Composti tra il febbraio 1890 e il maggio del '93, i testi del Poema paradisiaco
(che inizialmente l'autore avrebbe voluto chiamare Margaritae ante porcos)
furono raccolti e pubblicati insieme con le Odi navali. Entreranno poi a far
parte del corpus di tutte le opere di Gabriele d'Annunzio, costituendo parte del
IV volume dell'Edizione Nazionale del 1930.
La struttura generale del libro è quella dì un canzoniere. In apertura è
collocata l'ode dedicatoria Alla nutrice; chiuse, poi, fra un «Prologo» (che
consta di cinque poesie) e un «Epilogo» (anch'esso composto di cinque poesie),
stanno le tre sezioni o «esorti» : «Hortus conclusus» (nove poesie), «Hortus
larvarum» (diciassette) e «Hortulus animae» (diciassette), per un totale di
cinquantaquattro componimenti.
La prima delle tre sezioni presenta la stanchezza morale indotta dalla smodata
passione e la conseguente impossibilità di amare («Voi
non mi amate ed io non vi amo. Pure / qualche dolcezza è nella nostra vita / da
ieri: una dolcezza indefinita / che vela un poco, sembra, le sventure / nostre e
le fa, sembra, quasi lontane»),
che sono sentimenti traducibili nella dolce malinconia musicale dei ricordi («Oggi,
per far più cupo il tuo pallore, / [...] / evocherò, come più tristemente / non
volli mai - con una melodia / infinita, continua, che sia / senza numero quasi
-, un grande amore / passato, un grande lontano dolore»).
E non a caso, ma piuttosto per quel tratto di continuità che D'Annunzio volle
dare a questo suo "canzoniere", la seconda sezione si riferisce alle «larve» del
tempo passato e per sempre perduto: «I nostri sogni vani / chiamano i tempi che
non sono più». Nei componimenti successivi, infatti, è tutto uno svilupparsi di
motivi legati alla stanchezza memoriale, a «giardini chiusi» e inaccessibili
come un irrecuperabile passato, a statue mute e mutile, a ombre, silenzi, mani e
volti di un passato che non torna più; sono i motivi della crepuscolare stagione
del superuomo che si riposa prima della rinascita.
La terza sezione, proseguendo sulla strada della seconda, canta ancora dolci e
malinconiche memorie, tenere immagini di estenuata morbidezza, pur tradendo la
segreta speranza di una prossima rinascita alla vita, anche attraverso la
concentrazione mistica: «Alzatevi
al mio Dio, / congiunte, e voi pregatemi la morte / se troppo è dolce al mio
peccato il sonno»,
anche se, infine, la speranza resiste all'idea della morte «Ancora
qualche rosa è ne' rosai. / Sarà domani quel che non fu ieri».
Sullo stesso tono di attesa di un'alba nuova e di una vita nuova si chiude
l'Epilogo del libro: «Nuova
morte ci attende. Ma in qual giorno supremo, / o Fato, rivivremo? / [...] /
Uomini, su le cime/splende l'Alba sublime!».
L'apparente contraddittorietà di una scelta di scrittura decisamente "in
pianissimo" (rispetto ai clamori cui lo stile di D'Annunzio ha abituato i suoi
lettori), non è comprensibile se non nel quadro di una serie di riferimenti
storico-culturali di grande rilievo, che svelano la totale modernità europea
dell'opera: non solo il simbolismo francese - di cui D'Annunzio enfatizza l'idea
della purezza del segno linguistico e del suo valore analogico ed evocativo -,
ma anche il preraffaellismo inglese e i miti iconografici connessi, il
misticismo russo, il wagnerismo mitteleuropeo. Ma, soprattutto, il Poema
paradisiaco è un'esperienza di linguaggio, un itinerario che si sviluppa e si
consuma entro nuove potenzialità della lingua: la strategia con cui D'Annunzio
dispone il materiale del suo "canzoniere" è legata all'idea della coincidenza
tra la quotidianità e il simbolo, tra la lingua parlata e la musica che essa è
capace di comporre.
Il Poema paradisiaco è uno dei nuclei poetici dell'intera produzione dannunziana
su cui la critica è stata più severa. Alcune volte si è cercato di circoscrivere
e limitare il valore del libro con formule come falsa stagione della «stanchezza
dei sensi» o dei «buoni sentimenti», e però di una «bontà che rende un suono
falso e appiccicoso, benché di una falsità sempre squisitamente atteggiata e
sempre autentica nella voluttà che le giace al fondo» (Eurialo De Michelis);
altre volte si è cercato di additare nel Poema paradisiaco «la migliore raccolta
di D'Annunzio, perché è l'unico caso in cui il suo manierismo ha qualche
sottigliezza e qualche mistero» (Pier Paolo Pasolini). Resta il fatto che, dato
il carattere fortemente sperimentale e innovativo di questo libro, esso è fonte
importantissima della storia linguistica e poetica dell'intero Novecento.
Il linguaggio poetico dannunziano, di difficile traducibilità, è alla base della
scarsa fama che il poeta, rispetto al romanziere, ha avuto all'estero. In
Francia, per esempio, frammenti del Poema paradisiaco sono stati tradotti solo
nel 1912 a cura di Georges Hérelle nel volume: Gabriele d'Annunzio, Poèsies 1878
- 1893. La "musicalità" della parola e del verso, di contro, ha motivato i
tentativi di interpretazione musicale di alcuni tra i più importanti compositori
italiani. Nel 1916 Francesco Paolo Tosti musicò i due poemetti La sera
(suddiviso in un'introduzione e cinque romanze intitolate con alcuni dei primi
versi delle strofe dannunziane) e Consolazione (suddiviso in otto romanze).
Tra le edizioni postume va segnalata quella nella collana «I Classici
contemporanei italiani», Versi d'amore e di gloria, a cura di Egidio Bianchetti,
1950; più attendibile, perché corredata di un buon apparato critico, è
l'edizione nella collana «I Meridiani».
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