Le interviste del Barbiere: Antonio Padellaro dell'Espresso

La cupa prigione del nostro disincanto


Figaro

  22 Novembre 2000

Succede che una sera di qualche anno fa il vice direttore dell’Espresso Antonio Padellaro guardi in tv una puntata di Moby Dick. Nessuno e’ perfetto. 

In studio, tra gli invitati di Michele Santoro, c’e’ un signore pugliese sui cinquanta, brizzolato e con i baffi, che si chiama Vittorio Gennari. Sua figlia Alessandra, 15 anni, e’ stata uccisa da un jet dell’aereonautica militare italiana. 

Ricordate? Naturalmente no. Era il 6 dicembre del 1990. Nei cieli di Bologna, il pilota di un Aermacchi da addestramento perse il controllo dell’apparecchio dopo aver invano tentato di atterrare. Il pilota si lancio’ col paracadute e l’aereo continuo’ la sua corsa fino a schiantarsi su una scuola di Casalecchio sul Reno. No, cerchiamo di essere piu’ precisi: l’aereo entro’ letteralmente nell’aula della II A dell’Istituto tecnico Gaetano Salvemini, dalla finestra, massacrando 12 ragazzi. Tra cui Alessandra Gennari.

In trasmissione, Gennari parla poco della sua vicenda. Si sa come vanno queste cose. Esigenze di scaletta della trasmissione. Padellaro prende un foglietto e ci scrive su: "Vittorio Gennari. Casalecchio sul Reno", ripromettendosi, prima o poi, di  andarlo a trovare.

Da quell’incontro, avvenuto mesi dopo, tra Vittorio Gennari e Padellaro, e’ nato un libro che sta ora per uscire (il 5 Dicembre) pubblicato da Baldini e Castoldi. Si chiama "Senza cuore, diario cinico di una generazione al potere". 

Come i lettori del Barbiere sanno, nel nostro sito c’e’ una pagina dedicata ai giornalisti che scrivono libri. Ma qui non si tratta di fare un po’ di pubblicita’ a un collega. "Senza cuore", e’ un libro malinconico, severo e anche spietato sui giornalisti (e sulla politica),  sui giornali italiani, sulle regole che li governano, sulle scelte che compiono. Sul perche’, tanto per capirsi, tra la storia di Vittorio Gennari e di sua figlia, e il menu’ della cena consumata dai grandi di Mediobanca in piazzetta Cuccia, e’ il menu’ a trovare piu’ spazio, pagine, fotografie, e per contorno il parere di Vissani. Cosi’ qui a bottega abbiamo deciso che "Senza Cuore" valeva una chiacchierata con il suo autore. 

Padellaro, cosa ti ha raccontato Gennari?

"La sua storia. La morte di sua figlia, un giorno qualunque, a scuola. Mi ha raccontato dello Stato che, dovendo decidere se difendere gli interessi degli alunni di una scuola pubblica o sostenere l’aeronautica militare, ha scelto l’aeronautica. 

Della magistratura che ha assolto il pilota di quell’apparecchio. Di come i politici hanno ignorato il caso. Di come i giornali se ne sono disinteressati. E mi ha chiesto: scusi, Padellaro, ma che abbiamo fatto di male per essere trattati cosi’? Perche’ nessuno ci sta a sentire?".

Gia’, perche’? Spiegacelo tu che ci hai scritto un libro. Cosa rispondi?

"Fosse facile... Cominciamo da una sensazione sempre piu’ evidente. Oggi, se ti presenti in riunione di redazione proponendo novita’ sul caso Ustica (dico Ustica, tanto per intenderci, ma potrei citare dozzine di altre storie) ti guardano maluccio. Gli occhi dei tuoi interlocutori dicono "basta, che noia, non se ne puo’ piu’". 

Bada bene che anche io avrei le stesse reazioni. Io sono un dente di questo ingranaggio. E capisco bene che di queste storie ne abbiamo avuto abbastanza. Abbiamo spalmato pagine e pagine di "rivelazioni" e scoop. Alla fine subentra l’abitudine, l’assuefazione. Dal "che noia", si passa poi facilmente al "chissenefrega".

Categoria "argomenti sfigati"?

"Esatto. Ci sono gli argomenti sfigati. Non siete stati voi del Barbiere a scrivere che Carlo Rossella "si rattrista", quando sente parlare di queste cose? E’ proprio cosi’. Stragi, barboni per le strade, handicappati, emarginati, semplicemente non fanno notizia. Non vogliamo rattristarci e rattristare. Non vogliamo essere ansiogeni e servire ansia al pubblico". 

Ma forse anche i lettori non ne possono piu’.

"Ti sbagli. Non ne possono  piu’ di come glie li raccontiamo noi. Io credo che non sappiamo farlo nel modo giusto. Per il giornalismo italiano ogni storia diventa il pretesto per raccontare uno scontro tra poteri, non, piu’ semplicemente, una storia. Troppa ideologia e poca cronaca. 

La realta’ e’ spesso estromessa dalle pagine dei giornali, quando non e’ funzionale allo scontro tra poteri. Lo scontro e’ l’unica cosa che ci piace veramente. Vuoi mettere quant’e’ piu’ bella la battaglia per Mediobanca paragonata alla tragedia di Vittorio Gennari? Dubito pero’ che i lettori siano sulla stessa lunghezza d’onda dei giornali".

Va bene, abbiamo assodato, e lo sapevamo anche prima, che esistono gli argomenti sfigati. Ma ancora non abbiamo capito qual e’ il motivo di questa repulsione per le storie alla Gennari. 

"Il disincanto".

Sarebbe a dire?

"Sarebbe a dire che nel nostro modo di fare giornalismo non c’e’ piu’ cuore. Insomma, porca miseria, se uno fa il giornalista dovra’ pure avere dentro non dico tanto, ma una briciola del famoso fuoco sacro, un sentimento di partecipazione civile, insomma un buon motivo".

Scusa Padellaro, ma tu l’hai proposto al tuo giornale un pezzo sulla vicenda di Gennari?

"No. Te l’ho detto. Anche io sono prigioniero del disincanto. Provo a rifletterci e questo mi sembra gia’ un passo avanti. Insomma, proviamo a vederla cosi’. Se a un giovane giornalista tu proponi di occuparsi di Mediobanca, tanto per continuare con l’esempio che abbiamo gia’ fatto, o di andare a raspar fango in una storia di cronaca, cosa credi che preferisca? Andare a parlare con Maranghi e Romiti o con Vittorio Gennari?

Nei giornali c’e’ merce considerata, secondo me a torto, piu’ pregiata di altra. Quanto a me, te lo ripeto, io sono un testimone esemplare di questo ingranaggio. Figurati, sono cresciuto nel giornalismo politico, nella frequentazione del potere. Ma ti dico anche che, parlando con VittorioGennari io ho ricominciato a riflettere sul mio lavoro".

Giungendo a quali conclusioni?

"Ovvio. Che cosi’ non va. Non va nel giornalismo, non va nella politica. Senza Cuore e’ anche un libro sulla mia generazione che oggi e’ al potere, in politica come nell’informazione.

Parlo del potere emergente (Berlusconi & Co) ma anche e soprattutto della sinistra che in questi ultimi anni ha avuto in mano la stanza dei bottoni. 

Voglio essere piu’ esplicito. Io non mi aspetto che l’onorevole Tal dei Tali di Forza Italia prenda a cuore la tragedia di Vittorio Gennari e tanti casi come il suo. Pero’ mi fa impazzire l’idea che anche la sinistra se ne infischi. E’ una sinistra senza cuore, appunto, che va, meritatamente, verso la sconfitta elettorale. Niente cuore, niente generosita’ d’animo. Non era la sinistra che doveva occuparsi dei piu’ deboli, degli sventurati, dei poveracci? Ecco cosa mi fa rabbia. Anche la sinistra e’ oggi omologata a questa politica del potere.".

Sei duro.

"Duro? Fin troppo tenero. Gennari mi ha detto: "Io vengo dalla Puglia, e quando mi sono trasferito a Bologna ero felice. Una citta’ solare, una citta’ dove batte il cuore della sinistra. E invece...tutto quello in cui credevo e’ stato smentito dai fatti". Intendiamoci, qualcuno si e’ dato da fare, come per esempio il comune di Casalecchio e l’associazionismo locale. Ma nulla piu’ di questo. E allora io dico che una sinistra che non si occupa di Gennari merita di perdere voti e dei giornali che si comportano allo stesso modo meritano di perdere copie".

Torniamo al nostro lavoro. Il giornalismo. Torniamo al cuore.

"Mah, io sono pessimista. Vedo in giro un’idea un abbastanza distorta di giornalismo. Lo sai qual e’ il giornale che amo di piu?’".

Dimmelo.

"Dopo l’Espresso, naturalmente. L’Internazionale. Mi capita solo li’ di leggere inchieste pubblicate dai grandi settimanali d’informazione stranieri, scritte da giornalisti che pedalano, vanno, vedono, interrogano i testimoni. Ma tu lo sai cosa sono e cosa fanno le banche etiche nel Pakistan?".

Banche etiche? Pakistan?

"Ecco, appunto. Prova a proporre al tuo direttore un’inchiesta sui programmi di intervento delle banche etiche nei paesi del Terzo Mondo. Vedrai che ti risponde. Certo, ci vogliono per questo investimenti importanti. Devi mandare un inviato un mese li’ e poi pubblicargli quindici cartelle. Ma chi lo fa? Nemmeno i grandi giornali, quelli che ne avrebbero i mezzi".

Nel tuo libro racconti qualche siparietto delle riunioni di redazione.

"Si’. Racconto quelle che vengono chiamate le messe cantate. E soprattutto i silenzi. I silenzi dei giornalisti. I silenzi di chi non propone mai nulla per timore di vedersi bocciare un’idea dal direttore".

Ma se tu stesso, che sei un vicedirettore, non sei stato capace di lanciare il caso Gennari all’Espresso.

"Ancora? Te l’ho detto. Io non mi chiamo fuori da questa palude. La racconto. Ho nelle orecchie il dialogo tipo tra redattore e direttore. "Perche’ non ci occupiamo dello scandalo tal dei tali?". Risposta: "Cosa abbiamo di nuovo?". Niente, ovvio. Avere qualcosa di nuovo e’ una scelta. Si va, si cerca, si lavora e vedrai che qualcosa di nuovo viene fuori. Stiamo sprofondando nella pigrizia mentale. Come dicevo prima, nella prigione del nostro disincanto".

Bella questa. Dopo "L’inverno del nostro scontento" di Steinbeck, "La prigione del nostro disincanto" di Antonio Padellaro. Ci faccio il titolo.

"Bah, c’e’ mica tanto da ridere, sai. Se non ripartiamo da una lettura piu’ approfondita e civile del nostro lavoro..."

Ora faccio un commento da pensionato. Vent’anni fa non era cosi’.

"No, e’ vero. Ma perche’ c’era da fare la rivoluzione contro i cattivi, o almeno cosi’ molti di noi pensavano. Ma sono categorie che non hanno piu’ senso. Ora c’e’ troppa stanchezza. Siamo come estenuati. Qualcuno ha giustamente osservato che se telefoni alla Camera alla Commissione Stragi c’e’ una centralinista che risponde. "Stragiiii, buongiorno", come fosse la Telecom. Stragi. Una parola che non significa piu’ niente. Dopo 20 anni c’e’ chi ha perso ogni fiducia. E ha scelto il potere come punto di riferimento personale, intellettuale, morale. E questo si chiama cinismo, o, appunto disincanto".

Meglio disincanto.

"Sara’, ma non cambia molto. E’ che siamo passati attraverso troppe delusioni. Pensa alla storia di Mani Pulite, quante illusioni ci aveva dato. L’idea (al di la’ ora di ogni degenerazione giudiziaria) che fosse possibile coniugare la politica e il potere con l’idea dell’onesta’. E’ un concetto semplice, di quelli che illudono, che danno una fugace speranza. Com’e’ finita? Antonio Di Pietro e’ oggi un politico come gli altri. Ora torna anche Nicolazzi. Esiste ancora il Pool di Milano? C’e’ ancora chi pensa che il potere debba essere gestito per servire i cittadini?".

Forse esageri un po’. I giornali non sono mica tutti da buttare.

"Ma per carita’. Non lo penso affatto. Che bello quando il Corriere della Sera manda un inviato a vivere per alcuni giorni la vita dell’extracomunitario e poi la racconta. Che bello, e qui cito il mio giornale, quando l’Espresso pubblica un’inchiesta con i controbaffi su come ha fatto i soldi Berlusconi, che pochissimi, almeno in Italia, riprendono. L’abbiamo riletta sui giornali stranieri come Le Monde. Ma ti pare normale? A me no".

Senza cuore. E come lo ritroviamo questo cuore secondo te?

"Non saprei. E’ facile dire cambiamo approccio. Occupiamoci meno della cronachetta politica e cerchiamo di capire i desideri e i problemi della gente comune. Vedi, ormai i giornali applicano la famosa regola di Enrico Cuccia. I lettori si pesano e non si contano. Non e’ vero. Un giornale deve contare i propri lettori. Non sono importanti solo quelli che al mattino sulla scrivania si ritrovano la mazzetta. Quelli nemmeno li pagano i giornali. Sono gli altri che contano, quelli che scuciono 5 mila lire per comprare l’Espresso".

Si’ ma non hai risposto.

"Va bene. Cominciamo insegnare di nuovo nelle scuole di giornalismo come si fa il giro di cronaca per questure e ospedali. Cominciamo a chiedere ai lettori, non qual e’ l’articolo che e’ loro piaciuto di piu’ bensi’ quale articolo vorrebbero leggere. Facciamo diventare pezzi i box e i box, pezzi".

Pardon?

"Esempio. Caso mucca pazza. E’ sbagliato fare il pezzo principale su come la comunita’ europea si e’ divisa sulla mucca pazza con un box sui cibi sani. Pezzo sui cibi sani e box sull’Unione europea. Cosi’ e’ meglio".

Hai scritto un libro per liberarti da un senso di colpa, tu, vice direttore di un grande settimanale d’informazione. Ti senti meglio ora?

"No".

Ma se tutto va come previsto avrai un giornale tutto per te, l’Unita’. 

"Innanzi tutto non avro’ un giornale tutto per me. In secondo luogo non so se andro’ a fare il condirettore dell’Unita’. Ma se mai dovesse accadere, si’, stai pur sicuro che mi ricordero di Vittorio Gennari".

Figaro
 

E poi c'e' il dibattito


 


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