In questo tratto il Po é popolato dalle seguenti
specie: ANGUILLA,
BARBO, CARPA, CAVEDANO, LAMPREDA, LASCA,
LUCCIO, SANGUINEROLA, SCAZZONE, TEMOLO, TROTA e VAIRONE.
ANGUILLA:
Ordine Anguilliformi - Famiglia Anguillidi.
Il nome deriva dal latino ANGUIS - serpente
- con evidente riferimento alla sua forma (ANGUILLA ANGUILLA). Il maschio
non supera mai i 50 cm di lunghezza ed i 500 gr di peso e vive al massimo
15 anni. La femmina, invece, supera i 50 cm con punte fino a 150 cm. Il
suo peso medio é di 2 kg, ma può raggiungere anche i 5 kg. Da adulta viene
denominata capitone e può vivere fino a 50 anni. Per raggiungere età così
vetuste, e questo vale anche per il maschio, bisogna che accada qualche
imprevisto che ne impedisce il ritorno al mare. Se ciò accade,
nell’anguilla scompare l’istinto sessuale ed essa diventa sedentaria.
Negli induvidui giovani il colore può variare: sul dorso dal grigio -
verdastro al marrone cupo, sull’addome dal bianco al giallastro. Dopo 8
anni di insediamento nelle stesse acque, l’anguilla raggiunge la maturità
sessuale e la livrea assume i colori nuziali: il dorso diventa nero, i
fianchi e la pinna dorsale si fanno rossicci, mentre il ventre assume una
colorazione argentea.
Come avvenga la riproduzione di questo
pesce é tutt’ora un mistero; al riguardo, infatti, esistono molte teorie e
tra queste la più accreditata é quella del danese Schmidt (1922). Secondo
questo studioso, le anguille si riprodurrebbero nel mar del Sargassi, una
zona dell’Oceano Atlantico compresa tra le Antille e le Azzorre, a 500 mt
di profondità. Qui gli adulti depongono le uova, poi muoiono. Le larve,
appena nate, si dirigono verso le coste europee trasportate dalla Corrente
del Golfo. Tra andata e ritorno é un viaggio di oltre 4000 km.
Dall’aspetto iniziale trasparente, subiscono una profonda metamorfosi,
diventando simili all’adulto (CECHE o CIECHE). Poi risalgono i fiumi
arrivando a popolare stagni e paludi. Qui si stabilizzano fino al
raggiungimento della maturità sessuale (che arriva verso il 13° anno) per
poi riprendere a ritroso il viaggio dell’andata. L’anguilla é lucifuga,
cioé rifugge la luce del sole. Nelle ore diurne se ne stà acquattata sul
fondo, sotto i sassi e dove l’acqua é più profonda e quindi arriva meno
luce, oppure tra la vegetazione acquatica. Al tramonto, da spietata
cacciatrice qual é, lascia il suo rifugio e parte alla ricerca di piccoli
pesci, ranocchi, girini, insetti, uova di altri pesci e, essendo onnivora,
di qualsiasi cosa possa essere commestibile. L’anguilla sopravvive molto
tempo fuori dall’acqua e non sono rari i suoi spostamenti da uno specchio
d’acqua all’altro. La carne dell’anguilla é molto ricercata e fiorente è
il mercato attorno ad essa (vedi Comacchio).
BARBO COMUNE:
Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.
Il nome
deriva dal tardo latino BARBUS, barbiglio, in quanto presenta sul muso un
doppio paio di vistosi barbigli. Oltre al barbo comune (BARBUS BARBUS
PLEBEIUS) esiste, in questo tratto del Po, anche il BARBO CANINO (BARBUS
MERIDIONALIS).
Il barbo
comune può raggiungere i 15 kg di peso ma, di regola, non supera i 7-8 kg.
Va comunque precisato che nelle nostre acque é già raro pescare esemplari
superiori ai 2 kg.
Il colore
può variare a seconda dell’ambiente e dell’età ma, generalmente, va dal
verdastro - marrone sul dorso fino a sfumature di un bianco - giallastro
sul ventre. Le pinne alle estremità sono rosse. La riproduzione avviene in
tarda primavera - inizio estate; le uova sono leggermente tossiche. La
carne di questo pesce é di qualità intermedia e utilizzata sopratutto per
metterla in "carpione": viene cioè fatta friggere in olio e foglie di
salvia, poi, nel fondo di cottura, viene fatto bollire dell’aceto misto a
cipolle, vino bianco, chiodi di garofano, sale e, se si vuole, pepe.
Quindi si versa il tutto in una capace recipiente in vetro o porcellana e
si lascia marinare per alcuni giorni prima di mettere in tavola.
CARPA:
Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.
Originario
dell’Asia o dell’Europa Orientale, questo ciprinide (CYPRINUS CARPIO) ama
acque tranquille, ricche di vegetazione, non eccessivamente ossigenate e,
vivendo molto sul fondo, con fondali abbastanza consistenti. Proprio per
questi motivi lo possiamo trovare esclusivamente nella parte finale del
tratto cuneese del Po, vale a dire a valle della confluenza col Pellice
nei territori di Faule, Pancalieri e Casalgrasso. Solo sporadicamente e
probabilmente nei periodi post piena, é stata segnalata la sua presenza a
monte di questa zona. Esistono molte varietà di carpe, ma le più comuni
nelle nostre acque sono la "CARPA ERBIVORA" e la "CARPA a SPECCHIO";
entrambi hanno il corpo ovale e tozzo, comune a tutta la specie, ma,
mentre la “erbivora” é ricoperta da una grande squamatura argentea, quella
“a specchio” si presenta glabra e di colore violaceo, con solo qualche
squame a ornarle qua e là il dorso. Essendo una grande divoratrice di
parassiti animali e vegetali, in passato veniva usata nelle risaie come
antiparassitario naturale e questo spiegherebbe la sua introduzione
dall’Oriente; con l’avvento dei pesticidi e degli antiparassitari chimici
la carpa ha perso questa funzione, ma é ugualmente riuscita ad adattarsi
nelle nostre acque. Raggiunge dimensioni e pesi notevoli (a Pancalieri
sappiamo di catture superiori ai 15 kg), ma la sua carne é poco ricercata
e viene usata quasi esclusivamente per il “carpione”. Il suo periodo
riproduttivo è stato individuato nel mese di giugno.
CAVEDANO:
Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.
Questo pesce, grigio chiaro sul dorso ed argenteo sul
ventre e sui fianchi, é molto diffuso. Vive sopratutto nei cosiddetti
“molli”, cioè dove il fiume, curvando, forma delle grandi anse con acqua
lenta. Il cavedano (LEUCISCUS CEPHALUS) non supera i 50 cm di lunghezza ed
è ricoperto da notevole squamatura. Poiché non ha carne molto compatta,
pesa relativamente
poco. Nel tratto del Po in oggetto é rarissimo pescare
esemplari superiori al kg. Il cavedano si riproduce tra la tarda primavera
e l’inizio dell’estate. E’ un pesce onnivoro, tant’é vero che per
catturarlo non si usano solo esche “carnali”, ma anche “vegetali” (ad
esempio il frutto ben maturo del sambuco o il chicco del mais appena
formato). In cucina non è molto ricercato e, cosa che del resto vale per
quasi tutti i ciprinidi, viene generalmente usato per il “carpione”.
LAMPREDA:
Ordine Ciclostomi, Famiglia
Petromizontidi.
Su questo strano pesce, molto simile
all’anguilla ma che non supera quasi mai i 15 cm, ci sono ancora molte
discordanze anche fra i ricercatori. Quella che vive nel Po, fino a poco
tempo fa si pensava fosse la "LAMPETRA PLANERI" o "LAMPETRA FLUVIATILIS",
ma recenti studi l’hanno indicata come appartenente alla specie "LETHENTERON
ZANANDREAI", che, a differenza delle altre, non é un parassita degli altri
pesci e trascorre tutta la sua vita in acque dolci, non migrando mai verso
il mare. Trascorre i primi anni della sua vita come larva cieca,
nutrendosi di piccoli animaletti che vivono nei fondali fangosi del fiume;
poi, attorno ai 5 anni, compaiono gli occhi e la dentatura, ma, nello
stesso tempo, degenera l’intestino. Da questo momento non si nutrirà più,
dedicando tutto il resto della sua breve vita da adulto allo sforzo
riproduttivo. La femmina deporrà le sue uova (fino a 1500 o 2000) in una
cavità nel fango e dopo tre settimane avverrà la schiusa. Proprio per la
sua particolarità di vivere sul fondo sabbioso dei corsi d’acqua, viene
pescata esclusivamente con la zappa, rivoltando metodicamente il fondo
stesso. Di carne pregiata, é da sempre molto ricercata in cucina,
sopratutto per completare il “fritto misto” e, in passato, costituiva
anche un’importante fonte di reddito per le popolazioni locali. Purtroppo,
a causa dell’inquinamento e della conseguente progressiva distruzione
degli habitat, la lampreda é praticamente scomparsa dalle nostre acque.
LASCA:
Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi
Pesce di colore grigio chiaro - verdastro
sul dorso ed argenteo sul ventre e sui fianchi, non supera mai i 25 cm e
si riproduce in primavera. É la cosiddetta "FËRSA o "MARSENGA" nel
linguaggio dei pescatori locali. Una volta presente in grandi banchi,
sopratutto nel periodo della riproduzione, é oggi pressochè scomparsa sia
a causa dell’inquinamento che degli sbarramenti trasversali innalzati a
valle del tratto in oggetto (diga di La Loggia e sbarramento sotto il
ponte di Casalgrasso) che ne impediscono di fatto la risalita ai luoghi di
riproduzione. Anche la Lasca (CHONDROSTOMA GENEI) viene usata in cucina
quasi esclusivamente per il "carpione".
LUCCIO:
Ordine Salmoniformi, Famiglia Esocidi.
E’ il
cosiddetto "squalo di fiume" per la voracità e la furbizia che mette nel
cacciare. Tuttavia é infondata l’accusa che vuole il luccio (ESOX LUCIUS)
distruttore del tratto in cui vive. Infatti, come del resto tutti gli
animali, esso uccide solo per necessità e mai per il solo gusto di
uccidere, prerogativa, questa, dell’uomo. Può invece diventare dannoso se
immesso fuori dal suo habitat naturale (es. corsi d’acqua nei quali non
era presente in origine), perché può alterarne l’equilibrio biologico; ma
questa particolarità vale anche per tutte le altre specie. Di colore
verdastro sul dorso e sui fianchi, bianco sul ventre e con striature
marmoree che ne attraversano il corpo affusolato in senso circolare, si
distingue sopratutto per la caratteristica bocca a “becco d’anatra”,
munita di poderosi denti. Di norma raggiunge i 10 kg di peso, ma sono
stati catturati esemplari di 35 kg per una lunghezza di 150 cm. Comunque,
nel tratto in oggetto, non abbiamo notizia di catture superiori ai 6 kg.
Nella caccia il luccio usa un sistema diverso dagli altri pesci: la sua
prerogativa é quella di restare acquattato, immobile come un pezzo di
legno sul fondo del fiume, mimetizzandosi con la vegetazione, per poi
scattare velocissimo a carpire la preda che gli passa accanto, aiutato in
ciò dalla aerodinamicità del suo corpo. Una volta afferrata la preda sul
dorso, la rivolta e di solito la inghiotte iniziando dalla testa. Come
tutti i grandi predatori, anche il luccio é cannibale e, oltre che di
pesci, si nutre di rane, di piccole anatre e di gallinelle d’acqua, come é
successo a me personalmente di vedere (cap.7). La carne é molto ricercata
per la sua bontà e viene cucinata in svariati modi. La riproduzione del
luccio avviene in inverno.
SANGUINEROLA:
Ordine Cipriniformi,
Famiglia Ciprinidi.
La sanguinerola (PHOXINUS PHOXINUS) é il
famoso "BÒGIO" conosciuto dai pescatori locali. Pesce piccolissimo,
difficilmente supera i 10 cm di lunghezza. E’ verde sul dorso ed argenteo
sul ventre, ma diventa multicolore con tendenza al blu ed al rosso nel
periodo degli amori. É molto ricercato per la bontà delle sue carni, vive
in acque molto ossigenate e pure e, proprio per questo motivo, é sempre
più raro e corre pericolo di estinzione, perlomeno nel tratto in oggetto.
SCAZZONE:
Famiglia Cottidi
Lo
scazzone (COTTUS GOBIO), meglio conosciuto come magnarone, é la famosa "BÒTA
o "NACIA" nel linguaggio dei pescatori locali. Raggiunge la lunghezza
massima di 10 - 12 cm ed ha un aspetto buffo e sotto certi aspetti
orripilante. Ha una testa molto grossa ed un corpo che si assotiglia
gradatamente, in modo quasi conico, fino alla coda, ricordando, in un
certo senso, i mostri siderali dei film di fantascienza. Si riconosce
anche per la colorazione bruna sul dorso con effetti marmorizzanti, per il
ventre giallo sporco e, sopratutto, per il muco che ne ricopre la pelle
facendolo risultare viscido e sfuggente al tatto. Anche lo scazzone ama le
acque molto ossigenate e pure e quindi anche lui corre il rischio di
estinzione. E pensare che, nei tempi andati, era presente in così grande
numero che, sopratutto nelle rogge o nei fontanili, veniva pescato
infilzandolo con una forchetta sistemata in cima ad un bastone. Nonostante
il suo aspetto, é molto ricercato per la bontà delle carni; molti
pescatori lo ritengono superiore a qualsiasi altro pesce, specialmente se
cucinato alla griglia o in “carpione”.
TEMOLO:
Ordine Salmoniformi, Famiglia Timallidi.
Endemico delle nostre acque
(non per niente il tratto in oggetto é riconosciuto come “zona a
temolo”), il temolo (Thimallus, thimallus), che si riproduce tra la metà
dell’inverno e l’inizio della primavera, trova qui il suo habitat
naturale sia per la natura del fondo, ancora sabbioso e ghiaioso e non
melmoso, l’ossigenatura dell’acqua non più impetuosa ma nemmeno
stagnante, e inoltre per la temperatura ancora piuttosto fredda. Molto
bello a vedersi per la sua forma affusolata ed elegante, é riconoscibile
anche dai profani per la pinna dorsale di un blu intenso che si apre a
ventaglio sul dorso argenteo. Inoltre, appena pescato, si distingue per
l’inconfondibile profumo di melone emanato dalle sue carni delicate e
ricercatissime dai buongustai. Può raggiungere i 2-3 kg di peso ma, nel
tratto in oggetto, é già difficile catturare esemplari superiori al kg.
Negli anni `70, a causa del gravissimo inquinamento, ha rischiato
l’estinzione essendo geneticamente e strutturalmente molto delicato (del
temolo si potrebbe dire che é il segnalatore naturale del grado di
inquinamento di un corso d’acqua). Poi, attenuatosi questo fenomeno, era
ritornato in buon numero, ma attualmente sta nuovamente correndo un
grosso rischio provocato sia dall’inquinamento e dalla scarsità dei
controlli nella cosiddetta pesca sportiva che consente a pescatori senza
scrupoli di catturarlo persino nel periodo di riproduzione, sia dalla
forte diminuzione della portata d’acqua del Po negli ultimi anni,
causata dalla scarsità di precipitazioni e dall’abnorme quantità delle
captazioni ad uso irriguo. Infatti il grande fiume in questo tratto si è
abbassato, come portata d’acqua in regime di secca, di almeno un metro;
questo significa minor velocità, quindi meno ossigenazione, quindi
assoggettazione a maggior riscaldamento dell’acqua stessa: in pratica
non esistono più le condizioni ambientali necessarie alla sua
sopravvivenza. Infatti é praticamente scomparso nella zona di Cardé dove
il Po è ormai solo più un rigagnolo, mentre qualche esemplare viene
ancora catturato più a valle (Villafranca e Pancalieri). Ora la Regione
P.te ne ha proibito la cattura, ma è stato come chiudere la stalla dopo
che i buoi sono scappati. Eppoi il problema non è la pesca ma, ripeto,
le condizioni ambientali. Questa del temolo è una perdita gravissima per
l’ecosistema fluviale in oggetto ed è il segnale di un cambiamento che
potrebbe interessare l’altra specie endemica: la trota marmorata.
TROTA:
Ordine Salmoniformi, Famiglia Salmonidi.
E’ la regina delle acque nazionali, nelle
quali é presente in diverse specie. Le più famose sono: la TROTA FARIO o
trota di torrente (SALMO TRUTTA FARIO) che si riconosce per la livrea
puntinata di rosso e che vive nella parte torrentizia dei fiumi; la trota
di mare (salmo trutta trutta), così denominata perché compie grandi
emigrazioni fino al mare come i salmoni; la trota di lago, o “lacustre”
(Salmo trutta lacustris) che popola i laghi. Quest’ultima é quella che
raggiunge le dimensioni maggiori, arrivando anche ai 30 kg a differenza
della trota di mare (15 kg) e della fario (10 kg). Nel tratto in oggetto
sono però presenti solo la fario e la “marmorata”, che è considerata una
sottospecie della fario ed alla quale ho dedicato un capitolo a parte. La
trota (Salmo trutta) é un’abile cacciatrice ed é molto vorace; quando ha
fame divora tutto quanto passa nell’acqua. Nello stomaco di una trota sono
stati trovati dei bottoni e dei fiammiferi. Inoltre, come il luccio, é
cannibale. Negli ultimi anni un’altra specie di trota é comparsa nelle
nostre acque e purtroppo anche nel nostro tratto: la TROTA IRIDEA (SALMO
GAIRDNERI). Questa trota non é autoctona ma é originaria del Nord America
ed è quella che viene maggiormente usata negli allevamenti perché offre
maggiori garanzie di resistenza e quindi maggiori vantaggi dal punto di
vista commerciale. Però, negli anni passati, essa veniva usata anche per
il ripopolamento e questo ha provocato danni piuttosto gravi alle specie
autoctone, in quanto, come tutte le specie alloctone sia a livello animale
che vegetale, ha avuto un comportamento abnorme nello sviluppo; infatti è
ormai stato appurato che non riesce a riprodursi e quindi non può nemmeno
ripopolare; di conseguenza é risultata dannosa perché si limita a mangiare
fino alla fine del suo ciclo vitale, determinando così un grave scompenso
biologico nella vita dei corsi d’acqua dov’era stata immessa. Purtroppo
molti si ostinano a non dare credito a questa importante scoperta e
continuano ad immettere trote iridee nei corsi d’acqua, attratti dal loro
basso costo, quasi la metà rispetto alle trote fario e addirittura un
terzo rispetto alle trote “marmorate”. Ultimamente una normativa regionale
autorizza il ripopolamento solo se effettuato con specie autoctone, ma
purtroppo, com’é uso in Italia, c’é sempre chi fà il “furbo” e non si
accorge (o non gli conviene accorgersi...) del danno che produce. La trota
iridea si distingue dalle altre per la sua forma più tozza e per una
striscia violacea che le percorre i fianchi in senso laterale.
Recentemente, sempre per la trota e sempre per meri motivi commerciali, é
stato coniato un nuovo appellativo: TROTA SALMONATA. Viene usato per
quelle trote che presentano una colorazione “rosata” della carne. In
effetti non esiste la trota “salmonata” come specie, oppure sono tutte
“salmonate” essendo salmonidi. Ma la colorazione della carne dipende
esclusivamente dall’alimentazione e mi spiego: se in un determinato tratto
di fiume é presente una cospicua popolazione di crostacei, tipo i gamberi
di fiume, la trota, sia essa fario o iridea, nutrendosi di essi acquisisce
la caratteristica colorazione tipica dei salmoni. É difficile, ad esempio,
catturare trote “colorate” nei torrenti di montagna, proprio perchè lì
mancano i gamberi o altri crostacei. Su questo equivoco hanno giocato e
continuano a giocare i piscicoltori (e di conseguenza, ma non so quanto
volontariamente, i pescivendoli), i quali vendono a prezzo maggiorato
quelle trote alle quali hanno procurato la colorazione della carne
nutrendole con mangimi a base di farina di crostacei. In realtà le qualità
organolettiche di queste trote sono uguali a quelle nutrite con mangimi
normali e quindi a carne bianca, anche se non posso escludere che i
mangimi a base di farina di crostacei abbiano un costo maggiore e quindi
giustifichino anche un prezzo di vendita maggiore. Comunque é scorretto
parlare di trota “salmonata” o, perlomeno, é scorretto parlarne nei
termini con cui viene presentata, termini finalizzati a scopi
esclusivamente commerciali.
TROTA MARMORATA
Un
capitolo a sé merita la trota marmorata, la vera trota autoctona, endemica
del tratto in oggetto, la trota per eccellenza per la quale si stanno
muovendo eminenti esperti del settore. La trota marmorata (SALMO TRUTTA
MARMORATUS), può raggiungere taglie notevoli; non sono infatti rare le
catture di esemplari superiori ai 70 - 80 cm di lunghezza per oltre 6 kg
di peso, ma si presume che, in particolari condizioni ambientali, possa
raggiungere il metro ed i 10 kg. Prende il nome dalla splendida livrea
argentea con venature rosa molto simili a quelle presenti nel marmo.
Purtroppo il massiccio ripopolamento con trote fario (se non
sciaguratamente con trote iridee) ha praticamente ridotto a zero il tratto
di fiume cosiddetto ‘a marmorata’ (corrispondente al tratto ‘a temolo’),
dove, per intenderci, dovrebbero vivere esclusivamente le trote marmorate.
Questo sistema di pseudo ripopolamento con gli anni ha provocato un
diffuso movimento di ibridazione tra le due specie, ma la trota fario stà
per avere il sopravvento per via di una maggiore consistenza genetica. Di
conseguenza la trota marmorata, da alcuni considerata (secondo me
ingiustificatamente) una sottospecie della fario, stà correndo un
oggettivo pericolo di estinzione. Per tentare di evitarlo la Regione ha di
recente istituito una normativa secondo la quale i ripopolamenti
dovrebbero essere fatti esclusivamente con specie autoctone e endemiche
del luogo nel quale viene effettuato, ma il condizionale é d’obbligo
perché, in assenza di controlli seri (vedi cap. precedente), il
provvedimento di salvaguardia resta tale solo sulla carta. Inoltre si
dovrebbero creare delle strutture adatte (i cosiddetti incubatoi di valle)
per l’allevamento in cattività di questa preziosa specie, cosa anche
questa piuttosto aleatoria (per il momento l’unico incubatoio di valle
autorizzato ad allevare un certo numero di trote marmorate si trova a
Luserna San Giovanni, in Val Pellice, P.cia di Torino).
Quindi,
anche per chi é animato da tutti i migliori propositi, resta molto
difficile riuscire a procurarsi avannotti o esemplari già adulti di trota
marmorata. Comunque qualche risultato si è già avuto e solo proseguendo su
questa strada si potrà evitare l’estinzione di una specie che é patrimonio
esclusivo delle nostre acque e poter così mantenere intatto quell’equilibrio
biologico al quale troppe volte, per ragioni di immediata convenienza o
per disinformazione, si é attentato. Come per la trota fario, anche per la
marmorata la riproduzione avviene tra l’inizio dell’autunno e la prima
metà dell’inverno.
VAIRONE:
Ordine Cipriniformi, Famiglia Ciprinidi.
Il vairone
(LEUCISCUS SOUFFIA), più conosciuto come “MOZZELLA”, ama le acque correnti
molto ossigenate e con fondo ghiaioso ed il tratto in oggetto presenta
tutte queste particolarità. Pertanto questo simpatico ciprinide é la
specie ittica più presente come numero di esemplari, pur avendo dovuto
anch’esso pagare un pesante tributo all’inquinamento e, probabilmente,
anche al sistema errato di ripopolamento perpetrato in tutti questi anni.
Il vairone vive in banchi e la riproduzione dovrebbe avvenire in
primavera. Uso il condizionale perchè ho avuto l’opportunità di pescare
esemplari in stato di incipiente riproduzione in tutte le stagioni
dell’anno, ad esclusione dell’inverno. Il vairone é piccolo; infatti
raggiunge i 24 - 25 cm solo in casi molto rari, mentre la media é sui 12 -
13 cm. Per quanto concerne il suo uso in cucina, vale quanto detto sullo
scazzone.
Oltre alla fauna ittica, molto ci sarebbe
da dire anche sulla microfauna, ma é un mondo talmente ampio che forse
nemmeno un ittiologo o un biologo potrebbe affrontarlo nella sua
completezza.
Mi limiterò pertanto a citare i due individui più noti, del tratto in
oggetto, di questo mondo variegato; uno é il "CRÒCIO", definizione
dialettale del GAMBERO di FIUME (AUSTROPOTAMOBIUS PALLIPES ITALICUS),
l’altro é il “PÒRTA FASS”, definizione dialettale della LARVA di
TRICOTTERO.
Quest’ultimo vive il suo stato larvale in
un involucro protettivo che si costruisce con la sabbia del fondo del
fiume (PÒRTA FASS dle PERE) o con minuscoli pezzettini di legno (PÒRTA
FASS dël BÒSCH). Purtroppo, sempre a causa dell’inquinamento, sia il
pòrta fass che il cròcio sono quasi estinti. |