Il
visconte dimezzato
Il nipote del visconte Medardo di Terralba narra che lo zio durante la
guerra contro i turchi (sul finire del Seicento) viene tagliato in due da
una palla di cannone. I medici ne trovano dapprima la parte destra, la
curano e la rimettono in condizione di vivere. Questi fa ritorno in patria
e si dimostra malvagio e crudele in ogni suo atto: emette sentenze
terribili, causa incidenti, incendia case e fienili. semina il terrore,
insidia la bella Pamela ecc. A un certo punto però si diffonde la notizia
«d'una doppia natura di Medardo»: il visconte alternativamente costruisce
e distrugge, fa e ripara i torti. Il fatto è che a Terralba ha fatto
ritorno anche l'altra metà del visconte, anch'essa medicata e rimessa in
sesto. Il visconte dimezzato agisce ora nelle due persone opposte del
Gramo e del Buono. «Cose tra carità e terrore trascorrevano le nostre
vite». Senonché il Buono non si limita a soccorrere chi ha bisogno (ad
esempio i lebbrosi), ma vuol curare pure le anime e a tutti fa la morale.
«Delle due metà è peggio la buona della grama», dice ormai la gente. Le
due metà, infine, si sfidano a duello per il possesso di Pamela. Il dottor
Trelawney approfitta allora del fatto che nel duello entrambi i
contendenti sono rimasti feriti dalla parte monca per ricucire insieme le
due metà e riportare il visconte alla normalità fatta di una commistione
di bene e di male.
Il barone rampante
Il narratore racconta la storia del fratello, Cosimo Piovasco di Rondò,
barone di Ombrosa, che all'età di dodici anni - nel 1767 - dopo
un'ennesima punizione inflittagli dal padre, per protesta contro
l'educazione autoritaria decide di salire sugli alberi e formula la
promessa di non scendere mai più. I ragazzi lo scherniscono, i genitori lo
disprezzano, molti lo osservano incuriositi, ma egli tiene fede alla
promessa. Si costruisce così un mondo aereo pienamente autosufficiente: si
fa portare dal fratello e dal precettore dei libri (romanzi e testi di
pensatori illuministi), si istruisce e a sua volta in segreto istruisce
l'antico precettore, suggerisce letture di romanzi ad un brigante, quindi
si prende cura degli alberi e degli animali; allaccia una relazione con la
bella e volubile Viola, viaggia passando d'albero in albero. Elabora anche
una teoria secondo cui stando sugli alberi si può osservare e comprendere
meglio la vita che si svolge sulla terra e comincia a scrivere un Progetto
di Costituzione d'uno Stato ideale fondato sopra gli alberi, di cui invia
un riassunto a Diderot. Col tempo la fama della sua bizzarra esistenza si
diffonde e varie personalità (tra cui Napoleone) vengono appositamente a
Ombrosa per conoscere questo strano "filosofo". Ormai vecchio e malato, un
giorno il barone si aggrappa alla fune di una mongolfiera di passaggio e
vola via sul mare.
Il cavaliere inesistente
Suor Teodora narra la storia di Agilulfo, un cavaliere privo del corpo che
solo per forza di volontà e di fede anima un'armatura e milita
nell'esercito cristiano di Carlomagno. Durante l'assedio di Parigi
Agilulfo desta l'ammirazione del giovane Rambaldo, ma si aliena anche le
simpatie di molti guerrieri per la sua mania di ordine e di precisione e
per la sua intransigenza. A un certo punto, dopo essersi mostrato valoroso
in guerra, Agilulfo decide di abbandonare il campo per ricercare Sofronia
che egli stesso quindici anni prima aveva salvato e nascosto in un
convento. Parte alla sua ricerca accompagnato dallo scudiero Gurdulù, che
è il suo esatto opposto (corpo privo di personalità e identità, tanto che
continuamente crede di essere le cose che osserva), e inseguito dalla
guerriera Bradamante, che è innamorata di lui. Quando incontra finalmente
Sofronia, crede erroneamente che costei si macchi di un incesto, e decide
di abbandonare l'armatura e annullarsi. Rambaldo veste l'armatura che
riceve in eredità dal cavaliere inesistente e viene raggiunto da
Bradamante, che lo scambia per l'altro e si fa inseguire: quando, dopo un
amplesso, si accorge dell'errore, disperata si rifugia in un convento.
Nell'ultimo capitolo si scopre che Suor Teodora (la narratrice) e
Bradamante sono la stessa persona: ma al convento giunge Rambaldo alla
ricerca di Bradamante, che ora decide di abbandonare il racconto e il
convento per fuggire con lui.
Allegoria e modelli formali
Scritti nel corso di un decennio e pubblicati separatamente (1952, 1957 e
1959) i tre racconti vennero riuniti nel 1960 col titolo I nostri
antenati, vagamente allusivo al significato profondo del trittico, che
vuol essere al tempo stesso una godibilissima fantasia narrativa
attraverso epoche passate e un allegorico ritratto dell'uomo
contemporaneo. Un ritratto però in divenire, tant'è che fornisce evidenti
indizi del tracciato ideologico descritto nel frattempo dallo scrittore,
alle prese con una riflessione critica sul ruolo dell'intellettuale nella
società. L'impianto storico è sostanzialmente un pretesto, vista la
proiezione dello scrittore verso problemi contemporanei, per adottare e
contaminare dei moduli narrativi rispondenti alla poetica della
fruibilità: una generica disposizione fiabesca, la favola allegorica
(specie nel Visconte), il conte philosophique (specie nel Barone) e il
racconto epico-cavalleresco (nel Cavaliere). Tali strutture narrative e la
sovrastruttura allegorica, poi, consentono che i racconti svolgano insieme
quelle funzioni ricreativa e educativo-conoscitiva, che Calvino
soprattutto in questo periodo persegue.
Elementi strutturali
Osservato questo si deve aggiungere che la struttura narrativa dei tre
testi appare abbastanza tradizionale (conforme ai modelli). Segnaliamo qui
almeno un elemento ricorrente: l'adozione di un narratore interno diretto
testimone o protagonista secondario della vicenda (il nipote del visconte,
il fratello del barone, Bradamante-Suor Teodora), che consente allo
scrittore al tempo stesso di osservare dall'esterno i protagonisti e di
commentare le vicende senza intervenire di persona, ma celandosi appunto
dietro la mediazione di questi narratori fittizi. Anche in questo
dettaglio si manifesta il gusto calviniano di esprimere per metafore e
mediatamente il proprio punto di vista. Ma assai significativo è un
ulteriore elemento: nel Cavaliere inesistente, mano a mano che procede il
racconto la narratrice acquista connotati sempre più precisi (svelando
infine la propria vera identità) e dedica maggiore spazio alla riflessione
sulla propria funzione di scrittrice e sul tempo della scrittura, sino a
far prendere a questa parte quasi il sopravvento sulla storia narrata.
Questo espediente e le modalità con cui viene realizzato assolvono anche
la funzione di evidenziare il carattere fittizio della narrazione, le cui
vicende si riducono al ghirigoro d'inchiostro tracciato dalla narratrice
sul foglio («Ora disegno, qui nel mare, la feluca. La faccio un po' più
grossa della nave di prima, perché anche se incontrasse la balena non
succedano disastri. Con questa linea ricurva segno il percorso della
feluca che vorrei far arrivare fino al porto di San Malò. Il guaio è che
qui all'altezza del golfo di Biscaglia c'è già un tale pasticcio di linee
che si intersecano, che è meglio far passare la feluca un po' più in
qua...»). È anche questo un segnale discreto del progressivo spostarsi
della riflessione di Calvino dalla funzione dello scrittore nel reale alla
sua funzione di scrittore nell'ambito specifico della dimensione mentale e
fittizia della letteratura.
I motivi dominanti
Il motivo dominante come in tutta la narrativa di Calvino, è il rapporto
del soggetto con il mondo e qui in particolare - sotto il velame
dell'allegoria - dell'intellettuale con il mondo storico e sociale. Un
motivo ricorrente, che nel suo dispiegarsi segna l'evoluzione della
posizione ideologica di Calvino, è quello della funzione conoscitiva
assegnata alla ragione. Nel Visconte dimezzato sia il Gramo che il Buono
vedono nel proprio dimezzamento, pur doloroso e sostanzialmente
fallimentare sul piano pratico, una possibilità di più lucida conoscenza
del mondo (il Gramo: «Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e
confuse, stupide come l'aria; credevo di veder tutto e non era che la
scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo,
capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi» il
Buono: «Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile
tra i dolori e le ferite seminate dovunque, là dove meno da intero uno osa
credere. [...] Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non
conoscevo»; e la saggezza del visconte riunificato si fonda sulla somma
della duplice esperienza delle metà separate). È una prospettiva che pur
nel pessimismo di fondo (le implicazioni negative del motivo del
dimezzamento, e i limiti del lieto fine: «ma è chiaro che non basta un
visconte completo perché diventi completo tutto il mondo») lascia ampi
margini "costruttivi". Il Barone rampante con la sua grande metafora del
salire sugli alberi per conoscere meglio la terra e con la densità dei
riferimenti alla cultura illuministica potrebbe essere definito il momento
della ragione utopica, che se non riesce immediatamente a modificare la
realtà (e anzi segna la crisi di questo rapporto) mantiene intatte le sue
prerogative di strumento per una conoscenza ordinata del mondo (tutta 1a
vicenda del barone muove in questa direzione). Il Cavaliere inesistente
viceversa esplicitamente segna un aggravarsi del pessimismo: Agilulfo
fallisce (ad esempio nel riconoscere l'innocenza di Sofronia) e si annulla
volontariamente, lasciando l'armatura e le sue prerogative al giovane
Rambaldo, via di mezzo tra Agilulfo pura razionalità e Gurdulù pura
corporeità.
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