, uno spazio possibile di felicità. Di qui il riverbero acceso, tutto terreno, della coscienza del tempo che fugge, della morte e della sua malinconia, nell'opera del Marino: quasi un invito a tendere sulle cose più avida, e a stringervi più voluttuosa, la mano, nel presagio del giorno in cui da essa il tempo dovrà strapparle. Di qui la diversità della sua musica, così scorrevole e uguale, troppo scorrevole e uguale; così precipitosa e monotona anche; senza silenzi e senza respiri, senza pause e senza meditazioni. Per questo rimane vero per il Marino quel che Antonio Machado, nella sua Arte poetica di Juan de Mairena, considerava proprio di tutta la metrica barocca, vale a dire l' «uso della rima con carattere più ornamentale che melodico», senza «valore di commemorazione», senza «emozione del tempo». La musica e la metrica febbrile e insieme labirintiche dei sensi, appunto, non quelle meditative dell'anima, quelle, tutte echi spirituali, del Tasso.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it