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11 Gennaio 2001
Intervengo volentieri
sul vostro giornale on line
per contribuire a fare chiarezza sullo spirito della legge sulla
comunicazione istituzionale approvata dal Parlamento nel giugno
scorso, non potendomi sottrarre ad alcune indispensabili precisazioni su
quanto detto dal Presidente di un’associazione italiana degli
operatori delle relazioni pubbliche Muzi Falconi, che si è
purtroppo lasciato andare ad inaccettabili considerazioni sulla mia
persona che, per correttezza, ritengo debbano rimanere estranee ad ogni
dibattito “politico”.
LA LEGGE che ho
contribuito a far approvare, insieme ai colleghi parlamentari Di
Bisceglie e Frattini, insieme all’altro sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio Vannino Chiti, e con il concorso di
una maggioranza tra forze politiche di schieramenti diversi, è un atto
normativo semplice e chiaro negli intenti e nelle motivazioni.
Nel quadro generale della riforma della Pubblica Amministrazione portata
avanti dal Ministro Bassanini, per ciò che attiene la
comunicazione e l'informazione degli uffici pubblici sia all'interno
dell'amministrazione, sia all’esterno, e cioè quella rivolta
direttamente ai cittadini e quella invece –sempre rivolta ai
cittadini- ma mediata attraverso gli organi di informazione, in
Parlamento si è sentita forte la necessità di puntare ad una maggiore
trasparenza e imparzialità, ed imprimere una rinnovata efficacia al
processo di creazione-comunicazione-fruizione delle informazioni
dall’ente pubblico al cittadino.
Oggi trovare su Internet leggi e circolari della P.A. è sicuramente una
delle manifestazioni evidenti di questa rivoluzione nel rapporto tra
cittadino e amministrazione.
Ma la comunicazione avviene anche e soprattutto attraverso i canali
classici dell’informazione: come appunto i mass-media, oppure
attraverso il rapporto diretto, chiamiamolo di sportello per
semplificazione, tra il cittadino e l’ufficio pubblico. La legge
150 prevede che le pubbliche amministrazioni, centrali e
periferiche, ma anche gli enti locali che vorranno dotarsene, dovranno
istituire alcuni uffici chiamati delle relazioni con il
pubblico (Urp), dove personale adeguatamente qualificato risponderà
con informazioni certe e verificate, cortesia e competenza, alle
richieste che proverranno dai cittadini-utenti. E’ una sfida? Diciamo
di sì.
Se cercheremo di impiegare in quello che è il biglietto da visita di
un’amministrazione, le relazioni con il pubblico, personale
selezionato e motivato per scelta e non per costrizione a trattare con
il pubblico, in futuro potremo augurarci di dire addio alle spallucce
infastidite di qualche impiegato annoiato dal rapporto con
l’utenza che né per vocazione, né per abito mentale è abituato a
sostenere.
Con un concetto che qualcuno può ritenere retorico, non per me che ho
lavorato una intera vita nella PA come avvocato
dello stato,
l’amministrazione deve diventare sempre più “casa di vetro”,
o per cercare di dirla da comunicatore “un grande fratello"
osservato da milioni di cittadini: nelle pieghe, negli errori, nelle
tante cose buone che ogni giorno produce. In questi uffici, in base al
regolamento che come governo stiamo approntando, saranno destinati
esperti in relazioni pubbliche formati nelle Università o nelle scuole
superiori della Pa con master o corsi di perfezionamento. E’
sicuramente una novità, un’innovazione positiva quanto alla qualità
e alla formazione del personale.
GLI UFFICI STAMPA.
Un altro aspetto particolarmente importante della
comunicazione nella Pa è quello della informazione agli organi di
stampa e quindi al cittadino come fruitore finale del messaggio. Se il
messaggio ha origine dalla Pa in modo chiaro, imparziale, verificato,
esatto, arriverà ai mass-media e poi al cittadino nello stesso modo.
Tranne ovviamente casi di possibile manipolazione che si espongono al
diritto-dovere di rettifica.
La legge 150 per favorire questa
imparzialità e trasparenza, ma anche una verifica con gli strumenti più
adatti nell’acquisizione delle informazioni dalla Pa, ha previsto che
negli uffici stampa della Pa, che sia chiaro non è un ente privato dove
la propagazione delle notizie risponde al solo criterio dell’interesse
dell’azienda, possa accedervi, ovviamente per i compiti propri di
questa attività, personale giornalistico regolarmente iscritto
all’albo nazionale.
Non vi è nulla di scandaloso: se negli uffici legali della Pa di
norma vi sono avvocati, negli uffici stampa andranno i
giornalisti.
Finora vi veniva collocato
personale impiegatizio, spesso distaccato, in alcuni casi senza una
specifica competenza nelle materie dell’informazione e della
comunicazione. Il legislatore ha rinvenuto nell’iscrizione
all’ordine dei giornalisti –così come sarebbe potuto avvenire
in casi diversi per l’ordine degli ingegneri o dei veterinari- quei requisiti
indispensabili a contribuire ad una maggiore garanzia di imparzialità,
di trasparenza e di conoscenze professionali nel processo di
acquisizione e poi di comunicazione, cioè di divulgazione delle notizie
dall’amministrazione ai mass-media, e quindi a tutti i cittadini.
Soprattutto a garanzia del cittadino, non del giornalista.
Il dovere di vigilanza dell’ordine dei giornalisti sui propri iscritti
è una tutela in più che l’imparzialità, la verifica delle notizie,
la trasparenza nei confronti dei destinatari delle stesse sia
rispettata.
Sono a conoscenza delle critiche che piovono sull’ordine
dei giornalisti come su tutti gli altri ordini che raggruppano categorie
professionali; in nome di un liberismo totale alcuni ben ne vedrebbero
la cancellazione: non la penso, né il governo la pensa così. Vi è un
disegno di legge per la riforma degli ordini professionali, e non certo
per la cancellazione, che sta portando avanti bene il ministro della
Giustizia.
Per quel che riguarda i
giornalisti è in dirittura d’arrivo una riforma dell’accesso
alla professione giornalistica, raccordata con il ministero
dell’Università: una laurea ad hoc in giornalismo più un
percorso di formazione sul campo, poi l’esame di stato per l’idoneità.
La condivido pienamente: un buon giornalista vale e varrà
quanto un buon medico o un buon avvocato, ed in una solida
democrazia ne abbiamo davvero bisogno.
Il personale che oggi nella Pa svolge già questi compiti di addetto
agli uffici stampa, non ha nulla da temere, rimarrà al proprio posto;
dovrà solo, se eventualmente non in possesso del requisito di
iscrizione all’ordine dei giornalisti, frequentare un corso di
riqualificazione presso una delle scuole superiori della Pa o presso
altre strutture riconosciute.
Per quel che riguarda l’accesso nella Pa non è cambiato nulla, per
tutte le figure dirigenziali, e quindi anche negli uffici stampa, è
prevista la laurea come requisito culturale. Anche in questo caso non
vi è alcun “favor” nei confronti dei giornalisti.
PRECISAZIONI.
I giornalisti iscritti all’ordine, in possesso degli
altri requisiti culturali previsti, potranno accedere negli uffici
stampa della Pa; negli uffici delle relazioni con il pubblico (Urp) potrà
accedere invece personale specificamente
formato nelle relazioni pubbliche.
E’ vero, nella Finanziaria c’è stata la presentazione di un
emendamento a nome del governo, e di cui non ero a conoscenza, che
avrebbe consentito anche a coloro che esercitano attività di
comunicazione, e cioè operatori delle relazioni con il pubblico, di
entrare negli uffici stampa della Pa.
In contrasto con quanto previsto dalla legge 150 all’art. 9 questa
modifica avrebbe consentito a questi operatori, raggruppati in
associazioni a carattere privatistico, di essere annessi all’elenco
speciale previsto dalla legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti
nel 1963, e dedicato esclusivamente a coloro che temporaneamente
esercitano le funzioni di direttori responsabili di testate a carattere
tematico, ad esempio scientifico.
Un modo attraverso il quale dei non
giornalisti sarebbero “temporaneamente” diventati iscritti
all’ordine dei giornalisti; sempre con lo stesso emendamento si
prevedeva una modifica all’art. 9 della legge 150 per consentire anche
agli operatori delle relazioni pubbliche di entrare negli uffici stampa
della Pa, lo stesso emendamento prevedeva poi una modifica della legge
416/80 sull’editoria per permettere a questi operatori di entrare
nell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi).
La Presidenza del Senato ha giudicato inammissibile per materia questo
emendamento; non ne ho approfondito i motivi, posso immaginare che tra
la legge di bilancio dello stato (Finanziaria) e un emendamento che
incideva sulla legge istitutiva dell’ordine dei giornalisti, e su
altre leggi concernenti l’informazione e l’editoria in generale,
c’erano, forse, non molti punti di contatto.
Sui rapporti di
“fraterna
amicizia” che - secondo Muzi Falconi- mi legherebbero al
Presidente del Senato è preferibile glissare: i meccanismi
istituzionali in Parlamento sono così delicati e costituzionalmente
importanti da metterci fortunatamente al riparo da certe banalità.
Sulla presunta impossibilità dei cittadini comunitari a poter
esercitare la stessa attività lavorativa anche in Italia ribadisco
quanto già detto: il cittadino comunitario giornalista potrà
concorrere, come tutti i giornalisti italiani in possesso dei titoli
richiesti, ad entrare negli uffici stampa della Pa.
Il cittadino comunitario che esercita la professione di giornalista ma
non è iscritto all’Ordine dei giornalisti perché inesistente nel
Paese di origine, e che intende entrare in un ufficio stampa della Pa
italiana si provvede con quanto in linea generale dispone l’art. 37
del decreto legislativo n. 29 del 1993 al comma 3: “Nei casi in cui
non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione
dei titoli di studio e professionali si provvede con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei
ministri competenti.
Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza
tra i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini
dell’ammissione al concorso e della nomina”. Il cittadino
comunitario, esperto invece in relazioni pubbliche, ed in possesso dei
titoli culturali richiesti ed equipollenti, potrà ambire ad entrare
negli uffici per le relazioni con il pubblico (Urp) della Pa previsti
dalla legge 150 e dal regolamento di prossima approvazione.
On. Avv. Raffaele Cananzi
, Sottosegretario
di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
12
Gennaio 2001
Gli chiedo scusa per le 'inaccettabili
considerazioni sulla mia persona' e provo, a beneficio dei tuoi
lettori, a precisare alcuni punti.
1.
Non sono presidente di 'una associazione di operatori di relazioni
pubbliche'. Sono presidente della Ferpi, l'unica associazione
degli operatori delle relazioni pubbliche, fondata nel 1970, forte di
1000 soci fra dirigenti di organizzazioni pubbliche e private, di
associazioni, di società di consulenza e di liberi professionisti,
che rappresenta il nostro Paese in tutti i consessi internazionali di
persone che operano nelle relazioni pubbliche.
2.
La distinzione fra comunicazione rivolta ai cittadini e quella mediata
attraverso gli organi di stampa, che secondo Cananzi è il
principio ispiratore della 150 è, nei fatti, inconsistente anche dal
punto di vista scientifico.
Qualsiasi organizzazione (volente o nolente, privata o pubblica)
comunica con i suoi pubblici influenti: con coloro che mediante
comportamenti, opinioni, azioni o decisioni possono influenzare il
raggiungimento dei suoi obiettivi. Qualche volta lo fa in modo consapevole, e quindi si dota di
professionisti dedicati, presumendo
che gli obiettivi possano essere più efficacemente raggiunti.
Prima ancora di decidere se la comunicazione è diretta o indiretta,
è quindi necessario segmentare i diversi segmenti di pubblico, con i
quali, di volta in volta, l'organizzazione dialogherà direttamente
e/o per via mediata, in modo coordinato. La 150 non fa cenno a
questo elemento primario e fondamentale, che richiede coordinamento,
coerenza e un disegno unitario e, purtroppo, da questa 'omissione'
deriva larga parte della sua fragilità e obsolescenza.
3.
Il Senatore Cananzi omette di dire che gli URP (uffici relazioni con
il pubblico) non nascono con la 150, ma esistono da dieci
anni. Doverosamente, la 150 prende atto della loro esistenza e ne
allarga le competenze da ufficio informazioni a struttura di ascolto,
di elaborazione e di sviluppo delle relazioni fra organizzazione e
pubblici influenti. Che il Senatore Cananzi insista a ritenere l'URP
un 'biglietto-da-visita', un ufficio 'dove personale
adeguatamente qualificato risponderà...alle richieste che proverranno
dai cittadini-utenti' è inspiegabile e anche in contrasto anche
con la lettera della 'sua' legge.
4.
Rispetto agli uffici stampa, sono certo che i giornalisti italiani
saranno felici di apprendere che il governo attribuisce loro il
fondamentale ruolo di passacarte, visto che 'se il messaggio ha
origine dalla Pa in modo chiaro, imparziale, verificato, esatto,
arriverà ai mass-media e poi al cittadino nello stesso modo' senza
dimenticare che sono anche previsti per i reprobi 'ovviamente casi
di possibile manipolazione che si espongono al diritto-dovere di
rettifica'. Per rispetto verso i tuoi lettori, caro Figaro, non
commento...ma forse dovresti farlo tu...
5.
Due ultime considerazioni:
a- l'approccio del Senatore prescinde dal dato di fatto che da cento
anni esiste una netta separazione, in tutto il mondo e anche in
Italia, fra il ruolo del giornalista e quello dell'ufficio stampa. In
nessun Paese questo viene messo in discussione, anche perchè gli
stessi giornalisti sarebbero assaliti da irrefrenabili conati.
In Italia, per (quello che a me pare) un piatto di lenticchie -qualche
posto al riparo da un mercato sempre più competitivo a spese dello
Stato-, i giornalisti hanno abdicato a questa autonomia e
legittimato chiunque a sostenere che il giornalismo italiano sia -di
fatto- un gigantesco ufficio stampa.
b- non casualmente, nella illustrazione dello 'spirito della 150' il
senatore Cananzi glissa (come peraltro ho fatto anch'io fino ad oggi
per ragioni di buon vicinato) su una cosa (a mio avviso) grave. La 150
prevede non due, ma tre qualifiche professionali diverse:
l'urp,
l'ufficio stampa e il portavoce. Di quest'ultimo nessuno parla, anche
perchè la legge è vaga. Si intuisce solo che si tratta del
'portavoce' del vertice politico dell'organismo pubblico,
prevedibilmente, se tanto mi dà tanto, un altro giornalista...
Dunque, con l'attuazione della 150, nella intepretazione del Senatore,
le amministrazioni pubbliche avranno ben tre categorie di
comunicatori: il portavoce del vertice politico, il giornalista che
parlerà con se stesso e trasferirà tramite sé stesso ai
lettori i suoi elaborati ufficiali e lo sportellista che
risponderà alle richieste del cittadino.
La legge non prevede, né prescrive, alcun tipo di coordinamento,
di coerenza, di concertazione.
Per placare le ambizioni di qualche burocrate dell'amministrazione e
per ingraziarsi un Ordine in caduta verticale di credibilità e di
utilità sociale, il Governo ha combinato un bel pasticcio...c'è solo
da sperare che gli operatori, come talvolta accade, siano migliori dei
loro legislatori.
Toni Muzi Falconi
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