GABRIELE D'ANNUNZIO: POEMA PARADISIACO

 

Luigi De Bellis

 
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Raccolta di liriche composte a partire dal 1891, pubblicata nel 1893; il titolo, dal latino paradisius = giardino, letteralmente equivale a'"Poema dei giardini'. II Poema è costituito da una lirica dedicatoria Alla Nutrice e da 5 sezioni; Prologo ( 5 liriche), Hortus conclusus (9), Hortus larvarum (17), Horutus animae (17), Epilogo (5). In termini un pò schematici si può dire che questa raccolta costituisce il rovesciamento tematico del Canto novo: la natura, privilegiata qui nella sua emblematica dimensione di hortus, di spazio chiuso del giardino, « perde il turgore le espansioni paniche per manifestarsi come atmosfera quieta, un pò sfatta, esausta che si precisa nella scelta dell'autunno e dell'aprile (Autunno, Aprile, O rus!). Il Dannunzio appare qui alle prese con la tematica decadente, ma segnata di rievocazione nostalgica, con aspirazioni epidermiche a una sorta di purezza e di spiritualizzazione delle passioni, che si traducono in un linguaggio e in una versificazione sapientissimi, accordati su toni dimessi, come di colloquio e di confessione» Per i poeti crepuscolari il Poema ,paradisiaco sarà fondamentale punto di riferimento.

La lirica Consolazione può essere considerata, insieme con la lirica Ai lauri che la precede di un paio di giorni, la capostipite della produzione «buona», vagheggiante, non sappiamo con quanta verità, il ritorno alla vita semplice degli affetti familiari (vedi anche Il buon messaggio). L'impressione che si riceve ad una prima lettura della lirica è quella di trovarsi di fronte a un canto di grande suggestione sentimentale e musicale e nello stesso tempo schietto e genuino: un canto che, per usare le parole quasi programmatiche dello stesso D'Annunzio, è veramente di «una / grazia... vaga e negletta alquanto» (vv. 63-64 ). In realtà, al di là dell'apparente ingenuità sentimentale e sotto l'apparente immediatezza espressiva, la lirica rivela un laborioso studio di immagini e di eleganze e una sapiente e calcolata ricerca di «effetti», tutti volti a irretire il lettore nell'ambiguo e un po' falso sentimentalismo delle cose buone e dei semplici valori familiari. Nel componimento, infatti, il D'Annunzio dispiega tutta una serie di espedienti tecnico-espressivi che sono tipici della stagione «paradisiaca» e che esaltano la sostanza sentimentale, voluttuosa e dolce, tanto da risultare qua e là sdolcinata, della situazione. Le immagini, in primo luogo, sono quelle più atte a far scattare la molla del sentimento e a commuovere la fantasia del lettore. Tutte, inoltre, sono funzionali all'atmosfera morbida e disfatta che il poeta vuole suggerire: la madre vecchia, pallida e stanca, il figlio scapestrato che torna, atteso, dopo tanto tempo, il giardino abbandonato, il «lento sol di settembre», le «cose del passato», « le cattive cose», il «tempo lontano», la «vita semplice e profonda», «la lieve ostia che monda», «il fantasma d'un april defunto», «il pallore di qualche primavera dissepolta», « il cembalo», « le lunghe dita ceree de l'ava», «le tende scolorate», «l'odore di viole un po' passate» e simili. La tecnica, poi, è sorvegliatissima e non meno funzionale: il discorso poetico si snoda piano e lento, libero da ogni durezza sintattica e da ogni preziosismo lessicale, fino ad attingere un andamento da linguaggio parlato che si concilia con lo stato d'animo, languido e disposto al bene, del poeta. Ottimi risultati, in questa direzione, sono già conseguiti con il ricorso frequente agli enjambements e con il ricorso ancora più frequente alla spezzatura del verso mediante brevi proposizioni (anche tre per verso: vedi v. 3: «Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire»). Ma ad accentuare il tono smorzato e voluttuosamente stanco della lirica, contribuiscono soprattutto la ripresa a distanza di interi nessi o di singole parole («Vieni; usciamo» vv. 3 e 5, con «usciamo» ripreso al v. 18; « Ti dirò come sia dolce...» .w. 7 e 13; «certe cose» vv. 8 e 13; «Bisogna che tu...», vv. 23, 25 e 25-26; «Sogna», vv. 29, 33, 37 e 45; ecc.) e la ripetizione, spesso condotta sino all'esasperazione, di parole l'una appresso all'altra («sorriderà, se tu sorriderai», v. 12; «un po' di sole / un po' di sole», vv. 23-24; «l'anima tua sogna. / Sogna, sogna mia cara anima» [con tanto di contrapposizione nella ripetizione, giacché «l'anima tua» e «mia cara anima» si riferiscono sempre alla madre], vv. 28-29; « Io vivrò della tua vita. / In una vita semplice... io rivivrò», vv. 33-35; «Mancava, / allora, qualche corda; qualche corda / ancora manca», vv. 49-51; ecc.). Così operando, non senza sfiorar l'artificio, il D'Annunzio mostra di aver messo a frutto, nel suo sperimentalismo, la lettura dei simbolisti francesi, molte voci dei quali, tra l'altro, risuonano chiaramente nel componimento (vedi vv. 44 e 52.

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