Questa vicenda
aveva definitivamente confermato come fossero ormai maturi i tempi per intensificare 1'impegno politico delle organizzazioni contadine «specialmente mirando alla conquista delle amministrazioni pubbliche con uomini
propri». Di questa linea si era fatto interprete proprio il Faraboli al Congresso provinciale delle leghe dei lavoratori della terra, che nel dicembre 1904, aveva sancito la centralità della cooperazione accanto ai tradizionali strumenti della
resistenza. Per rafforzare la rete cooperativistica, soprattutto nel ramo di lavoro, occorreva una nuova politica di opere pubbliche che solo amministrazioni locali a guida socialista avrebbero potuto avviare.
È in questi anni, tra il congresso delle leghe contadine e la battaglia contro il «dazio strangolatore», che si colloca 1'evoluzione politica in senso riformista di Giovanni Faraboli. Dopo 1'acutizzarsi delle tensioni sociali che, nel primo anno del ministero di Giolitti, avevano favorito la crescita di una forte corrente rivoluzionaria in seno al partito socialista, 1'organizzatore fontanelliano si era schierato sulle posizioni dell'estrema sinistra. Nella fase preparatoria al congresso socialista di Genova il circolo di Fontanelle aveva sostenuto la mozione «intransigente», con la maggioranza delle organizzazioni a base
bracciantile. A distanza di pochi mesi Faraboli aveva guidato I'opposizione alla candidatura del moderato Berenini per le elezioni politiche del novembre
1904. La consultazione, convocata a ridosso dello sciopero generale, si risolse con una sconfitta per la sinistra socialista, all'interno di un complessivo arretramento del partito che perdeva 4 deputati. Nel clima di delusione seguito a questi eventi cominciava ad emergere tra gli organizzati delle campagne una certa sfiducia nei miglioramenti ottenibili attraverso la sola azione rivendicativa. I deliberati del congresso delle leghe parmensi riflettevano appunto questo disagio; per molti dirigenti, Faraboli compreso, la concretezza del «modello reggiano», con il suo solido impianto cooperativo, stava diventando qualcosa di più che un astratto riferimento.
La spinta decisiva verso 1'approdo riformista venne con gli inizi del 1907, quando Alceste De Ambris fu chiamato a Parma per assumere la direzione della Camera del lavoro. Sotto la sua guida le federazioni di mestiere assunsero, nel volgere di pochi mesi, gli schemi d'azione del sindacalismo rivoluzionario. Una bruciante stagione di lotte - 37 scioperi nell'annata 1907 - decretò la piena affermazione della leadership sindacalista. Il nuovo corso, riallacciandosi alla tradizione ribellistica del proletariato parmense, enfatizzava il motivo dell'azione diretta, dello scontro frontale con 1'avversario di classe iscritto in «un vasto movimento di negazione dell'ordine
presente». Da questa impostazione non poteva venire altro che un atteggiamento immediatamente ostile nei confronti della cooperazione, percepita «di per sé [come] una forma di affermazione borghese, quindi
antirivoluzionaria».
Quando, nel convegno del 3 novembre 1907, la Camera del lavoro di Parma decretò il distacco dalla Confederazione generale del lavoro e la costituzione di una centrale alternativa - il Comitato nazionale della resistenza - , la scelta, per il Faraboli come per molti altri dirigenti legati alla corrente riformista, diventava
obbligata.
Alla vigilia del grande sciopero agricolo che nella primavera del 1908 doveva investire le campagne parmensi e la città stessa con un epilogo cruento, gli spezzoni del movimento cooperativo e delle organizzazioni contadine rimasti fedeli alla Confederazione risultavano minoritari e confinati alla zona della bassa
borghigiana.
Fu proprio la grande prova dell'azione diretta, con la sconfitta finale del lungo sciopero e la disfatta della dirigenza sindacalista rivoluzionaria, che determinò la ripresa dei riformisti ed una nuova fioritura per la cooperazione. Alle soglie dell'autunno e con 1'amara prospettiva di una lunga stagione senza salario, i braccianti rimasti disoccupati, dopo aver combattuto sotto le bandiere della Camera sindacalista, tornavano a rivolgere le loro speranze verso le cooperative che, proprio sul finire di quell'anno, stavano aprendo i primi importanti cantieri per la costruzione di opere pubbliche.
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