GRANDI SCRITTORI STRANIERI DEL 900
JAMES JOYCE


 

Luigi De Bellis

 


 

  Dall'Irlanda all'Europa  
Un ignoto e splendido uccello marino
Il multiverso urbano La narrativa  
Ulisse 
Gente di Dublino
Dedalus
Un caso pietoso

E si dissi si voglio si
 
 

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IL MULTIVERSO URBANO

Il decimo episodio dell'Ulisse, ambientato tra le 15 e le 16 del 16 giugno 1904, vicino al punto centrale od ombelico del libro, cerca di rappresentare, attraverso una serie di vari momenti simultanei; la complessità particolare della città. La voce dei personaggi si diffonde e si incrocia al di là di qualsiasi sistema gerarchico. Bloom e Dedalus, Blazen Boylan (in attesa di fare amorosa visita a Molly Bloom) e Almidano Artafoni - nella vita reale benevolo direttore della Berlitz School di Trieste e di Pola - sono collocati sullo stesso piano perché appartengono tutti al multiverso urbano. Tutto è istantaneo e dinamico, all'insegna della velocità futurista, nulla sfugge all'occhio ironico del narratore. La mescolanza dei movimenti e dei linguaggi permette a Joyce di inserire, nella prima delle due brevi sezioni che riportiamo, un dialogo in italiano (in corsivo nel testo della traduzione), protagonisti Artifoni; maestro di musica, e uno Stephen tentato, come al suo creatore, da una carriera di cantante. Nella seconda sezione si noterà con quanta abilità Joyce accosti, facendosene beffa con discrezione, varie forme della cultura di massa di quegli anni: un romanzo sensazionale di Wilkie Collins, grande amico di Dickens, gli uomini=sandwich pubblicitari che circolano esibendo la sigla H.E.L.Y.'S., «al gran cartellone di Mary Kendall, l'incantevole soubrette».

Giovanni Cianci, studioso del Modernismo inglese, del Movimento Vorticista inglese e dei suoi agganci al Futurismo di Marinetti, ha dedicato un'esemplare analisi all'episodio delle "Wandering Rocks" ("Simplegadi" o "Rocce erranti"), per mostrare che «la poetica futurista che esaltava il reale in tutta la sua fisicità, in tutto lo spessore di suoni, luci, colori, pesi e odori, era destinata a trovare in Joyce un interprete particolarmente attento».

L'ambizione di Joyce in «Wandering Rocks» è di rappresentare ciò che accade simultaneamente a diversi personaggi e cose. Senonché, diversamente che in pittura, in cui l'immagine sulla tela realizza istantaneamente la simultaneità, nella narrazione si insinua inesorabilmente la dimensione temporale - con un «prima» e un «dopo» - che ne annulla gli effetti. Da qui la soluzione tecnica di Joyce che, a salvaguardia della simultaneità di effetti, ricorre alla nota iterazione di segmenti narrativi appartenenti ad altre sezioni, inserendoli ex abrupto nelle varie sezioni in cui è strutturato il capitolo. Detti segmenti ripetitivi hanno la funzione di ricordare al lettore che mentre si svolge l'evento che legge accade simultaneamente quello che ha letto fittiziamente «prima» e quello che leggerà fittiziamente «dopo». Non si tratta già di interpolazioni con funzione di flasb-back come è stato impropriamente scritto, ma di frammenti narrativi il cui scopo è di azzerare il tempo fatalmente trascorso (o che trascorrerà) narrando le altre sezioni. Il capitolo è diviso in 19 sezioni. La brevità delle singole sezioni pertiene della natura stessa della esperienza urbana. Torna qui calzante quanto diceva Boccioni: «Nella vita moderna nulla è contemplato a lungo come nel passato». «Wandering Rocks» ha una straordinaria qualità documentaria. Ci restituisce fino alla minuzia variegati aspetti di Dublino colta in un breve arco di tempo (dalle 15 alle 16) nella giornata del 16 giugno 1904.

La simultaneità non è quindi istantanea ma perseguita per il lasso di tempo di circa un'ora: ciò che consente di coglierla sulla pagina anche in movimento, dinamicamente. L'effetto generale di artificio che ne consegue sembra doversi ricondurre, oltre che al peso delle sollecitazioni teoriche del futurismo, anche alle suggestioni sperimentali della pittura futurista centrate sul conseguimento della simultaneità. Nello spirito di una celebre tela di Carrà (Quel che mi disse il trarre, 1911) potremmo dare il titolo di Quello che mi disse Dublino all'affresco complessivo che ne sortisce. [...]

L'assunzione della città a protagonista, con l'appiattimento generalizzato di ogni altro elemento (precedentemente in primo piano) ha messo in crisi la narrazione omnisciente o il primato della voce monologante. Né la coscienza di Bloom, né quella di Stephen, né la voce impersonale narrante, sono egemonicamente presenti in «Wandering Rocks». La metropoli è la sede privilegiata della marinettiana «distruzione dell'io». La città complessa e multiforme non consente alcun monologismo. Ciò che subentra «polifonicamente» è la pluralità delle varie voci che sono le sezioni. Prevale ciò che Joyce, nello «schema» inviato a Carlo Linati nel 1920 (quando il romanzo era ancora in progress) indicava come «Oggetti», «Luoghi» e - con sensibilità futurista - «Forze». Senza più guida, il lettore deve fare da sé, avventurarsi da solo nel «labirinto» della città. Appare evidente qui l'analogia con la famosa prescrizione futurista di porre lo spettatore al centro del quadro aprendogli la possibilità di viverlo e interpretarlo. Non più passivo, il lettore-spettatore «non assisterà, ma parteciperà all'azione». Come nei quadri futuristi, lo spettatore-lettore di «Wandering Rocks» dovrà collocarsi al centro della città-teatro-spettacolo di Dublino e viverne integralmente - senza mediazioni - l'esperienza fatta di conati, temporanei smarrimenti, perplessità, equivoci.

Un'altra suggestione futurista è avvertibile in quei momenti del capitolo dove la realtà è colta anche nei suoi momenti di qui pro quo, di moltiplicazione e di sdoppiamenti dovuti a illusioni ottiche, a riflessioni di specchi.

«Is that Ned Lambert's brother over the way, Sam? What? Yes. He's like it as damn it. The windscreen of that motorcar in the sun there. Just a flash like that. Damn like him.»

«From the sidemirrors two mourning Masters Dignam gaped silently...»

Il discorso narrativo che consegna alla pagina questi fenomeni non sembra dimentico delle giustificazioni avanzate con tanto seguito di scandalo dal Manifesto tecnico della pittura futurista (aprile 1910): là dove, a spiegare la violazione delle norme convenzionali della rappresentazione, si rinviava alla esperienza necessariamente caotica dell'impatto di chi vive il fenomeno anarchico della città, fatto di vibrazioni, suoni, luci, rumori, ecc.

Infine si noti poi come non manchino in «Wandering Rocks» a sortire l'effetto complessivo della cité brúlante modernista nel generale fermento urbano caotico e rumoroso, certi ingredienti tipici esaltati dalla propaganda futurista: le corse in tram, le conversazioni all'aperto, tra il trambusto e il traffico della folla, le corse in bicicletta, la suggestione pervasiva dei cartelloni pubblicitari, la réclame vivente degli uomini-sandwich itineranti nonché l'attenzione rivolta alla personificazione e all'animazione delle cose stesse: il risalto dato alla navigazione del volantino buttato da Bloom nella Liffey, vero e proprio «personaggio» ricorrente in più sezioni. Né è assente il giornale con la funzione prodigiosa (tanto celebrata dalla pubblicità futurista) di far partecipe la comunità cittadina di eventi che coinvolgono collettività lontanissime, d'oltre oceano.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it