Raccolta di liriche
composte a partire dal 1891, pubblicata nel 1893; il titolo, dal
latino paradisius = giardino, letteralmente equivale a'"Poema
dei giardini'. II Poema è costituito da una lirica dedicatoria Alla
Nutrice e da 5 sezioni; Prologo ( 5 liriche), Hortus conclusus (9),
Hortus larvarum (17), Horutus animae (17), Epilogo (5). In termini
un pò schematici si può dire che questa raccolta costituisce il
rovesciamento tematico del Canto novo: la natura, privilegiata qui
nella sua emblematica dimensione di hortus, di spazio chiuso del
giardino, « perde il turgore le espansioni paniche per manifestarsi
come atmosfera quieta, un pò sfatta, esausta che si precisa nella
scelta dell'autunno e dell'aprile (Autunno, Aprile, O rus!). Il
Dannunzio appare qui alle prese con la tematica decadente, ma
segnata di rievocazione nostalgica, con aspirazioni epidermiche a
una sorta di purezza e di spiritualizzazione delle passioni, che si
traducono in un linguaggio e in una versificazione sapientissimi,
accordati su toni dimessi, come di colloquio e di confessione» Per
i poeti crepuscolari il Poema ,paradisiaco sarà fondamentale punto
di riferimento.
La lirica Consolazione può essere considerata, insieme con la
lirica Ai lauri che la precede di un paio di giorni, la capostipite
della produzione «buona», vagheggiante, non sappiamo con quanta
verità, il ritorno alla vita semplice degli affetti familiari (vedi
anche Il buon messaggio). L'impressione che si riceve ad una prima
lettura della lirica è quella di trovarsi di fronte a un canto di
grande suggestione sentimentale e musicale e nello stesso tempo
schietto e genuino: un canto che, per usare le parole quasi
programmatiche dello stesso D'Annunzio, è veramente di «una /
grazia... vaga e negletta alquanto» (vv. 63-64 ). In realtà, al di
là dell'apparente ingenuità sentimentale e sotto l'apparente
immediatezza espressiva, la lirica rivela un laborioso studio di
immagini e di eleganze e una sapiente e calcolata ricerca di «effetti»,
tutti volti a irretire il lettore nell'ambiguo e un po' falso
sentimentalismo delle cose buone e dei semplici valori familiari.
Nel componimento, infatti, il D'Annunzio dispiega tutta una serie di
espedienti tecnico-espressivi che sono tipici della stagione «paradisiaca»
e che esaltano la sostanza sentimentale, voluttuosa e dolce, tanto
da risultare qua e là sdolcinata, della situazione. Le immagini, in
primo luogo, sono quelle più atte a far scattare la molla del
sentimento e a commuovere la fantasia del lettore. Tutte, inoltre,
sono funzionali all'atmosfera morbida e disfatta che il poeta vuole
suggerire: la madre vecchia, pallida e stanca, il figlio scapestrato
che torna, atteso, dopo tanto tempo, il giardino abbandonato, il «lento
sol di settembre», le «cose del passato», « le cattive cose»,
il «tempo lontano», la «vita semplice e profonda», «la lieve
ostia che monda», «il fantasma d'un april defunto», «il pallore
di qualche primavera dissepolta», « il cembalo», « le lunghe
dita ceree de l'ava», «le tende scolorate», «l'odore di viole un
po' passate» e simili. La tecnica, poi, è sorvegliatissima e non
meno funzionale: il discorso poetico si snoda piano e lento, libero
da ogni durezza sintattica e da ogni preziosismo lessicale, fino ad
attingere un andamento da linguaggio parlato che si concilia con lo
stato d'animo, languido e disposto al bene, del poeta. Ottimi
risultati, in questa direzione, sono già conseguiti con il ricorso
frequente agli enjambements e con il ricorso ancora più frequente
alla spezzatura del verso mediante brevi proposizioni (anche tre per
verso: vedi v. 3: «Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorire»). Ma ad
accentuare il tono smorzato e voluttuosamente stanco della lirica,
contribuiscono soprattutto la ripresa a distanza di interi nessi o
di singole parole («Vieni; usciamo» vv. 3 e 5, con «usciamo»
ripreso al v. 18; « Ti dirò come sia dolce...» .w. 7 e 13; «certe
cose» vv. 8 e 13; «Bisogna che tu...», vv. 23, 25 e 25-26; «Sogna»,
vv. 29, 33, 37 e 45; ecc.) e la ripetizione, spesso condotta sino
all'esasperazione, di parole l'una appresso all'altra («sorriderà,
se tu sorriderai», v. 12; «un po' di sole / un po' di sole», vv.
23-24; «l'anima tua sogna. / Sogna, sogna mia cara anima» [con
tanto di contrapposizione nella ripetizione, giacché «l'anima tua»
e «mia cara anima» si riferiscono sempre alla madre], vv. 28-29;
« Io vivrò della tua vita. / In una vita semplice... io rivivrò»,
vv. 33-35; «Mancava, / allora, qualche corda; qualche corda /
ancora manca», vv. 49-51; ecc.). Così operando, non senza sfiorar
l'artificio, il D'Annunzio mostra di aver messo a frutto, nel suo
sperimentalismo, la lettura dei simbolisti francesi, molte voci dei
quali, tra l'altro, risuonano chiaramente nel componimento (vedi vv.
44 e 52. |