Anche questo romanzo, come gli altri di D'Annunzio, risente di una "ideazione"
lunga e complessa. Pubblicato nel 1900, Il Fuoco è già presente alla mente
dell'autore dall'autunno del 1894, come risulta da una lettera del 27 ottobre al
suo traduttore francese Georges Hérelle. Recenti indagini filologiche hanno
stabilito con esattezza le fasi di stesura del romanzo, interamente redatto tra
il 1896 e i primi mesi del 1900: «Fra il 14 e il 20 dicembre 1896 furono scritte
le pagine dell'Epifania del Fuoco fino a tutto il discorso in Palazzo Ducale;
tra il febbraio ed il settembre 1897, le pagine incentrate sull'esecuzione
dell'Arianna di Marcello; fra il settembre 1899 (l'Epifania del Fuoco fu
terminata il 27) e il febbraio 1900, tutto il resto» (Ivanos Ciani). Dopo
l'edizione Treves, il romanzo è stato accolto nel XXVII volume dell'Edizione
Nazionale con data editoriale 1930.
Non c'è, nel Fuoco, alcuna suddivisione in tema - capitoli, paragrafi - che
guidi una lettura per blocchi narrativi. Lo spazio bianco, interposto in precise
parti del testo, sembra avere la funzione di distinguere solo le "scene" in cui
si articola questa grande sinfonia bipartita nei due grandi "tempi"
rispettivamente titolati «I. L'Epifania del Fuoco» e «II. L'impero del
silenzio». Se si considerano gli stacchi tipografici davvero come partizioni
interne ai due tempi del romanzo, allora il primo, «L'Epifania del Fuoco»,
risulta composto da undici scene, mentre il secondo, «L'impero del silenzio», da
diciotto.
La storia d'amore tra Foscarina (chiamata anche Perdita), attrice non più
giovane ma all'apice della fama, e il giovane intellettuale Stelio Effrena,
circondato da una folta schiera di ammiratori e sostenitori del suo genio
eccezionale di artista, rappresenta il nucleo fondamentale della vicenda
romanzesca che si svolge a Venezia. L'ambientazione nella città lagunare è tutt'altro
che tema di sfondo; essa, anzi, è forse la protagonista effettiva del romanzo,
rappresentando simbolicamente i poli (fuoco e acqua, come anche luce e ombra,
pieni e vuoti, tutte alternative metafore di vita e morte) entro cui si dipana
l'intera vicenda. Le pagine del Fuoco sono state vergate, in effetti, quasi
inseguendo sul piano della scrittura un'armonia di pieni e di vuoti, di ombre e
di luci, di silenzi e di musica. Questa volta, però, la musica non è data solo
dalla sonorità della parola in sé - magari anche ben legata in un completo
disegno ritmico alle altre parole -, bensì dai periodi interi, dalle pagine,
dagli stacchi tipografici che impongono il "silenzio", secondo un disegno di
armonia totale che ha molti tratti in comune con le teorie musicali di Richard
Wagner (il cui nome, non a caso, ricorre frequentemente nel romanzo).
Stelio Effrena si trova a Venezia per pronunciare, in una sala del Palazzo
Ducale, un solenne discorso intorno al valore dell'arte e al ruolo che essa ha
nella società moderna. Il suo discorso è fondato su un concetto esclusivo di
Arte (con la maiuscola), per cui essa, nata dal concorso di poesia, musica e
danza, è lo strumento grazie al quale avviene l'epifania della Bellezza come
valore eterno e ideale. L'artista, esclusivo e singolare veicolo di quella
Bellezza, la comunica con la propria opera alle masse incolte e affannate nei
gorghi delle quotidiane miserie: « In quell'ora», si dice di Stelio, «egli non
era se non il tramite pel quale la Bellezza porgeva agli uomini, raccolti in un
luogo consacrato da secoli di glorie umane, il dono divino dell'oblio. Egli non
faceva se non tradurre nei ritmi della parola il linguaggio visibile con cui già
in quel luogo gli antichi artefici avevano significato l'aspirazione e
l'implorazione della stirpe. E per un'ora quegli uomini dovevano contemplare il
mondo con occhi diversi, dovevano sentire, sognare e pensare con un'altra anima.
Era il sommo beneficio della Bellezza rivelata; era la vittoria dell'Arte
liberatrice su le miserie e su le inquietudini e su i tedii dei giorni comuni».
È questo il Leitmotiv dell'intero romanzo: una disperata invocazione dell'arte
moritura di fronte all'ideologia economicistica del mondo borghese. Corre lungo
tutte le pagine una forte presenza del verbo nietzschiano. Chiuso nella turris
eburnea di una contemplazione quasi estatica dell'arte, Stelio Èffrena impersona
una sorta di «superuomo letterario», mentre l'aspetto morale resta completamente
al di fuori del romanzo; ogni questione etica è, per D'Annunzio/Stelio,
traducibile e risolvibile in dimensione estetica.
Stelio Effrena realizza in sé il connubio tra idea ed espressione, e comunica al
"volgo" la Bellezza per il tramite della Parola. Tale Bellezza è l'ultima arma
rimasta all'artista per proclamare la sua assoluta indipendenza contro i degradi
e le miserie della società borghese che si fonda sull'interesse, sul lavoro,
sulla speculazione economica. Il progetto di un nuovo teatro vagheggiato da
Stelio, sia nei contenuti ideali sia nella sua consistenza materiale (sarà un
teatro fatto di movimento, musica, danza e parola, e sarà collocato fisicamente
a Roma, sul Gianicolo: «noi avremo sul colle romano un teatro di marmo»), occupa
le pagine centrali del romanzo, e l'interlocutore privilegiato, in questo caso,
sarà l'amico di Stelio, Daniele Glauro. Intanto, Stelio e Foscarina proseguono
la loro storia di cui, però, già intravedono la fine. Tutta la restante parte
della narrazione è infatti occupata da lunghe e lente passeggiate, in autunno,
attraverso gli spazi incantati della città, dove i due protagonisti scoprono le
reciproche debolezze d'amore: da una parte Foscarina, prossima alla vecchiaia,
si attacca sempre di più al giovane amante, sia per un doloroso bisogno di
affetto sia per una nevrotica reazione alla propria senescenza; dall'altra
Stelio si compiace di questo amore e ne continua a stimolare la presenza in modi
a tratti crudeli. Celebre è rimasto l'episodio della passeggiata nel labirinto
della Villa di Stra, in cui la Foscarina, impaurita da un improvviso abbandono,
continua a gridare il nome di Stelio, mentre questi, appunto un po' crudelmente,
si nasconde senza risponderle. In breve, però, entrambi prenderanno coscienza
dell'impossibilità di evitare la fine della loro storia; la Foscarina,
dimostrando una forza morale maggìore di quella di Stelio, prende la decisione
di troncare il loro rapporto e parte per l'America, dove continuerà la sua
carriera di attrice drammatica, mentre Stelio rimarrà solo in una Venezia che
sembra prepararsi alla rinascita, in unisono con l'imminente primavera. In
contrasto con tale attesa, sta l'ultima immagine del romanzo che registra la
morte e i funerali di Wagner. Stelio e i suoi amici porteranno sulle spalle la
bara del grande musicista, per la cui morte il mondo intero parve «diminuito di
valore».
Fin dalla sua prima pubblicazione (cui si accompagnò la polemica intorno alla
"moralità" dell'autore, il quale aveva riportato, spietatamente, nelle pagine
del libro la sua storia con Eleonora Duse), il romanzo venne accolto come la più
alta testimonianza e la più completa definizione della poetica dannunziana. Non
solo amici e sodali di D'Annunzio ebbero a scrivere che «Il Fuoco è la sintesi
di tutta la vita e di tutta l'opera di Gabriele d'Annunzio, è l'espressione
ultima della sua maestria e della sua inquietudine, è un addio inesorabile ed è
un inatteso riconoscimento» (Angelo Conti), ma anche critici severi nei
confronti della sua scrittura ammisero il carattere eccezionale di quest'«opera
d'arte» in cui «egli mostra con maggiore evidenza i segni della sua lenta ma
poderosa trasformazione, dando più meravigliosa consistenza al suo stile, più
diamantina limpidezza alle sue immagini» (Luigi Capuana).
A testimonianza dell'immediato successo del libro e della sua rapida diffusione
in Europa, sta il fatto che nello stesso anno dell'edizione italiana venne
pubblicata la traduzione tedesca, e l'anno successivo quella francese.
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