Niccolò
Macchiavelli: Introduzione ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio a cura di Giuseppe Bonghi
Dal
1513 al 1519 lavora ai Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio,
trattato sulle Repubbliche, che sotto certi aspetti è più importante del
Principe, ma rispetto al Principe manca innanzitutto di
una accettabile sistematicità già a partire dalla seconda metà del
primo libro. Nati probabilmente come commento alla prima deca della Storia
di Tito Livio, divengono ben presto l'insieme di riflessioni autonome in
cui il riferimento al testo del grande storico romano è l'occasione più
evidente della discussione e la stratificazione storica all'interno della
quale Machiavelli può attingere per enucleare le sue norme politiche,
riguardanti:
-
il comportamento delle repubbliche,
-
il comportamento dei popoli,
-
il comportamento dei singoli
cittadini
-
il comportamento dei Principi,
dei principati
-
le congiure, la religione, la
dittatura, le leggi
-
le milizie e la scelta dei
capitani, la guerra
-
la virtù, la fortuna, la
religione, la libertà, la corruzione, l'autorità
-
le qualità morali.
Gli argomenti sono variamente mescolati nei tre libri, senza seguire un
filo logico apparente, ma evidentemente seguendo il filo delle
conversazioni che si venivano svolgendo fra gli amici. I Discorsi
rappresentano la teorizzazione dello Stato-Civiltà, che in germe è già
una fase più avanzata del pensiero machiavelliano e contengono il
virtuale superamento della concezione politica presente nei teorici del
Rinascimento e in parte anche nel Principe e ricordano la più
grande esperienza che un popolo abbia mai fatto e lasciato come
ammaestramento per le generazioni future soprattutto sul piano del
Diritto, e devono essere letti a integrazione del Principe; anzi,
sotto certi aspetti, sono un'opera più rivoluzionaria proprio perchè
scritta in un periodo in cui era non solo difficile ma addirittura ozioso
parlare di Repubbliche. "Le due opere così finiscono col conciliare
quelle che sono le esigenze della storia di ogni popolo: dove la virtù
creativa di un capo si incontra sempre nell'anima universale,
consustanziandosi storicamente in tutta una nazione, in tutta una civiltà"
(Luigi Russo).
Molti dei temi trattati
nei Discorsi li aveva trattati nelle conversazioni degli Orti
Oricellari dei giardini fiorentini di Palazzo Rucellai, dove uomini
d'ingegno e di cultura amavano trascorrere ore in discussioni in mezzo
alle insoddisfacenti vicende quotidiane di Roma e di Firenze e del mondo
in genere, troppo piccolo e mentalmente angusto di fronte ai discorsi che
vi si tenevano; vi legge molti capitoli e viene stimolato a continuare.
Alla fine li dedica a due amici: Cosimo Rucellai, detto Cosimino, nipote
del fondatore degli Orti, morto in età giovanile, e Zanobi Buondelmonti,
che nella seconda congiura contro Giovanni dei Medici trovò scampo nella
fuga. Il motivo ispiratore dei Discorsi è l'utilità della storia
derivante dalla continuità di carattere della stessa natura umana. Molti
si fermano davanti al piacere che deriva dalla lettura dei casi vari e
innumerevoli, giudicando l'imitazione non solo difficile, ma impossibile.
Ma l'imitazione è difficile perché non si tratta solo di copiare, ma di
trarre da ciò che è occasionale e contingente ciò che è duraturo ed
essenziale.
Il modo che Machiavelli
ha di concepire non sempre è in linea con i princìpi dell'Umanesimo,
anzi spesso si mette in contrasto con esso, perché cerca non tanto di
onorare il passato, quanto di trovare elementi nelle esperienze passate
che possano arricchire e guidare le azioni del presente in una sorta di
imitazione attiva. Così ne scrive:
Quando
io considero quanto onore si attribuisca all'antichità, e come molte
volte lasciando andare molti altri esempli, un fragmento d'una antica
statua sia stato comperato gran prezzo per averlo presso di sé, onorarne
la sua casa poterlo fare imitare da coloro che di quell'arte si dilettano,
e come quelli poi con ogni industria si sforzano in tutte le loro opere
rappresentarlo;e veggendo dall'altro canto le virtuosissime operazioni che
le istorie ci mostrano, che sono state operate da regni e da repubbliche
antiche, dai re, capitani, cittadini, datori di leggi, ed altri che si
sono per la loro patria affaticati, essere più presto ammirate che
imitate, anzi in tanto da ciascuno in ogni parte fuggite, che di quella
antica virtù non ci è rimaso alcun segno, non posso fare che insieme non
me ne meravigli e dolga.
Il Machiavelli "evade dalla comune concezione
oratoria ed edonistica della storia, abbozza un suo tipo di storia
militante ed ideale, che certamente non ha quella positiva veridicità...
ma si avvia a darci una storia idealmente vera" (L. Russo). Su questo
piano Machiavelli diventa il precursore della storiografia che vedrà il
primo vero rappresentante in GianBattista Vico.
Il motivo dominante dei Discorsi
è il governo delle Repubbliche, la vita politica del popolo, una scena più
vasta e più movimentata di quella che vede al centro un principe, perché
più varie, e se vogliamo numerose, sono le leggi che reggono la politica
di una collettività rispetto a quelle di un singolo individuo; più vasta
è la varietà delle cause e degli effetti sia delle singole azioni umane
sia della combinazione delle singole azioni in quelle di un gruppo. Ma non
bisogna pensare che le Repubbliche siano il
contenuto dei Discorsi da contrapporre al contenuto del Principe
che tratta dei Principati e dell'uomo virtuoso.
La differenza maggiore, se proprio di differenze si vuol parlare, è da
ricercarsi piuttosto nel procedimento logico usato nelle due opere:
-
nel Principe gli eventi storici servono per spiegare e in
qualche modo giustificare le norme politiche enucleate sul piano
teorico: le norme generali derivano dai fatti particolari in una sorta
di procedimento deduttivo; le norme diventano alla fine più
importanti degli stessi fatti, che in qualche modo vengono letti con
l'ottica particolare della giustificazione delle norme;
-
nei
Discorsi si parte dai fatti (ad esempio la narrazione di
Livio) per arrivare induttivamente alle norme; i fatti sembrano avere
la preminenza sulle regole politiche, che vengono discusse e
ridiscusse finché non trovano la loro precisa collocazione.
Il Principe viene scritto di getto nel 1513, i Discorsi
vengono scritti tra il 1513 e il 1517 o 1519, secondo alcuni critici
interrotti in un primo momento al XVIII capitolo per la stesura dell'opera
maggiore e successivamente ripresi. Indipendentemente da questi
particolari di tipo temporale resta evidente che le due opere nascono
nello stesso periodo di tempo e si richiamano alla stessa ispirazione; ma
la prima resta il frutto contingente di un momento, con una sua ben
precisa finalità, che è la strenua volontà dell'autore di affermare con
forza la propria presenza quasi insostituibile all'interno delle vicende
politiche che agitano Firenze: sembra quasi che voglia dire: sono qua,
questa è la mia scienza, non potete fare a meno di me perché avete
bisogno di me. La seconda opera è invece il frutto di lunghe riflessioni
e discussioni con gli amici, durante le quali non solo i fatti storici
vengono analizzati da più punti di vista ma anche da capacità
intellettive di diverso spessore e di diversa preparazione culturale.
Ciò che abbiamo detto è
un importante concetto di riferimento, che se non avesse valore farebbe
cadere l'importanza stessa delle riunioni agli Orti Oricellari, dove è
vero che Machiavelli rivestiva un ruolo importante e quasi di guida sia
per la sua esperienza di ex-segretario della seconda Cancelleria, sia per
le sue doti politiche e conoscenze storiche, ma è anche vero che
ascoltava con attenzione il parere degli amici che poi lo spingeranno a
scrivere, come afferma nella dedica: a voi che mi avete forzato a
scrivere quello ch'io mai per me medesimo non arei scritto. Proprio
questo ci fa capire la mancanza di organicità dell'opera, che non
risponde a un disegno preciso ma segue il filo dei pensieri derivanti
dalle discussioni e dalla lettura dei primi dieci libri delle Storie
liviane.
La Repubblica si contrappone alla tirannide, che prima o poi corrode le
basi stesse della propria potenza che in alcuni momenti sembra addirittura
illimitata. Ma la tirannide contiene in sé il principio stesso del suo
inevitabile sfaldamento: se un'idea o un principio possono vivere a lungo,
quasi partecipando della stessa eternità, l'uomo è un essere mortale e
il tiranno trascina con sé la sua stessa creazione. Anzi, il tiranno sa
che la sua potenza è fondata sulla paura di sudditi che ubbidiscono con
la forza, mentre nella Repubblica l'individuo partecipa liberamente perché
sa che il bene individuale si fonde col bene collettivo.
La libertà è l'elemento
discriminante tra tirannide e repubblica, una libertà i cui benefici
Machiavelli esalta nel capitolo secondo del Libro secondo dei Discorsi.
Anche nei Discorsi
assume una particolare importanza la milizia, che per il Principe o per la
Repubblica è un elemento fondamentale per il mantenimento del potere o
per la sopravvivenza delle istituzioni repubblicane e della libertà
stessa della patria. Saper disporre di armi proprie, essere in grado di
far valere con un esercito cittadino le proprie ragioni e le proprie
ambizioni significa possedere uno strumento di vita.
Mettiamo in evidenza un
ultimo elemento, che riguarda in particolare la vita di principi e
tiranni: le congiure. Nei Discorsi come nel Principe esprime
tutta la sua avversione per la congiura perché non vi è "impresa
più periculosa né più temeraria", per cui molte se ne tentano
ma poche riescono (per esperienzia si vede molte essere state le
coniure, e poche avere avuto buon fine: Principe, cap. XIX)
www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/index007.htm
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