GUIDA ALL'APPRENDIMENTO DELLA NOSTRA LINGUA
a cura del prof. Antonio Margherini

LO STILE

 

Luigi De Bellis

 
 
 

INDICE

Introduzione
Concetti preliminari
Le lettere
Le sillabe
Le parole
Le parti del discorso
Elisione e troncamento
La punteggiatura
La proposizione
I complementi
Il periodo
Lo stile
Il linguaggio figurato
I linguaggi settoriali
 
Esercitazioni
 
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Ogni persona ha un suo proprio stile di vita che manifesta nel modo di pensare, nel modo di parlare e scrivere, negli atti che compie, nel modo di vestire, ecc.
Questo stile, che non è mai definitivo, ma in continua evoluzione, rappresenta la sintesi del rapporto storico della persona con l'ambiente. Esso è, sì, in parte condizionato dall'indole naturale del soggetto, dal suo temperamento, ma sostanzialmente si va formando in stretto rapporto con le sue esperienze esistenziali e, quindi, in stretto rapporto con l'ambiente in cui nasce e vive, con gli studi che compie o non compie, con i mezzi materiali di cui dispone, ecc.
C'è chi veste bene, "firmato", perché vuole comparire in società e se lo può permettere, e chi, pur potendoselo permettere, veste trasandato, perché non si cura dell'immagine o perché vuole che questa sia in armonia con una sua ideologia populista.
C'è invece chi vorrebbe vestire alla moda, ma non ha mezzi finanziari sufficienti e deve contentarsi di presentarsi in pubblico con abiti acquistati al mercatino rionale.
Ognuna di queste persone compare in pubblico presentando uno stile diverso nel vestire: qualcuna realizzando il proprio "ideale" di socialità, qualcuna no; qualcuna facendo aderire lo stile ad un reale atteggiamento esistenziale, qualcuna cercando di apparire diversa da come in sostanza è.
Perciò stiamo attenti nel giudicare le persone in base al loro "stile di vita", perché non sempre questo è genuino.
Ciò premesso, veniamo al discorso che più ci interessa.
Ci sono persone che parlano e scrivono correttamente, ed anche in modo forbito, perché hanno cultura, ed altre che si esprimono pedestremente o perché non hanno cultura o perché vogliono compiacere alla moda di un gusto populista.
Noi non vogliamo interferire nelle libere scelte dei parlanti e degli scriventi, ma diciamo solo questo: che parlare e scrivere bene è meglio che parlare e scrivere male, come in tutte le attività della vita, che valgono di più se svolte bene. Inoltre diciamo che presentarsi per quello che si è, è la prima forma di rispetto che dobbiamo avere per noi stessi, è il segno che almeno noi ci accettiamo per quello che siamo.
Ora ci permettiamo dare qualche suggerimento che ci sembra opportuno.

Premesso che non dobbiamo mai smentire noi stessi, falsare il nostro carattere ed il nostro sentimento relativo alla particolare situazione in cui ci troviamo (indossando, cioè, una maschera che ci renderebbe ridicoli), stiamo però attenti che comunque dobbiamo adeguare il nostro comportamento alle circostanze.
Una persona elegante, che porta con disinvoltura il frac (in italiano si direbbe meglio "marsina", ma chi l'usa più questo vocabolo?) quando va alla Scala o al San Carlo, sarebbe ridicola se andasse in frac allo stadio.
Così un parlare forbito ed elegante in famiglia, a tavola, sortirebbe l'unico effetto di far vomitare i familiari deboli di stomaco. E ad un fanciullo di sette anni (seconda elementare) che ci chiedesse come nascono i bambini, appariremmo dei fottuti alienati se glielo spiegassimo col linguaggio di un saputo ginecologo.
In conclusione: mostriamoci, anche nell'uso della lingua, autentici ed originali, che vuol dire essere fedeli al nostro modo di essere e non scimmiottare gli altri; però usiamo pure il buon senso di adeguarci alle diverse circostanze, ai diversi ambienti, ai diversi interlocutori.
Quello che a noi deve interessare è presto detto, in due soli punti:

- salvaguardiamo sempre la "chiarezza" sia tenendo conto dei destinatari del nostro messaggio, sia soprattutto usando correttamente la grammatica ed il lessico, in modo da non provocare ambiguità nei concetti che intendiamo esprimere;
- cerchiamo di essere il più possibile "gradevoli" ma non "ricercati" nell'espressione, indulgendo con moderazione ad immagini colorite ed evitando l'uso di vocaboli triviali, specialmente se gratuiti (com'è il caso del nostro "fottuti" precedente, da noi usato a titolo di provocazione, per poter poi più concretamente richiamare la tua attenzione sulla inopportunità di certe scelte linguistiche; e un po' prima abbiamo inserito nel discorso due volte il verbo "comparire": la prima volta nel senso di "far bella figura" e la seconda nel senso di "presentarsi". Ebbene, mentre nel secondo caso non c'è nulla da obiettare perché abbiamo usato il verbo nel suo significato più comune, nel primo caso, forse, sarebbe stato opportuno non usarlo: infatti, anche se molti vocabolari registrano quel verbo con entrambi i significati, noi siamo quasi certi di aver creato qualche difficoltà a molti ragazzi del Nord).

Ora ti presentiamo due brani che, secondo il nostro gusto, giudichiamo il primo positivamente, il secondo negativamente.

Il primo è tratto da "Il piatto piange" di Piero Chiara e parla di Mamarosa, una prostituta di Luino che ha dedicato tutta la vita al piacere dei giovani del suo paese. Il secondo è un elogio alla città di Genova pronunciato dal poeta-tribuno D'Annunzio nel suo discorso del 4 maggio 1915, a sostegno della tesi interventista alla vigilia della nostra partecipazione alla prima guerra mondiale (l'Italia entrò in guerra il 24 maggio di quello stesso anno).

Pur tenendo conto che i due scritti appartengono ad epoche diverse (1958 il primo e 1915 il secondo), la retorica del secondo ci appare tanto sgargiante e fastidiosa quanto misurata e gradevole la semplicità del primo:

«Quando penso a questa donna che si è sacrificata per noi, stando là dentro fino alla morte a impallidire e a ingrassare, per il godimento degli altri, e guadagnando soldi che non poteva nemmeno spendere (a meno che non avesse il sogno, onesto, di andare a passare la vecchiaia in riviera), mi dispiace che non sia possibile farle un monumento, vicino a quello di Garibaldi, che in fondo a Luino è venuto solo di scappata e per i suoi bisogni, portandosi anche via quattrocentocinquanta lire austriache (tutte quelle che aveva trovato nelle casse del Municipio) e chissà quante razioni di pane, vino e formaggio. E il sale. Ci sono ancora le ricevute in casa Strigelli»

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«Genova, la città che assalta il cielo con la scala titanica dei sovrapposti palagi e sembra avere in sé un impeto di ascendere, che dalle sue vecchie fondamenta la sollevi su per le sue giovani alture, come a veder più lontano; Genova, che dantescamente dei remi fece ala a sé per traversare i secoli con un battito assiduo di potenza; la più feconda delle stirpi italiche, migatrice come Corinto e come Atene; quella ch'ebbe in retaggio lo spirito dell'Ulisse tirreno per tentare e aprire tutte le vie, per popolare i lidi più remoti, per fornire uomini e navi a tutti i principi, per dare capitani a tutte le armate, per portare nell'Atlantico le costumanze del Mediterraneo, per instituire con incomparabile sapienza di leggi il primo Consolato del Mare, per iniziare nel Breve della Compagna il primo Contratto sociale; la razza assuefatta all'avversità, secondo l'eterna parola di Virgilio, indomita in resistere, cercare, durare: la più antica nella successione della romanità se si pensi ch'ebbe i consoli prima d' ogni altra, la più nuova nel presentimento dell'avvenire se si consideri la recentissima figura del diritto foggiata nel suo porto dalla sua gente di mare; radicata nel più profondo passato, protesa verso il più remoto futuro; simile a un nodoso albero di vita travagliato da una perenne primavera; nel suo stesso aspetto vecchia come le metropoli che compirono il lor destino magnifico e giacquero sotto il cumulo inerte della loro storia, giovine come le dimore edificate con rapida sovrabbondanza dalle civiltà avveniticce che s'armano d' armi improvvise per la lotta e per la signoria; Genova è degna di sollevare un'altra volta al conspetto della nazione, in un'ora ben più tremenda, nel più arduo punto del nostro ciclo, quella 'tazza di salute' che è il simbolo della vittoria interiore su la viltà, sul tradimento, su la paura, su ogni miseria e contagio d'uomini e di cose»

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2001 © Luigi De Bellis