PAROLA E MUSICA
NELLA POESIA DEL METASTASIO
di
FRANCESCO DE SANCTIS
L'arte metastasiana deriva la propria coerenza e armonia dall'essere il ritratto fedele della società del suo tempo, eroica e solenne nelle istituzioni e nelle apparenze, ma vuota dello spirito del tempo antico, assonnata, idillica ed elegiaca. La poesia del Metastasio fiorisce da questa società e ne è al tempo stesso il melodico accompagnamento; essa non crea né comunica, ma è piuttosto un canto, originale per agilità e chiarezza, che tende a dissolversi in musica.
Il mondo metastasiano può parere assurdo innanzi alla filosofia, come innanzi alla filosofia pareva assurda la società ch'esso rappresentava. Come arte, niente è più vero per coerenza, per armonia, per interna vivacità. È il ritratto più fiorito di una società vicina a sciogliersi, le cui istituzioni erano ancora eroiche e feudali, materia vuota dello spirito che un tempo l'animò, e che sotto quelle apparenze eroiche era assonnata, spensierata, infemminita, idillica, elegiaca e plebea. Guardatela. Essa è tutta profumata, incipriata, col suo codino, col suo spadino, cascante, vezzosa, sensitiva come una donna, tutta «idolo mio», «mio bene» e «vita mia». La poesia di Metastasio
l'accompagna con la sua declamazione, con la sua cantilena; la parola non ha più niente a dirle; essa è il luogo comune, che acquista valore trasformata in trillo, con le sue fughe e le sue volate, co' suoi bassi e i suoi acuti; non è più un'idea, è un suono raddolcito dagli accenti, dondolato dalle rime, attenuato in quei versetti, ridotto un sospiro. Una poesia, che cerca i suoi mezzi fuori di sé, che cerca i suoi motivi e i suoi pensieri nella musica, abdica già, pronunzia la sua morte. Ben presto Metastasio sembra troppo poeta al maestro di musica, né il pubblico sa più che farsi della parola, e non domanda cosa dice, ma come suona. La parola, dopo di avere tanto abusato di sé, non val più nulla, e la stessa parola metastasiana, così leggiera, così rapida, non può essere sopportata. La parola è la nota, e i nuovi poeti si chiamano
Pergolesi, Cimarosa, Paisiello. Cosí terminava il periodo musicale della vecchia letteratura, iniziato nel Tasso, sviluppato nel Guarini e nel Marino, giunto alla sua crisi in Pietro Metastasio. Oramai si viene a questo: che prima si fa la musica, e poi Giuseppe
secondo dice al suo nuovo poeta cesareo, all'abate Casti: - Ora fatemi le parole.
In seno a questa società in dissoluzione si formava laboriosamente la nuova società. E che ce ne fosse la forza, si vedeva da questo: che non teneva più gran conto della forma letteraria, stata suo idolo, e che cercava nuove impressioni nel canto e nella musica. Il letterato, che aveva rappresentato una parte cosí importante, cade in discredito. I nuovi astri sono Farinello e Caffarello, Piccinni, Leo, Iommelli. La musica ha un'azione benefica sulla forma letteraria, costringendola ad abbreviare i suoi periodi, a sopprimere il suo cerimoniale e la sua solennità, i suoi aggettivi, i suoi ripieni, le sue perifrasi, i suoi sinonimi, i suoi parallelismi, le sue trasposizioni, tutte le sue dotte inutilità, e a prendere un'aria più spedita e andante. Gli orecchi, avvezzi alla rapidità musicale, non possono più sopportare i periodi accademici e le tirate rettoriche. E se Metastasio è chiamato «divino» è per la musicalità della sua poesia, per la chiarezza, il brio e la rapidità
dell'espressione. |