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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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« Varie sono le credenze partorite dalla fantasia popolare e alle quali i contadini hanno dato concretezza e realtà, asserendo d’aver visto e d’aver sentito in prima persona. Nel periodo invernale, di venerdì, allo scoccare della mezzanotte, subito dopo i rintocchi delle campane che chiamavano a raccolta i morti, veniva celebrata da un prete locale deceduto una messa particolare alla quale prendevano parte quei defunti grassanesi che avevano da espiare delle colpe. Perciò la celebrazione avveniva nella chiesa del Purgatorio “a mess di murt” (n.d.r. era una chiesetta, oggi abbattuta, di Grassano). Prima dell’inizio si svolgeva, all’interno, una processione davanti alla quale, a passi lenti e in mezzo a fiamme roventi, procedeva un’anima con in mano una croce; le altre seguivano e, in atto di contrizione, si battevano continuamente il petto.
Dopo aver fatto tre giri, il sacerdote invitava le anime purganti a genuflettersi in mezzo alle fiamme e, in tale posizione, queste ascoltavano la messa. Al termine, un forte rumore preannunziava il volatilizzarsi delle anime nel loro regno.

Anche a mezzanotte veniva sentito da coloro che erano svegli lo scalpitio di un cavallo privo di testa “u cavadd senza cap”, sotto le cui sembianze si nascondeva l’anima vagante di un suicida. Questo, come tutti coloro che erano stati da altri uccisi, era condannato ad essere “spirito” per tutto il periodo che avrebbe normalmente vissuto. Ripercorreva solamente quelle vie del paese che non si incrociavano, altrimenti avrebbe assunto fattezze di uomo e sarebbe stato, quindi, facilmente riconosciuto. Nell’oscurità della notte, specie durante il periodo invernale, era il padrone incontrastato di determinate strade che venivano accuratamente evitate da chi si attardava a rientrare a casa, anche perché il rumore degli zoccoli era avvertito a distanza. Le mamme si servivano di lui, come del “Marranghino”   e del “Monachicchio”, per incutere paura nei bambini che non riuscivano a prendere sonno o commettevano marachelle. “U cavadd senza cap” era considerato uno spirito malefico, apportatore di disgrazie e capacissimo di nuocere.

Non potendo, per la mutilazione del capo, nitrire, spesso scalpitava ed eseguiva delle piroette, nell’esecuzione delle quali era cosi bravo da far pensare ad un vero e proprio addestramento ricevuto da chi  sa quali forze demoniache. Questi giri compiuti su sé stesso, quando erano scomposti e agitati, indicavano segni d’impazienza dovuti alla mancanza di sfogo del suo istinto micidiale. Durante il percorso, che di tanto in tanto interrompeva, stirando la pelle del suo corpo, si gonfiava a dismisura e cominciava a ricalcitrare e a muovere spasmodicamente la coda che gli faceva da timone.

Era lo spirito,  “mmalombr”, più cattivo e temuto, in quanto non risparmiava chi malauguratamente s’imbatteva in lui. Conoscendo l’ora e il giorno delle sue sortite notturne, tutti si mantenevano ben chiusi in casa e coloro che erano svegli si limitavano, attraverso le finestre, se c’erano, solo ad osservare il suo passare e le sue movenze. Non era raro il caso in cui il cavallo, male intenzionato, facesse delle soste davanti alle case, ma, per la presenza di piccole croci inchiodate alle porte, era costretto subito ad andar via. Questo era l’unico modo con cui i contadini riuscivano a tenerlo lontano dalle loro abitazioni. Quando s’infuriava, la sua forza cresceva smisuratamente e s’impennava, facendo cadere a terra con grande rumore le zampe anteriori. Alcune notti percorreva solamente una determinata strada, e ciò stava ad indicare che la scelta della vittima era caduta su qualche persona lì dimorante. La ripercorreva in lungo e in largo e, di tanto in tanto, stazionava in qualche angolo recondito della strada, in attesa di ghermire la preda.
A notte inoltrata, sfiduciato e avvilito, con un incidere meno cadenzato, poneva fine al suo girovagare e, a mani vuote, come sempre, faceva ritorno nel mondo degli spiriti, per unirsi ai suoi simili», brano tratto da Domenico Bolettieri, tratto da "Grassano Ieri", Grafiche Paternoster, Matera, 1987, pp.31-32.

 

 

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Gli spiriti delle terre lucane raccontati
dallo scrittore Carlo Levi

 

Il "Marranghino e il "Munachicchio",
gli spiriti burloni del passato.

 

Il "lupo mannaro"
nella tradizione popolare lucana 

 

Il demonio nella superstizione
e nella religiosità popolare

 

 Scongiuri contro
il malocchio

 

 

 

 

 

 

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