CRITICA LETTERARIA: IL SETTECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Il Vico "scopritore" dell'estetica

Lingua e storia nel Vico

Significato storico dell'Arcadia

La grazia elegante della lirica arcadica

Storia e ideologia negli "Annali d'Italia"

Parola e musica nella poesia del Metastasio

Le componenti della poesia e della personalità di Pietro Metastasio

Il razionale entusiasmo dell'Illuminismo

Illuminismo italiano e Illuminismo europeo

Francesco Algarotti letterato e poligrafo

L' "homo novus" della "Frusta Letteraria"

Il "Saggio" del Cesarotti e le polemiche linguistiche del Settecento





 


SIGNIFICATO STORICO DELL'ARCADIA

di MARIO FUBINI



Il critico invita a considerare l'Arcadia al di fuori dell'entusiastica celebrazione dei contemporanei o dell'eccessive riserve di molta critica successiva sopra i valori della poesia nata nel suo clima. Essa è un fenomeno che va collocato nell'obbiettiva situazione storica, e da questo punto di vista l'esser stata preceduta nel programma di restaurazione del gusto dopo gli esperimenti barocchi è meno significativo dell'aver divulgato tale programma e di avergli dato la bandiera sotto cui raccogliere i letterati d'Italia, mentre la qualità spesso mediocre della poesia arcadica non deve far dimenticare quanto abbia operato l'accademia nell'istituire un nuovo costume sociale e un nuovo spirito di eguaglianza fra gli uomini di cultura.

Si è osservato che quando essa [ l'Arcadia ] fu fondata, già si era iniziata da tempo e da più parti la reazione al barocchismo, e inoltre che non si possono dire, se pur gli autori fossero ascritti all'Arcadia, promosse o ispirate da quell'accademia le opere più serie di pensiero e di letteratura che allora si composero, mentre tante voltesi è insistito sul danno che alle lettere sarebbe venuto dalla mascherata letteraria dei suoi pastori. Con le quali osservazioni si è voluto correggere il giudizio secondo il quale all'Arcadia spetta il merito di avere dei-Alato il cattivo gusto e rimesso in onore lo studio dei buoni autori: giudizio quasi d'obbligo per i letterati del Settecento, i quali non potevano esimersi dal rendere omaggio all'accademia benemerita, per quel trionfo sopra il mal gusto, delle patrie lettere, e che doveva per reazioni suscitare gli opposti giudizi di un'Arcadia corruttrice del gusto e del costume. Si sarebbe invece dovuto notare che dominava ancora le menti la concezione prammatica della storia, e che a quella concezione si informava un giudizio, come quello vulgato sull'Arcadia, che attribuiva a un'istituzione e ad alcuni pochi individui il merito di un fenomeno storico; come era conforme quell'omaggio obbligato di letterati, al costume ancora aristocratico e gerarchico del secolo, per il quale, concordemente del resto con quella concezione della storia, piaceva riconoscere in principi o in personaggi cospicui o in istituzioni consacrate dal crisma dell'autorità i promotori e gli animatori di una qualsiasi opera di letteratura. Di qui gli elogi, gli omaggi, le adulazioni, che l'Arcadia ha poi scontato con altrettanti vituperi. Certo essa non fu la causa, bensí un effetto, o per meglio dire una delle manifestazioni di un più vasto moto di spiriti: né sarebbe sorta se prima della sua fondazione non si fosse già affermata e diffusa la reazione antibarocca, come non avrebbe avuto quel carattere nazionale, che la distingue dalle altre accademie ed è particolarmente degno d'interesse, se col suo programma non fosse venuta incontro alle tendenze prevalenti nei migliori letterati d'Italia, i quali videro nella nuova accademia come una bandiera o un'impresa e sotto quella bandiera, che dava un nome all'opera comune, volentieri si raccolsero. Il che non sarebbe avvenuto, si può aggiungere, se essa fosse stata fondata in altra città d'Italia, a Napoli, o a Milano, o nella stessa Firenze, dove il culto della tradizione letteraria si confondeva o sembrava confondersi con l'orgoglio municipale, anziché nella città, che non certo cospicua fra, le altre per maggior fervore di vita culturale, sola poteva conferire a un'istituzione sorta nel suo seno un carattere superiore a ogni particolarismo locale e farne un'istituzione rappresentativa della cultura italiana.
All'Arcadia non spetta il merito di avere iniziata e nemmeno compiuta la restaurazione del buon gusto, bensì di aver tradotto, per dir così, quel programma letterario nei termini del costume sociale facendone un segno di raccolta per i letterati d'ogni parte d'Italia: né deve far meraviglia che nell'Arcadia propriamente detta i motivi più profondi del movimento che da lei prende il nome, non abbiano conveniente rilievo e che vi prevalessero non gli spiriti più originali ma i mediocri, non un Gravina ma un Crescimbeni. Così deve essere quando si passa dal piano del pensiero a quello della vita pratica; e non solo non ci meravigliamo, ma nemmeno ci spiace che insieme con letterati autentici fosse accolta nelle sue schiere una così varia folla di amatori o sedicenti amatori delle lettere (gente che il Muratori avrebbe voluto esclusa dalla « Repubblica letteraria italiana », la superaccademia da lui vagheggiata, moderatrice degli studi di tutta la nazione), e che tra quella folla non poche fossero le donne, le quali con la loro presenza tanto contribuirono a darle la sua caratteristica fisionomia; né strano o scandaloso ci riesce che occupazione precipua fossero i versi - quei versi che troppa parte, a giudizio del Muratori, tenevano nei .lavori o negli ozi accademici e che egli avrebbe voluto veder banditi, o quasi, dalla sua Repubblica. Ma la Repubblica muratoriana, più seria in effetto e più ambiziosa, non era se non un'utopia, nella quale a noi sembra vedere prefigurata la varia operosità degli studiosi del nostro Settecento per cui si venne formando la nuova cultura italiana, e che non avrebbe mai potuto determinarsi nella forma di un'accademia: l'Arcadia che in confronto ad essa ha la superiorità incontestabile di quel che esiste sopra un ente d'immaginazione, era una pratica attuazione, nei limiti del possibile, di una società letteraria, da più d'uno desiderata, che riunisse le persone colte d'Italia. Che poi la poesia presentasse come il motivo più ovvio e più atto a raccogliere una società letteraria e fosse l'oggetto principale se non unico delle sue occupazioni, s'intende se si pensa alla parte che nella vita del tempo aveva non dico la poesia dei poeti, ma la poesia intesa come prova di perizia letteraria, come gradevole trattenimento, come ornamento d'obbligo nelle varie solennità pubbliche e private (altre forme di retorica e di divertimento oggi l'hanno sostituita e ci riesce difficile comprendere il suo pur modesto e limitato valore): certo dall'Arcadia non uscirono nuovi poeti (e quando mai dei poeti uscirono da un'accademia?), ma con l'esercizio assiduo di quel vario poetare come con la consuetudine di quelle riunioni accademiche si divulgò un nuovo stile letterario e sociale.
Era ancor vivo allora l'ideale del Rinascimento della letteratura come nobile otium, come distacco dalla vita immediata delle passioni nella cura della bella e misurata parola che si solleva al di sopra delle contingenze del tempo e, ha il suono di quella sempre esemplare dei classici, come consorzio di spiriti congiunti nell'amore e nel culto di quelle belle forme: un ideale che, come è noto, aveva avuto anche una trasfigurazione fantastica nel mondo dei pastori poeti, quale era stato delineato nell'Arcadia del Sannazaro e avevano continuato a vagheggiare per tanto tempo gli scrittori e lettori di tutta l'Europa, facendone uno dei luoghi prediletti della loro immaginazione. E la nuova Arcadia, che a quel mondo si rifà con la sua finzione pastorale, ci sembra per gli spiriti animatori e per quella mascherata di pastori e di pastorelle l'estremo riflesso del Rinascimento, un Rinascimento estenuato ormai e illanguidito, che prima di spegnersi del tutto, sopraffatto dalle nuove generazioni impazienti dei suoi otia, insegna la sua lezione di decoro e di disciplina letteraria. Ma, come il pensiero dell'Arcadia, dell'Arcadia voglio dire, in senso lato, non si riduce a una mera restaurazione della poetica cinquecentesca, alla ripresa di quel che a taluno è piaciuto chiamare l'«errore umanistico», cosí l'Arcadia, accolta di letterati, di gentiluomini, di gentildonne, uniti nel culto delle lettere, non va considerata soltanto come una tardiva affermazione di spiriti umanistici, bensí essa pure come un segno dei tempi nuovi. Tra la civiltà cortigiana del Cinquecento e la rozzezza fastosa del Seicento da una parte e la civiltà individualistica e borghese che uscirà dalla Rivoluzione, ha il suo posto la società arcadica, che per la sua varia composizione, per la condizione di parità dei suoi membri di diversa provenienza sociale e di diverse parti d'Italia, ha contribuito alla trasformazione nelle relazioni fra letterati e pubblico, all'instaurazione, sotto un blasone aristocratico, di un più democratico costume letterario: ed è perciò non un anacronismo di pedanti, ma un'istituzione tipicamente settecentesca. Essa ci appare così quasi la mediatrice fra l'antica e la nuova Italia, fra l'Italia del Rinascimento e l'Italia del Risorgimento: comprendiamo come, col procedere del secolo quando il suo programma si dimostrava ormai esaurito e sorpassato e il suo apparato pastorale sempre più fittizio e estrinseco, a lei ancora si guardasse con reverenza come a un simbolo della letteratura italiana, della continuità della sua tradizione, dei legami fra tutte le persone colte della penisola. Per questo letterati e poeti continuarono a sentirsi onorati di essere ascritti fra i suoi pastori (e tra questi fu Vittorio Alfieri) e non sdegnarono di rendere omaggio alla vecchia istituzione, indirizzandole discorsi ispirati a concetti poco o punto arcadici (come il Cesarotti che per il suo ingresso in Arcadia compose il Saggio sulla filosofia del gusto): in quegli omaggi, in quelle stesse adulazioni di cui si è detto, era il riconoscimento della funzione adempiuta dall'Arcadia, e un omaggio all'Arcadia rendiamo noi pure, quando, pur consci del valore metaforico della nostra designazione e dei limiti dell'opera di quell'accademia, indichiamo col suo nome un periodo della nostra storia letteraria, che non è, come pareva al Settembrini, la fase ultima della nostra decadenza, bensí l'inizio non del tutto inglorioso del risorgimento.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it