L' "HOMO NOVUS"
DELLA "FRUSTA LETTERARIA"
di
WALTER BINNI
Il Baretti, nella Frusta Letteraria, trasferisce nell'ambito letterario esigenze proprie della civiltà illuministica, conferendo ad esse una profonda risonanza spirituale. Nella Frusta fa la sua comparsa l'uomo nuovo della borghesia italiana, non tanto preoccupato di una polemica formalistica e accademica, ma tutto teso ad una rivendicazione dei contenuti morali, tutto impregnato da un senso vivo della concretezza e dell'individualità dell'umana esperienza. Per queste ragioni il Baretti appare, malgrado le sue numerose oscillazioni e incertezze, una figura già significativa del nuovo clima preromantico.
Anche La Frusta Letteraria ha valore di indizio della civiltà illuministica, ma proprio conducendo tale esigenza di civiltà più solida ed attiva in ambito più chiaramente letterario la stacca più del Caffè da preoccupazioni più immediate, un po' faticose, e dà alla sua empiria un carattere più profondo e più spirituale.
Così le sue recensioni numerose su libri di carattere pratico, economico, come le Lettere dello Zanon sull'agricoltura del Friuli, non sono documenti gustosi, pretesti di letteratura come gli annunci della « Gazzetta » gozziana, né
significano un'ansia di riforma scabra e disadorna come nel Caffè, ed indicano l'interesse di una letteratura moralistica, non illuministicamente descrittiva, ma cosciente di una sua destinazione utilitaria nel senso di una complessa civiltà in cui la poesia sia insieme libera espressione fantastica e nutrita di vita morale, di fecondi riferimenti umani, civili. L'homo novus della nuova borghesia italiana, il letterato non cortigiano, non accademico, fa nella Frusta una prima apparizione clamorosa, a suo modo rivoluzionaria ben al di là del decoroso civismo pariniano che pure in tal senso è certo da collegarsi, come il gusto pariniano di un realismo sano e concreto, alla linea del romanticismo italiano nel suo aspetto risorgimentale, nella sua sostanza di antiastrattezza e di costruttivo utilitarismo generoso e sanguigno.
Molti sono i legami che naturalmente trattengono questo nuovo letterato al vecchio mondo e non ultimo un certo carattere di bizzarria, di eccezione tollerabile in un cerchio socievole settecentesco, come il concetto del capriccio e dell'estro costituiva molto spesso niente altro che la via d'uscita e la segreta garanzia di una equilibrata poetica razionalistica. Ma ciò che rende storicamente importante questo letterato Baretti e la sua Frusta, non è la sua singolarità, o la forza di prosa con cui avrebbe realizzato intuizioni già portate da altri, ma, nella sua nuova violenza sanguigna, nella sua intolleranza inquisitoriale, il suo gusto individualizzante ad ogni costo, la sua brusca irruzione moralistica e contenutistica in nome della concretezza nel mondo di una vecchia forma estenuata e stilizzata, nell'equilibrio di un esile classicismo arcadico e illuministico che solo nel Parini aveva trovato forza e sviluppo personale, limitato dalle possibilità rivoluzionarie del sensismo. E in una storia di passaggio tra due civiltà letterarie meglio che in generiche prospettive unilaterali, si può ben capire quale importanza rivesta un atteggiamento simile, non tanto di stroncatura dell'Arcadia, che pure non era morta e condizionava spesso le nuove esperienze, quanto di novità rozza, contenutistica, vitale, che rende meno casuale, anche se non meno originale, la «pianta uomo» alfieriana, il vigoroso senso dell'individuo che nell'Alfieri troverà un'adeguata e profonda giustificazione.
Così il Baretti, che già nel suo ritratto quotidiano rivela al di là delle smorfie bernesche, lineamenti di nuova decisione (si pensi all'omicidio londinese nella replicata narrazione dell'Epistolario, al suo amore non solo letterario per il Cellini, al suo odio profondo non più accademico per Appiano Buonafede), ben più che un illuminista entusiasta di rischiarare e di riformare è, con tutti i limiti che si devono riconoscergli, di sensibilità e di mentalità, una potente figura preromantica: e proprio con risultati in un campo specificamente di storia letteraria.
Certo moltissime delle idee cardinali della sua critica sono strambe o reazionarie, il suo gusto è compromesso (esita fra la Tancia e Shakespeare), la sua sensibilità è ruvida (poeticamente realizzata in rime burlesche scadentissime), ma la sua critica contenutistica, e spesso bassamente veristica, ha un senso vivo del concreto, dell'individuato, dell'umanamente esperito, che nella loro rozza formulazione significano la profonda insofferenza del suo tempo più vero alla vecchia poetica e superano idealmente quegli stessi esemplari come il Giorno, in cui sembrano soddisfarsi, mentre autorizzano un gusto del grandioso e del fantastico misurati d'altronde sul metro della correttezza e della traducibilità in evidenza di immagine e di personaggi. L'esigenza del concreto, viva anche in altri preromantici, è nel Baretti più potente anche se più grossolana e facilmente scaduta in esigenza di una bruta, immediata realtà, di una veristica verosimiglianza, di una psicologica
emozione. |