GRANDI SCRITTORI STRANIERI DEL 900
JAMES JOYCE


 

Luigi De Bellis

 


 

  Dall'Irlanda all'Europa  
Un ignoto e splendido uccello marino
Il multiverso urbano La narrativa  
Ulisse 
Gente di Dublino
Dedalus
Un caso pietoso

E si dissi si voglio si
 
 

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UN IGNOTO E SPLENDIDO UCCELLO MARINO

Nelle ultime pagine del quarto capitolo del Dedalus, dopo aver esorcizzato la tentazione della vocazione religiosa, l'anima di Stephen si esalta nella rivelazione del proprio destino di artista, che riverbera nei richiami dei compagni e nelle variazioni di un nome divenuto emblematico. La consapevolezza acquisita trasfigura la realtà circostante, eleva Stephen al di sopra e al di là della cerchia degli amici e si fonde con il paesaggio marino, spettacolare scenario della metamorfosi spirituale di Stephen. La concitazione dionisiaca del linguaggio dà prova della nuova sicurezza raggiunta da Stephen e si accompagna alla creazione di una vigorosa struttura simbolica, in cui il mare diviene centro di vita e di rigenerazione, sogno di un mutamento incessante, come ne La Tempesta di Shakespeare. Il turbinio delle immagini e delle sensazioni si arresta di fronte all'apparizione della fanciulla che assomiglia a «un ignoto e splendido uccello marino».
L'estasi del volo, che fa di Stephen un nuovo Icaro prima della caduta, conferma la dimensione mitologica dell'esperienza epifanica del giovane artista e collega la creazione artistica alla scoperta della sessualità. Ma nella pulsione estatica non si esaurisce la ricerca formale, che infatti riprende all'inizio dell'ultimo capitolo con la banale e impoetica descrizione della vita familiare, ben lontana anche dalle affettuose percezioni infantili: «Vuotò fino alle fecce la terza tazza di tè chiaro e incominciò a masticare le croste di pane abbrustolito sparpagliate accanto a lui:..».

All'inizio del quarto capitolo, il più corto fra tutti, lo slancio religioso si è già tramutato in stanca routine e la penitenza è diventata ridicola.

Stephen deve ricominciare la ricerca di se stesso che sembrava conclusa e rifiuta l'offerta del direttore di dedicarsi al sacerdozio, offerta che pure solletica il suo orgoglio, per ritornare alla realtà che si presenta squallida e ributtante.

L'alternativa che si offre a Stephen in questo momento è tra un ordine (la Chiesa) che è sterile e tra un disordine (la famiglia e la patria) che è ributtante e ostile all'artista. Considerando la struttura drammatica dei capitoli, Stephen deve qui apparire, nel momento che precede l'epifania decisiva, la visione, cioè, della ragazza sulla spiaggia, come completamente in balia delle cose, come rassegnato ad essere sopraffatto da esse. Dopo aver evitato il padre che lo aspetta all'Università, Stephen si avvia alla spiaggia.

Le grida dei compagni, che lo salutano come martire e eroe chiamandolo («Bous Stephanoumenos! Bous Stephaneforos!»), suonano in questo momento particolarmente ironiche, e lo spingono a cercare di riaffermare la propria identità. Per questo si ispira alla figura del «favoloso artefice» Dedalo, il padre spirituale.

Stephen, abbandonata l'adolescenza, si inoltra solo, con la sua anima, nel mondo misterioso della giovinezza. Il suo temperamento va in cerca di una bellezza romantica, che si manifesta nella visione della ragazza sulla spiaggia.

La natura «anfibia» della ragazza, essere di terra e di acqua, è simile a quella di Stephen-Icaro, essere di terra e di aria. La sensualità e la spiritualità sono fuse nell'immagine intensamente visiva e profana della ragazza; Stephen è trasportato dalla fantasia in un altro mondo.

Il tumulto del sangue e il languore sono ora conseguenza dell'abbraccio della forza materna della terra, in deliberato contrasto con i precedenti abbracci della prostituta e della Chiesa. I termini «mortale» e «terreno» diventano sinonimi di quella vitalità e energia che sono all'origine dell'opera d'arte, mentre perdono le connotazioni di grossolanità e volgarità. Stephen dovrà ora difendere la sua scoperta e affermarla nel mondo.

Un efficace approccio di tipo semiologico, in parte legato agli studi del critico russo J.M. Lotman (La struttura del testo poetico, Mursia, Milano 1980), è applicato da Claudia Corti che individua, nel brano che segue, «un vero e proprio campionario zoologico... pesantemente investito di valenze simboliche», entro cui spiccano le immagini taurine e ornitologiche che emergono con particolare evidenza nell'episodio del Dedalus qui riportato, ricollegandolo, tra l'altro, all'incipit del romanzo, dove, soggettivamente, la "scoperta" della vita, per il piccolo Stephen, si identifica con l'evocazione di una mucca, protagonista della favola raccontata dal padre: «C'era una volta tanto tempo fa una muuuuucca che veniva avanti lungo la strada, e questa muuuuucca che camminava sulla strada incontrò un simpatico ragazzetto a nome confettino... Questa favola gliela raccontava suo padre; suo padre lo guardava attraverso il vetro del monocolo: aveva una faccia pelosa. Era lui confettino. La muuuuucca veniva avanti lungo la strada dove abitava Betty Byrne; Betty vendeva zucchero filato al limone...» .

L'interesse specifico di queste note al Portrait consiste nel rintracciare nel testo quella lunga serie di categorie o unità semiche - di «terreno», appunto, animalesco - che fungono da paradigmi operativi di un sistema semiotico e semantico di vaste proporzioni, in cui è depositata, a mio avviso, una parte cospicua della significazione globale del romanzo.

L'operazione critica che mi propongo di compiere si presenta facile e difficile a un tempo: facile, perché le caratteristiche di coerenza e organicità del sistema di scrittura joyciano, consentono di mantenere, una volta la si sia intrapresa, una determinata rotta ermeneutica; difficile, poiché la fittissima rete di rimandi letterari, filosofici, mitico-religiosi ecc., che si diparte, circoscrivendola, da ogni singola immagine in quanto nucleo parziale di significazione, obbliga a continue e spesso faticose escursioni intertestuali ed extratestuali.

In tali escursioni - lo vedremo subito -, un percorso obbligato si dimostrerà l'orientarsi verso quei sistemi mitografici tramandati dalla tradizione ermetica, dove l'elemento teromorfico assume un ruolo (simbolico, allegorico, sacrale) assolutamente preponderante. [...]

Forme o qualità di uccelli vengono a costituire, nel romanzo, uno straordinario, esuberante campo di aggregazioni metaforiche, probabilmente stimolate anche dalla dimestichezza di Joyce con la mitologia celtica, nel cui deposito culturale-antropologico appare dominante l'idea di un legame metafisico fra creature volatili e anime individuali. Infatti, nelle antiche favole della tradizione britannica pre-cristiana, figure specificamente ornitomorfiche sono solite rappresentare gli «spiriti migranti» sia dei morti che dei vivi; esattamente come nella più colta letteratura ermetico-occultista, nella mitologia celtica le «anime peregrine» hanno la possibilità di assentarsi dai corpi fisici degli uomini, rivestendosi di un'altra forma, spesso animalesca, e più spesso ancora ornitomorfica, per manifestarsi agli occhi di chi è in grado di capire la loro vera natura. E Stephen dimostra di comprendere il nesso metafisico esistente fra uomini e animali, affermando direttamente: « We are all animals. I also am an animal» ["Siamo tutti animali. Anch'io sono un animale"].

Se questa originale affermazione del protagonista propone implicitamente una chiave di lettura del testo, la «cornice» del testo stesso, statutariamente dotata, come tutti sappiamo, di una precipua funzione codificante e modellizzante, fornisce elementi preziosi per convalidare una scelta ermeneutica. Infatti, deve invitarci a riflettere il fatto che così come l'incipit del romanzo è la raffigurazione di una mucca - «Once upon a time and a very good time it was there was a moocow coming down along the road...» ["C'era una volta tanto tanto tempo fa una muuuuucca, che veniva avanti lungo la strada..."] -, le immagini più significative del finale, ovvero le più appariscenti, vistose epifanie che sigillano il testo, sono forme di uccelli: le rondini (cui si accennava prima), il pipistrello, il falco.

Poi, all'interno di questa interessante cornice, si sviluppa una articolata e variata serie metaforica di figure animalesche, associate di volta in volta sia a Stephen che ad altri personaggi del romanzo, le quali compongono un repertorio immaginifico estremamente suggestivo: un vero e proprio campionario zoologico investito di peculiari valenze simboliche, del tipo degli antichi «bestiari» ospitati nella biblioteca personale di Joyce. E del resto, esiste una frase del Portrait assai significativa a questo proposito: «The most profound sentence ever written [...] is the sentence at the end of the zoology». ["La frase più profonda mai scritta [...] è la frase in fondo alla zoologia"].

Se è vero che il falco e il pipistrello costituiscono il nucleo ipersemiotico dell'essenzialità simbolica di Stephen Dedalus in quanto figura archetipica dell'Artista, è altrettanto vero che la più percettibile, forse perentoria forma di trasposizione metaforica posta dal testo riguardo all'eroe del romanzo, si istituisce con un animale tutt'altro che appartenente alla dimensione eterea; anzi, un animale terrestre e «terreno» (nel senso di un vitalismo materiale) per tradizionale antonomasia: il toro.

La figurazione taurina è infatti non solo la prima referenza simbolica del personaggio Stephen, ma ne costituisce addirittura una precipua identificazione. Converrà rammentare che nel finale del quarto capitolo, appena prima della visione della fanciulla nell'acqua che lo condurrà a una scelta esistenziale definitiva, Stephen viene chiamato per due volte consecutive, dagli amici che stanno facendo il bagno, con i nomi di Bous Stephanoumenos e Bous Stephaneforos. Ma già l'inizio di quella «epifanica» passeggiata in riva al mare si presenta segnato da una suggestiva implicazione taurina: avendo lasciato da poco il decano dell'istituto, che gli ha proposto di prendere gli ordini sacri, e ormai certo di non poter accettare quella proposta, Stephen imbocca la propria strada metaforica verso la vita artistica incamminandosi, anziché verso il collegio gesuita, lungo il tracciato del "Bull's Wall", ovvero semplicemente "Tbc Bull" [il Toro], come dicono i dublinesi..

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it