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Cronistoria dell'inquinamento |
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Il processo di inquinamento del
Po nel tratto in oggetto, ebbe inizio verso la metà degli anni
‘60. All’inizio esso si manifestò sotto forma di un periodico
ingrigimento dell’acqua. Subito si pensò potesse essere
causato dall’estrazione di ghiaia in alveo ad opera delle
numerose imprese estrattive sorte in località San Firmino di
Revello, nei pressi dell’Abbazia Cistercense di Staffarda.
Però, col passare del tempo, si
poté notare che l’ingrigimento aumentava di intensità e di
frequenza, fino a diventare giornaliero, con le sembianze di
una sostanza color latte, densa e puzzolente che non poteva
certamente essere definita acqua e che nulla aveva a che fare
con l’attività estrattiva. Risalendo il fiume, si poté
constatare che a provocare tale fenomeno erano le acque del
Rio Torto, un corso d’acqua di notevole portata che scende
dalla Valle Varaita, raccoglie gli scarichi industriali,
urbani ed agricoli dei comuni di Verzuolo, Manta e Saluzzo e
li porta con sé fino alla confluenza col Po, proprio
all’altezza della suddetta località San Firmino, anche se in
riva orografica destra. Da un’ulteriore verifica, si poté
appurare che a monte del comune di Verzuolo e della frazione
Villanovetta, l’acqua del Rio Torto era limpida.
Poi, partendo da questo punto e
scendendo fino alla confluenza col Po, Il Rio Torto non
presentava più alcuna forma di vita riguardo alla ittiofauna
ed anche la flora acquatica cominciava a presentare gravi
segni di sofferenza. Contemporaneamente, nel territorio di
Cardé, cominciarono a deteriorarsi anche i corsi d’acqua
minori, come il Tepice, la Lessia, il Riondino, la Bearlassa e
la Bealera del Mulino, i quali hanno origine in territorio
saluzzese e che inizialmente presentavano le stesse
caratteristiche del Rio Torto. Come se non bastasse, a questo
fenomeno andò ad aggiungersi l’inquinamento da liquami
proveniente dai sempre più numerosi allevamenti di bestiame
(in particolare di suini) spuntati sul territorio senza che
nessuno si preoccupasse di valutarne l’impatto ambientale.
Bisogna però ricordare che, a quei tempi, sia la
sensibilizzazione verso i problemi dell’ambiente, che, di
conseguenza, la sua conoscenza, sia la legislazione in merito,
erano del tutto lacunose e lasciavano l’ambiente stesso alla
mercé degli speculatori.
Oltretutto costoro godevano di
protezioni a tutti i livelli, come possono testimoniare le
numerose istanze portate avanti da alcuni privati che si sono
concluse nel nulla, oppure, nel peggiore dei casi, addirittura
col rischio corso da costoro di ricevere delle denuncie per
calunnia! In breve tempo tutti questi piccoli corsi d’acqua
subirono il processo di degrado fino all’ultimo stadio con la
conseguente morte biologica.
Ovviamente, essendo affluenti
del Po, contribuirono in modo determinante ad aumentare
l’inquinamento del grande fiume. Il degrado dell’acqua del
Po, raggiunse il suo apice negli anni 70 quando, alla già
citata “acqua bianca”, si aggiunse un altro fenomeno
inquinante rappresentato da piccole particelle di una sostanza
indefinibile che, accompagnandosi e mescolandosi ad un liquido
(impossibile definirlo acqua) color grigio - piombo, denso e
puzzolente, si attaccavano alla vegetazione acquatica e
spondale, alle pietre ed alla ghiaia del fondo dell’alveo.
Poi, nelle piccole anse, denominate “molli” dai pescatori
locali, esse decantavano depositandosi sul fondo fino a
formare uno strato melmoso e nauseabondo che non permetteva
più lo scambio tra acqua ed aria, determinando così la quasi
totale impossibilità di riproduzione delle specie ittiche, in
quanto le uova, depositate in quel putridume completamente
privo di ossigeno, andavano in putrefazione in pochissimi
giorni.
Di conseguenza alcune specie come il Temolo, lo
Scazzone, la Lampreda e la Lasca erano pressoché scomparse,
mentre altre come il Barbo, il Cavedano, il Vairone e la Trota
Marmorata, cominciarono vertiginosamente a diminuire.
Sopravviveva un certo numero di trote Fario ed Iridea per la
massiccia opera di ripopolamento portata avanti dalle locali
Società Pescatori. Come se non bastasse, ad
aggravare ulteriormente la situazione ci si mise anche il
torrente Bronda, un corso d’acqua che scende dalla valle
omonima e confluisce nel Po un km circa a monte del Rio Torto
e che, a cominciare proprio da quel periodo, ha subìto un
graduale quanto inarrestabile peggioramento della qualità
delle sue acque, interessate dagli scarichi provenienti dalle
varie attività antropiche sorte sulle sue sponde, nonché,
paradossalmente, da quelli provenienti dai depuratori di Pagno
e Saluzzo, come provato dal documento stilato dall’Arpa di
Cuneo in relazione all’anno 1997, reso pubblica nel gennaio
1998 con protocollo n° 246 ed avente come oggetto l’analisi
della qualità biologica dei corsi d’acqua afferenti al fiume
Po e del Po medesimo in territorio di Cardé. Nel frattempo
numerosi insediamenti suinicoli nascevano anche nella bassa
(zona Revello - Sanfront) e media (zona Sanfront - Paesana)
valle Po, in totale dispregio delle leggi vigenti a quel
tempo, in particolare alla legge Merli, che stabilisce in 40
quintali di bestiame vivo per ogni ettaro di terreno il
rapporto da tenere per un omogeneo smaltimento dei liquami;
questo rapporto vale per un insediamento di tipo agricolo.
Chi non dispone di questo
rapporto, ossia non possiede il terreno necessario per lo
smaltimento dei liquami in proporzione al bestiame, deve
installare un impianto di depurazione ed il suo insediamento
viene considerato di tipo industriale. Purtroppo, e questa
particolarità é facilmente constatabile, in questa zona, ma
non solo, molti allevatori non possiedono nemmeno un orto per
l’insalata, né tanto meno un impianto di depurazione, eppure
allevano migliaia di capi senza che le istituzioni competenti
siano mai intervenute per far rispettare le leggi vigenti e
regolarizzare il tutto. D’altronde, e non lo dico per
difendere gli allevatori, in una vallata stretta come la Valle
Po, é materialmente impossibile poter rispettare il succitato
rapporto terreno - bestiame, proprio perché manca il terreno.
Allora si é trovato un
escamotage, il solito compromesso all’italiana, che era stato
adottato e che sussiste tutt’ora esclusivamente per compiacere
la potente corporazione degli allevatori, visto che non ci
risulta essere contemplato nella suddetta legge Merli: chi non
ha il terreno, va ad affittarlo da altri magari anche a 20 -
30 km di distanza! Sarei proprio curioso di vedere se questi
km vengono veramente coperti oppure se il contenuto delle
cisterne viene rovesciato nel primo fosso o nel primo rio
incontrato nel tragitto! Ed hanno anche ragione! Lo farei
anch’io perché non voglio sembrare più onesto degli altri e
sicuramente non mi farei 50 - 60 km col mio trattore a 20 km
all’ora, impiegando ore e quindi perdendo tempo e soldi! Ma
siamo seri, per piacere! Meglio sarebbe allora fare una legge
funzionale senza ricorrere a questi mezzucci e prendere in
giro milioni di persone che, oltretutto, devono anche
sopportare le conseguenze dell’inquinamento causato da queste
arbitrarie immissioni nei corsi d’acqua.
Ritornando all’inquinamento del
Po nel territorio in oggetto, c’é ancora da sottolineare che
il tasso maggiore lo si aveva tra la confluenza col Rio Torto
e la confluenza col torrente Ghiandone, in quanto, a valle di
quest’ultima confluenza e grazie alla notevole portata d’acqua
(alla confluenza paragonabile a quella del Po) del Ghiandone
stesso, arrivato fin lì ancora limpido e puro dalla Valle
dell’Infernotto, il grande fiume tornava a vivere. Ma tra le
due confluenze il Po era praticamente morto, sia dal punto di
vista della fauna che della microfauna ittica.
Gli unici momenti di sollievo che il fiume
godeva, capitavano nei mesi estivi quando, vuoi per cause
naturali (periodo di secca), vuoi per cause artificiali
(captazioni per uso irriguo cui il Rio Torto era ed è
soggetto) il Rio Torto stesso era (è) praticamente privo
d’acqua o, per meglio dire, di quell’indefinibile liquido che
scorreva nel suo letto e quindi non poteva più portare il suo
terrificante contributo di morte. In questi mesi l’acqua del
Po si presentava limpida anche se non pura perché, in ogni
caso,
persisteva l’inquinamento derivante dalle
porcilaie (i colibatteri ed i colifecali non sono visibili ad
occhio nudo...).
Racconterò ora alcuni episodi
che ritengo emblematici di come a quei tempi venivano
affrontati i problemi ambientali.
Un giorno d’estate del 1982,
l’acqua del Po, oltre al consueto colore grigio - piombo
accompagnato dalle solite minuscole particelle, emanava un
penetrante odore di mosto. Al riguardo vale ricordare che tra
le industrie del saluzzese c’erano e ci sono delle distillerie
dedite sopratutto al trattamento di polpa di mele o pesche.
La conseguenza di quel tipo di
inquinamento fu la morìa di una grande quantità di trotelle,
temolini e delle altre specie presenti sul territorio.
L’allora segretario dell’Associazione Pescatori di Cardé,
accompagnato da due guardie giurate volontarie, risalì il
corso del Po e poté individuare nel rio Torto, recettore degli
scarichi di queste industrie, la causa del fenomeno
inquinante. Avvisò il responsabile dell’Ufficio Igiene di
Saluzzo, ma costui, nonostante tutte le assicurazioni, non
fece effettuare alcun sopralluogo, ovvero nessuno di questo
Ufficio si fece vedere.
Nel marzo 1978, precisamente il
giorno 22, l’ormai quotidiana “acqua bianca” assunse
proporzioni massicce. Era una cosa allucinante. I pesci
venivano a galla boccheggiando e molti morivano. Telefonai in
Provincia a Cuneo ( a quei tempi la competenza sulla salubrità
delle acque era ancora dell’Amministrazione Provinciale e non
dell’Ussl) e mi fu assicurato il pronto intervento.
Nell’attesa andai a chiamare il Messo Comunale di Cardé ed
insieme cercammo di fare un prelievo, ma non fu possibile
effettuarlo tanto era il fetore che quel liquido denso e
biancastro emanava! L’attesa comunque fu inutile, perché i
responsabili provinciali non si fecero vedere. Così non fu
possibile presentare denuncia ed io persi inutilmente una
giornata di lavoro.
Il lunedì successivo, giorno di
Pasquetta, il fenomeno si ripeté. Non fidandomi più delle
istituzioni, pensai di affidarmi agli organi di stampa
telefonando alla Gazzetta del Popolo, allora giornale di
grossa rilevanza. Purtroppo i risultati furono uguali: passai
tutto il giorno ad attenderli invano, masticando rabbia e
delusione. Ma non potevo rassegnarmi a lasciare che pochi
individui potessero far scomparire così impunemente la vita
dal più grande fiume d’Italia. E così, passato un certo
periodo di sfiducia, ritornai a combattere la mia battaglia a
difesa di quel grande patrimonio naturalistico, storico e
culturale che l’ambiente fluviale del Po rappresenta per i
nostri paesi e le nostre genti.
Nell’aprile del 1984, grazie ai
buoni uffici del futuro Senatore Giacomo Paire di Bagnolo,
ottenni un colloquio con l’allora Ministro dell’Ambiente On.
Alfredo Biondi. Il Ministero per la tutela dell’ambiente era
stato istituito proprio in quell’anno e questo mi fece pensare
che le cose, nella nostra politica, cominciassero a cambiare,
come in effetti è stato, anche se molto più a rilento di
quanto sono cambiate in altri campi dove gli interessi
speculativi, e quindi le ingerenze politiche, sono decisamente
meno forti.... Al Ministro Biondi parlai della drammatica
situazione di degrado in cui versava il nostro tratto di fiume
(da non dimenticare a nemmeno 40 km dalla sorgente!) e gli
consegnai una lunga relazione scritta, ottenendo la promessa
di un suo diretto interessamento.
In effetti, col passare degli
anni, la situazione andò lentamente migliorando, in
particolare cominciò a diminuire l’incidenza degli scarichi
industriali che provocavano le conseguenze più nefaste, mentre
non accennava a diminuire quella di natura urbana e organica.
Reti fognarie fantasma, depuratori inadatti o subito obsoleti,
un sempre crescente numero di insediamenti suinicoli non in
regola con la succitata legge Merli, sono state la causa di
questo perdurante tipo di inquinamento. La scarsa o nulla
sensibilità delle amministrazioni locali verso i problemi
dell’ambiente e le coperture (se non addirittura le
connivenze...) delle istituzioni verso certe corporazioni
sempre molto potenti, hanno fatto il resto, rallentando od
annullando di fatto il processo di prevenzione contro
l’inquinamento richiesto da più parti.
Nel 1990 la Regione Piemonte,
unica in Italia, ha istituito l’Ente Parco del Po che nelle
intenzioni avrebbe dovuto essere il trampolino di lancio per
arrivare ad un corretto “uso” del territorio fluviale.
Purtroppo, per le ragioni che ho citato prima, sopratutto per
le feroci opposizioni delle amministrazioni locali e di certe
potenti corporazioni, ciò non é ancora stato possibile, almeno
per quanto riguarda il tratto cuneese. Quel poco che si é
mosso é stato a livello didattico - informativo, ma più per
iniziativa di piccole associazioni cosiddette ambientaliste
(Amici del Po di Cardé e di Villafranca) o di semplici
privati, che per diretto interessamento dell’Ente Parco.
Ed é proprio questo il punto:
dovremmo essere noi cittadini, tutti indistintamente, al di là
della politica ufficiale, a guardare all’ambiente con
un’ottica diversa da quella avuta finora. Si deve capire che
darsi da fare per salvaguardare la fauna, la flora, l’acqua e
l’aria non significa lottare per qualcosa di astratto fine a
sé stesso, ma significa salvaguardare la nostra stessa vita,
la vita dell’uomo che dall’ambiente che lo circonda dipende in
modo totale. Bisogna arrivare a capire l’importanza
dell’equazione ambiente sano = uomo sano/ ambiente malato =
uomo malato; cioè che solo con un ambiente sano l’uomo può
ancora avere un futuro, migliorare la qualità della propria
vita e tornare a quella gioia di vivere che molti oggi hanno
perduto. Senza questo principio fondamentale, senza questa
presa di coscienza popolare, la battaglia non sarà mai vinta e
l’uomo é destinato a perdersi.
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