Sito Personale di Piero Strobino - Cardé provincia di Cuneo

 

Piero  Strobino

 

 


Bisogni  ed  esigenze


 

 

QUELLO  CHE  DOBBIAMO  DARE  AL  FIUME

 

Onde sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, dico subito che il contenuto di questo capitolo non è assolutamente una corrente di pensiero (se lo fosse non starei qui a perdere tempo a scriverlo ed a farne perdere a chi legge), una teoria di mero stampo ambientalista che sarebbe comunque da tenere  in considerazione, ma la risultanza di una lunga e costante frequentazione di tecnici del settore quali GEOLOGI, INGEGNERI IDRAULICI, INGEGNERI NATURALISTICI, FORESTALI, BOTANICI, NATURALISTI, BIOLOGI, PERITI AGRARI, ecc., o di Enti come il CNR (CENTRO NAZIONALE RICERCHE). Quindi una risultanza che poggia le sue fondamenta su basi assolutamente scientifiche e su ricerche e dati assolutamente ufficiali e non sulla demagogia o sul “sentito dire”. Ovviamente non mancano, anzi sono tanti e soprattutto potenti, quelli che la spacciano come corrente di pensiero; costoro altri non sono che gli SPECULATORI, vale a dire quelli che hanno provocato il dissesto idrogeologico e lo hanno poi portato al livello attuale con cinica determinazione, traendo enormi profitti dai disastri ad esso collegati. Ecco, la loro è una corrente di pensiero, una corrente di pensiero interessata! So per certo che queste mie affermazioni susciteranno scetticismo, uno scetticismo che giustifico e che comprendo, visto il pressing operato dagli speculatori e dai loro vassalli attraverso un’informazione fondata sulla demagogia e mirata a sfruttare a proprio vantaggio l’ignoranza specifica dei cittadini (geologi lo si diventa, mica si nasce …), fregandosene cinicamente della loro sicurezza e della loro salute. Ed allora a chi mi legge propongo questa breve riflessione: è più credibile chi sul territorio non ha alcun interesse o chi invece sul territorio sviluppa la sua lucrosa attività? Da questa riflessione non pretendo molto, anche perché non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire; mi basterebbe almeno innescare il tarlo del dubbio, la possibilità che anche solo una piccola parte di chi mi legge incominci a ragionare anche con la propria testa e a documentarsi, invece che ingurgitare passivamente tutto quanto gli viene propinato. E’ la stessa riflessione proposta a me una ventina di anni fa … Chiuso questo preambolo, per me doveroso ai fini di una corretta informazione, passo a descrivere come e perché si è arrivati a quello che oggi viene definito DISSESTO IDROGEOLOGICO.

Come ho già più volte sottolineato nei precedenti capitoli, il Po soffre e rischia di morire anche in questo tratto, a pochi km dalla sorgente, a causa di 7 fattori ben definiti che sono:

INQUINAMENTO, ECCESSIVE CAPTAZIONI, INOPPORTUNI INTERVENTI IN ALVEO, CANALIZZAZIONI, CEMENTIFICAZIONI, DEFORESTAZIONE DELLE SPONDE, OCCUPAZIONE ANTROPICA DELLE AREE ALLUVIONALI (GOLENE O AREE DI PERTINENZA FLUVIALE). Lascerei per ultimi le captazioni e l’inquinamento perché fanno storia a sé, ed inizierei dagli INTERVENTI IN ALVEO perché a questo problema sono poi direttamente collegati gli altri quattro punti rimanenti. Di tutti gli interventi in alveo quello che ha provocato i danni più devastanti é stato il cavare materiale litoideo direttamente dall’alveo stesso. Con l’avvento della legge 431, meglio conosciuta come Legge Galasso, si è provveduto a regolarizzare questa attività; ad esempio cavare in alveo ora non si può più, mentre per cavare fuori alveo bisogna mantenere una distanza minima di 150 mt dal fiume con uno sviluppo verso l’interno o parallelo al fiume stesso.

Purtroppo molte volte, grazie a quell’opportunismo politico cui ho accennato prima, questa legge viene disattesa. Mi spiego meglio: soprattutto dopo la piena del 94, gli speculatori, ovviamente coperti da amministratori collusi e con pochi scrupoli e cavalcando l’onda emozionale provocata dal disastro, hanno fatto credere che gli alvei dei fiumi in alcuni punti si fossero alzati, oppure che bisognava “ripulire” i fiumi dalle piante spondali, fatte diventare molto astutamente il capro espiatorio del disastro.

In effetti tutto questo non corrisponde assolutamente alla verità, perché, da uno studio idrografico fatto eseguire dal CNR nel 95, é risultato che non solo l’alveo del Po non si é innalzato, ma addirittura che sì é abbassato quasi ovunque, con punte massime di 3,5 mt (Crescentino)! Anche da Villafranca P.te, precisamente dalla frazione Madonna Orti, ho testimonianze più che attendibili e facilmente riscontrabili che l’alveo del Po si è abbassato di circa 3 metri rispetto ad una cinquantina di anni fa.

D’altronde basterebbe fare un piccolo e semplice ragionamento matematico per arrivare alla verità: se da un qualsiasi sito viene levato del materiale, quel sito non potrà che diminuire, certamente non potrà aumentare! Ecco perché, ad esempio, i ponti vanno giù con sempre maggiore facilità; perché hanno le fondamenta scalzate! Altro che per colpa degli ammassamenti provocati dalle piante! Comunque, quand’anche fosse vera questa tesi (ma non lo è), bisognerebbe “ricordarsi” di dire che la maggioranza del legname ammassatosi sotto i ponti è costituito da pioppi piantati sulle sponde o nelle immediate vicinanze! Chi ha da poco passato il mezzo secolo come me e che come me ha frequentato i fiumi, sa benissimo che fino a 50 anni fa le golene erano occupate dai boschi planiziali e che le rive erano generosamente ricoperte da piante di ceduo. Quindi di piante “assassine” lungo i fiumi ce n’erano in misura infinitamente maggiore di quanto non ce ne siano oggi. Oggi infatti le golene sono invase dalle colture (tra cui anche il pioppo) e a volte persino (purtroppo) dalle abitazioni o da insediamenti produttivi, mentre sulla riva il ceduo è presente solo più in misura minima, con qualche esemplare spelacchiato di robinia, di salice, di ontano e di sambuco. Allora: pensate ancora che la colpa delle piene sia delle piante “assassine” oppure esattamente del contrario? Vogliamo almeno rifletterci su un momento? Quali piante dobbiamo ancora togliere se non ce ne sono quasi più? Purtroppo la maggioranza della gente queste cose le ignora (ma il mio dubbio è che non si faccia nessun sforzo per cercare di non ignorarle…) perché la documentazione relativa a quello studio idrografico condotto dal CNR è conosciuta solo da quelle persone che hanno voglia di documentarsi, mentre per gli speculatori ed i loro vassalli é stato molto più facile propagandare il falso a tornaconto dei loro interessi. Ed allora, con la scusa di far effettuare interventi di “messa in sicurezza” dei fiumi, c’é stata un’esplosione di ordinanze da parte dei sindaci di vari comuni, anche di tanti paesi che non avevano avuto nulla a che vedere con l’alluvione, i quali hanno fatto radere al suolo le rive di fiumi, torrenti e bedali e ne hanno fatto dragare indiscriminatamente e selvaggiamente i loro alvei (scandaloso quello perpetrato ai danni del torrente Pellice, seguito immediatamente a ruota da quello perpetrato sul torrente Varaita e per ultimo quello perpetrato ai danni del Po da Paesana a Revello e oltre), con conseguente indebolimento delle sponde e velocizzazione delle acque. Non é difficile immaginare che il prossimo grosso evento piovoso causerà danni anche peggiori.

Ma per gli speculatori questo sarà tanta manna dal cielo perché ricostruire è molto più redditizio che prevenire. Cosa importa se poi ci andranno di mezzo centinaia di vite umane e se si spenderanno migliaia di miliardi di denaro pubblico?  Questi “signori” intanto avranno asportato migliaia di tonnellate di materiale litoideo dall’alveo dei fiumi ed immesso chilometri e chilometri di prismi di cemento o di massi di risulta delle cave di montagna sulle sponde degli stessi, tutti interventi inutili o addirittura dannosi ma che tradotti in lire significano migliaia di miliardi!

Eccola la vera ragione! Tanto, poi, se le “disgrazie” aumenteranno (e aumenteranno …) si farà sempre tempo a dare la colpa alle piante o … agli ambientalisti! 

Per completare il quadro del capitolo cavazioni, riporto un altro dato del CNR risalente al 93: siamo l’unico paese al mondo ad esportare sabbia e ghiaia e lo facciamo nell’aberrante misura del 60% dell’estratto! Ogni anno, quindi, esportiamo un bel pezzo di territorio della nostra Italia! Questo succede perché, a differenza di altri paesi, non abbiamo una politica di recupero degli inerti. Parlo, ad esempio, del recupero di materiale edile derivato dall’abbattimento di edifici; grottescamente ed irresponsabilmente mettiamo in discarica oppure lungo i fiumi il materiale inerte di risulta invece di riutilizzarlo: sarebbe un materiale prezioso che ridurrebbe di molto l’attività estrattiva, ma certamente ridurrebbe anche l’attività speculativa che è quella che nel nostro Bel Paese tira le fila...

Per far credere di porre rimedio al dissesto provocato da queste cavazioni, si é sempre ricorso e si continua a ricorrere, alle famose “PRISMATE”, altro aspetto importante della speculazione in atto sul territorio. Cosa sono le “PRISMATE”?. Sono quegli orribili prismi di cemento che vengono posizionati sulle sponde a mo’ di pseudo riparo e che, purtroppo, fanno ormai parte dell’attuale allucinante paesaggio fluviale.

«Ma queste prismate non servono per proteggere le sponde dall’erosione?». Questa é la domanda più ricorrente, frutto di una informazione volutamente mistificata, che la gente comune mi pone ed alla quale rispondo di no, andando sovente incontro all’accusa di essere io un mistificatore.

Eppure, per conoscere la verità, basterebbe ascoltare la voce di eminenti esperti del settore, vale a dire ingegneri idraulici, geologi, naturalisti ecc, che da anni vanno sostenendo che queste prismate non solo sono pressoché inutili, ma addirittura, in certi casi, addirittura dannose. Perché? Intanto perché, per costruirle, viene usato materiale sottratto ai fiumi (e questa è già una incoerenza), poi perché prima di piazzare dei corpi estranei nei fiumi occorrerebbe studiare anticipatamente e globalmente le dinamiche dell’intera asta fluviale e non limitarsi allo studio (quando si fa …) del tratto in questione; infine perché, in ogni caso, con questi interventi non si fa altro che restringere l’alveo e quindi, di conseguenza aumentare la possibilità di tracimazione. Le prismate o le massicciate possono avere una loro validità solo se immesse a protezione di manufatti pubblici (centri abitati, strade, ponti, ferrovie, ecc.) che realmente corrono dei rischi sotto il profilo dell’erosione, ma comunque sempre nel rispetto delle dinamiche di cui sopra. Continuando ad intervenire a compartimenti stagni e, soprattutto, senza uno studio globale della situazione come si è fatto sinora, si provocano solo ed esclusivamente dei danni, perché un intervento che potrebbe eventualmente servire a monte, al contrario potrebbe provocare dei danni a valle. Ed è esattamente quello che finora è accaduto. Una prova? Le lunghe file di prismate e massicciate che sempre più si possono trovare adagiate in mezzo all’alveo dei fiumi  con l’acqua che passa ai loro lati, spettrali isolotti di cemento e di pietra che sono lì a dimostrare tutta la loro costosa inutilità. Ma allora, mi si chiederà, perché le prismate?

La risposta penso sia tutta in un dato CNR del 1992: in quell’anno lo Stato spese la bellezza di 2 mila miliardi solo per questi monumenti di cemento, denaro pubblico che é andato ad ingrassare i cementifici che sono strettamente legati ai cavatori, i quali sono strettamente legati ai costruttori! E’ sufficientemente chiaro? Quando poi non si interviene con le prismate, si ricorre ai MASSI DI RISULTA delle cave di montagna. E questo è un altro aspetto della speculazione, teso ad una super rivalutazione ed al riutilizzo ancorché improprio di questi massi, il tutto sulle tasche e sulla pelle dei cittadini.

 

Sia le PRISMATE che le MASSICCIATE sono le maggiori responsabili di quel processo di CEMENTIFICAZIONE dei fiumi in atto da tempo nel nostro Paese, al contrario di altri paesi (ad esempio la Germania) dove invece si sta correndo ai ripari decementificando. La CEMENTIFICAZIONE é una delle principali cause dei sempre più fequenti disastri provocati dalle onde di piena, perché il cemento, a differenza delle sponde naturali che sono permeabili ed hanno un grande potere assorbente, é impermeabile, non assorbe e contribuisce così a far aumentare il volume dell’acqua che quando tracima va ad occupare zone mai occupate prima. Prismate e massicciate sono anche servite come pretesto per smeandrizzare i fiumi, vale a dire eliminare le anse (meandri) allo scopo di acquisire più ampi terreni da adibire ad uso agricolo o, addirittura, ad uso edilizio. Si sono così create le CANALIZZAZIONI, ovvero quelle strutture di vario genere (prismate o massicciate, appunto) dove il fiume viene ingabbiato perdendo così le sue caratteristiche naturali di fiume ed acquisendo quelle artificiali di canale: da qui il significato di CANALIZZAZIONE. C’é però un differenza sostanziale fra un canale ed un fiume canalizzato ed è questa: mentre in un canale il flusso dell’acqua viene regolato artificialmente attraverso un complesso sistema di paratìe, nel fiume ciò non è possibile ed esso é obbligato a raccogliere tutta l’acqua che arriva dal cielo. Ed ecco un altro anello della catena che provoca quelle catastrofi che molto opportunamente il Prof. Pietro Giuliano Cannata, ingegnere idraulico e docente presso l’Università La Sapienza di Roma, ha definito “CALAMITA’ ARTIFICIALI”. Infatti la smeandrizzazione e la conseguente canalizzazione dei fiumi, porta anche al loro raddrizzamento e quindi ad un inevitabile accorciamento; a questo proposito cito un altro dato CNR (Centro Nazionale delle Ricerche) che risale al 1993: il Po, nel solo territorio regionale piemontese, negli ultimi 100 anni è stato accorciato del 6%, vale a dire di oltre 12 Km!  Pertanto il volume d’acqua che prima era contenuto in 200 Km ora dovrebbe essere contenuto in 188, il che, ovviamente, non é possibile. Senza contare la velocizzazione che l’acqua del fiume acquista da questi sconsiderati interventi e che determina una maggiore sollecitazione sulle sponde, causando enormi erosioni.

Ma le succitate “CALAMITA’ ARTIFICIALI” hanno anche un’altra componente: la DEFORESTAZIONE DELLE SPONDE E DELLE AREE ALLUVIONALI (GOLENE).

Per acquisire sempre più vasti terreni da adibire a coltura, gli agricoltori, mossi dall’interesse e dalla disinformazione, hanno sottratto al fiume enormi aree boschive, andando ad occupare la cosiddetta AREA DI PERTINENZA FLUVIALE (GOLENA), vale a dire quell’area dove é scientificamente provato che il fiume ci arriva, fosse anche solo una volta ogni cento anni. Sopratutto non ci si é nemmeno più degnati di rispettare almeno l’art.96, comma F, del T.U. 25 luglio 1904, n° 523, “opere idrauliche”, che stabilisce in 4 metri la distanza minima delle colture dalla sponda del fiume! Questo è potuto accadere grazie alla compiacenza di chi dovrebbe essere preposto al controllo! Ora questa norma è stata prevaricata DALL'ART 5, PUNTO 2, COMMA C delle NORME di ATTUAZIONE del PIANO STRALCIO delle FASCE FLUVIALI, redatto dall'AUTORITÁ di BACINO del PO ed approvato dal CONSIGLIO dei MINISTRI nel GIUGNO '98, che ha portato la distanza a 10 METRI. Ma senza controlli, o con controlli compiacenti com’é stato finora, anche questa norma non farà altro che andare ad accrescere il numero infinito di normative che sono tali solo sulla carta! A proposito dell’occupazione della FASCIA DI PERTINENZA FLUVIALE, cito un altro dato del CNR, sempre relativo agli ultimi cent’anni: in questo periodo é stato sottratto al Po, nel solo tratto piemontese, ben il 67% di quest’area!

Deforestando fino a riva o addirittura in riva, gli agricoltori hanno contribuito in modo determinante all’indebolimento delle difese naturali delle rive stesse, che così si offrono nude alla furia delle acque in piena, a loro volta velocizzate da canalizzazioni e cementificazioni, finendo per essere facilmente asportate.

Come se non bastasse, sempre più frequentemente i frontisti piantano direttamente in sponda i pioppi che rappresentano il pericolo maggiore per la compattezza delle sponde stesse. Perché? Perché mentre robinie, ontani, salici e sambuchi, grazie al loro imponente apparato radicale rispetto all’altezza del tronco, sono essenze spontaneamente predisposte al consolidamento delle sponde stesse, i pioppi sono piante di coltura che hanno un apparato radicale estremamente limitato rispetto all’altezza del tronco.

Di conseguenza possono essere facilmente scalzati e quando cadono si portano appresso una notevole quantità di riva, dove poi il fiume si infila per dare inizio all’erosione. Inoltre il pioppo, a differenza delle tipiche piante spondali succitate, non si piega al passaggio dell’acqua, favorendo così un ulteriore ostacolo e generando quei vortici che poi portano al suo scalzamento, all’inevitabile caduta e, magari, a formare quelle tanto reclamizzate dighe sotto i ponti.

Come se non bastasse, e questo é l’aspetto più grave dell’invasione antropica dell’AREA DI PERTINENZA FLUVIALE, su parte di quel 67% sottratto al Po si é edificato, pur sapendo che inevitabilmente l’acqua prima o poi sarebbe arrivata e continuerà ad arrivare! Altrettanto è successo e succederà sugli altri corsi d’acqua, compreso il Tanaro. Ciò é potuto accadere perché gli speculatori, magari aiutati, per semplice asservimento o peggio per probabili interessi su quelle aree, da compiacenti amministratori locali, sono riusciti a far indirizzare i piani regolatori a svilupparsi verso i fiumi e non viceversa come sarebbe stato logico fare! Tutto qui! Ma i fiumi non si possono ingabbiare così impunemente come finora è stato fatto. Prima o poi tendono a riprendersi ciò che é stato loro sottratto e ci riescono! E’una legge naturale o, se vogliamo e per chi è credente, una legge Divina. D’altronde  basterebbe riflettere e leggere la Storia: forse che Dio ha creato i fiumi con il cemento o i massi? No! I fiumi si sono creati il loro alveo scavandoselo centimetro dopo centimetro, anno dopo anno, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, per milioni di anni. Questa è Storia, non fantasia interessata e demagogica! É la conferma più autorevole che l’alveo di un fiume non potrà mai innalzarsi ma solo abbassarsi perché è un fatto fisiologico. Magari solo di un millimetro all’anno, ma si abbasserà; però quel millimetro dopo mille anni sarà diventato un metro! Basterebbe riflettere!! Certo è successo e succederà ancora che una grossa piena possa provocare un’erosione; ma questa, proprio per ragioni di dinamiche fluviali, non proseguirà mai sulla stessa sponda. Magari già alla piena successiva il fiume si sposterà sull’altra sponda con conseguente allargamento dell’alveo. In questo modo verrà a crearsi un bacino di utenza più ampio per il deflusso dell’acqua, con conseguente diminuzione della possibilità di esondazione. Ecco: queste sono le dinamiche fluviali  naturali che i fiumi hanno portato avanti per milioni di anni. Poi, soprattutto negli ultimi 50 anni, l’uomo ha pensato di stravolgerle per meri fini speculativi ed ora pretende anche di non dover pagare le conseguenze di questa intrusione e  di questa invasione, addossando la colpa al fiume o ad altri fattori (piante, ambientalisti, ecc) che non centrano nulla. Ma il fiume non è colpevole, il fiume non fa altro che seguire il suo corso e gli eventi come tutti i fenomeni naturali e niente e nessuno potrà mai impedirglielo! Nemmeno l’uomo che, completamente accecato dal dio denaro e dalla sua presunzione, da HOMO SAPIENS si è trasformato in HOMO STUPID e questa sua irresponsabilità lo porterà presto all’autodistruzione!

Con l’approvazione del PIANO STRALCIO DELLE FASCE FLUVIALI, l’edificabilità in certe aree non dovrebbe più essere possibile, ma mi si permetta di usare il condizionale... Infatti i maggiori oppositori di questa nuova regolamentazione sono proprio gli amministratori locali, totalmente asserviti alle corporazioni degli speculatori, potenti e quindi intoccabili! Sto esagerando? Provate ad uscire dal torpore e dall’indifferenza e ve ne accorgerete!!

In conclusione ed in base alle loro esigenze, ecco cosa dobbiamo dare ai fiumi per garantire la sicurezza di quegli insediamenti sorti in aree dove invece non si sarebbe mai dovuto costruire: lasciarli divagare nella loro area di pertinenza (i fiumi non “vanno dove vogliono”, come demagogicamente sostengono gli speculatori, ma divagano solo nel loro ambito di diritto) e contemporaneamente cercare di ricreare intorno ad essi quell’ecosistema che i nostri avi, molto meno dotati di mezzi tecnologici ma molto più rispettosi di noi dell’ambiente che li circondava, avevano sapientemente saputo conservare. Come? Creando delle vie di fuga, delle sacche, dove il fiume possa sfogarsi e magari riforestando. Oppure ricreare gli ARGINI, le famose BARBACAN-E, che delimitano la golena ma, nello stesso tempo, consentono al fiume di sfogarsi e di perdere gran parte della sua forza distruttiva.

Certo qualcosa bisognerà concedere in termini di terreni, ma vale la pena ricordare che é molto meglio ridare al fiume quel che gli spetta piuttosto che attendere che venga a riprenderselo!  Solo così non dovremo più assistere a tragedie come quella del novembre 1994, anche  se le piene ci saranno sempre; l’importante è cercare di imparare nuovamente a convivere col fiume invece che continuare a violentarlo!

 L’ultimo capitolo relativo al dissesto idrogeologico riguarda le CAPTAZIONI, ovvero i prelievi di acqua, che possono essere identificate in tre precise suddivisioni: a scopo idroelettrico, a scopo irriguo ed a scopo potabile.  Nel tratto in oggetto ed intendendo per esse il prelievo diretto dal fiume, le CAPTAZIONI avvengono esclusivamente per uso idroelettrico e per uso irriguo.

L’uso idroelettrico é più applicato in media ed alta valle Po (ricordiamo il bacino idroelettrico Monviso della frazione Calcinere di Paesana) e serve ad alimentare sia l’energia elettrica privata che pubblica; l’uso irriguo é invece più diffuso in pianura, sia col prelievo diretto dal fiume, che col prelievo indiretto mediante le innumerevoli idrovore che pompano giornalmente immense quantità d’acqua, contribuendo così ad abbassare le falde. Anche a questo irrazionale sfruttamento delle acque (del Po nello specifico, ma penso che il discorso valga per tutti i fiumi d’Italia), si sta cercando di porre rimedio con una appropriata regolamentazione, entrata da poco in vigore, che per prima cosa impedirà di rilasciare nuove concessioni di centraline idroelettriche se non verrà garantito al fiume il D.M.V. (DEFLUSSO MINIMO VITALE), cioè la quantità d’acqua necessaria per la sua sopravvivenza biologica; a questa prima normativa fa seguito tutta una serie di altre normative tendenti ad impedire la più selvaggia delle speculazioni come é avvenuto in passato.

Purtroppo anche qui gli interessi sono enormi ed i controlli pochi e tante volte, anch’essi interessati... Pertanto, onde evitare che anche questa pregevole normativa non rimanga tale solo sulla carta, bisogna solo sperare che chi è addetto ai controlli lo faccia con serietà, vigilando in modo particolare su certi amministratori, a tutti i livelli e di tutti gli Enti, dalla concessione “facile” o, sopratutto, “cieca”....

Per quanto riguarda l’INQUINAMENTO, che ho già trattato diffusamente nel primo capitolo, sarà possibile debellarlo solo con l’impegno di tutti. In tal caso potremo rivedere i pesci guizzare a migliaia e ritornare a fare il bagno nelle acque del Po come era caratteristico fino all’inizio degli anni ‘60; altrimenti dovremo rassegnarci a convivere con un problema che non riguarda solo l’ecosistema fluviale ma la salute pubblica, visto che il progressivo inquinamento dei fiumi andrà inevitabilmente ad interagire sulle falde freatiche dalle quali attingiamo l’acqua dei nostri pozzi.

Ed i primi segnali sono già stati avvertiti a Cardé, paese ancora privo di acquedotto, dove periodicamente vengono trovati pozzi inquinati, sia pubblici che privati. Per questo prima ho detto che per debellare l’inquinamento ci vuole l’impegno di tutti; o vogliamo forse attendere di non poter più bere l’acqua per renderci conto di quanto grave sia il problema?  Non ci vuole più molto, purtroppo, perché ciò accada, ma quando avverrà sarà troppo tardi. Certo, quando parlo di impegno di tutti intendo in particolare una politica nazionale ferrea, che faccia applicare le leggi (che come ho già detto ci sono...) con rigore, senza proroghe o eccezioni e senza fermarsi al primo impatto, vale a dire appena conosciute le generalità degli inquinatori, come è accaduto in passato ed accade tutt’ora. Per arrivare a ciò bisogna però creare strutture adeguate e fornirle di maggiori poteri di quelli attuali.

Finché non sarà creato questo binomio, tutte le iniziative non avranno altro che il sapore della demagogia; ne è l’esempio il Parco Fluviale del Po, istituito dalla Regione nel 1990, che, caduto nelle maglie della burocrazia, della politica più gretta e, fattore più grave, nelle mani di certe corporazioni, non ha finora assolto nessuno dei compiti per il quale era stato istituito, se non quello della didattica, comunque importante. Anzi, dirò di più: ci sono stati dei casi, per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, che hanno contribuito a peggiorare la situazione (tipo gli interventi di tipo esclusivamente speculativo effettuato con massi alla confluenza Po – Varaita o quello nel Po in media e bassa valle citato prima, i più eclatanti ma non i soli...), mentre non è assolutamente migliorata la situazione inquinamento, né tantomeno quella legata al bracconaggio, la piaga peggiore, dopo appunto l’inquinamento, per quanto riguarda la sopravvivenza della fauna ittica. 

Ovviamente queste ultime riflessioni riguardano il tratto cuneese del Parco del Po, mentre, per ovvi motivi di incompetenza, non posso dare giudizi sul tratto torinese o su quello alessandrino.

Parlando invece di bracconaggio e di leggi sulla pesca, c’è da dire che negli ultimi anni sono venute a crearsi situazioni a dir poco grottesche, tra usi civici, acque libere, acque Fips, ecc.. Per renderle meno incomprensibili e più efficaci, potrebbe essere interessante una proposta di questo genere: decentrare la gestione  alle Regioni ed alle Provincie in modo totale, onde poter tenere conto delle variegate realtà del territorio, con l’istituzione di un tesserino unico a valore nazionale con due versamenti: uno alla Regione ed uno alla Provincia di appartenenza del contribuente. Fatto questo e, nello stesso momento, adottando adeguate contromisure, si potrà cominciare a parlare di liberalizzazione totale delle acque. In caso contrario non si farebbe altro che banale demagogia. Una di queste contromisure potrebbe essere rappresentata dall’istituzione dei cosiddetti “RISERVINI”.

Si tratterebbe di chiudere di volta in volta e per un certo periodo di tempo (3-4 anni) dei tratti di fiume alla pesca per adibirli esclusivamente a ripopolamento, ovviamente scientificamente controllato. D’altra parte, liberalizzando le acque, i territori da sorvegliare sarebbero ancor più ampi ed allora mi riallaccio al discorso fatto prima sulle strutture adeguate, nella fattispecie il potenziamento del personale addetto alla vigilanza.

Ed ecco che puntualmente salta fuori il problema “costi”; ma anche qui la soluzione potrebbe essere molto più semplice di quanto si vuole dare ad intendere (per motivi che sinceramente mi sfuggono) e potrebbe arrivare dal servizio di leva, istituendo al suo interno una vera e propria specializzazione; una forma di servizio civile, insomma. Sono convinto che sarebbero moltissimi i ragazzi disposti a svolgere un servizio civile a difesa dell’ambiente, magari con l’incentivo di un piccolo incremento del loro soldo, in ogni caso sempre meno oneroso dello stipendio di una guardia giurata.

Inoltre i militari non avrebbero nemmeno quei problemi di carattere sentimentale che potrebbe invece sorgere in guardie giurate locali. Il servizio dovrebbe in ogni caso essere sia diurno che notturno, in quanto é proprio di notte che i bracconieri e gli inquinatori agiscono di preferenza. Comunque, e mi ripeto, a monte di tutte queste possibili misure, é necessario, anzi vitale, che si dia il via, a livello nazionale, ad una politica ambientale vera e non solo demagogica (ad esempio: quando si imporrà a Milano di fornirsi di un depuratore?...), superando clientelismi e tacite connivenze con le corporazioni di grosso calibro politico che, finora, hanno di fatto impedito l’avvio di questa politica, dettando, invece, le loro leggi nefaste sia per l’ambiente che, sopratutto, per l’uomo.

 

 

 


 

 

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