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Il Santuario
di S. Antonio Abate

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«"U Marranghin" e "u Munachicchii", erano spiriti burleschi che non arrecavano alcun danno fisico alle persone. Anzi s’intrattenevano amichevolmente con coloro i quali casualmente venivano a trovarsi insieme e intrecciavano con essi un rapporto gioioso e scherzoso. Il primo, secondo la tradizione popolare, aveva un aspetto piuttosto goffo: basso di statura, con i mustacchi, con pancione e testa grossa. Il suo aspetto bonaccione lo rendeva talmente simpatico che, anche quando, di notte, si divertiva a fare dei piccoli rumori in casa o a muovere il letto ai dormienti, la sua presenza non infastidiva e non impressionava nessuno. Sapevano che era lui: il bontempone che amava scherzare, ridere e giocare. Fra tutti gli scherzi, preferiva nascondere gli attrezzi agricoli e i recipienti per bere. Li nascondeva nei luoghi più impensati e disparati, costringendo i contadini alla ricerca di essi. Durante il periodo della trebbiatura, facilmente, forconi, crivelli e pale cambiavano di posto e posizione da un momento all’altro. "Cuchm" (orci) e "rizzol" (bacinele), attorno ai quali veniva messa una pezza bagnata perché l’acqua si mantenesse fresca, non venivano più ritrovati sotto gli alberi o nel pagliaio, ma in altri posti e, a volte, venivano svuotati. Alcuni non amavano molto questi scherzi, e facilmente si adiravano e imprecavano contro il "Marranghino". Si dice che una volta un uomo, preso dall’arsura, si recasse sul posto in cui aveva lasciato il recipiente pieno d’acqua, per bere. Non avendolo trovato, cominciò a cercarlo. A pochi metri da lui vide il "Marranghino" che tutto gongolante lo svuotava e sogghignava. A tale vista, il contadino, tutto adirato, lo rincorse, ma lo spirito burlesco, allontanandosi, si girò di scatto e gli fece gli sberleffi. Ciò innervosì maggiormente l’uomo che, presa una pietra da terra, la lanciò contro il "Marranghino" che mise fine allo scherzo, buttando a terra il recipiente "a rizzol", che si frantumò, lasciando frastornato il povero contadino. Il secondo era un bambino morto prima di ricevere il battesimo. Era d’aspetto gentile, bello di viso, vestito di bianco, con in testa un berrettino di color rosso "u cuppulicchii" del quale chi fortunatamente veniva in possesso diventava ricco. Si presentava per lo più ai bambini come lui, e con questi trascorreva molto tempo a giocare, a ridere e a rincorrersi. Quest’ultimo era la cosa più bella e più desiderata da lui, in quanto sapeva che i compagni di gioco facevano a gara per togliergli «u cuppulicchii» (cappuccio). Chi riusciva, infatti, a strapparglielo dalla testa, si metteva a raccogliere monetine d’oro che copiosamente cadevano a terra con un tintinnio caratteristico.
Il Monachicchio, al contrario degli spiriti malefici, si mostrava ai bambini sia di giorno che di notte. La sua presenza non dava mai fastidio, anzi faceva piacere perché si presentava sotto le sembianze di un folletto ed era, quindi, molto vivace, scherzoso e giocherellone. I suoi lazzi preferiti erano: togliere le coperte dal letto, fare il solletico ai piedi e sussurrare dolci parole negli orecchi delle ragazzette. A queste, specie se erano paffutelle, leccava delicatamente le guance, procurando loro, così, un gradito e innocente piacere. Molte volte si posava come un incubo sul corpo delle persone, oppure s’introduceva nel letto per sollevare il cuscino dalla testa e soffiare nelle orecchie dei dormienti. Costretti a svegliarsi, essi cercavano di riprendere sonno, ma, appena assopiti, si sentivano librati in aria per intraprendere un avventuroso viaggio in un mondo irreale.
Un’improvvisa picchiata poneva termine a tutto, causando ansia, apprensione e risveglio. Spesso si divertiva, durante la notte, ad annodare i peli della coda di asini e muli e la criniera dei cavalli, sotto la cui pancia si faceva trovare all’alba, quando i contadini sì levavano dal letto. La mattina, mentre i padroni degli animali erano intenti allo scioglimento dei nodi, il "Monachicchìo" assisteva divertito al paziente lavoro e rideva a crepapelle se non riuscivano a slegarli. Poi, tutto soddisfatto, battendo le mani, spariva nel suo fantastico mondo ove abitava in una grotta ricca di tesori. La fantasia popolare ha creduto sempre nascosti tesori in luoghi sotterranei, per cui sono sorte leggende a questo proposito. I contadini grassanesi pensavano che le grotte di Sant’Angelo contenessero consistenti ricchezze lì nascoste dai briganti durante i loro spostamenti. Non era, perciò, raro vedere persone avventurarsi nell’affannosa ricerca di questi fantomatici tesori. Ciò può essere spiegato dal fatto che in tal modo si poteva alimentare e mantenere viva la speranza che un giorno la loro vita sarebbe cambiata, passando da uno stato d’indigenza ad uno d’agiatezza. Ma era solo una chimera», testo di Domenico Bolettieri, tratto da "Grassano Ieri", Grafiche Paternoster, Matera, 1987, pp.31-32.

 

 

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Gli spiriti delle terre lucane raccontati
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 Scongiuri contro
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