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Nave senza nome |
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La sua astronave,
priva di un navigatore a causa di un imprevisto, era incappata in una
temibile stella azzurra. Tutti i membri
dell'equipaggio erano morti, tranne lui.
In lui, quasi
miracolosamente, era rimasta una scintilla di vita. Naturalmente il
corpo era pressoché distrutto, era stato necessario costruire
completamente un androide che potesse ospitare il suo cervello. Ma non era il
primo caso. Di solito ci voleva
un periodo di adattamento, più o meno prolungato, perché il cervello si
abituasse a dare ordini al corpo robotico. Seguiva poi la fase
di adattamento psicologico ad un nuovo corpo, meccanico. Di solito, però,
le vittime di questo tipo di incidenti tornavano essere pressoché
normali. Ma con Roman non
era successo così. Nonostante avesse
una moglie, una figlia piccola, non era tornato. Era giovane, forte.
Aveva iniziato solo
da pochi anni la carriera di comandante, era una mente brillante, ed anche
molto attiva. Non c'era motivo
perché non tornasse, perché non desiderasse tornare. Eppure, così
era successo. Fisicamente era più
che a posto. Tutti
i sistemi erano stati accuratamente controllati e tutto era pronto a
funzionare. Ma la mente non ne
voleva sapere. Ogni giorno,
provavano a stimolare elettricamente i muscoli, sperando che questo
avrebbe convinto la mente a prendere di nuovo possesso di un corpo. Ma Roman rimaneva lì, immobile, con delle reazioni limitate alla scossa elettrica fornita. |