Una lettera accorata e una firma inconfondibile

Il Conte D'Almaviva sceglie l'esilio  


  5 Dicembre 2000

Ragazzo Spazzola
aveva quasi terminato il suo turno di pulizie domenicali a bottega, quando, spolverando la scrivania della cassa, si imbattè in una grande busta di carta pergamena, chiusa con un sigillo di ceralacca rossa. L’intestazione, a penna stilografica, era per Figaro e per tutti noi, e la precisione di quel carattere corsivo, roba da monaco amanuense, era già una firma: doveva essere una lettera del Conte d’Almaviva, senza alcun dubbio.

La sera, in pizzeria, convenuti per il nostro solito rito pappatorio, programmatorio e di bioenergetico autocompiacimento, l’abbiamo aperta. Improvvisamente, fra una margherita e un crostino alle alici, s’è fatto un religioso silenzio. Ce l’ha letta Rosina, che è la voce più bella del gruppo.

"Cari amici della bottega, e fratelli amati e ingrati che seguite "il Barbiere", ho deciso di sparire per un po’ di tempo. Mi ritiro a Caprera, in solitaria meditazione. Niente telefonino, abbiate pazienza: mi farò vivo io, di tanto in tanto, telegrafando. 

Sei mesi di lavoro indefesso al nostro amato sito, mi hanno incendiato l’orecchio destro ed esposto oltre ogni umana misura al campo elettromagnetico di questo demonio di un cellulare, come del resto è successo a tutti noi, qui a bottega. Per non parlare, poi, dell’impennata della bolletta bimestrale, ma qui mi fermo perché sto rasentando la volgarità e me ne rendo conto.

Parto abbacchiato e incacchiato per come è andata la sottoscrizione. Sapete quanto abbiamo raccolto fino ad oggi, da quei fratelli ingrati che con tanto accanimento ci cliccano? Porgiamo il dato alla pubblica meditazione: lire 930.000. Sì, e se non avete capito bene ve lo ripeto a lettere, come si fa quando si firma un assegno, "novecentotrentamilalire". La miseria di un milione. E’ come se trenta o trentacinque di loro, chessò, l’equivalente della redazione romana del Corriere in versione "doppio dorso", avessero offerto 30 mila lire, a nome di tutti. 

Non si vergognano? Tanto affetto, tanta stima, tanta riconoscenza per il lavoro che facciamo, lettere appassionate da parte di tutti, ma poi, quando si tratta di mettere mano al portafoglio, cominciano tutti a fischiettare facendo finta di niente, come i legionari romani davanti ad Asterix il Gallico.

Qualcuno dirà: abbiamo proposto un conto corrente postale e andare alla posta è complicato. Complicato andare alla posta? State scherzando, fratelli, vero? Se uno evita alcune date fatidiche, come la scadenza della seconda rata dell’Ici, anche alla posta, ormai, si fa tutto in un quarto d’ora. Un quarto d’ora, un sabato mattina: era una proposta oscena, la nostra? 

Qualcuno ha mai riflettuto seriamente su come noi, che vogliamo restare liberi a tutti i costi, possiamo continuare a mantenerci in vita e anzi a crescere, a forza di solo lavoro volontariato e di autofinanziamento? Sono "fatti loro", o piuttosto "fatti nostri"?

Chiariamo due cose. Primo, abbiamo sempre precisato che il finanziamento era del tutto volontario. Secondo, mai, a bottega, abbiamo pensato che potessimo andare avanti contando solo su questo. Certo, sarebbe bello che tutti e cinquemila o quanti siamo - devo chiedere a Don Basilio, il maniaco dei numeri, gli ultimi dati sui contatti – versassero 50 mila lire l’anno a testa: sarebbero 250 milioni, ve ne rendete conto? 

Con questi soldi si potrebbero pagare un paio di posti di lavoro e forse tre (niente "nero", tutto in chiaro) l’ufficio, i telefoni, le collaborazioni più assidue, migliorando ovviamente anche il servizio. Un sogno, i 250 milioni: ma ci bastava un decimo di questa somma per coprire le spese di gestione più urgenti, pur continuando a non remunerare il nostro lavoro: avremmo con un po’ più di calma potuto cercare l’occasione giusta per trasformare quello che è già oggi un successo di formula e di pubblico, in una buona riuscita anche economica.

Occasione complicata da trovare, non soltanto perché la vita su Internet è difficile per tutti. Ma perché il Barbiere è un sito particolarissimo e deve selezionare gli eventuali inserzionisti: non possiamo andare a chiedere soldi alla Fiat, o a Telecom, o a Rizzoli o a Fininvest. Dobbiamo salvaguardare il nostro bene più prezioso, l’autonomia, appunto.

Non vengano a dirci a dire che, se invece di aprire un conto corrente postale, avessimo proposto un pagamento via carta di credito, l’esito sarebbe stato diverso: quanto, tre milioni e mezzo invece di uno? Adesso i soliti soloni mi verranno a spiegare che sulla Rete la gente non vuole pagare nulla, e che Internet è come un esauribile distributore automatico in cui puoi trovare di tutto usando, per così dire, un solo gettone, e cioè la connessione di accesso remoto. 

Mi diranno (e so che anche a bottega qualcuno vorrebbe farlo): Conte, ma dove vivi? Non hai visto che anche Stephen King ha fallito? Già Stephen King, il più popolare dei romanzieri horror che dice basta al suo secondo libro pubblicato in Rete, "The Plant". Aveva stipulato un accordo d’onore con i suoi lettori: ogni capitolo che metto su Internet, mi mandate un dollaro. Vado avanti se i tre quarti di voi rispetteranno il patto. Poiché solo il 46 per cento ha messo mano fino ad oggi al portafoglio, tanti saluti alla rete, torno a pubblicare in libreria.

Ora, a parte il fatto che se il 46 per cento dei nostri clienti ci avesse mandato un contributo, noi qui saremmo tutti a festeggiare da Gualtiero Marchesi, credevamo che fra il Barbiere e i suoi lettori, che appartengono tutti alla stessa categoria professionale, si fosse stabilito un legame ben più solido, con connotati addirittura affettivi. E poi, altra differenza con King, noi non abbiamo mai preteso il contributo come "conditio sine qua non" per andare avanti. 

Ricordate, amici della bottega, l’estate scorsa, quando varammo l’operazione "Barber pride", con l’adesivo del Barbiere spedito a casa in busta chiusa con francobollo? Nemmeno in quella circostanza chiedemmo un contributo in cambio: lasciammo tutto alla discrezione dei nostri lettori, annunciando che, quanto prima, sarebbe stato possibile offrire un contributo. Credevamo che lo volessero in pochi, l’adesivo. 

Invece lo hanno prenotato oltre 300 colleghi. La sera, mentre con Rosina, Figaro, Costanza, don Basilio e gli altri leggevamo a voce alta le loro mail per poi imbustare il "tipo" che avevano richiesto (quello "normale" da appiccicare sopra, oppure in vetrofania, invertito, per la macchina) erano stati in molti, forse più della metà, ad annunciare un contributo volontario. Se ne sono dimenticati? E’ proprio vero che tra il dire e il fare…

Me la prendo cosi’ a cuore perché sono stato soprattutto io, a bottega, a credere nell’autofinanziamento. E non mi piace ammettere di aver sbagliato. Non mi piace perdere. Sento il bisogno di coccolarmi e di ritemprarmi, tuffandomi nel glorioso passato della nostra Nazione. Avrei voluto partire per Caprera il 25 settembre, quando l’esito della sottoscrizione era già chiaro: proprio in quel giorno, dell’anno 1849, Giuseppe Garibaldi approdò per la prima volta nell’isola, reduce dalla disavventura della Repubblica Romana.

Ho aspettato tutto l’autunno e adesso dico basta. Metto in valigia un baschetto e il poncho dei miei vent’anni: l’ho comprato nel settembre del 1973, quando gli Inti Illimani scappati dal Cile di Pinochet vennero in concerto a Roma, teatro Adriano. Che l’eroe dell’Indipendenza italiana curi le mie ferite. Che la forza del mare ritempri la mia".

Saluti a tutti e un bacio a Rosina
Il Conte d’Almaviva


 


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