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« Varie sono le credenze partorite dalla fantasia popolare e alle
quali i contadini hanno dato concretezza e realtà, asserendo d’aver visto e
d’aver sentito in prima persona. Nel periodo invernale, di venerdì, allo scoccare
della mezzanotte, subito dopo i rintocchi delle campane che chiamavano a raccolta i morti,
veniva celebrata da un prete locale deceduto una messa particolare alla quale prendevano
parte quei defunti grassanesi che avevano da espiare delle colpe. Perciò la celebrazione
avveniva nella chiesa del Purgatorio “a mess di murt”
(n.d.r. era una chiesetta, oggi abbattuta, di Grassano). Prima dell’inizio si
svolgeva, all’interno, una processione davanti alla quale, a passi lenti e in mezzo a
fiamme roventi, procedeva un’anima con in mano una croce; le altre seguivano e, in
atto di contrizione, si battevano continuamente il petto. Anche a mezzanotte veniva sentito da coloro che erano svegli lo scalpitio di un cavallo privo di testa “u cavadd senza cap”, sotto le cui sembianze si nascondeva l’anima vagante di un suicida. Questo, come tutti coloro che erano stati da altri uccisi, era condannato ad essere “spirito” per tutto il periodo che avrebbe normalmente vissuto. Ripercorreva solamente quelle vie del paese che non si incrociavano, altrimenti avrebbe assunto fattezze di uomo e sarebbe stato, quindi, facilmente riconosciuto. Nell’oscurità della notte, specie durante il periodo invernale, era il padrone incontrastato di determinate strade che venivano accuratamente evitate da chi si attardava a rientrare a casa, anche perché il rumore degli zoccoli era avvertito a distanza. Le mamme si servivano di lui, come del “Marranghino” e del “Monachicchio”, per incutere paura nei bambini che non riuscivano a prendere sonno o commettevano marachelle. “U cavadd senza cap” era considerato uno spirito malefico, apportatore di disgrazie e capacissimo di nuocere. Non potendo, per la mutilazione del capo, nitrire, spesso scalpitava ed eseguiva delle piroette, nell’esecuzione delle quali era cosi bravo da far pensare ad un vero e proprio addestramento ricevuto da chi sa quali forze demoniache. Questi giri compiuti su sé stesso, quando erano scomposti e agitati, indicavano segni d’impazienza dovuti alla mancanza di sfogo del suo istinto micidiale. Durante il percorso, che di tanto in tanto interrompeva, stirando la pelle del suo corpo, si gonfiava a dismisura e cominciava a ricalcitrare e a muovere spasmodicamente la coda che gli faceva da timone. Era lo spirito, “mmalombr”, più
cattivo e temuto, in quanto non risparmiava chi malauguratamente s’imbatteva in lui.
Conoscendo l’ora e il giorno delle sue sortite notturne, tutti si mantenevano ben
chiusi in casa e coloro che erano svegli si limitavano, attraverso le finestre, se
c’erano, solo ad osservare il suo passare e le sue movenze. Non era raro il caso in
cui il cavallo, male intenzionato, facesse delle soste davanti alle case, ma, per la
presenza di piccole croci inchiodate alle porte, era costretto subito ad andar via. Questo
era l’unico modo con cui i contadini riuscivano a tenerlo lontano dalle loro
abitazioni. Quando s’infuriava, la sua forza cresceva smisuratamente e
s’impennava, facendo cadere a terra con grande rumore le zampe anteriori. Alcune
notti percorreva solamente una determinata strada, e ciò stava ad indicare che la scelta
della vittima era caduta su qualche persona lì dimorante. La ripercorreva in lungo e in
largo e, di tanto in tanto, stazionava in qualche angolo recondito della strada, in attesa
di ghermire la preda. |
Gli spiriti delle
terre lucane raccontati
Il
"Marranghino e il "Munachicchio",
Il
"lupo mannaro"
Il demonio
nella superstizione
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