Storia: Medio Persia

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Grecia
 

MICENEI ED ACHEI

Con l’affremarsi degli Achei si inizia la storia dei Greci, la quale può essere distinta in vari periodi corrispondenti alle diverse fasi di sviluppo e di diffusione della loro civiltà. Periodo acheo o della civiltà micenea, che ebbe le sue manifestazioni più significative tra il 1400 e il 1100 a.C.; periodo del medioevo ellenico, compreso fra il 1100 e l’800 a.C.; periodo arcaico,che va dal IX al VI sec. a.C. in cui gli elleni fondarono colonie in tutto il bacino del Mediterraneo; periodo classico o della massima fioritura della civiltà greca corrispondente ai sec. V e IV a.C.; periodo ellenistico, che inizia alla fine del IV sec. a.C., nel quale la civiltà del periodo classico decade e la storia della Grecia confluisce in quella romana.


La civiltà micenea           

Per ricostruire la civiltà micenea nelle sue linee essenziali, gli storici si sono basati prevalentemente sulle testimonianze archeologiche e in parte sui poemi omerici. Queste fonti hanno fornito informazioni di carattere diverso e complementare e hanno determinato problemi di difficile soluzione. In un’età imprecisabile, ma comunque non posteriore al XVII a.C., gli Achei, rozzi e bellicosi pastori, già da qualche secolo stanziati nel montagnoso Epiro, sospinti forse dal sopraggiungere di altri popoli, si rovesciarono sulle regioni centrali e meridionali della Grecia soffocando sotto un’ondata di barbarie i brillanti focolai di vita che le civiltà mediterranee vi avevano acceso. Passato il periodo della conquista e della rapina, la convivenza con le popolazioni più civili sottomesse o addirittura, come qualcuno pensa, un ritorno offensivo degli Egeo-Cretesi, mitigò la rozzezza degli Achei e li avviò verso forme di vita più complesse. Le loro primitive caratteristiche si inserirono così nel patrimonio ereditato dalle antiche civiltà egeiche, la cicladica, l’elladica e la cretese, dando inizio ad una nuova civiltà, che gli storici moderni indicano con il nome di “micenea”, perché nelle rovine della città argolidana di Micene e in quelle della conterranea Tirinto ne sono state rinvenute le tracce più significative. Gli scavi archeologici, inoltre, hanno riportato alla luce una discreta quantità di tavolette d’argilla incise con una scrittura in parte simile alla lineare A ( è probabile che i Micenei si siano serviti, almeno inizialmente, di scribi cretesi ) e che è stata chiamata lineare B. Essa, a differenza della lineare A, è stata decifrata: nel 1952 un architetto inglese, Michael Ventris, formulò l’ipotesi, poi rivelatasi esatta, che si trattasse di un sisitema fonetico-sillabico adattato ad una lingua greco-arcaica. Queste tavolette d’argilla conservate negli archivi furono cotte dagli incendi che distrussero i palazzi quando sul finire del II millennio a.C. la civiltà dei micenei fu travolta da ondate migratorie di popoli provenienti da nord. Le tavolette contenevano esclusivamente elencazione di beni, di prodotti, di capi di bestiame o liste di nomi di persone e divinità; non venivano utilizzati invece per conservare testi letterari, dati storici o conoscenze scientifiche. La loro decifrazione perciò è stata utile soltanto per conoscere l’organizzazione amministrativa, il grado di stratificazione sociale, lo sviluppo dell’economia ( quali erano le coltivazioni più diffuse, quali animali venivano allevati, quali erano i prodotti artigianali più richiesti ). Quanto invece esulava dalle necessità della registrazione e riguardava lo svolgersi degli eventi, non veniva affidato alle capacità dello scriba ma alle capacità degli aèdi ( dal greco ado, cantare ), i quali si esibivano alla cote dei sovrani durante i banchetti e, acompagnandosi con la cetra, cantavano le gesta degli dei e degli eroi, le guerre combattute e le vittorie conseguite. In questo odo riuscivano a tramandare oralmente un ricchissimo patrimonio culturale che rispecchiava le concezioni morali, religiose ede etiche della Grecia più antica. Questo ampio e ricco patrimonio epico confluì in gran parte nell’Iliade e nell’Odissea:nel primo di questi due poemi si racconta una fase della guerra organizzata dai Micenei ( chiamati Achei ) contro Troia, una città dell’Asia Minore; nel secondo si narrano invece le peripezie vissute da Ulisse, il re di un piccolo regno e uno degli eroi della guerra, durante il suo ritorno in patria, l’isola di Itaca. La paternità di questi due poemi venne attribuita dagli antichi ad Omero, un autore che lo storico greco Erodoto colloca nel IX sec. a.C. ma sul quale non possediamo dati certi. Il merito di Omero sarebbe stato quello di raccogliere e selezionare in modo sisitematico l’opera degli aedi; sempre secondo la tradizione, infine, tutto questo materiale venne scritto nel VI secolo a.C. La tesi secondo la quale alla base dei due poemi vi fu un nucleo culturale tramandato oralmente e liberamente rielaborato dai cantori è avvalorata dall’analisi linguistica che ha evidenziato l’uso di formule fisse e ricorrenti secondo un procedimento tipico dell’epoca popolare. Oltre ai problemi di natura letteraria, che già a partire dal III sec. a.C. hanno dato vita alla cosiddetta ( i due poemi sono opera di uno o più autori? a che epoca risalgono? come si sono formati?, si è discusso anche sul valore storico da attribuire all’Iliade e all’Odissea.Un contributo decisivo a tal proposito è stato dato dal tedesco Heinrich Schliemann che, basandosi sulle descrizioni geografiche trovate nei due poemi, verso il 1870 iniziò una campagna di scavi nella Troade che portò alla luce i resti dell’antica Troia ( in realtà, ricerche successivamente condotte nello stesso sito dimostrano che la Troia scoperta da Schliemann non corrispondeva a quella omerica ma ad un periodo notevolmente anteriore ): trovò armi, suppellettili varie, ornamenti e vasi, testimonianze di una ricca città, ma trovò anche qualcos’altro; sotto le rovine della nuova Ilio ce n’erano altre e sotto queste altre ancora; tutta la collina era come un’immensa cipolla da sfogliare strato dopo strato. Ogni giorno portava nuove sorprese. Schliemann era deciso a trovare la Troia omerica e in uno stesso giorno scoprì sette città distrutte, e in seguito altre due ancora. Nove sondaggiin un mondo trascorso e ignoto a tutti! Ma quale di queste città era la Troia di Omero, la Troia degli eroi e della guerra più famosa? Risultò chiaro che lo strato più antico era preistorico, tanto che i suoi abitanti non conoscevano ancora l’uso del metallo, e che lo strato superiore apparteneva alla Nuova Ilio, la città done Serse e Alessandro avevano immolato sacrifici. Schliemann scavò e cercò. Nel secondo e terzo strato a partire dal basso c’erano tracce d’incendio, i resti di potenti bastioni e di una porta gigantesca. Egli fu sicuro che quelle mura erano le mura che avevano circondato il palazzo di Priamo e che quella era la porta di Scea! Era il trionfo di Enrico Schliemann ma anche il trionfo di Omero. Veniva confermata l’esistenza di tutto quanto era stato ritenuto mito e leggenda, fantasia di un poeta. Rafforzato nella convinzione che i poemi di Omero celassero sotto spoglie fantastiche un contenuto storico preciso, lo Schliemann estese lae sue ricerche al suolo dell’Argolide, e nel luogo dove la tradizione situava l’achea Micene ebbe la ventura di portare alla luce i ruderi di un poderoso palazzo-fortezza ( che egli ritenne fosse stato la regggia degli Atridi ) e due tombe monumentali, denominate di Agamennone e di Clitennestra, contenenti 15 cadaveri intatti adagiati su letti d’oro, recinti di corone, coi volti coperti da maschere d’oro e contornati da suppellettili, da armi di bronzo intarsiate, da lamine d’oro, d’avori e da vasi di alabastro artisticamente elaborati. Tali scoperte, presto arricchite dai risultati di altri scavi compiuti a Tirinto e, in seguito, a Pilo, Tebe e in varie località dell’Egeo e dell’Asia Minore, hanno permesso di dare contorni più sicuri al quadro del mondo acheo raffigurato nell’Iliade e nell’Odissea e di fornire la prova del vasto raggio di espansione raggiunto dalla civiltà micenea e dalla sua consistenza economica ed artistica. Ad esempio, le potenze achee verso il XII secolo a.C. organizzarono una spedizione per assicurarsi la libertà dei commerci attraverso l’Ellesponto, cioè su quello stretto di mare sul  quale probabilmente Troia esercitava un rigido controllo: nella versione poetica la causa viene però identificata nel rapimento di Elena, la moglie di Menelao re di Sparta, da parte di Paride, figlio di Priamo re di Troia. Agli studiosi che hanno affrontato la lettura dei due poemi per trarne informazioni di carattere storico non sono sfuggiti numerosi esempi di anacronismi, cioè di sfasature cronologiche: il caso più vistoso è dato dal fatto che gli eroi omerici vissero nell’età del bronzo ma talvolta essi indossavano armature di ferro. L’autore ( o gli autori ) dei poemi non sempre riesce a storicizzare con precisione e può accadere che attribuisca agli uomini del XII secolo comportamenti o abitudini del tutto naturali per un pubblico del VI sec. ma non giustificabili per le epoche precedenti. I poemi omerici una fonte di informazioni su due epoche differenti: sul mondo miceneo del XII sec.a.C. e su quello della Grecia arcaica, del periodo cioè in cui essi furono composti,tra l’VIII e il VI sec.a.C.circa. Comunque, con dovuta cautela, lo storico che vuole approfondire la conoscenza della civiltà micenea può attingere dai poemi omerici una serie di informazioni utili per conoscere la cultura materiale, le tecniche di combattimento, aspetti e momenti della vita collettiva, le norme di comportamento e la gerarchia di valori a cui gli eroi si ispiravano per ottenere la stima della collettività.

Ancora sui micenei (la struttura politica)

Attraverso le vicende che non conosciamo esattamente, nel XV sec.a.C. i Micenei raggiunsero la supremazia sul mondo egeo, sostituendosi ai Minoici e contrapponendo al carattere sostanzialmente pacifico della loro società una robusta struttura militare. Così, mentre a Creta i palazzi erano situati in luoghi scoperti e indifesi, nel Peloponneso le regge apparivano come fortilizi arroccati sulle pendici di colline rocciose. I resti di Micene ( in Argolide ) costituiscono un imponente esempio di città-fortezza costruita in un luogo scelto con criteri di natura esclusivamente strategica: sulla sommità di una collina arida un’ampia area venne circondata da un sistema difensivo inespugnabile, costituito da un muraglione lungo più di un chilometro e largo sei metri, le cui pietre erano blocchi colossali, a volte del peso di diverse tonnellate. Anche a Tirinto, poco più a sud di Micene, era circondata da mura, che nascondevano al proprio interno camminamenti segreti per permettere lo spostamento di truppe e potenziare così le capacità di difesa da eventuali assalitori. Nel caso di Pilo, in Messenia, il sito presentava opportunità strategiche particolarmente adatte per la costruzione di una reggia fortificata: essa sorgeva in una zona montuosa ( la cui natura accidentata avrebbe reso difficoltoso ad un esercito nemico un tentativo di attacco via terra ), di fronte ad una baia naturale chiusa verso l’interno da un’isola rocciosa, che offriva un sicuro approdo alle navi. Per ciò che riguarda la società, essa appare nettamente divisa secondo rigide gerarchie. Il re (wanax) non era un essere divinizzato, ma l’eroe, colui che sapeva combattere con coraggio e prevalere sugli altri: il suo carattere distintivo era perciò rappresentato dal valore militare. Egli giustificava il suo potere facendolo derivare dalla volontà divina; e il valore e la forza con cui difendeva il suo regno erano considerati una manifestazione della benevolenza degli dei nei suoi confronti. La capacità di conoscere e di interpretare la volontà divina gli conferiva anche l’autorità di amministrare il diritto: i Micenei non avevano leggi scritte e, quando sorgevano liti e contese di diversa natura, potevano rivolgersi al re, il quale non somigliava affatto ai despoti dell’Oriente: come sopra esplicitato, infatti, viveva patriarcaLmente in mezzo ai suoi sudditi, che lo considerava come  loro capo naturale, cui tributavano, piuttosto che imposte vere e proprie, doni spontanei. Insegna di comando dei re achei era il bastone pastorale e fra le loro occupazioni figuravano anche umili lavori. A fianco del re troviamo un alto funzionario militare ( lawagètas ) che, in qualità di comandante del popolo in armi, era il capo dell’esercito, coadiuvato da ufficiali. Il contenuto delle tavolette d’argilla testimonia che il re interveniva sulle attività economiche: egli disponeva di vasti possedimenti terrieri che gli garantivano abbondanza di approvvigionamenti, e controllava la distribuzione delle materie prime necessarie alla produzione artigianale. Dopo di lui i maggiori proprietari terrieri erano funzionanti e cavalieri, i quali dovevano sottostare alla sua autorità in tempo di pace e accettare il suo comando in caso di spedizioni militari. In segno di distinzione e ricompensa, ai principali collaboratori del sovrano fu assegnato un tèmenos, cioè un appezzamento di terreno coltivabile. Nel complesso perciò l’intero territorio risultava diviso in proprietà individuali, assegnate all’aristocrazia e agli alti funzionari, e in parte di proprietà collettiva coltivata dal popolo. Col passare dei secoli i contrasti fra monarchia e nobiltà si fecero sempre più aspri: i nobili, presentandosi al popolo come “i migliori” ( aristocratici ), perché prediletti dagli dei, riuscirono infine ad esautorare il re e a gestire direttamente il potere, cioè a sostituire la monarchia (governo di uno solo ) con l’aristocrazia ( governo dei migliori ) : la lotta per il potere si svolgeva, dunque, esclusivamente tra il re e i nobili ( leggendo i poemi omerici ci accorgiamo che anche durante le assemblee la gente comune, il popolo, poteva unicamente manifestare con grida e clamori il proprio consenso, ma non era in grado di far prevalere la propria volontà ). Inizialmente, però, gli affari dello Stato erano trattati dal re d’accordo coi capi delle famiglie aristocratiche, ma nei casi più gravi le decisioni venivano sottoposte all’apProvazione dell’assemblea popolare composta da uomini liberi. Al di sotto del popolo vi erano gli schiavi, per lo più prigionieri di guerra, adibiti alle mansioni domestiche e agricole. In una società così semplice e primitiva le donne erano ben lontane dal disporre della libertà e dell’emancipazione di cui godevano le loro consoreLle di Creta; tuttavia, benchè vestissero senza ricercatezza e facessero uso al pari degli uomini di stoffe ruvIde, le donne achee non si sottrassero del tutto all’influsso dei più raffinati costumi cretesi ed amarono ornarsi di gioielli e cospargersi di profumi. Tradizione patriarcale e città-stato. I popoli di lingua greca erano assai indipendenti, come lo erano le città-stato all’interno di una stessa etnia. Ciò era favorito dalla configurazione geografica. Molti greci vivevano nelle isole, e anche sulla terraferma la maggioranza viveva in piccole vallate fra i monti. La loro struttura sociale primitiva è stata così descritta: “L’elemento sociale fondamentale era la famiglia patriarcale. . . . La tradizione patriarcale era profondamente radicata nella cultura greca: solo gli uomini adulti erano cittadini attivi della città-stato (polis). La famiglia patriarcale era inclusa in una serie concentrica di raggruppamenti familiari: il clan (genos), la fratria [o gruppo di famiglie], l’etnia”. (The Encyclopedia Americana, 1956, vol. XIII, p. 377) La città-stato greca si chiamava pòlis. Sembra che in origine questo termine si riferisse a un’acropoli, o altura fortificata, intorno a cui si stabilivano insediamenti. In seguito finì per indicare l’intera area e i cittadini che costituivano la città-stato. Quasi tutte le città-stato greche erano piccole, e di solito non avevano più di 10.000 cittadini (oltre a donne, schiavi e bambini). Nel momento del massimo splendore, nel V secolo a.C. Atene pare avesse solo 43.000 cittadini circa. Sparta ne aveva solo 5.000. Il paese rimase politicamente diviso fino all’epoca di Filippo (II) di Macedonia. Almeno durante quello che può essere definito il periodo storico, le città-stato greche invece di re avevano magistrati, giunte e un’assemblea (ekklesìa) di cittadini. Atene instaurò una democrazia diretta (il termine “democrazia” deriva dalle parole greche dèmos, popolo, e kràtos, potere), in cui i cittadini avevano potere legislativo, prendevano la parola e votavano nell’assemblea. I “cittadini” tuttavia erano una minoranza, dato che le donne, i residenti di origine straniera e gli schiavi non avevano diritto alla cittadinanza. Si ritiene che gli schiavi costituissero almeno un terzo della popolazione di molte città-stato, e senza dubbio il lavoro degli schiavi dava ai “cittadini” il tempo libero necessario per occuparsi di politica nell’assemblea.  Le tavolette in lineare B ci hanno permesso di trarre alcune deduzioni sulla vita economica degli Stati micenei. Esse riportano spesso il nome del funzionario addetto al controllo, la qualità e la quantità del prodotto esportato o importato; inoltre precisano quali beni erano di proprietà del re, il numero degli animali che componevano un gregge e così via. Grazie a queste registrazioni lo studioso moderno ha potuto suddividere l’economia in settori e valutare l’importanza di ognuno di essi, calcolando in quale misura l’agricoltura, la pastorizia, l’artigianato e il commercio contribuivano a creare la ricchezza della città. Oltre all’agricoltura e alla pastorizia erano diffuse anche l’industria tessile e le attività artigianali. Particolare importanza rivestiva la metallurgia, un’attività che dava lavoro a moltissime persone ( la decifrazione di alcune tavolette ci ha permesso di calcolare che solamente a Pilo vi erano circa 400 fabbri ). Si lavoravano l’oro, l’argento il piombo il rame, lo stagno; il metallo più diffuso era certamente il bronzo ( come abbiamo detto, i Micenei non conoscevano ancora il ferro ), utilizzato per la costruzione delle armi e di utensili vari. Vasi, coppe, recipienti bronzei sono stati ritrovati fra i resti dei palazzi reali; il rame e lo stagno, necessari per ottenere il bronzo, non si trovavano in grande quantità nella penisola greca era era perciò indispensabile ricorrere all’importazione. Il rame veniva acqustato a Cipro, mentre lo stagno probabilmente veniva dall’Europa centrale. Gli oggetti e gli strumenti di metallo erano quindi molto costosi e la gente comune non poteva permetterseli.  Fu proprio la necessità di reperire le materie prime a spingere i Micenei ad affrontare il mare. Divenuti esperti navigatori, essi si sostituirono ai Minoici trafficando nel Mediterraneo e praticando anche la pirateria, secondo la tradizione di molti popoli antichi. La documentazione archeologica dà la misura dell’estensione della loro rete commerciale: esempi di ceramica micenea sono stati ritrovati nelle isole dell’Egeo, in Egitto, sulla costa siro-palestinese, a Cipro e, verso occidente, a Malta, nelle isole Eolie, nei pressi di Taranto, sulle coste della Sicilia orientale.

 
 
 
 
 

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