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(1920)
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Su
passu |
Il
numero dei partecipanti a questo gioco era imprecisato e poteva
arrivare anche a quindici e più elementi.
Il posto più adatto per giocare era uno spiazzo all’aperto,
di solito nel piazzale antistante la chiesa dove si riunivano
le varie “greffe”.
Per la preparazione del campo da gioco era sufficiente tracciare
una linea per terra e non occorreva nessuno strumento o materiale.
Le abilità richieste erano l’agilità e l’attenzione.
Una volta designata, tramite conta, la persona che doveva “stare
sotto”, questa si avvicinava alla linea precedentemente
tracciata per terra, sfiorandola con l’esterno del piede sinistro.
Doveva stare con la schiena ricurva, la gambe ben dritte ma
leggermente divaricate , le mani appoggiate contro le ginocchia:
questa posizione era la più adatta per meglio sopportare il
peso degli altri compagni che uno alla volta dovevano saltare
poggiando le mani sul malcapitato.
Se qualcuno ,nel saltare, superava la linea tracciata per terra,
prendeva il posto di chi “stava sotto”: quest’ultimo
poteva facilmente controllare
se ciò avveniva volgendo leggermente il capo.
Toccare la linea già dal primo salto era comunque molto raro.
Dopo ogni “tornata”, cioè dopo ogni giro, chi “stava
sotto”, faceva “unu passu”, misura ottenuta mettendo
in posizione perpendicolare il tacco del piede destro contro
l’interno del piede sinistro e portando immediatamente questo
contro la punta del piede destro.La nuova posizione dei piedi
era pressochè parallela alla linea di partenza.
Ad ogni passo potevano corrispondere venti-venticinque centimetri:
man mano che il gioco andava avanti era naturalmente più difficile
saltare il compagno senza toccare la linea.
In segno di dileggio c’era chi, nel saltare, dava una “granata”,un
colpo
più o meno forte con il tacco del piede sul sedere del compagno.
Ma c’era anche chi, offeso dai continui e pesanti calci, si
abbassava improvvisamente, facendo rovinare malamente a terra
il “nemico” che in quel momento saltava, con immaginabili
conseguenze e con una fine del gioco tutt’altro che pacifica.
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