Fu scritta nell'agosto del 1916, in dialetto siciliano, per Angelo Musco con il
titolo 'A birritta cu 'i ciànciani poi modificato in 'A birritta cu 'i
ciancianeddi. Le fonti narrative del testo sono riconducibili a due novelle,
Certi obblighi e La verità, pubblicate entrambe sul «Corriere della sera» nel
1912. Messa in scena da Musco, il 27 giugno 1917, davanti a un pubblico non
numeroso ma soddisfatto, fu replicata per tre sere. La versione italiana fu
pubblicata in «Noi e il Mondo.
L'azione ha luogo in una cittadina siciliana, nel salotto della casa del
cavalier Fiorìca «riccamente addobbato all'uso provinciale». La signora
Beatrice, convinta che il marito, un banchiere privato, la tradisca con Nina,
giovane moglie di un dipendente - lo scrivano «quarantacinquenne» Ciampa, che
occupa un appartamentino attiguo e comunicante col Banco - ha preparato un piano
per far scoppiare lo scandalo. Il piano è ingegnoso: il cavalier Fiorìca, di
ritorno la sera da Catania, troverà libero il campo per appartarsi con l'amante
perché la signora Beatrice avrà provveduto ad allontanare Ciampa, inviandolo a
Palermo con il pretesto di una commissione. La polizia, preavvertita, potrà fare
irruzione nell'appartamentino, sorprendendo i due amanti in flagrante adulterio.
La signora Beatrice espone il piano al delegato di polizia Spanò, uomo di
fiducia della sua famiglia. Spanò esita ad accettare una denuncia compromettente
per l'onorabilità del cavalier Fiorica, persona stimata e influente in città, ma
alla fine cede alle pressanti insistenze della moglie. Beatrice fa quindi
chiamare Ciampa per affidargli la commissione. Lo scrivano, che si presenta con
«occhi pazzeschi, che gli lampeggiano duri, acuti, mobilissimi dietro i grossi
occhiali a staffa», sospettando un intrigo, tenta di sottrarsi all'incarico e
cerca di convincere la signora a parlare con lui senza infingimenti. Ciampa,
scrivano e intellettuale, ha elaborato una personale teoria dell'agire sociale
dettata dalle sue esulcerazioni esistenziali, che espone alla signora Fiorìca:
«Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa. La seria, la
civile, la pazza. Soprattutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile;
per cui ci sta qua, in mezzo alla fronte. - Ci mangeremmo tutti, signora mia,
l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. - Non si può. E che faccio allora? Do'
una giratina così alla corda civile. Ma può venire il momento che le acque si
intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria,
per chiarire, per rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e
quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in
nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non
so più quello che faccio! ».
Ma Beatrice, determinata a vendicarsi del marito, non si lascia convincere a
girare la corda seria «per rimettere le cose a posto», perché ritiene Ciampa
consenziente alla tresca. Lo scrivano prima di partire per Palermo, per svolgere
l'incarico, tenta ancora inutilmente di disinnescare il progetto insensato della
padrona.
Nel secondo atto scatta la trappola. Nina Ciampa e il cavalier Fiorìca vengono
sorpresi l'una con un «decolté eccessivo», giustificato dalla stagione calda, e
l'altro in «maniche di camicia - decentissimo», sul punto di lavarsi le mani. I
due vengono tuttavia arrestati, l'una per il decolté, seppure esibito in casa,
l'altro per resistenza. Ma nel merito, assicura il delegato Spanò, il verbale è
negativo e il cavaliere sarà prontamente rilasciato. Dal momento che il marito è
stato in qualche modo punito, la signora Fiorìca è ora soddisfatta. Non ha
considerato però la reazione di Ciampa, che piomba stravolto nel salotto per
rivendicare la sua condizione dolente di uomo non più giovane, innamorato della
moglie, che ha potuto «sottomettersi fino al punto di spartirsi l'amore di
quella donna con un altro uomo». Lo scrivano assicura che, se prima dello
scandalo avesse potuto parlare francamente con la signora Beatrice della
incresciosa situazione, egli si sarebbe licenziato e trasferito altrove. Ma la
donna, dominata dalla gelosia, ne ha ignorato le ragioni, dando in pasto alla
gente il suo doloroso segreto. Ora a Ciampa non resta che vendicare il
tradimento palese, ammazzando moglie e amante, poiché un verbale «negativo»
della polizia non può certo cancellare i sospetti e le chiacchiere: «resto col
verbale, che non c'è stato nulla? E debbo sopportarmi che tutti, domani, vengano
a dirmi in faccia, con occhi dolenti: "Non è stato nulla, Ciampa: la signora ha
scherzato"». Poiché tutti in casa tentano di minimizzare il comportamento di
Beatrice come un gesto di pazzia, Ciampa è folgorato da un'idea: la signora si
finga veramente pazza così i sospetti che hanno provocato lo scandalo
risulteranno dettati dalla follia. Solo la pazzia conclamata della donna può ora
disarmare la sua mano. E tenta di persuaderla così: «Niente ci vuole a far la
pazza, creda a me! Gliel'insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare
in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede e tutti la prendono per pazza!».
Incalzata dalla paradossale provocazione di Ciampa che le chiede di «farsi tre
mesi di villeggiatura» in una casa di salute, per dissipare i sospetti e
restituirgli la dignità, la signora libera la corda pazza dandosi a
incontrollate escandescenze e gridando in faccia a Ciampa la verità della sua
condizione di «becco». Verità non credibile, consentita solo ai pazzi. E «mentre
tutti fanno per portar via Beatrice, che seguita a gridare come se fosse
impazzita davvero», Ciampa «si butta a sedere su una seggiola in mezzo alla
scena, scoppiando in un'orribile risata, di rabbia, di selvaggio piacere e di
disperazione a un tempo».
Quasi un anno trascorse dal tempo della scrittura a quello della
rappresentazione della commedia perché, alla lettura del testo, Angelo Musco
aveva manifestato varie perplessità. «Le ragioni di tanto timore si devono
trovare», scrive Gaspare Giudice, «nelle lunghe battute filosofico-buffonesche
che pronuncia Ciampa nel primo atto e che sono alla base del suo personaggio.
Ciampa era il portatore in teatro per la prima volta, a chiare lettere, del "pirandellismo"».
Antonio Gramsci, recensendo la commedia, vi riscontrò «poca intensità: la
dimostrazione soverchia l'azione, la diluisce, la svanisce. Il sofisma, il
paradosso non acquista pregio nel dialogo»; per Leonardo Sciascia, invece, Il
berretto a sonagli rappresenta «la più perfetta commedia di Pirandello». Dopo
l'interpretazione di Musco, che gradualmente la escluse dal repertorio, la
commedia trovò un interprete congeniale in Eduardo De Filippo, che nel 1936, per
volontà dell'autore, ne trasse una riduzione in dialetto napoletano. Nel 1963 Il
berretto a sonagli venne ripreso da Turi Ferro. Nel 1984 Luigi Squarzina ne curò
la regia per l'interpretazione di Paolo Stoppa, reintegrando i tagli operati da
Angelo Musco.
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