È stato notato dalla critica che il nome
di Molly appartiene anche all'eroina del
primo romanzo borghese settecentesco che
abbia come protagonista e narratrice una
donna, Moll Flanders di Daniel De Foe.
Molly Bloom prende dalla sua bisavola
letteraria la stessa spregiudicatezza
verbale e sessuale. Mentre il marito la
raggiunge nel talamo coniugale insozzato
dalla visita di Blazes Boylan, Molly,
un'anti-Penelope per eccellenza, si
abbandona alle sue fantasticherie
sonnolente. Si rinvia a G. de Angelis,
Ulisse. Guida alla lettura, cit. in
Bibliografia, per una competente esegesi
della sezione, suddivisa in «otto
paragrafi; o lunghe frasi prive di
qualsiasi segno di interpunzione». Il
ricordo delle colline di Howth, verso
cui si dirigeva lo sguardo di Stephen
Dedalus prima della visione della
fanciulla-uccello, suggella l'Ulisse
sotto il segno dell'amplesso amoroso tra
Molly e Leopold. Anche se in modo assai
più frammentario e sensuale che in
Proust, il tempo perduto è stato
ritrovato.
Ulisse è un punto d'arrivo non solo
nell'attività creativa di Joyce, ma
nell'evoluzione della letteratura
occidentale. Al pari del Waste Land di
Eliot (pubblicato nello stesso anno
1922), e più ancora della Recherche
proustiana, segna la consumazione
definitiva dell'esperienza decadente e
simbolista, e perciò anche di quella
romantica e post-romantica, sfociata nel
decadentismo. Decadentismo e simbolismo
avevano messo in crisi la forma
letteraria più caratterizzante della
tradizione inglese nei due secoli
precedenti: il romanzo con la sua
fondamentale istanza realistica sia sul
piano figurativo che su quello
psicologico. Nel 1923 T.S. Eliot poteva
dire che il romanzo era finito con
Flaubert e con James, e che il merito
dell'Ulisse era appunto quello di non
essere un romanzo, ma il suo
superamento, grazie alla sostituzione
del "metodo mitico" a quello narrativo,
reso possibile dai progressi compiuti
sullo scorcio dell'Ottocento nei campi
della psicologia, dell'etnologia e
dell'antropologia. L'adozione del metodo
mitico, ossia la sovrapposizione al
realismo narrativo di costanti paralleli
con un poema omerico, aveva per Eliot <
l'importanza di una scoperta
scientifica».
A smentire le affermazioni di Eliot sul
carattere di anti-romanzo o non-romanzo
dell'Ulisse stanno le ripetute e
costanti definizioni di Joyce che chiama
il suo libro novel, e sta soprattutto
l'intera tradizione narrativa inglese
che prende le mosse dalla definizione
del novel data nel Settecento da Henry
Fielding: «poema eroicomico in prosa»,
inteso a strutturare una
rappresentazione minuziosamente
realistica della vita contemporanea sul
modello dell'epica classica, in modo da
ironizzare allo stesso tempo sia
fanti-eroismo dell'esperienza quotidiana
sia il magniloquente atteggiamento
dell'epica.
L'importanza dell'Ulisse sta in gran
parte nel recupero della stagione più
avventurosa della narrativa inglese: non
solo dell'eroicomico di Fielding (che
proprio sull'Odissea aveva modellato il
suo Joseph Andrews), ma dello
psicologismo e della narrazione
soggettiva di Richardson, di certe
polivalenze verbali di Smollett, e
soprattutto della consapevolezza di
Sterne di meccanismi associativi e
linguistici che anticipano la tecnica
dello stream of consciousness. È proprio
tale recupero che permette a Joyce di
riconciliare nel suo romanzo l'antinomia
fondamentale fra realismo e simbolismo
che comprometteva l'esistenza stessa del
genere "romanzo" sulla fine
dell'Ottocento. Per di più la dimensione
eroicomica gli dà modo di contenere la
tendenza all'evasione metafisica insita
nel simbolismo e di ricondurre la forma
espressiva in un ambito esclusivamente e
inclusivamente umano.
Nel 1918, quando aveva scritto soltanto
un quarto del suo libro, Joyce fornì
all'amico Frank Budgen due definizioni
dell'Ulisse: «un'Odissea moderna», e
«l'epica del corpo umano». Sono questi i
due pilastri su cui poggia l'intera
struttura del libro.
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