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Il culto di santAntonio abate nel
Bormiese (Lombardia)
Brano tratto dal sito internet del Centro
di Studi Storici
dell'alta Valtellina
Il culto di santAntonio è attestato nel
Bormiese (provincia di Sondrio) in tempi antichissimi: la chiesa a lui intitolata nella
contrada allora detta Furvaplana (ora SantAntonio Valfurva) venne consacrata il 16
luglio 1082, come attestano alcuni vecchi repertori di documenti.
In un verbale del Comune di Bormio del 1356, vi è una delibera dove si
ordina agli ufficiali di nominare tre persone che, con un notaio, dovevano provvedere ad
acquistare un terreno nella contrada di Combo su cui costruire una chiesa in onore di S.
Antonio abate e di S. Agostino.
In onore del santo il Consiglio, ogni anno a partire dal 1563, dopo la revisione degli
Statuti, stabilì che il ricavato della vendita delle carni del porco del Comune fosse
destinato agli emissari del convento di S. Antonio di Vianna. Anteriormente a quella data,
ai frati dello stesso convento il Comune dava ogni anno 40 soldi e, nei pagamenti che il
caneparo della sorte invernale doveva eseguire, si precisa che tale esborso veniva fatto
per voto del Comune, e poteva essere estinto con un versamento capitale di quaranta lire.
È assai probabile che i frati di Vianna, o Vionna come talora si scrive, appartenessero
all'ordine ospedaliero degli Antoniani, ordine costituito nella cittadina di Saint Antoine
de Viennois (da cui la forma Vianna usata dai cancellieri bormini), dove si
conservano i resti mortali del santo, per assistere i malati che là si recavano per
ottenere dalle taumaturgiche reliquie la guarigione dall'herpes zoster. In un privilegio
del 1095 ai monaci di santAntonio fu concesso di allevare porci il cui lardo si
usava poi come medicamento per quella malattia; quelle bestie potevano vagare liberamente
per le città, mantenute da tutti. La norma statutaria a cui si è accennato è,
verosimilmente, da mettere in relazione con quest'uso che si diffuse ovunque. E da
ricordare inoltre che il mantenimento pubblico dun porco avveniva anche nella
lontana Livigno dove, fra gli obblighi del sagrestano vi era quello di
provvedervi durante linverno, lasciandolo poi libero di pascolare durante
lestate. Forse fu questa la ragione per cui santAntonio si effigiava con
accanto il porco, benché sia più probabile che, almeno originariamente, il porco
simboleggiasse i demoni che ripetutamente tentarono e tormentarono il santo, come scrisse
santAtanasio, e che, si dice nel Vangelo, dopo la liberazione dellindemoniato
da parte di Gesù, trovarono rifugio in un branco di porci.
Nell'iconografia tradizionale il santo poggia su un bastone dalla forma della lettera
greca tau: essa può simboleggiare sia la stampella del dio greco del fuoco Efesto, sia la
croce egizia che per i cristiani alessandrini fu simbolo d'immortalità. La tau è
frequentemente applicata alla tonaca, sulla spalla destra.
Un altro attributo che lo distingue è il campanello che può apparire appeso al bastone
oppure al collo o alle orecchie del porco; esso ricorda il suono di campanelli che
annunciava da lontano l'arrivo dei questuanti dell'ordine di santAntonio o, secondo
altri, il campanello che distingueva i maiali allevati dai monaci antoniani.
Il fuoco nella mano richiama la terribile e temutissima malattia di cui era guaritore. Il
terrore per la malattia è testimoniato negli incartamenti bormini da un processo del 1484
e da un altro del 1561. Nel primo, in una lite in Vallaccia, Bormo detto
"Cessare" fu processato per aver augurato a Romerio fu Giovanni Grazioli di
infettarsi col fuoco di santAntonio (... accipit lapides in manibus causa percutendi
eum; tamen eum non percussit nec proiecit extra manus et dixit quod veniret sibi ignis
Sancti Antoni, tristus quod erat). Nel 1561 Andrea della Vulpina, prima di riempire di
botte Anna, moglie di Conforto Raisoni, gli augurò el mal de Santo Antonio
("... Anna uxor Conforti Dominigati Raysoni de Livigno, dedit accusam qualiter
Andrea filius Cristofori dicti della Vulpina de Livigno percussit eam, et interrogata est
causa suprascripta dixit hec verba formalia, che andando ditta Anna suso per veder certi
soy prati, trovo dentro, in ditti prati, de piu sorte de bestiamo, qual bestiamo era del
ditto Andrea et ditta Anna disse al ditto Andrea, <magliadro invidioso, te mangi il tuo
et quello de altr>i et alhora ditto Andrea gli rispose a ditta dona, <non mangi
niente del tuo, che ti vegna el mal de Santo Antonio> et poy li butto dietro de uno
buglio de uno porcho et dispoy la piglio per li capelli et la gitto a terra et li salto
con li piedi suso in lo stomacho").
Nei due casi citati, quella che secondo la nostra sensibilità è una semplice ingiuria,
per chi visse quando la malattia e la medicina erano tuttuno con la magia,
laugurio di ammalarsi del fuoco di santAntonio era considerato un
vero e proprio maleficio: alla parola infatti era assegnato un fortissimo potere magico e
la parola, quando veniva espressa, realizzava ciò che esprimeva.
La chiesa intitolata al santo a Livigno risale
verosimilmente alla prima metà del XVI secolo (la più antica attestazione reperita è
del 1557). Citata nella visita pastorale di monsignor Ninguarda nel 1589, non doveva
essere dissimile dalle tipiche costruzioni in legno di Livigno, come testimonierebbe la
descrizione di Giovanni Tuana del 1630, dove si dice che la sola costruzione in muratura
di Livigno era la chiesa. Il riferimento cade evidentemente sulla chiesa parrocchiale; del
resto, il tempietto giaceva in uno stato di relativo degrado, che avrebbe costretto la
Vicinanza, nel 1658, a rifabbricarlo.
Unaltra caratteristica del culto di S.
Antonio, forse quella più popolare e ancora assai viva fino a non molti decenni fa, è
quella di protettore di tutti gli animali domestici. Essa risale, almeno nel Bormiese, ai
secoli XVII e XVIII, quando cessarono le grandi pestilenze, l'ultima delle quali tormentò
il Contado nel 1635-1636.
In questa prospettiva va forse vista la ricostruzione del tempietto di Livigno, quando
cioè nel folklore si assegnò al maiale ai piedi del santo la funzione di simbolo di
tutti gli animali.
A Scianno di Pedenosso si costruì unaltra chiesa intitolata al santo che fu
consacrata il 16 luglio 1717.
Il 2 agosto 1743 il vescovo concesse ai vicini di Turripiano il permesso
di edificare una cappella nella chiesa della Santissima Trinità "ad onore di S.
Antonio abbate", sulla base di una supplica in cui si poneva l'accento su un
voto fatto dai vicini "in tempo della mortalità del bestiame". |
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Il
culto popolare
di S.
Antonio abate
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del fuoco
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