QUELLO CHE DOBBIAMO
DARE AL FIUME
Onde sgombrare il campo da ogni
possibile equivoco, dico subito che il contenuto di questo
capitolo non è assolutamente una corrente di pensiero (se lo
fosse non starei qui a perdere tempo a scriverlo ed a farne
perdere a chi legge), una teoria di mero stampo ambientalista
che sarebbe comunque da tenere in considerazione, ma la
risultanza di una lunga e costante frequentazione di tecnici
del settore quali GEOLOGI, INGEGNERI IDRAULICI, INGEGNERI
NATURALISTICI, FORESTALI, BOTANICI, NATURALISTI, BIOLOGI,
PERITI AGRARI, ecc., o di Enti come il CNR (CENTRO NAZIONALE
RICERCHE). Quindi una risultanza che poggia le sue fondamenta
su basi assolutamente scientifiche e su ricerche e dati
assolutamente ufficiali e non sulla demagogia o sul “sentito
dire”. Ovviamente non mancano, anzi sono tanti e soprattutto
potenti, quelli che la spacciano come corrente di pensiero;
costoro altri non sono che gli SPECULATORI, vale a dire quelli
che hanno provocato il dissesto idrogeologico e lo hanno poi
portato al livello attuale con cinica determinazione, traendo
enormi profitti dai disastri ad esso collegati. Ecco, la loro
è una corrente di pensiero, una corrente di pensiero
interessata! So per certo che queste mie affermazioni
susciteranno scetticismo, uno scetticismo che giustifico e che
comprendo, visto il pressing operato dagli speculatori
e dai loro vassalli attraverso un’informazione fondata sulla
demagogia e mirata a sfruttare a proprio vantaggio l’ignoranza
specifica dei cittadini (geologi lo si diventa, mica si nasce
…), fregandosene cinicamente della loro sicurezza e della loro
salute. Ed allora a chi mi legge propongo questa breve
riflessione: è più credibile chi sul territorio non ha alcun
interesse o chi invece sul territorio sviluppa la sua lucrosa
attività? Da questa riflessione non pretendo molto, anche
perché non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire; mi
basterebbe almeno innescare il tarlo del dubbio, la
possibilità che anche solo una piccola parte di chi mi legge
incominci a ragionare anche con la propria testa e a
documentarsi, invece che ingurgitare passivamente tutto quanto
gli viene propinato. E’ la stessa riflessione proposta a me
una ventina di anni fa … Chiuso questo preambolo, per me
doveroso ai fini di una corretta informazione, passo a
descrivere come e perché si è arrivati a quello che oggi viene
definito DISSESTO IDROGEOLOGICO.
Come ho già più volte
sottolineato nei precedenti capitoli, il Po soffre e rischia
di morire anche in questo tratto, a pochi km dalla sorgente, a
causa di 7 fattori ben definiti che sono:
INQUINAMENTO,
ECCESSIVE CAPTAZIONI, INOPPORTUNI INTERVENTI IN ALVEO,
CANALIZZAZIONI, CEMENTIFICAZIONI, DEFORESTAZIONE DELLE SPONDE,
OCCUPAZIONE ANTROPICA DELLE AREE ALLUVIONALI (GOLENE O AREE DI
PERTINENZA FLUVIALE). Lascerei per ultimi le captazioni e
l’inquinamento perché fanno storia a sé, ed inizierei dagli
INTERVENTI IN ALVEO perché a questo problema sono poi
direttamente collegati gli altri quattro punti rimanenti. Di
tutti gli interventi in alveo quello che ha provocato i danni
più devastanti é stato il cavare materiale litoideo
direttamente dall’alveo stesso. Con l’avvento della legge 431,
meglio conosciuta come Legge Galasso, si è provveduto a
regolarizzare questa attività; ad esempio cavare in alveo ora
non si può più, mentre per cavare fuori alveo bisogna
mantenere una distanza minima di 150 mt dal fiume con uno
sviluppo verso l’interno o parallelo al fiume stesso.
Purtroppo molte volte, grazie a
quell’opportunismo politico cui ho accennato prima, questa
legge viene disattesa. Mi spiego meglio: soprattutto dopo la
piena del 94, gli speculatori, ovviamente coperti da
amministratori collusi e con pochi scrupoli e cavalcando
l’onda emozionale provocata dal disastro, hanno fatto credere
che gli alvei dei fiumi in alcuni punti si fossero alzati,
oppure che bisognava “ripulire” i fiumi dalle piante spondali,
fatte diventare molto astutamente il capro espiatorio del
disastro.
In effetti tutto questo non
corrisponde assolutamente alla verità, perché, da uno studio
idrografico fatto eseguire dal CNR nel 95, é risultato che non
solo l’alveo del Po non si é innalzato, ma addirittura che sì
é abbassato quasi ovunque, con punte massime di 3,5 mt
(Crescentino)! Anche da Villafranca P.te, precisamente dalla
frazione Madonna Orti, ho testimonianze più che attendibili e
facilmente riscontrabili che l’alveo del Po si è abbassato di
circa 3 metri rispetto ad una cinquantina di anni fa.
D’altronde basterebbe fare un
piccolo e semplice ragionamento matematico per arrivare alla
verità: se da un qualsiasi sito viene levato del materiale,
quel sito non potrà che diminuire, certamente non potrà
aumentare! Ecco perché, ad esempio, i ponti vanno giù con
sempre maggiore facilità; perché hanno le fondamenta scalzate!
Altro che per colpa degli ammassamenti provocati dalle piante!
Comunque, quand’anche fosse vera questa tesi (ma non lo è),
bisognerebbe “ricordarsi” di dire che la maggioranza del
legname ammassatosi sotto i ponti è costituito da pioppi
piantati sulle sponde o nelle immediate vicinanze! Chi ha da
poco passato il mezzo secolo come me e che come me ha
frequentato i fiumi, sa benissimo che fino a 50 anni fa le
golene erano occupate dai boschi planiziali e che le rive
erano generosamente ricoperte da piante di ceduo. Quindi di
piante “assassine” lungo i fiumi ce n’erano in misura
infinitamente maggiore di quanto non ce ne siano oggi. Oggi
infatti le golene sono invase dalle colture (tra cui anche il
pioppo) e a volte persino (purtroppo) dalle abitazioni o da
insediamenti produttivi, mentre sulla riva il ceduo è presente
solo più in misura minima, con qualche esemplare spelacchiato
di robinia, di salice, di ontano e di sambuco. Allora: pensate
ancora che la colpa delle piene sia delle piante “assassine”
oppure esattamente del contrario? Vogliamo almeno rifletterci
su un momento? Quali piante dobbiamo ancora togliere se non ce
ne sono quasi più? Purtroppo la maggioranza della gente queste
cose le ignora (ma il mio dubbio è che non si faccia nessun
sforzo per cercare di non ignorarle…) perché la documentazione
relativa a quello studio idrografico condotto dal CNR è
conosciuta solo da quelle persone che hanno voglia di
documentarsi, mentre per gli speculatori ed i loro vassalli é
stato molto più facile propagandare il falso a tornaconto dei
loro interessi. Ed allora, con la scusa di far effettuare
interventi di “messa in sicurezza” dei fiumi, c’é stata
un’esplosione di ordinanze da parte dei sindaci di vari
comuni, anche di tanti paesi che non avevano avuto nulla a che
vedere con l’alluvione, i quali hanno fatto radere al suolo le
rive di fiumi, torrenti e bedali e ne hanno fatto dragare
indiscriminatamente e selvaggiamente i loro alvei (scandaloso
quello perpetrato ai danni del torrente Pellice, seguito
immediatamente a ruota da quello perpetrato sul torrente
Varaita e per ultimo quello perpetrato ai danni del Po da
Paesana a Revello e oltre), con conseguente indebolimento
delle sponde e velocizzazione delle acque. Non é difficile
immaginare che il prossimo grosso evento piovoso causerà danni
anche peggiori.
Ma per gli speculatori questo
sarà tanta manna dal cielo perché ricostruire è molto più
redditizio che prevenire. Cosa importa se poi ci andranno di
mezzo centinaia di vite umane e se si spenderanno migliaia di
miliardi di denaro pubblico? Questi “signori” intanto avranno
asportato migliaia di tonnellate di materiale litoideo
dall’alveo dei fiumi ed immesso chilometri e chilometri di
prismi di cemento o di massi di risulta delle cave di montagna
sulle sponde degli stessi, tutti interventi inutili o
addirittura dannosi ma che tradotti in lire significano
migliaia di miliardi!
Eccola la vera ragione! Tanto,
poi, se le “disgrazie” aumenteranno (e aumenteranno …) si farà
sempre tempo a dare la colpa alle piante o … agli
ambientalisti!
Per completare il quadro del
capitolo cavazioni, riporto un altro dato del CNR risalente al
93: siamo l’unico paese al mondo ad esportare sabbia e ghiaia
e lo facciamo nell’aberrante misura del 60% dell’estratto!
Ogni anno, quindi, esportiamo un bel pezzo di territorio della
nostra Italia! Questo succede perché, a differenza di altri
paesi, non abbiamo una politica di recupero degli inerti.
Parlo, ad esempio, del recupero di materiale edile derivato
dall’abbattimento di edifici; grottescamente ed
irresponsabilmente mettiamo in discarica oppure lungo i fiumi
il materiale inerte di risulta invece di riutilizzarlo:
sarebbe un materiale prezioso che ridurrebbe di molto
l’attività estrattiva, ma certamente ridurrebbe anche
l’attività speculativa che è quella che nel nostro Bel Paese
tira le fila...
Per far credere di porre
rimedio al dissesto provocato da queste cavazioni, si é sempre
ricorso e si continua a ricorrere, alle famose “PRISMATE”,
altro aspetto importante della speculazione in atto sul
territorio. Cosa sono le “PRISMATE”?. Sono quegli orribili
prismi di cemento che vengono posizionati sulle sponde a mo’
di pseudo riparo e che, purtroppo, fanno ormai parte
dell’attuale allucinante paesaggio fluviale.
«Ma queste prismate non
servono per proteggere le sponde dall’erosione?». Questa é
la domanda più ricorrente, frutto di una informazione
volutamente mistificata, che la gente comune mi pone ed alla
quale rispondo di no, andando sovente incontro all’accusa di
essere io un mistificatore.
Eppure, per conoscere la
verità, basterebbe ascoltare la voce di eminenti esperti del
settore, vale a dire ingegneri idraulici, geologi, naturalisti
ecc, che da anni vanno sostenendo che queste prismate non solo
sono pressoché inutili, ma addirittura, in certi casi,
addirittura dannose. Perché? Intanto perché, per costruirle,
viene usato materiale sottratto ai fiumi (e questa è già una
incoerenza), poi perché prima di piazzare dei corpi estranei
nei fiumi occorrerebbe studiare anticipatamente e globalmente
le dinamiche dell’intera asta fluviale e non limitarsi allo
studio (quando si fa …) del tratto in questione; infine
perché, in ogni caso, con questi interventi non si fa altro
che restringere l’alveo e quindi, di conseguenza aumentare la
possibilità di tracimazione. Le prismate o le massicciate
possono avere una loro validità solo se immesse a protezione
di manufatti pubblici (centri abitati, strade, ponti,
ferrovie, ecc.) che realmente corrono dei rischi sotto il
profilo dell’erosione, ma comunque sempre nel rispetto delle
dinamiche di cui sopra. Continuando ad intervenire a
compartimenti stagni e, soprattutto, senza uno studio globale
della situazione come si è fatto sinora, si provocano solo ed
esclusivamente dei danni, perché un intervento che potrebbe
eventualmente servire a monte, al contrario potrebbe provocare
dei danni a valle. Ed è esattamente quello che finora è
accaduto. Una prova? Le lunghe file di prismate e massicciate
che sempre più si possono trovare adagiate in mezzo all’alveo
dei fiumi con l’acqua che passa ai loro lati, spettrali
isolotti di cemento e di pietra che sono lì a dimostrare tutta
la loro costosa inutilità. Ma allora, mi si chiederà, perché
le prismate?
La risposta penso sia tutta in
un dato CNR del 1992: in quell’anno lo Stato spese la bellezza
di 2 mila miliardi solo per questi monumenti di cemento,
denaro pubblico che é andato ad ingrassare i cementifici che
sono strettamente legati ai cavatori, i quali sono
strettamente legati ai costruttori! E’ sufficientemente
chiaro? Quando poi non si interviene con le prismate, si
ricorre ai MASSI DI RISULTA delle cave di montagna. E questo è
un altro aspetto della speculazione, teso ad una super
rivalutazione ed al riutilizzo ancorché improprio di questi
massi, il tutto sulle tasche e sulla pelle dei cittadini.
Sia le PRISMATE che le
MASSICCIATE sono le maggiori responsabili di quel processo di
CEMENTIFICAZIONE dei fiumi in atto da tempo nel nostro Paese,
al contrario di altri paesi (ad esempio la Germania) dove
invece si sta correndo ai ripari decementificando. La
CEMENTIFICAZIONE é una delle principali cause dei sempre più
fequenti disastri provocati dalle onde di piena, perché il
cemento, a differenza delle sponde naturali che sono
permeabili ed hanno un grande potere assorbente, é
impermeabile, non assorbe e contribuisce così a far aumentare
il volume dell’acqua che quando tracima va ad occupare zone
mai occupate prima. Prismate e massicciate sono anche servite
come pretesto per smeandrizzare i fiumi, vale a dire eliminare
le anse (meandri) allo scopo di acquisire più ampi terreni da
adibire ad uso agricolo o, addirittura, ad uso edilizio. Si
sono così create le CANALIZZAZIONI, ovvero quelle strutture di
vario genere (prismate o massicciate, appunto) dove il fiume
viene ingabbiato perdendo così le sue caratteristiche naturali
di fiume ed acquisendo quelle artificiali di canale: da qui il
significato di CANALIZZAZIONE. C’é però un differenza
sostanziale fra un canale ed un fiume canalizzato ed è questa:
mentre in un canale il flusso dell’acqua viene regolato
artificialmente attraverso un complesso sistema di paratìe,
nel fiume ciò non è possibile ed esso é obbligato a
raccogliere tutta l’acqua che arriva dal cielo. Ed ecco un
altro anello della catena che provoca quelle catastrofi che
molto opportunamente il Prof. Pietro Giuliano Cannata,
ingegnere idraulico e docente presso l’Università La Sapienza
di Roma, ha definito “CALAMITA’ ARTIFICIALI”. Infatti la
smeandrizzazione e la conseguente canalizzazione dei fiumi,
porta anche al loro raddrizzamento e quindi ad un inevitabile
accorciamento; a questo proposito cito un altro dato CNR
(Centro Nazionale delle Ricerche) che risale al 1993: il Po,
nel solo territorio regionale piemontese, negli ultimi 100
anni è stato accorciato del 6%, vale a dire di oltre 12 Km!
Pertanto il volume d’acqua che prima era contenuto in 200 Km
ora dovrebbe essere contenuto in 188, il che, ovviamente, non
é possibile. Senza contare la velocizzazione che l’acqua del
fiume acquista da questi sconsiderati interventi e che
determina una maggiore sollecitazione sulle sponde, causando
enormi erosioni.
Ma le succitate “CALAMITA’
ARTIFICIALI” hanno anche un’altra componente: la
DEFORESTAZIONE DELLE SPONDE E DELLE AREE ALLUVIONALI (GOLENE).
Per acquisire sempre più vasti
terreni da adibire a coltura, gli agricoltori, mossi
dall’interesse e dalla disinformazione, hanno sottratto al
fiume enormi aree boschive, andando ad occupare la cosiddetta
AREA DI PERTINENZA FLUVIALE (GOLENA), vale a dire quell’area
dove é scientificamente provato che il fiume ci arriva, fosse
anche solo una volta ogni cento anni. Sopratutto non ci si é
nemmeno più degnati di rispettare almeno l’art.96, comma F,
del T.U. 25 luglio 1904, n° 523, “opere idrauliche”, che
stabilisce in 4 metri la distanza minima delle colture dalla
sponda del fiume! Questo è potuto accadere grazie alla
compiacenza di chi dovrebbe essere preposto al controllo! Ora
questa norma è stata prevaricata DALL'ART 5, PUNTO 2, COMMA C
delle NORME di ATTUAZIONE del PIANO STRALCIO delle FASCE
FLUVIALI, redatto dall'AUTORITÁ di BACINO del PO ed approvato
dal CONSIGLIO dei MINISTRI nel GIUGNO '98, che ha portato la
distanza a 10 METRI. Ma senza controlli, o con controlli
compiacenti com’é stato finora, anche questa norma non farà
altro che andare ad accrescere il numero infinito di normative
che sono tali solo sulla carta! A proposito dell’occupazione
della FASCIA DI PERTINENZA FLUVIALE, cito un altro dato del
CNR, sempre relativo agli ultimi cent’anni: in questo periodo
é stato sottratto al Po, nel solo tratto piemontese, ben il
67% di quest’area!
Deforestando fino a riva o
addirittura in riva, gli agricoltori hanno contribuito in modo
determinante all’indebolimento delle difese naturali delle
rive stesse, che così si offrono nude alla furia delle acque
in piena, a loro volta velocizzate da canalizzazioni e
cementificazioni, finendo per essere facilmente asportate.
Come se non bastasse, sempre
più frequentemente i frontisti piantano direttamente in sponda
i pioppi che rappresentano il pericolo maggiore per la
compattezza delle sponde stesse. Perché? Perché mentre
robinie, ontani, salici e sambuchi, grazie al loro imponente
apparato radicale rispetto all’altezza del tronco, sono
essenze spontaneamente predisposte al consolidamento delle
sponde stesse, i pioppi sono piante di coltura che hanno un
apparato radicale estremamente limitato rispetto all’altezza
del tronco.
Di conseguenza possono essere
facilmente scalzati e quando cadono si portano appresso una
notevole quantità di riva, dove poi il fiume si infila per
dare inizio all’erosione. Inoltre il pioppo, a differenza
delle tipiche piante spondali succitate, non si piega al
passaggio dell’acqua, favorendo così un ulteriore ostacolo e
generando quei vortici che poi portano al suo scalzamento,
all’inevitabile caduta e, magari, a formare quelle tanto
reclamizzate dighe sotto i ponti.
Come se non bastasse, e questo
é l’aspetto più grave dell’invasione antropica dell’AREA DI
PERTINENZA FLUVIALE, su parte di quel 67% sottratto al Po si é
edificato, pur sapendo che inevitabilmente l’acqua prima o poi
sarebbe arrivata e continuerà ad arrivare! Altrettanto è
successo e succederà sugli altri corsi d’acqua, compreso il
Tanaro. Ciò é potuto accadere perché gli speculatori, magari
aiutati, per semplice asservimento o peggio per probabili
interessi su quelle aree, da compiacenti amministratori
locali, sono riusciti a far indirizzare i piani regolatori a
svilupparsi verso i fiumi e non viceversa come sarebbe stato
logico fare! Tutto qui! Ma i fiumi non si possono ingabbiare
così impunemente come finora è stato fatto. Prima o poi
tendono a riprendersi ciò che é stato loro sottratto e ci
riescono! E’una legge naturale o, se vogliamo e per chi è
credente, una legge Divina. D’altronde basterebbe riflettere
e leggere la Storia: forse che Dio ha creato i fiumi con il
cemento o i massi? No! I fiumi si sono creati il loro alveo
scavandoselo centimetro dopo centimetro, anno dopo anno,
secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, per milioni di
anni. Questa è Storia, non fantasia interessata e demagogica!
É la conferma più autorevole che l’alveo di un fiume non potrà
mai innalzarsi ma solo abbassarsi perché è un fatto
fisiologico. Magari solo di un millimetro all’anno, ma si
abbasserà; però quel millimetro dopo mille anni sarà diventato
un metro! Basterebbe riflettere!! Certo è successo e succederà
ancora che una grossa piena possa provocare un’erosione; ma
questa, proprio per ragioni di dinamiche fluviali, non
proseguirà mai sulla stessa sponda. Magari già alla piena
successiva il fiume si sposterà sull’altra sponda con
conseguente allargamento dell’alveo. In questo modo verrà a
crearsi un bacino di utenza più ampio per il deflusso
dell’acqua, con conseguente diminuzione della possibilità di
esondazione. Ecco: queste sono le dinamiche fluviali naturali
che i fiumi hanno portato avanti per milioni di anni. Poi,
soprattutto negli ultimi 50 anni, l’uomo ha pensato di
stravolgerle per meri fini speculativi ed ora pretende anche
di non dover pagare le conseguenze di questa intrusione e di
questa invasione, addossando la colpa al fiume o ad altri
fattori (piante, ambientalisti, ecc) che non centrano nulla.
Ma il fiume non è colpevole, il fiume non fa altro che seguire
il suo corso e gli eventi come tutti i fenomeni naturali e
niente e nessuno potrà mai impedirglielo! Nemmeno l’uomo che,
completamente accecato dal dio denaro e dalla sua presunzione,
da HOMO SAPIENS si è trasformato in HOMO STUPID e questa sua
irresponsabilità lo porterà presto all’autodistruzione!
Con l’approvazione del PIANO
STRALCIO DELLE FASCE FLUVIALI, l’edificabilità in certe aree
non dovrebbe più essere possibile, ma mi si permetta di usare
il condizionale... Infatti i maggiori oppositori di questa
nuova regolamentazione sono proprio gli amministratori locali,
totalmente asserviti alle corporazioni degli speculatori,
potenti e quindi intoccabili! Sto esagerando? Provate ad
uscire dal torpore e dall’indifferenza e ve ne accorgerete!!
In conclusione ed in base alle
loro esigenze, ecco cosa dobbiamo dare ai fiumi per garantire
la sicurezza di quegli insediamenti sorti in aree dove invece
non si sarebbe mai dovuto costruire: lasciarli divagare nella
loro area di pertinenza (i fiumi non “vanno dove vogliono”,
come demagogicamente sostengono gli speculatori, ma divagano
solo nel loro ambito di diritto) e contemporaneamente cercare
di ricreare intorno ad essi quell’ecosistema che i nostri avi,
molto meno dotati di mezzi tecnologici ma molto più rispettosi
di noi dell’ambiente che li circondava, avevano sapientemente
saputo conservare. Come? Creando delle vie di fuga, delle
sacche, dove il fiume possa sfogarsi e magari riforestando.
Oppure ricreare gli ARGINI, le famose BARBACAN-E, che
delimitano la golena ma, nello stesso tempo, consentono al
fiume di sfogarsi e di perdere gran parte della sua forza
distruttiva.
Certo qualcosa bisognerà
concedere in termini di terreni, ma vale la pena ricordare che
é molto meglio ridare al fiume quel che gli spetta piuttosto
che attendere che venga a riprenderselo! Solo così non
dovremo più assistere a tragedie come quella del novembre
1994, anche se le piene ci saranno sempre; l’importante è
cercare di imparare nuovamente a convivere col fiume invece
che continuare a violentarlo!
L’ultimo capitolo relativo al
dissesto idrogeologico riguarda le CAPTAZIONI, ovvero i
prelievi di acqua, che possono essere identificate in tre
precise suddivisioni: a scopo idroelettrico, a scopo irriguo
ed a scopo potabile. Nel tratto in oggetto ed intendendo per
esse il prelievo diretto dal fiume, le CAPTAZIONI avvengono
esclusivamente per uso idroelettrico e per uso irriguo.
L’uso idroelettrico é più
applicato in media ed alta valle Po (ricordiamo il bacino
idroelettrico Monviso della frazione Calcinere di Paesana) e
serve ad alimentare sia l’energia elettrica privata che
pubblica; l’uso irriguo é invece più diffuso in pianura, sia
col prelievo diretto dal fiume, che col prelievo indiretto
mediante le innumerevoli idrovore che pompano giornalmente
immense quantità d’acqua, contribuendo così ad abbassare le
falde. Anche a questo irrazionale sfruttamento delle acque
(del Po nello specifico, ma penso che il discorso valga per
tutti i fiumi d’Italia), si sta cercando di porre rimedio con
una appropriata regolamentazione, entrata da poco in vigore,
che per prima cosa impedirà di rilasciare nuove concessioni di
centraline idroelettriche se non verrà garantito al fiume il
D.M.V. (DEFLUSSO MINIMO VITALE), cioè la quantità d’acqua
necessaria per la sua sopravvivenza biologica; a questa prima
normativa fa seguito tutta una serie di altre normative
tendenti ad impedire la più selvaggia delle speculazioni come
é avvenuto in passato.
Purtroppo anche qui gli
interessi sono enormi ed i controlli pochi e tante volte,
anch’essi interessati... Pertanto, onde evitare che anche
questa pregevole normativa non rimanga tale solo sulla carta,
bisogna solo sperare che chi è addetto ai controlli lo faccia
con serietà, vigilando in modo particolare su certi
amministratori, a tutti i livelli e di tutti gli Enti, dalla
concessione “facile” o, sopratutto, “cieca”....
Per quanto riguarda
l’INQUINAMENTO, che ho già trattato diffusamente nel primo
capitolo, sarà possibile debellarlo solo con l’impegno di
tutti. In tal caso potremo rivedere i pesci guizzare a
migliaia e ritornare a fare il bagno nelle acque del Po come
era caratteristico fino all’inizio degli anni ‘60; altrimenti
dovremo rassegnarci a convivere con un problema che non
riguarda solo l’ecosistema fluviale ma la salute pubblica,
visto che il progressivo inquinamento dei fiumi andrà
inevitabilmente ad interagire sulle falde freatiche dalle
quali attingiamo l’acqua dei nostri pozzi.
Ed i primi segnali sono già
stati avvertiti a Cardé, paese ancora privo di acquedotto,
dove periodicamente vengono trovati pozzi inquinati, sia
pubblici che privati. Per questo prima ho detto che per
debellare l’inquinamento ci vuole l’impegno di tutti; o
vogliamo forse attendere di non poter più bere l’acqua per
renderci conto di quanto grave sia il problema? Non ci vuole
più molto, purtroppo, perché ciò accada, ma quando avverrà
sarà troppo tardi. Certo, quando parlo di impegno di tutti
intendo in particolare una politica nazionale ferrea, che
faccia applicare le leggi (che come ho già detto ci sono...)
con rigore, senza proroghe o eccezioni e senza fermarsi al
primo impatto, vale a dire appena conosciute le generalità
degli inquinatori, come è accaduto in passato ed accade tutt’ora.
Per arrivare a ciò bisogna però creare strutture adeguate e
fornirle di maggiori poteri di quelli attuali.
Finché non sarà creato questo
binomio, tutte le iniziative non avranno altro che il sapore
della demagogia; ne è l’esempio il Parco Fluviale del Po,
istituito dalla Regione nel 1990, che, caduto nelle maglie
della burocrazia, della politica più gretta e, fattore più
grave, nelle mani di certe corporazioni, non ha finora assolto
nessuno dei compiti per il quale era stato istituito, se non
quello della didattica, comunque importante. Anzi, dirò di
più: ci sono stati dei casi, per quanto riguarda il dissesto
idrogeologico, che hanno contribuito a peggiorare la
situazione (tipo gli interventi di tipo esclusivamente
speculativo effettuato con massi alla confluenza Po – Varaita
o quello nel Po in media e bassa valle citato prima, i più
eclatanti ma non i soli...), mentre non è assolutamente
migliorata la situazione inquinamento, né tantomeno quella
legata al bracconaggio, la piaga peggiore, dopo appunto
l’inquinamento, per quanto riguarda la sopravvivenza della
fauna ittica.
Ovviamente queste ultime
riflessioni riguardano il tratto cuneese del Parco del Po,
mentre, per ovvi motivi di incompetenza, non posso dare
giudizi sul tratto torinese o su quello alessandrino.
Parlando invece di bracconaggio
e di leggi sulla pesca, c’è da dire che negli ultimi anni sono
venute a crearsi situazioni a dir poco grottesche, tra usi
civici, acque libere, acque Fips, ecc.. Per renderle meno
incomprensibili e più efficaci, potrebbe essere interessante
una proposta di questo genere: decentrare la gestione alle
Regioni ed alle Provincie in modo totale, onde poter tenere
conto delle variegate realtà del territorio, con l’istituzione
di un tesserino unico a valore nazionale con due versamenti:
uno alla Regione ed uno alla Provincia di appartenenza del
contribuente. Fatto questo e, nello stesso momento, adottando
adeguate contromisure, si potrà cominciare a parlare di
liberalizzazione totale delle acque. In caso contrario non si
farebbe altro che banale demagogia. Una di queste contromisure
potrebbe essere rappresentata dall’istituzione dei cosiddetti
“RISERVINI”.
Si tratterebbe di chiudere di
volta in volta e per un certo periodo di tempo (3-4 anni) dei
tratti di fiume alla pesca per adibirli esclusivamente a
ripopolamento, ovviamente scientificamente controllato.
D’altra parte, liberalizzando le acque, i territori da
sorvegliare sarebbero ancor più ampi ed allora mi riallaccio
al discorso fatto prima sulle strutture adeguate, nella
fattispecie il potenziamento del personale addetto alla
vigilanza.
Ed ecco che puntualmente salta
fuori il problema “costi”; ma anche qui la soluzione potrebbe
essere molto più semplice di quanto si vuole dare ad intendere
(per motivi che sinceramente mi sfuggono) e potrebbe arrivare
dal servizio di leva, istituendo al suo interno una vera e
propria specializzazione; una forma di servizio civile,
insomma. Sono convinto che sarebbero moltissimi i ragazzi
disposti a svolgere un servizio civile a difesa dell’ambiente,
magari con l’incentivo di un piccolo incremento del loro
soldo, in ogni caso sempre meno oneroso dello stipendio di una
guardia giurata.
Inoltre i militari non
avrebbero nemmeno quei problemi di carattere sentimentale che
potrebbe invece sorgere in guardie giurate locali. Il servizio
dovrebbe in ogni caso essere sia diurno che notturno, in
quanto é proprio di notte che i bracconieri e gli inquinatori
agiscono di preferenza. Comunque, e mi ripeto, a monte di
tutte queste possibili misure, é necessario, anzi vitale, che
si dia il via, a livello nazionale, ad una politica ambientale
vera e non solo demagogica (ad esempio: quando si imporrà a
Milano di fornirsi di un depuratore?...), superando
clientelismi e tacite connivenze con le corporazioni di grosso
calibro politico che, finora, hanno di fatto impedito l’avvio
di questa politica, dettando, invece, le loro leggi nefaste
sia per l’ambiente che, sopratutto, per l’uomo.
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