Cacciato dalle autorità
dei posti di difesa, il proletariato, sparso nelle campagne assisteva co1 cuore sanguinante, impotente. (...) La rocca forte della Bassa parmense che tante lotte aveva sostenute e vinte e tanto contributo alla causa del proletariato e de1 socialismo doveva considerarsi annientata. II fascismo si era preso la rivincita sulla disfatta di Parma. L'attacco era cominciato alle ore 6 del mattino e alle 10 tutto era distrutto22.
I fascisti giunti da Parma in tram, auto e bicicletta, ebbero come primo obiettivo il magazzino centrale e la cantina. A1 grido: «fascisti a noi!»; I'edificio venne saccheggiato e poi bruciato con benzina appositamente portata. Lo stesso trattamento, benzina e bombe incendiarie, ebbero la Villa Rossa (sede della cooperativa), gli spacci di Fontanelle e di Roccabianca, 1'abitazione di Faraboli, la biblioteca popolare, il cantiere e i magazzini gli attrezzi e la segheria meccanica a Stagno. |
Significativamente furono invece saccheggiati ma non distrutti gli edifici
che la cooperativa aveva in affitto. Fra gli aggressori numerosi fascisti della zona, come risulta dai giornali.
Nei giorni che seguirono, oltre che a Fontanelle, la distruzione fascista colpì anche Roccabianca, Stagno, Ragazzola, Polesine parmense, S. Croce, S. Nazzaro, Sissa e Gramignazzoz3, in ogni punto della costellazione faraboliana.
Le devastazioni del 6 agosto non furono una sorpresa per i cooperatori; gli avvenimenti del 1921 e del 1922, avevano fatto ampiamente capire quale era il fine delle «spedizioni patriottiche». Increduli però di fronte a tanta «inspiegabile distruzione», i socialisti ed i dirigenti delle cooperative non seppero far altro che rimboccarsi le maniche e sperare di poter tirare avanti, a qualunque costo, per non vedere del tutto vanificato il lavoro di tanti anni. Era la natura stessa della cooperazione che li inchiodava ad una tenacia passiva; ma è indubbio che in ciò vi era anche una grave incomprensione della natura dell'attacco che il nuovo «nemico di classe» portava loro.
Un desolato stupore per 1'«irrazionalità» del comportamento fascista rimane ancora oggi nelle parole di un testimone ancora in vita, Albino Balocchi di Roccabianca:
Quando son venuti e I' hanno distrutta (la cooperativa di consumo di Roccabianca) c'era da piangere a vedere quei disgraziati a rompere e buttar via tutto, proprio un vandalismo infame. Perché alla fin dei conti un cambiamento politico può venire ma mai distruggere, perché se distruggiamo siamo contrari a quella che è l'iniziativa del cambiamento, perché dovrebbe essere in meglio,
no?
Sapore non molto diverso hanno gli articoli pubblicati allora sull'«Idea», come quello firmato «Cooperatore» (con tutta probabilità lo stesso Faraboli), uscito due settimane dopo i fatti di Fontanelle: La violenza non può diventare norma di vita, alla tempesta succede i1 sereno (...) e quando si saranno ben sbizzarriti in tutte le devastazioni (...) dovranno
in cuor loro pentirsi (...) e I'organizzazione proletaria procederà più svelta verso alla propria redenzionez5. L'illusione che la demolizione non potesse avere un senso politico (non a caso si fece spesso riferimento ai fatti del
novantotto) e 1'incapacità di contrastare attivamente il fascismo rendevano la «ricostruzione» sempre più improbabile. La marcia su Roma, il delitto Matteotti e il consolidarsi del regime fascista posero fine ad ogni speranza di riscossa.
Le distruzioni del 6 agosto non segnarono la fine di Fontanelle; segnarono però 1'inizio della fine. Il grave danno economico causato dalla distruzione degli edifici e dal saccheggio dei prodotti stoccati nei magazzini e nelle cooperative di consumo e poi 1'esilio forzato dei suoi dirigenti, furono la causa principale del tramonto del sistema integrale di Fontanelle. Di colpo i prestiti dell'Istituto nazionale di credito per la cooperazione calarono non avendo con che garantire il prestito; importanti settori della cooperativa vennero a mancare come le consumo, la segheria e gli appalti per lavori pubblici. Per le cooperative di consumo la liquidazione fu quasi immediata. I saccheggi e la distruzione degl'edifici sancirono in pratica la loro fine. Di più lunga agonia, invece, patirono quelle di lavoro. Se si esclude la segheria di Stagno liquidata subito, le altre tentarono di sopravvivere adeguandosi alle nuove condizioni politiche: modifiche degli statuti, in base al decreto 13 aprile 1923, collequali tra 1'altro, vennero estromessi coloro che erano stati arrestati o condannati per motivi politici; 1'iscrizione dopo 1'aprile del 1924, ai Sindacati italiani delle cooperative (fascisti) e 1'elezione del presidente da parte del consiglio e non, come era stato fino allora, dall'assemblea dei soci. Nonostante ciò 1'«Unione cooperativa dei terrazzieri» effettuò nel 1923 la sua ultima assemblea annuale; la «Cooperativa di lavoro 1'Emancipazione» venne liquidata nel 1925; solo la «Cooperativa 1'Agricola» resistette ben fino al 1931, quando fu anch'essa liquidata. In realtà non poteva essere altrimenti, visto 1'importante ruolo che 1'organizzazione proletaria aveva svolto come centro
politico - economico - sindacale, nel periodo che vide 1'ascesa del socialismo tra i lavoratori della Bassa.
Il tentativo dei Sindacati fascisti di contrastare «legalmente» la cooperativa socialista, si risolse con la costituzione della «Società anonima cooperativa di lavoro fra braccianti, muratori ed affini di Roccabianca - Justitia» e della «Società anonima cooperativa di lavoro fra i braccianti della sezione di Pieveottoville della Camera parmense dei sindacati
economici». Inaugurate contemporaneamente, la prima il 10 gennaio 1922 e la seconda due giorni prima, ;; non ebbero grande fortuna. Fu con «Justitia», in
particolar modo, che il fascio locale intendesse porre una alternativa alla cooperativa di Faraboli e risolvere il grave problema della disoccupazione bracciantile che affliggeva la Bassa. |